UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E CRITICA DEL DIRITTO DIPARTIMENTO DI DIRITTO PUBBLICO , INTERNAZIONALE E… [615071]
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E CRITICA DEL DIRITTO
DIPARTIMENTO DI DIRITTO PUBBLICO , INTERNAZIONALE E
COMUNITARIO
Corso di laurea magistrale a ciclo unico in
Giurisprudenza
Tesi di laurea in Diritto commerciale
IL VOTO MAGGIORATO NELLE S.P.A.
QUOTATE
Relatore : chiar.mo prof. M ARCO CIAN
Studente : MIRCO LUNARDI
Anno accademico 2015/2016
II
III
INDICE SOMMARIO
INTRODUZIONE. ………………………………………………………………………………. VII
CAPITOLO PRIMO.
QUADRO INTRODUTTIVO E CENNI STORICI. ………………………………………….. 1
1. Il decreto legge 24 giugno 2014, n. 91 (c.d. decreto competitività). …………… 1
1.1 Il contesto in materia di governo societario e obiettivi: coinvolgimento
degli azionisti nella governance e promozione di investimenti di
lungo periodo. C enni sul quadro europeo e statunitense. ………………………… 9
2. La struttura del voto in una prospettiva comparata e storica: in
particolare il voto plurimo. …………………………………………………………………… 18
2.1. (Segue): una ricognizione dell’esperienza italiana. ……………………………….. 30
CAPITOLO SECONDO.
ESEGESI DELLA DISCIPLINA DELLE AZIONI CON VOTO
MAGGIORATO. ……………………………………………………………………………………………. 35
1. Considerazioni preliminari: precisazioni sull’ammissibilità del modello
di voto sovraproporzionale prima del decreto competitività. …………………. 35
2. (Segue): la temporanea deroga al quorum deliberativo richiesto per
l’introduzione del voto maggiorato. Critica. …………………………………………. 39
3. Ambito di applicazione della disciplina del voto maggiorato. ………………….. 43
4. Problemi circa la sua applicabilità alle società cooperative. …………………….. 51
5. La natura delle azioni a voto maggiorato. ………………………………………………… 56
6. Problematiche sul diritto di recesso. ………………………………………………………… 69
7. L’esclusione dalla quotazione. ………………………………………………………………… 82
8. Considerazioni attorno alla tutela delle minoranze. …………………………………. 83
9. Presupposti della maggiorazione del voto: l’iscrizione nell’elenco e
l’appartenenza continuativa al medesimo soggetto. ………………………………. 90
10. La cessione delle azioni a voto maggiorato, la cessione di
partecipazione di controllo in società che detengono azioni a voto
maggiorato e le cessioni infragruppo. …………………………………………………… 98
IV
10.1. (Segue): la cessione di azioni e la c.d. record date. …………………………… 101
11. La rinunzia del voto maggiorato. …………………………………………………………. 106
12. Le vicende modificative dal lato soggettivo che non comportano la
perdita della maggiorazione: la successione mortis causa. ………………….. 108
12.1. (Segue): la fusione e la scissione del titolare delle azioni. …………………. 112
13. Alcune vicende traslative prese in considerazione dalla prassi
statutaria : il patto di famiglia. …………………………………………………………….. 115
13.1. (Segue): la fondazione. …………………………………………………………………….. 117
13.2. (Segue): il conferimento in trust. ………………………………………………………. 118
13.3. (Segue): il fondo patrimoniale. …………………………………………………………. 122
13.4. (Segue): il trasferimento da un portafoglio ad un altro nell’ambito di
un Organismo di investimento collettivo del risparmio gestito da una
stessa SGR. ………………………………………………………………………………………… 123
14. Pegno, usufrutto, sequestro delle azioni con voto maggiorato. ……………… 124
15. Le azioni con voto maggiorato e gli istituti del riporto e del prestito
titoli. …………………………………………………………………………………………………… 128
16. Le vicende modificative della società emittente o del suo capitale: la
fusione e la scissione dell’emittente. …………………………………………………… 130
16.1. (Segue): l’aumento del capitale a titolo gratuito e a pagamento. ……….. 132
17. Gli effetti della maggiorazione del voto sui quorum assembleari. ………… 136
18. Gli effetti della maggiorazione del voto sul c.d. voto divergente. …………. 141
19. Gli effetti della maggiorazione del voto sugli assetti proprietari. ………….. 143
20. Gli effetti del voto maggiorato sulla disciplina dell’OPA e sulla regola
di neutralizzazione. …………………………………………………………………………….. 148
CAPITOLO TERZO.
PRIME VALUTAZIONI DI POLITICA LEGISLATIVA. ……………………………. 163
1. Gli investitori professionali e la c.d. wall street rule (cenni). …………………. 163
1.1. Gli Hedge Founds . ……………………………………………………………………………… 166
1.2. Gli altri investitori istituzionali. ………………………………………………………….. 170
1.3. Scenari più possibilisti. ………………………………………………………………………. 173
1.4. Alcuni possibili scenari alternativi: la rilevanza del voto maggiorato
per il socio di controllo e per lo Stato. ………………………………………………… 175
2. Il caso Fiat Chrysler Automobiles e la sopravvalutata influenza sul
legislatore itali ano. ……………………………………………………………………………… 179
V
3. Altra finalità dell’art. 20, d.l. n. 91/2014, commi 1 e 8 -bis: favorire la
quotazione delle imprese in un contesto (quello italiano) dominato da
una cultura “bancocentrica”. ………………………………………………………………. 182
3.1. Possibili contraddizioni sotto il profilo economico. …………………………….. 188
4. Cenni sui principali assetti proprietari delle società quotate. ………………….. 191
5. Considerazioni relative al principio “ one share , one vote ” e alle sue
deviazioni. ………………………………………………………………………………………….. 193
6. Considerazioni conclusive …………………………………………………………………….. 209
CONCLUSIONI ………………………………………………………………………………………….. 213
BIBLIOGRAFIA …………………………………………………………………………………………. 223
Opere monografiche, trattatistiche e manualistiche. …………………………………… 223
Articoli di riviste, quotidiani e altri contributi. …………………………………………… 228
Documenti. ……………………………………………………………………………………………….. 242
Massime notarili. ………………………………………………………………………………………. 244
Giurisprudenza. …………………………………………………………………………………………. 245
Statuti. ………………………………………………………………………………………………………. 245
VI
VII
INTRODUZIONE
La crisi finanziaria del 2007, pur trovando la sua scaturigine negli Stati Uni-
ti, ha rapidamente raggiunto una portata globale, con significative implic a-
zioni economiche e sociali, a conferma di come la globalizzazione abbia
permesso una diffusione del benessere ma anche una più rapida condivisio-
ne delle criticità.
Quella che era nata come una crisi bancaria assunse ben presto anche le ve-
sti di una crisi del debito sovrano, svelando la fragilità del sistema econ o-
mico complessivo, in cui non vi era la giusta preoccupazione per la sosten i-
bilità degli elevati indebitamenti degli Stati, in particolar modo europei.
Inevitabilmente la crisi delle banche mise in luce anche la debolezza del s i-
stema economico-produttivo italiano, caratterizzato dalla presenza di mol-
tissime piccole-medie imprese, segno tangibile dell’operosità della civiltà
contadina tramandata di generazione in generazione e poi incanalatasi nel
contesto industriale.
Al sistema italiano e alla specializzazione dei suoi distretti si è sempre
guardato con ammirazione, essendo il punto di forza della nostra economia,
ma le ridotte dimensioni delle imprese e l’accentuata dipendenza al finan-
ziamento bancario avrebbero messo a dura prova il tessuto industriale del
nostro Paese, in un periodo di stretta creditizia segnato dall’inaridimento dei
consueti canali di finanziamento.
Nonostante dalla lettura della stampa quotidiana già a partire dall’anno suc-
cessivo allo scoppio della crisi pareva si fossero avvistati i primi segnali di
ripresa, ancora oggi, dopo quasi dieci anni, l’economia reale non sembra e s-
sere ripartita con una crescita economica sufficiente.
Nel corso di questo decennio sono state concepite diverse misure volte a
fronteggiare le difficoltà emerse, con massicci interventi delle banche cen-
trali e misure di natura fiscale e giuscommercialistica via via elaborate dai
singoli legislatori.
Anche i vari governi italiani succeduti si hanno più o meno efficacemente
tentato di dare delle rispo ste, e tra esse si colloca il recente d.l. 24 giugno
2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 116,
non a caso battezzato come decreto competitività o sviluppo.
Nella presente tesi di laurea si prenderà in esame uno dei molteplici inter-
venti legislativi raggruppati nel decreto, il voto maggiorato, con qualche
VIII
cenno ad un ulteriore istituto introdotto in sede di conversione, ossia le
azioni a voto plurimo.
L’obiettivo dichiarato del legislatore è la predisposizione di strumenti giur i-
dici volti a favorire l’accesso al mercato dei capitali da parte delle imprese,
riducendo la pressoché totale dipendenza dal credito bancario; favorendone
così la crescita dimensionale e la competitività a livello internazionale.
Altra finalità è sicuramente quella di favorire gli investimenti di lungo ter-
mine, ritenuti il principale antidoto contro le attività speculative focalizzate
su guadagni imminenti e disinteressate all’andamento economico su oriz-
zonti più ampi; e a tal fine la possibilità di introdurre il voto maggiorato
nello statuto delle società quotate dovrebbe (nelle intenzioni del legislatore)
avere un ruolo significativo.
Al di là degli obiettivi di politica legislativa, gli istituti di cui daremo conto
hanno destato sin da subito particolare interesse, sia nella stampa speciali z-
zata sia nelle riviste di diritto commerciale, e questo per il gradiente di no-
vità da essi posseduto. Il riconoscimento di un numero di voti nelle assem-
blee delle s.p.a. superiore all’entità del capitale sottoscritto è risultato no r-
mativo cui in Italia non si era mai pervenuti, sebbene il principio “one
share , one vote ” fosse già stato ritenuto derogabile soprattutto dopo la ri-
forma organica del diritto societario del 2003.
Con il decreto competitività si è indubbiamente proseguito sul solco, trac-
ciato dalla predetta riforma, d ella valorizzazione dell’autonomia privata e si
è ampliato ancor di più il ventaglio degli strumenti di investimento a dispo-
sizione della s.p.a. per reperire risorse, raggiungendo livelli di liberalizz a-
zione che avvicinano il nostro ordinamento a quello inglese.
Nella prima parte del presente lavoro si cercherà dunque di illustrare la di-
sciplina del voto maggiorato, presentando anzitutto il contesto giuridico in
cui si è innestata e il dibattito a livello comunitario che ne ha senza dubbio
stimolato l’intro duzione.
Si faranno alcune considerazioni storiche e comparate, utili per comprend e-
re meglio le finalità e le preoccupazioni connesse ad interventi di rafforz a-
mento dei poteri endosocietari; considerazioni necessariamente rivolte alle
azioni a voto plurimo più che al meccanismo del voto maggiorato, presente
a livello normativo solo in Francia e Italia e poco approfondito – nel conte-
sto italiano meno recente – a livello dottrinale, a differenza invece delle
azioni a voto plurimo, mai previste legislativamente prima del 2014, ma già
oggetto di riflessione nei primi decenni del Novecento.
IX
Riteniamo che tali brevi considerazioni siano utili poiché in particolari cir-
costanze che si potrebbero presentare in concreto, il voto maggiorato sareb-
be in grado di schiudere problematiche, legate all’abuso dei soci di maggi o-
ranza, per le quali valgono le considerazioni riguardanti le azioni a voto
plurimo.
Evidenzieremo poi, nella parte centrale, le problematiche interpretative
schiuse dalla tecnica legislativa utilizzata nell’introdurre il voto maggiorato
e i riflessi che l’istituto ha dispiegato rispetto ad altri contesti, quali le par-
tecipazioni rilevanti, l’OPA, la regola di neutralizzazione.
La terza e ultima parte della tesi, invece, ha come obiettivo quello di illu-
strare le implicazioni economiche, riflettendo su chi potranno essere i prin-
cipali interessati al voto maggiorato, anche alla luce degli obiettivi del legi-
slatore italiano e comunitario di un maggior coinvolgimento degli investito-
ri – in specie istituzionali – nelle dinamiche societarie. Si cercherà poi di i l-
lustrare – senza pretesa di completezza – i benefici e i vantaggi connessi
all’ampliamento dei poteri corporativi non accompagnato da un proporzio-
nale maggior investimento (e dunque rischio) nella società, alla luce della
vastissima letteratura giuridico-economica americana, cercando altresì di
“adattare” le riflessioni al contesto europeo e italiano, molto diverso da
quello angloamericano.
1
CAPITOLO PRIMO
QUADRO INTRODUTTIVO E CENNI STORICI.
1. Il decreto legge 24 giugno 2014, n. 91 (c.d. decreto competitività).
Nell’estate del 2014 il legislatore ha emanato un provvedimento normativo
recante, tra le altre cose, delle significative novità nel campo del diritto so-
cietario.
Si è scelta come tecnica normativa quella decretazione d’urgenza1 e, secon-
do una prassi ormai invalsa, ma tutt’altro che encomiabile, il mezzo del
“provvedimento -contenitore”. Già una rapida lettura del d.l. 24 giugno
2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 116
(c.d. decreto competitività) palesa, infatti, la giustapposizione di misure u r-
genti per il rilancio del settore vitivinicolo, per la produzione del la Mozz a-
rella di Bufala Campana, per l’efficientamento energetico degli edifici sco-
lastici e universitari pubblici, per le operazioni di bonifica o di messa in si-
curezza e per il recupero dei rifiuti anche radioattivi. Si prosegue poi con
disposizioni urgenti per le imprese, comprensive di interventi sul capitale
minimo e sugli assetti proprietari delle società per azioni, sui controlli nelle
s.r.l., sulle modalità di redazione del bilancio e sulle bollette elettriche.
La tecnica normativa non è delle migl iori2, ma sulla sua esegesi non ci sof-
1 La scelta del mezzo tecnico del decreto legge è diventata sempre più fr equente da parte
del Governo, plasmandolo ad ordinario strumento di legislazione nonostante le stringenti
condizioni poste dalla nostra Costituzione all ’art. 77. Molte sono, al riguardo, le stigm a-
tizzazioni ti tale prassi, provenienti dai più illustri costituzionalisti (ma non solo), con cui
si denunciano ripetute e vistose violazioni del disposto costituzionale (Si v., tra i tanti, L.
CARLASSARE , Conversazioni sulla Costituzione , II ed., Padova, CEDAM, 2002, pp. 144
ss.).
2 In dottrina è stata denunciata la frequente mancanza di una visione di insieme nelle r i-
forme societarie di questi anni recenti, nonché un’attività legislativa spesso frutto di
«scelte del momento, se non peggio, di reazioni estemporanee, di iniziative di facciata, di
spinte politico-sociali non sempre commendevoli e talvolta ondivaghe » (v. M. CIAN, Ca-
pitale, proprietà, controlli: un nuovo restyling per le società di capitali (in margine alle
modifiche al codice civile introdotte dal D.L 91/2014, con. con legge n. 116/2014) , St. iu-
ris, 2014, fasc.11, pp. 1258 ss.).
2
fermeremo ora, poiché sarà oggetto di specifica attenzione più avanti.
La nostra attenzione è rivolta in particolare all’art. 20 del decreto, recante
«Misure di semplificazione a favore della quotazione delle imprese e misu-
re contabili », la cui lettura fa emergere l’accorpamento di modifiche r i-
guardanti a) il capitale minimo della s.p.a. (non più centoventimila, ma cin-
quantamila euro), b) l’abrogazione – per le s.p.a. non quotate – del divieto
delle azioni a voto pluri mo, c) modifiche concernenti le s.r.l. e la trasform a-
zione di società di persone, nonché d) delle innovazioni in materia contab i-
le. Nello stesso tempo sono state introdotte delle non marginali modifiche
del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (c.d. Testo Unico della F i-
nanza, d’ora in avanti TUF), e in particolare introducendo – con la lett. aa)
del primo comma – un nuovo art. 127- quinquies , il quale ha permesso alle
società quotate l’attribuzione di un voto maggiorato in ragione
dell’anzianità dei soci.
Scopo del citato art. 20 – si legge nella relazione di accompagnamento del
disegno di legge di conversione presentato dal Governo3 – è favorire e sem-
plificare l ’accesso al mercato dei capitali di rischio delle imprese, in part i-
colare di quelle piccole e medie.
L’utilizzazione – da parte di altri Paesi come Francia, Olanda, Svezia e Stati
Uniti – «di diverse classi di azioni con diritti di voto differenziati e di dive r-
si meccanismi di incremento del diritto di voto per gli azionisti stabili »4 è
prassi piuttosto invalsa; infatti si accorda un certo favore a meccanismi di
flessibilità nella struttura del capitale, in deroga al noto principio “one
share , one vote”, sia in aumento che in diminuzione. Flessibilità che – se
concessa con altrettanta espansività anche nell’ordinamento italiano – po-
trebbe favorire la quotazione delle imprese e dunque l’individuazione di ca-
nali di finanziamento ulteriori rispetto all’indebitamento bancario; nonché
l’individuazione di strumenti che incentivino la stabile permanenza nella
compagine azionaria, scoraggiando attività speculative sul capitale e favo-
rendo il coinvolgimento dei soci, in particolare istituzionali, nelle dinam i-
Tali difetti non sembrerebbero riguardare solo il legislatore italiano; al riguardo v., ad es.,
I. PARACHKÉVOVA – E. MOUIAL -BASSILANA , Les apports de la loi Florange au droit des
sociétés , Bulletin Joly Sociétés , 2014, p. 314.
3 Relazione contenuta nell’Atto del Senato n. 1541, XVII Legislatura, p. 32.
4 Ibid.
3
che societarie interne5.
Sulla scorta di queste considerazioni si è deciso di introdurre l’art. 127-
quinquies TUF, principale oggetto di studio del presente lavoro, offrendo
così la possibilità agli statuti delle società quotate di prevedere una maggi o-
razione del diritto di voto a beneficio degli azionisti di lungo periodo.
Se una tale clausola statuta ria è presente, dunque, ciascuna azione apparte-
nuta al medesimo soggetto per un periodo continuativo non inferiore a ven-
tiquattro mesi attribuirà allo stesso fino a un massimo di due voti.
Il medesimo articolo del TUF regola poi le ipotesi di perdita e di estensione
del beneficio della maggiorazione del voto, mentre ai commi quinto e sesto
si chiarisce che le azioni a voto maggiorato non costituiscono una categoria
speciale di azioni e che la delibera di modifica dello statuto con cui si pre-
vede la maggior azione del voto non dà diritto al recesso. L’introduzione
della maggiorazione del voto è consentita, dunque, anche alle società già
quotate al tempo dell’introduzione della novella.
Per la prima volta – a livello di diritto positivo – assistiamo alla possibilità
di derogare alla regola dell’unicità del voto per azione. Non si era mai giun-
ti, fino ad ora, a riconoscere una tale possibilità, sebbene l’ordinamento giu-
ridico italiano consentisse già numerose deviazioni dal principio
“un’azione, un voto”, essend osi sempre preoccupato però di impedire
l’espressione di un numero di voti superiore alle azioni possedute. In parti-
colare, un tale scostamento dalla regola generale poteva avvenire tramite le
azioni di risparmio, introdotte nel 1974 e appannaggio delle società quotate,
la cui peculiarità consisteva in una totale ablazione del diritto di voto, a
fronte del necessario riconoscimento di privilegi patrimoniali6. Un altro
strumento era costituito dalle azioni prive del diritto di voto o con voto lim i-
tato/condiz ionato; istituto, questo, su cui la riforma del 2003 è ampiamente
intervenuta, considerato che in precedenza era possibile solamente limitare
il voto alle assemblee straordinarie (escludendolo, dunque, da quelle ordin a-
rie, mentre non si poteva escluderlo completamente) e purché si compen-
5 Ivi, p. 33.
6 P. SPADA , Le azioni di risparmio , in Riv. dir. civ. , 1974, II, pp. 590 ss., segnalò subito la
straordinarietà dell’istituto, evidenziando come, a dispetto del nomen , le caratteristiche
sostanziali si allontanassero notevolmente da quelle delle azioni propriamente intese. Egli
infatti parlò di «fisionomia poco societaria » del regime delle azioni di risparmio, e di
«azioni a metà ».
4
sasse la limitazione con privilegi patrimoniali. Privilegi, dopo il 2003, solo
eventuali, in quanto non necessari nemmeno nel caso di totale ablazione del
diritto di voto. Anche gli strumenti finanziari partecipativi, introdotti sem-
pre nel 2003, avevano contribuito a indebolire la solidità del principio “one
share , one vote”, in quanto si era data la possibilità di riconoscere loro – e
dunque a chi non fosse socio, e perciò titolare di azioni – diritti amministr a-
tivi, comprendendosi espressamente la possibilità di nominare un compo-
nente del consiglio di amministrazione (art. 2351, quinto comma, cod.
civ.)7. Non era più necessario possedere azioni, e dunque correre il rischio
di impresa che ne deriva, per poter disporre di prerogative amministrative
che consentissero, seppur in modo limitato, di influenzare la gestione della
società.
E ancora, senza necessariamente creare una categoria di azioni, era possib i-
le derogare alla proporzionalità tra numero di azioni detenute e voti espri-
mibili mediante scaglionamenti o plafonamenti in relazione alla quantità di
azioni possedute8, valorizzando in questi casi la situazione soggettiva del t i-
tolare delle azioni9.
7 V. comunque M. MAROCCHI , Sull’attualità della correlazione tra potere e rischio nella
s.p.a. riformata , Contratto e impresa , 2014, I, pp. 236 ss.; M. BIONE , Il principio della
corrispondenza tra potere e rischio e le azioni a voto plurimo: noterelle sul tema , Giur.
comm. , 2015, II, pp. 272 ss., i quali ridimensionano la capacità di questi strumenti di inc i-
dere sulla correlazione tra rischio e potere.
8 Secondo una dottrina minoritaria, lo scaglionamento del voto avrebbe permesso di con-
cepire un modello di voto sovraproporzionale, cioè attributivo di un numero di voti sup e-
riore rispetto alle azioni detenute. Ma sul punto v. infra.
9 Sul fatto che la limitazione in questi due casi sia di ordine soggettivo, e dunque non a f-
ferisca al contenuto dei diritti incorporati dalle azioni ma alla posizione del socio v., ad
es., M. CIAN, Strumenti finanziari partecipativi e poteri di voice , Milano, Giuffrè 2006, p.
78; A. PISANI MASSAMORMILE , Azioni ed altri strumenti finanziari partecipativi , Riv.
soc., 2003, pp. 1296-1297; A. ANGELLILIS – M.L. VITALI , sub art. 2351, in M. NOTARI (a
cura di), Azioni , Artt. 2346-2362 c.c., Commentario alla riforma delle società, diretto da
MARCHETTI – BIANCHI – GHEZZI – NOTARI , Milano, Egea, 2008, p. 445; M. BIONE , Il voto
multiplo , cit., p. 667; B. MASSELLA DUCCI TERI, Il decreto competitività: prime riflessi o-
ni sul voto plurimo e Loyalty shares all’italiana , Riv. dir. comm , 2014, II, pp. 473 e 474,
in merito alla giustificazione data (a suo dire prevalente rispetto ad altre prospettate) circa
l’esclusione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, prevista
nell’art. 2351, terzo comma, cod. civ., ante novella del 2014; C. PASQUARIELLO , sub art.
2351, Commentario delle società , G. Grippo (a cura di), t. I, artt. 2247-2435 bis, Torino,
Utet, 2009, p. 347; A. STAGNO D ’ALCONTRES , sub art. 2351, in G. NICCOLINI – A. STA-
5
Non erano possibili, invece, alterazioni in maius dalla regola “un’azione, un
voto”, in quanto l’art. 2351, quarto comma, cod. civ., vietava categoric a-
mente l’emissione di azioni a voto plurimo.
Oggi, come detto, tale divieto è venuto meno per le società non quotate: è
infatti concesso loro di emettere azioni con diritto di voto plurimo purché
non attribuiscano più di tre voti ciascuna, così da impedire un eccessivo d i-
scostamento tra potere e rischio. Il divieto è invece stato mantenuto per le
quotate, ancorché non in maniera assoluta, posto che l’art. 127- sexies TUF
se al primo comma afferma che «gli statuti non possono prevedere
GNO D ’ALCONTRES (a cura di), Società di capitali , Commentario , I, Napoli, Jovene, 2004,
pp. 307-308; A. D’O RSI, sub art. 2351, in G. ALPA – V. MARICONDA (a cura di), Codice
civile commentato , t. 3, Artt. 2291-2969, Milano, Ipsoa, 2013, p. 333; G. D’A TTORRE , Il
principio di uguaglianza tra soci nelle società per azioni , Milano, Giuffrè, 2007, pp. 119
ss. e passim ; M. NOTARI , Le categorie speciali di azioni , in Il nuovo diritto delle società,
Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. ABBADESSA – G.B. PORTALE , 1,
Torino, Utet, 2006, p. 594 alla nt. 1, dove apre alla possibilità di configurazione di una
categoria azionaria allorché il contingentamento o lo scaglionamento sia previsto solo per
una parte delle azioni; Comitato Triveneto dei Notai, massima H.B.30, Limitazioni al d i-
ritto di voto ex art. 2351, terzo comma, cod. civ .: «Non si tratta di particolari categorie di
azioni ex art. 2348 cod. civ., ma di limiti posti in relazione alla quantità di azioni poss e-
dute dal singolo azionista per circoscrivere il suo peso deliberativo. Anzi, al contrario, si
è in presenza di una fattispecie in cui, in deroga al principio della spersonalizzazione de l-
la partecipazione sociale, caratteristico delle azioni, rileva la persona del socio più che
la singola azione. Pertanto, se il socio che non può esercitare il diritto di voto o lo può
esercitare in misura minima, per effetto del superamento della soglia prevista dallo statu-
to, aliena le azioni eccedenti è ben possibile che queste vengano a riacquistare il diritto
di voto, laddove invece le azioni di categoria, istituzionalmente e non occasionalmente
prive di voto, non possono riacquistarlo per effetto dell'alienazione del tit olo»; G.P. LA
SALA, Principio capitalistico e voto non proporzionale nella società per azioni , Torino,
Giappichelli, 2011., pp. 52-53, in seno comunque ad una interessante ricostruzione ogge t-
tiva del voto scalare e contingentato – più aderente all’essenza tipologica della società per
azioni – con l’ausilio della fattispecie dell’azione a voto condizionato (sul punto passim ).
Una ricostruzione che consentirebbe di applicare in modo non uniforme le limitazioni di
voto, proprio perché limiti intrinseci all’azione, e dunque idonei a creare una categoria
speciale di azioni, rispettando così l’art. 2348 cod. civ.
La ricostruzione soggettiva, invece, sposta i limi ti di voto in funzione del possesso azi o-
nario sulla persona del socio, essendo perciò incapaci di creare quella div ersità giuridica
tra azioni in grado di fondare una categoria autonoma. L’applicazione non omogenea del
plafonamento o dello scaglionamento diventerebbe più difficilmente armonizzabile con la
struttura della partecipazione azionaria.
6
l’emissione di azioni a voto plurimo », successivamente riconosce alle socie-
tà quotate che precedentemente alla quotazione abbiano emesso tali azioni
la possibilità di conservarle e addirittura, nei casi indicati e al fine di man-
tenere inalterato il rapporto tra le varie categorie di azioni, di emetterne di
nuove con le medesime caratteristiche e diritti di quelle già emesse (art.
127-sexies , secondo comma).
La disciplina degli strumenti finanziari partecipat ivi e delle azioni prive di
voto, o con voto variamente limitato, è rimasta inalterata, così come quella
sugli scaglionamenti o plafonamenti del voto, prevedendone, però,
un’estensione generalizzata (cioè anche alle società quotate, prima del 2014
non autorizzate a modulare il voto in ragione alla quantità di azioni poss e-
dute).
L’altra novità significativa, di cui si è già dato conto in apertura, è quella
del voto maggiorato nelle società quotate, al quale si presterà particolare a t-
tenzione, senza esimersi, comunque, da qualche considerazione sulle azioni
a voto plurimo; istituto, quest’ultimo, da un lato assolutamente inedito nel
contesto del codice del 1942, dall’altro tutt’altro che sconosciuto alla dottr i-
na e alla giurisprudenza più risalente10.
Si tratta di istituti distinti, che presentano però dei punti di contatto. En-
trambi, infatti, consentono il riconoscimento di un voto superiore all’unità
per azione – mediante la creazione di una categoria di azioni (azioni a voto
plurimo), ovvero mediante un crit erio attributivo del voto sovraproporzio-
nale legato al possesso prolungato delle azioni (azioni a voto maggiorato) –
preludendo a conseguenze similari sulla corporate governance , sia sul ver-
sante giuridico che economico. Si tratta, inoltre, di strumenti che sono stati
concepiti per migliorare la competitività delle s.p.a. e per tentare di creare
un assetto giuridico propizio ad una ripresa economica che attualmente
stenta ancora a decollare.
Preme subito sottolineare che in prima battuta il Governo, nonostante aves-
se contezza della diffusione in diversi Paesi di diverse classi di azioni, an-
che attributive di un voto superiore all’unità cadauna, non si spinse sino alla
rivisitazione del quarto comma dell’art. 2351, cod. civ., contemplante ap-
punto il divieto assoluto per le s.p.a. di emettere azioni a voto plurimo. Un
baluardo che è sempre sopravvissuto alle varie riforme succedutesi negli
10 V. infra per alcune considerazioni storiche.
7
anni, nonostante se ne fosse rilevata la scarsa fondatezza11.
Con un approccio meno “rivoluzionario”, nel decreto legge inizialmente l i-
cenziato si pensò dunque di limitarsi ad introdurre le azioni a voto maggio-
rato, strutturalmente e funzionalmente – come vedremo – diverse rispetto
alle azioni a voto plurimo.
Tali novità furono subito accolte positivamente da Confindustria, commen-
tate come degli interventi innovativi che perseguivano la duplice finalità di
incentivare la presenza di investitori di lungo periodo e di contrastare la tra-
dizionale ritrosia delle imprese familiari a quotarsi per il timore di perdere il
controllo. Fu segnalata comunque l’opportunità di monitorarne gli effetti,
«anche nell ’ottica di valutare l’opportunità di rafforzarne la portata, pr e-
scindendo dal requisito soggettivo del possesso continuativo ed elevando
l’attuale misura massima di voti per ciascuna azione »12.
Anche la Banca d’Italia espresse un giudizio positivo, confermando come la
disponibilità di strumenti che consentono di esercitare il controllo con un
impegno finanziario limitato dovrebbe essere in grado di favorire la quot a-
zione delle società “chiuse”; avvertendo, però, al contempo, che la strada
prescelta, ossia quella dell’impiego di strumenti di separazione tra proprietà
e controllo ispirata alle actions à droit de vote double francesi, avrebbe po-
tuto comportare un aumento del costo del capitale e incertezze circa il peso
relativo dei diritti di voto dei soci. La Banca d’Italia manifestava piuttosto
preferenza per « una vera e propria categoria di azioni a voto multiplo con
l’attribuzione del diritto di recesso », così da dare certezza all’allocazione
dei diritti di voto e garantire maggior tutela agli azionisti di minoranza13.
11 M. BIONE , Il voto multiplo , cit., p. 672, parlava di «scoria del passato »; A. STAGNO
D’ALCONTRES , sub art. 2351, Commentario Niccolini – D’Alcontres , cit., p. 302, secondo
il quale il divieto delle azioni a voto plurimo era « da ricercare più in suggestioni di con-
tinuità storica che in motivazioni di carattere applicativo, in un sistema in cui si la-
scia[va] comunque ampio spazio all’introduzione di rilevanti modifiche alla tradizione
regola di corrispondenza tra potere e rischio nelle s.p.a. »; A. ANGELLILIS – M.L. VITALI ,
sub art. 2351, in Commentario alla riforma delle società, cit., p. 476.
12 Si veda il testo dell’Audizione del dir. gen. di Confindustria Marcella Panucci, presso il
Senato della Repubblica, Commissioni Riunite 10 (Industria, commercio, turismo) e 13
(Territorio, ambiente, beni culturali), del 1 luglio 2014, p. 16 ss., (reperibi le in www.con
findustria.it/documenti/Audizioni –Parlamentari ).
13 Si veda il testo dell’Audizione del dott. Giorgio Gobbi, dir. gen. Servizio Stabilità F i-
nanziaria della Banca d’Italia, del 9 luglio 2014, presso il Senato della Repubblica,
Commissioni Riunite 10 (Industria, commercio, turismo) e 13 (Territorio, am biente, beni
8
Argomentazioni simili pervennero anche dal presidente della Consob, il
quale, in specie, manifestò apprezzamenti per le loyalty shares, ma invitò il
legislatore a riflettere circa l’utilità di una categoria speciale di azioni a voto
multiplo secondo il sistema della c.d. dual class ; magari da consentire in al-
ternativa alla maggiorazione del diritto di voto. Altri dubbi riguardavano, a
giudizio del presidente, l’art. 127- quinquies, sesto comma del TUF, il quale
negava il diritto di recesso nel caso di introduzione per via statutaria delle
azioni a voto maggiorato14.
Questi suggerimenti sono stati in parte recepiti in sede di conversione del
decreto. Nello specifico è stato modificato il quarto comma dell’articolo
2351 del cod. civ., introducendo così le azioni a voto plurimo.
Intervenuti con la soppressione dell’antico divieto, si rivelarono necessari
ulteriori ritocchi al TUF. Ecco allora che con l’art. 127- sexies , si vietò in
generale l’emissione di azioni a voto plurimo nelle società quotate, conse n-
tendone la presenza nel capitale sociale solo a certe condizioni. Ferma co-
munque l’incompatibilità tra azioni a voto plurimo e l’istituto della maggi o-
razione di voto nella società quotata (art. 127- sexies , terzo comma, TUF)
onde evitare eccessivi incrementi di potere in società dove la cristallizz a-
zione del potere è vista negativamente, mentre la mobilità del controllo ap-
pare un valore positivamente accolto15.
Nonostante gli aggiornamenti in sede di conversione andassero, almeno in
parte, nella direzione indicata dai contributi forniti da Confindustria, Banca
d’Italia e Consob (invitate a presentare le proprie considerazioni sul decreto
competitività nell’ambito dell’esame del disegno di legge n. 1541, conce r-
nente appunto la conversione del decreto stesso) nei giornali quotidiani con-
tinuarono i commenti dubbiosi sulla neo-introdotta normativa (in modo
piuttosto “colorito” e poco istituzionale), espressi con vigore già durante
l’iter di conversione.
ambientali), nell’ambito del disegno di legge n. 1541, concernente la conversione in legge
del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, p. 7 (reperibile in www.bancaditalia.it/media/no
tizie/audizione_gobbi_090714 ).
14 Audizione del presidente della Consob dot t. Giuseppe Vegas, presso le Commissioni
riunite 10 (Industria, commercio, turismo) e 13 (Territorio, ambiente, beni ambientali),
del 2 luglio 2014, p. 4, reperibile in www.consob.it , nella sezione: La Consob – Comun i-
cati, interventi e convegni – Audizioni e interventi.
15 P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , Riv. soc., 2015, fasc. 2-3,
p. 453.
9
Un noto economista, ad esempio, non lesinò energiche critiche, sia con rife-
rimento alle azioni a voto plurimo che con le loyalty shares , ravvisando in
questi istituti degli strumenti di abuso da parte dei soci di controllo, che
avrebbero potuto ingessare ancor di più le strutture proprietarie, ostacolan-
do cambi di controllo efficienti16.
Anche altre voci – sempre tratte dalla stampa ma, questa volta, provenienti
da noti giuristi – avvertirono il rischio che il potenziamento del voto potesse
rafforzare e congelare le strutture di potere esistenti, consentendo loro di
governare le società con minor rischio economico17.
Merita, a tal proposito, ricordare solamente la replica del senatore Mucche t-
ti, presidente della Commissione Industria del Senato, il quale ha rammen-
tato il ritardo dell’Italia rispetto a molti altri ordinamenti societari occiden-
tali nei quali il voto maggiorato e il voto plurimo sono presenti da tempo; e
che il voto maggiorato consente gestioni più stabili. «La storia », ricorda il
senatore, «dovrà pure insegnare qualcosa. Fiat Industrial e Fiat hanno
spostato la sede legale in Olanda, dove hanno adottato il voto maggiorato
16 Ci si riferisce a L. ZINGALES , Il voto plurimo favorisce le «piramidi» , ne Il Sole 24 Ore
del 5 agosto 2014 e I D., Quel voto plurimo così opaco , ne Il Sole 24 Ore del 1 agosto
2014, in cui l’economista esprime le proprie riserve a proposito del voto plurimo sia pe r-
ché in Italia mancano leggi che limitano l’abuso del socio di controllo; sia perché esse fa-
voriranno le piramidi societarie, consentendo – citando Einaudi – ai «soliti furbi [di c o-
mandare] con i capitali degli ingenui ».
Marcate contrarietà emergono anche con riferimento alle loyalty shares , perché avrebbero
«tutti gli svantaggi del voto plurimo, senza i vantaggi ». Concentrano infatti il potere e
rendono estremamente difficile il cambio di controllo, ingessando le le strutture del con-
trollo societario. Inoltre la possibilità di introdurre la maggiorazione del voto in società
già quotate sarebbe « un modo surrettizio per violare la parità degli azionisti. Come nella
fattoria degli animali di Orwell, tutti sono uguali, ma qualche d’uno è più uguale degli
altri».
17 F. TAMBURINI , Stato&Mercato. Riforma (a sorpresa) per le privatizzazioni, in Corriere
Econom ia del 13 settembre 2014, il quale riporta le parole di G. ROSSI, secondo il quale il
voto maggiorato «[è] un modo diverso per riorganizzare le maggioranze di controllo do-
po il tramonto dei patti di sindacato » e servirà a « consolidare gli interessi di pochi tor-
nando al capitalismo patrimoniale, magari con i grandi manager che, grazie alle stock
option, arriveranno a sostituire gli imprenditori »; e successivamente le parole di F. DE-
NOZZA , anch’esso critico in quanto a parer suo le misure introdotte finiranno per rafforz a-
re «i gruppi di comando permettendo a chi ha maggioranze limitate di fare gli affari suoi
senza che nessuno disturbi il manovratore ».
10
[…] e altri gruppi erano pronti a fare le stesse scelte »18.
1.1. Il contesto in materia di governo societario e obiettivi: coinvolg i-
mento degli azionisti nella governance e promozione di investimenti di
lungo periodo. Cenni sul quadro europeo e statunitense.
Se per il nostro ordinamento sia le loyalty shares che le azioni a voto plur i-
mo rappresentano, a livello di diritto positivo, significative novità, non è un
mistero che, a livello più generale, da alcuni anni i modelli organizzativi
societari, con particolare riferimento alla democrazia proprietaria e al prin-
cipio di correlazione tra rischio e potere, siano al centro di importanti rifle s-
sioni; sia a livello comunitario che nazionale19. Vale la pena ripercorrere i
passaggi più rilevanti, così da ricostruire sommariamente il contesto in seno
al quale si collocano gli interventi normativi del 2014 e cui il legislatore ita-
liano si è ispirato.
Con riferimento ai diritti di voto, in ambito europeo già nel 2002 l’High L e-
vel Group of Company Law Experts segnalava il bisogno di un coordin a-
mento in materia di corporate governance20 e di un maggior coinvolgimen-
to degli azionisti, anche favorendo l’utilizzo dei mezzi informatici.
Dal punto di vista dell’High Level Group , si sarebbe dovuto porre rimedio
al disinteresse dei soci verso la gestione della società (la c.d. rational apa-
thy), in particolar modo nelle società ad azionariato diffuso, perché ritenuto
potenzialmente dannoso. I soci, infatti, sono coloro che investono risorse
18 M. MUCCHETTI , Perché va difeso il voto plurimo, ne Il Sole 24 Ore del 3 agosto 2014.
19 Così M. CIAN, Diritti degli azionisti ed efficienza organizzativa: l’esperienza italiana
in una prospettiva europea, St. Iuris, fasc. 7-8, 2015, pp. 782 ss.
20 Si veda il Report of T he High Level Group of Company Law Experts on a modern regu-
latory framework for company law in Europe , Brussels, 4 novembre 2002, consultabile
all’indirizzo: http://www.ecgi.org/publications/documents/report_en.pdf , p. 43: « We
raised four issues relating to corporate governance in Europe: […] European corporate
governance code or coordination of national code in order to stimulate development of
best practice and convergence » (enfasi originale).
L’High Level Group of Company Law Experts è stato un gruppo di esperti di diritto soci e-
tario, nominato dal commissario europeo Bolkestein nel settembre 2001 e pre sieduto dal
professor J. WINTER – professore di International Company Law all’Università di A m-
sterdam e di Corporate Governance alla Duisenberg school of finance di Amsterd am –
che ha visto tra i propri membri anche G. ROSSI. Il gruppo si occupò di fornire raccoma n-
dazioni circa la modernizzazione del diritto delle società europeo.
11
destinate ad essere imputate al capitale sociale, e in caso di scioglimento
della società il loro credito al rimborso delle somme investite è postergato
rispetto a tutti gli altri creditori. Soddisfatti i creditori sociali, solamente se
residua un attivo potranno essere soddisfatte in tutto o in parte le pretese
dei soci (nella letteratura americana per questa ragione sono chiamati resi-
dual c laimholders , cioè titolari di pretese residuali sul patrimonio sociale), e
pertanto sono loro ad avere le giuste motivazioni a vigilare il management ,
a fungere da “watchdogs ”21.
L’High Level Group manifestò inoltre – sempre in ottica di armonizzazione
– la propria preferenza per la regola “un’azione, un voto”, in quanto giud i-
cata positivamente dagli investitori istituzionali22; essa avrebbe consentito
di reperire capitali sul mercato con maggiore facilità, e dunque la propo r-
zionalità tra risk bearing e control era da preferire23.
In seguito a questo orientamento, la Commissione europea, nel suo Action
Plan sul diritto societario e la corporate governance del maggio del 200324,
decise di commissionare uno studio sulle deviazioni dal principio di pro-
porzionalità tra capitale e controllo negli ordinamenti continentali.
Dopo un’ampia ricognizione comparatistica di tredici meccanismi di raffo r-
zamento del controllo societario – i c.d. CEM s, (“Control Enhancing M e-
chanism s”), tra i quali le azioni a voto plurimo, le azioni prive di voto, le
strutture piramidali, i patti parasociali e molti altri ancora – non si evide n-
ziarono però argomentazioni univoche a sostegno del principio auspicato
dall’High Level Group of Company Law Experts25.
21 Ivi, pp. 47-48. V. anche F. DENOZZA , intervento al seminario Problemi d’attualità. Vo-
to maggiorato, voto plurimo, e modifiche dell’OPA, Giur. comm ., fasc. I, 2015, pp. 236
ss., il quale ricorda l’indiscutibile dato di fatto secondo cui l’Unione europea continua in
tutti i suoi documenti a ripetere l’importanza dei soci e dell’assemblea.
22 Report of the High Level Group of Company Law Experts on Issues Related to Take o-
ver Bids , Brussels, 10 gennaio 2002, consultabile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/inter
nal_market/company/docs/takeoverbids/2002-01-hig-report_en.pdf , p. 21: «[i] n open
capital markets major (institutional) investors would normally prefer to invest where
bearing the ultimate economic risk of the company confers proportionate control rights ».
23 Ibid.
24 Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo – Moderni z-
zare il diritto delle società e rafforzare il governo societario dell’Unione Europea – Un
piano per progredire , del 21 maggio 2003.
25 Ci riferiamo al Report on the Proportionality Principle in the European Union (2007),
studio commissionato dalla Commissione europea all’Institutional Shareholder Service
12
Ecco dunque che il commissario responsabile per il mercato interno ed i
servizi, in un intervento del 3 ottobre 2007 innanzi la Commissione Affari
legali del Parlamento europeo dichiarò che non vi erano ragioni che giust i-
ficassero l’adozione a livello comunitario del principio proporzionale, noto
come “one share , one vote”26, lasciando agli Stati membri la possibilità di
adottare i modelli ritenuti più opportuni
Un altro passaggio importante è rappresentato dalla direttiva 2007/36/CE,
emanata con lo scopo di stimolare la partecipazione dei soci alle decisioni
assembleari; e proprio nella sua attuazione il legislatore italiano, con il
d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 27, introdusse l’art. 127- quater TUF, consenten-
do così agli statuti delle società quotate di riconoscere un beneficio di natu-
ra patrimoniale ad ogni azione che sia stata detenuta dallo stesso azionista
per un certo lasso di tempo (il c.d. dividendo maggiorato)27.
La disposizione28 merita di essere ricordata sia perché di essa la maggior a-
(ISS), il quale si è avvalso della collaborazione dell’European Corporate Governance In-
stitute (ECGI) e di Shearman & Sterling LLP.
La scelta di affidare lo studio all’ISS – noto proxy advisor , e dunque società che offre
consulenza in materia di corporate governance soprattutto agli investitori istituzionali, a f-
fiancandoli nell’esercizio del diritto di voto nelle assemblee – è stata criticata in Francia,
in ragione dell’esistenza di palesi conflitti di interesse. Nelle sue politiche di governance
l’ISS si è apertamente schierato a favore del principio “one share , one vote ”, come si può
agevolmente constatare consultando il sito dell’istituto (www.issgovernance.com , sezio-
ne: Policy Gateway – ISS Global Voting Principles ), in cui si legge: « [S] hareholders’ vo-
ting right should be proportional to their economic interest in the company ».
26 Si veda l’articolo di G. NUNZIANTE – M. RESTINO , Torniamo alle azioni a voto plurimo,
ne Milano e Finanza , 23 gennaio 2008; S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D. D’E RAMO – N.
LINCIANO , La deviazione dal principio “un’az ione – un voto” e le azioni a voto multiplo ,
Quaderni giur. Consob, 5 gennaio 2014 (da cui si cita), p. 9, in particolare alla nt. 2, pub-
blicato anche in Riv. soc ., 2014, pp. 479 ss.
27 La disciplina è piuttosto articolata, si rimanda perciò all’art. 127- quater TUF per una
lettura.
28 Sulla eccentricità di tale istituto rispetto al sistema delle società azionarie e sulla dubbia
legittimità costituzionale della disposizione che l’ha introdotto, posto che la Direttiva
2007/36 non si occupa affatto di diritti patrimoniali dei soci – conseguendone dunque un
eccesso di delega e quindi violazione dell’art. 76 Cost. – si veda M. STELLA RICHTER jr., I
troppi problemi del dividendo maggiorato , Riv. dir. comm ., 2011, I, pp. 89 ss. Si veda an-
che, per considerazioni più approfondite, N. DE LUCA, Maggiorazione del dividendo o
parità di trattamento: quale regola è più gradita ai mercati finanziari? , paper presentato
in occasione del convegno “Le clausole generali nel Diritto Commerciale e Industriale”,
13
zione del voto costituisce un completamento, o comunque un ulteriore tas-
sello nella scia delle misure volte alla stabilità dell’azionariato, e dunque t e-
se ad incentivare investimenti non speculativi nel capitale delle società quo-
tate; sia perché può essere utilmente letta a fianco di quella che tratteremo
diffusamente in questa tesi di laurea (la maggiorazione del voto)29.
Sempre in tema di interventi comunitari nella disciplina societaria, è il Li-
bro verde sul finanziamento a lungo termine del 2013 che segnalò
l’opportunità di politiche societarie volte a migliorare la partecipazione d e-
gli azionisti in una visione di lungo periodo.
Tenuto conto che la crisi del 2008, che perdura tutt’oggi, ha sensibilmente
ridotto la capacità del settore finanziario di incanalare i risparmi verso gli
investimenti a lungo termine, scopo primario dell’Unione europea è diven-
tato anche quello di favorire la ripresa della crescita economica europea e il
miglioramento della competitività sui mercati mondiali. A tal fine occorrerà
sostenere gli investimenti a lungo termine ed analizzare più nel dettaglio le
idee volte a incoraggiare una maggior partecipazione nel governo societ a-
rio, «analizzando ad esempio l’eventualità di opzioni per la concessione di
diritti di voto potenziati o di dividendi superiori agli investitori di lungo
termine »30.
Gli organi comunitari sembrano inoltre sostenere con forza la centralità che
gli investitori istituzionali debbono avere nella governance ai fini di un suo
efficiente funzionamento31; prendendo anche atto della tendenza alla c.d.
Roma, 11-12 febbraio 2011, disponibile in: http://www.orizzontideldirittocommerciale.
net/pub.asp?id=102 ; R. CUGNASCO , La maggiorazione del dividendo nelle società quot a-
te, Riv. dir. comm , 2011, fasc. 4, pp. 921 ss.; N. DE LUCA, Premi di fedeltà ed eguaglian-
za tra azionisti: riflessioni sull’art. 127-quater t.u.f ., Riv. soc. , 2012, I, pp. 23 ss.; G.A.
RESCIO , Clausole di maggiorazione del dividendo, nell'evoluzione del sistema delle soci e-
tà azionarie , in AA.VV., La struttura finanziaria e i bilanci delle società di capitali. Studi
in onore di G.E. COLOMBO , Torino, Giappichelli, 2011, pp. 278 ss, il quale rileva che –
per come disciplinata – la maggiorazione del dividendo rischia di incentivare la stabilità
più che l’attivismo dei soci.
29 Accostamento suggerito da E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto (art. 127-
quinquies t.u.f.): récompense al socio “stabile” o trucage del socio di controllo? in Ban-
ca, borsa, tit. cred ., 2015, I, pp. 78 ss.
30 Commissione Europea, Libro verde – Il finanziamento a lungo termine dell’economia
europea, 25 marzo 2013, p. 18.
31 Ivi, p. 10; Commissione Europea, Libro verde – Il quadro dell'Unione europea in ma-
teria di governo societario, 5 aprile 2011, pp. 13 ss; Report of The High Level Group of
14
de-retailization, ossia di quel processo che sta determinando la progressiva
sostituzione delle forme individuali di investimento azionario con forme di
investimento collettivo32. Sempre più spesso, infatti, i risparmiatori non
procedono all’acquisto diretto di azioni, ma si affidano a investitori profe s-
sionali i quali procedono ad investire i risparmi altrui33, al più sondando il
grado di rischio che il cliente intende assumere e le sue conoscenze finan-
ziarie, così da individuare la classe di investitori di appartenenza e dunque il
comparto di strumenti finanziari verso cui incanalare le risorse da gestire34.
Ecco dunque che gli investitori istituzionali, considerate la professionalità
degli stessi e le dimensioni dell’attività di investimento, sembrerebbero e s-
sere degli interlocutori necessari nelle dinamiche societarie, sebbene sia
piuttosto noto il loro atteggiamento passivo, « a dispetto di chi riteneva che
la maggiore concentrazione dei loro investimenti fosse di per sé sufficiente
ad indurli ad assumere naturalmente un ruolo attivo di watchdogs »35.
Company law experts on a modern regulatory framework, cit., p. 56: « The Group b e-
lieves institutional investors have an important role to play in the governance of compa-
nies in which they invest ».
32 Tendenza ricordata da M. EREDE – G. SANDRELLI , Attivismo dei soci e investimento
short-term: note critiche sugli investitori professionali a margine del di battito europeo
sulla corporate governance, Riv. soc., 2013, pp. 931 ss. Per quanto riguarda il termine de-
retailization , il primo ad utilizzarlo fu BRIAN CARTWRIGHT , già General Counsel della
SEC (2006-2009), in un discorso tenuto alla University of Pennsylvania Law School
nell’ottobre del 2007. V.B. CARTWRIGHT , The Future of Securities Regulation , consult a-
bile all’indirizzo: http://www.sec.gov/news/speech/2007/spch102407bgc.htm.
Il rafforzamento della presenza degli investitori istituzionali potrebbe avere effetti posi tivi
sull’efficienza del governo delle società anche per U. TOMBARI , Le categorie speciali di
azioni nella società quotata , Riv. soc ., 2007, p. 988.
33 F. ANNUNZIATA , Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del r i-
sparmio , in L’ordinamento finanziario italiano , F. CAPRIGLIONE (a cura di), t. I, II ed.,
Padova, Cedam, 2010, pp. 455 ss; per un quadro più generale v. anche R. COSTI, Il mer-
cato mobiliare , VIII ed., Torino, Giappichelli, 2013, pp. 179 ss.
34 Secondo i principi fondamentali stabiliti dalla direttiva MiFID.
35 M. EREDE – G. SANDRELLI , Attivismo dei soci, cit., pp. 933 ss.
Sullo scarso attivismo degli investitori istituzionali si veda ad es. anche A. IRACE , Il ruolo
degli investitori istituzionali nel governo delle società quotate , Milano, Giuffrè, 2001, pp.
120 ss.
Con riferimento agli investitori istituzionali negli Stati Uniti e in Inghilterra, L. ENRI-
QUES , Nuova disciplina delle società quotate e attivismo degli investitori : fatti e prospe t-
tive alla luce dell’esperienza anglosassone, Giur. comm ., 1998, I, pp. 680 ss. ; R.C.
15
A fronte di queste considerazioni, unitamente alla convinzione che causa
principale della crisi finanziaria di cui stiamo tutt’ora vedendo gli effetti sia
stata la focalizzazione sui rendimenti azionari misurati sul brevissimo p e-
riodo, non stupisce l’interesse verso regole che graduino il coinvolgimento
attivo del socio alla ricorrenza di un periodo minimo di possesso azionario.
Interesse che ha trovato concretezza soprattutto in Italia con il dividendo
maggiorato e il voto maggiorato36 e in Francia con il prime de fidélité e le
actions à droit de vote double37.
Già ora, comunque, può segnalarsi il dubbio circa l’efficacia di tali misure
nel coinvolgere maggiormente gli azionisti, in particolare quelli istituzion a-
li38, e il risch io che a trarne beneficio siano invece proprio gli azionisti già
POZEN , Institutional Investors: the Reluctant Activist , 1994, consultato all’indirizzo:
https://hbr.org/1994/01/institutional-investors-the-reluctantactivists , il quale rileva che
«Most institutional investors do not set out to become activist shareholders, nor do they
want to get involved with a company’s operational issues ».
36 Si vedano i già citati artt. 127- quater e quinquies del TUF.
37 L’art. L225-123 del Code de commerce disciplina le azioni a voto doppio, e al comma
1 recita : « Un droit de vote double de celui conféré aux autres actions, eu égard à la quo-
tité de capital social qu ’elles représentent, peut être attribué, par les statuts à toutes les
actions entièrement lib érées pour lesquelles il sera justifié d ’une inscription nominative,
depuis deux ans au moins, au nom du même actionnaire ».
Le azioni di fedeltà a voto doppio ( actions à droit de vote double ) sono note in Francia
dal 1933; recentemente, con la Loi n. 2014-384 du 29 mars 2014 (c.d. Loi Florange ) il si-
stema del voto maggiorato per le società quotate è diventato regola di default ; spetterà
agli statuti derogare a tale disciplina (art. L225-123, terzo comma).
Mentre l’art. L232-14 Code de commerce regola il c.d. “prime de fidélité ”, il cui testo è il
seguente: « Une majoration de dividendes dans la limite de 10% peut être attribuée par
des statuts à tout actionnaire qui justifie, à la clôture de l’exercice, d’une inscription n o-
minative depuis deux ans au moins et du maintien de celle- ci à la date de mise en paie-
ment du dividende. Son taux est fixé par l’assemblée générale extraordinaire. Dans les
sociétés dont les titres de capital sont admis aux négociations sur un marché réglementé,
le nombre de titres éligibles à cette majoration de dividendes ne peut excéder, pour un
même actionnaire, 0,5% du capital de la société. La même majoration peut être attribuée,
dans les mêmes conditions en cas de distribution d’action gratuites.
Cette majoration ne peut être attribuée avant la clôture du deuxième exercice suivant la
modification des statuts ».
38 Il dividendo maggiorato, come previsto in dottrina ( M. STELLA RICHTER jr., I troppi
problemi del dividendo maggiorato , cit., p. 105; R. CUGNASCO , La maggiorazione del d i-
videndo , cit., p. 926; P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , Riv.
soc., 2015, fasc. 2-3, p. 452) non ha riscosso successo e probabilmente alla sfortuna di
16
di controllo, i quali potrebbero disporre di un ulteriore strumento di “dom i-
nio” a danno delle minoranze.
Anche in realtà giuridicamente piuttosto “lontane” dalla nostra non si è
mancato di segnalare l’esigenza di stimolare un coinvolgimento attivo e du-
revole degli azionisti.
Sono state indicate, per esempio, due norme regolamentari emanate dalla
Securities and Exchange Commission (SEC)39, che attribuiscono diritti
esclusivamente agli azionisti di lungo termine di società quotate40.
Nell’ambito di un lavoro circa il potenziamento dei poteri degli azionisti
nelle public companies americane, autorevole dottrina ha riconosciuto i b e-
nefici che possono derivare da un potenziamento dei poteri dei soci41, ma
anche la possibilità che gli stessi possano essere attratti da considerazioni di
short -term potenzialmente dannose in una prospettiva dagli orizzonti più
ampi42. Il fatto che, comunque, le decisioni degli azionisti orientate a gu a-
dagni immediati debbano necessariamente contrapporsi a quelle più lungi-
miranti non dovrebbe essere dato per scontato; e questo perché in un merc a-
to efficiente l’adozione di decisioni che vanno a detrimento della società, in
questo istituto ha contribuito la riserva dello stesso ai soli soci che detengono una partec i-
pazione molto bassa. Non possono avvalersene i soci di controllo, ma anche coloro che,
pur non avendo un’influenza dominante, detengono una partecipazione eccedente lo 0,5%
del capitale sociale, e dunque gli investitori istituzionali.
39 La SEC è un ente federale statunitense preposto alla vigilanza della Borsa, f ondato dal
presidente Franklin Delano Roosvelt nel 1934. Svolge compiti analoghi alla Consob.
«The mission of the U.S. Securities and Exchange Commission » si legge sul sito ist i-
tuzionale ( www.sec.gov/about/whatwedo.shtml ) «is to protect investors, maintain fair,
orderly, and efficient markets, and facilitate capital formation ».
40 La Rule 14a-8 relativamente alla richiesta di integrazione dell’ordine del giorno assem-
bleare; e la Rule 14a-11, che facilitava la presentazione di candidati alla carica di ammin i-
stratore. Usiamo il passato perché quest’ultima norma non è più in vigore, abrogata dalla
Corte d’Appello federale del District of Columbia. Si veda A. SACCO GINEVRI ,
L’attribuzione di diritti particolari agli azionisti di lungo termine in una prospettiva
comparata, RDS , 2, 2012, pp. 231 ss.
41 L. BEBCHUK , The case for increasing shareholder power , Harvard Law Review, Vol.
118, No. 3 , gennaio 2005, Harvard Law and Economics Discussion Paper No. 500 , dis-
ponibile anche al link: http://ssrn.com/abstract=387940 , p. 913: « Increasing shareholder
power would much benefit shareholders and improve corporate performance ».
42 Ivi, p. 880 ss.: « shareholders might support a change that is detrimental to long-term
share value » poiché « they might be influenced by short-term considerations and special
interests ».
17
una prospettiva temporale più ampia, si rifletterebbe sin da subito in una r i-
duzione del valore delle azioni, a pregiudizio di tutti43.
Ammesso comunque che il rischio ci sia e che il correttivo indicato non sia
sufficiente, si potrebbe altresì, per esempio – secondo le riflessioni maturate
dalla dottrina citata in seno all’Harvard Law School – elaborare un mecc a-
nismo per cui una proposta diviene effettiva solamente dopo due approv a-
zioni assembleari distanziate nel tempo44, oppure dopo un ’unica approv a-
zione, ma destinata ad essere implementata in un momento successivo e so-
lo se nel frattempo non sia stata osteggiata45. In questo modo le iniziative di
chi intende agire lucrando guadagni immediati a scapito della continuità per
poi uscire dalla compagine sarebbero scoraggiate. E ciò senza alcun pregiu-
dizio del prin cipio “one share , one vote”.
Va notato che il potenziamento del voto a favore degli azionisti fedeli è un
espediente noto anche nel contesto americano, sebbene negli USA non sia
molto invalso nella prassi46.
43 Ivi, p. 884: « We still need to consider the potential costs that might be caused by
shareholders with short horizons, such as institutional investors and traders that follow
high-turnover strategies. It is far from clear that the governance provisions favored by
such shareholders would commonly deviate from those favored by long-term share hold-
ers. If a governance arrangement is widely viewed as detrimental to long-term share val-
ue, its long-run effect will likely be reflected in the company ’s stock price when the a r-
rangement is adopted, and thus the short-run effect of its adoption will likely be negative
as well ».
44 Ibid.: «[A] proposal will not become valid until after the passage of two shareholder
meetings, held at least one year apart. With such a requirement, shareholders will initiate
and adopt an arrangement only if they believe that it would have beneficial effects in the
longer term ».
45 Ivi, pp. 872-873: « the suggested regime could stipulate that a proposal approved in an
annual meeting would come into effect after the subsequent annual meeting, but only if no
decision to reverse the earlier decision is approved in that meeting. […] While this ver-
sion would not actually require two votes, it would ensure that proposals go into effect
only when they enjoy stable shareholder support over a period that contains two annual
elections ».
46 L. DALLAS – J.M. BARRY , Long-Term Shareholders and Time-Phased Voting , 40 Del-
aware Journal of Corporate Law 541, luglio 2015, San Diego Legal Studies Paper No.
15-194, reperibile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=2625926 , p. 9: « TPV arrang e-
ments are rare among U.S. firms»; intendendo con l’acronimo TPV ( Time-Phased Vot-
ing) «an arrangement in which long-term shareholders receive more votes per share than
short-term shareholders» (Ivi, p. 1). Gli autori segnalano comunque che l’argomento sta
18
È bene, comunque, ricordare la strutturale differenza dei contesti economici
anglosassoni rispetto al nostro: negli USA e in UK le società ricorrono a m-
piamente al mercato finanziario e la proprietà del capitale sociale risulta
frammentata tra un elevato numero di azionisti. Mentre nell’Europa conti-
nentale prevale una proprietà azionaria concentrata.
Considerando tali diversità e le conseguenze che ne derivano, le discussioni
sulla corporate governance si innestano su terreni diversi e potranno scon-
tare dunque conseguenze differenziate.
2. La struttura del voto in una prospettiva comparata e storica: in par-
ticolare il voto plurimo.
Prima di analizzare nel dettaglio la disciplina del voto maggiorato riteniamo
utili alcune considerazioni storiche e comparate, nella convinzione che po s-
sano agevolare la comprensione delle ragioni giuridiche ed economiche che
hanno favorito l’introduzione delle azioni con voto plurimo e del voto mag-
giorato, nonché dei pregi e difetti che ne hanno accompagnato la nascita e
la diffusione in Italia e in alcuni altri Paesi.
L’att enzione sarà posta prevalentemente sulle azioni a voto plurimo perché
maggiormente diffuse rispetto alle azioni di fedeltà47 e perché in relazione
ad esse sono state sviluppate considerazioni che si prestano ad essere valide
anche per le loyalty shares , e dunque meritevoli di essere accennate. Come
vedremo meglio nel prosieguo del presente lavoro, in entrambe le circo-
guadagnando consensi negli ultimi anni, proprio come possibile antidoto contro la miopia
degli operatori del mercato che ha portato alla esasperata ricerca del profitto, a scapito di
investimenti in piani industriali e finanziari di lungo periodo tendenzialmente più sa lutari
per la vita di un’impresa e dunque, su vasta scala, per l’economia globale.
Sul Time-Phased Voting , detto anche Tenure Voting (TV) v. anche E.B. ROCK, Shar e-
holder Eugenics in the Public Corporation, Cornell Law Review, Vol. 97, 2012, 849, U of
Penn, Inst for Law&Econ Research Paper No. 11-26 , consultabile all’indirizzo:
http://ssrn.com/abstract=1910681 , pp. 900 ss.
47 Ad oggi gli unici due Paesi che prevedono una disciplina specifica in materi a sono
l’Italia e la Francia.
Anche l’ordinamento olandese, al contrario di quanto si sarebbe tentati di pensare in base
al recente spostamento della sede sociale di Fiat Chrysler Automobiles (FCA) accomp a-
gnato dalla previsione di un meccanismo premiante gli azionisti “fedeli”, non ha – come
vedremo – disposizioni specifiche, né una prassi ed una giurisprudenza al riguardo.
19
stanze si verifica un potenziamento nelle prerogative di corporate gove r-
nance ; inoltre se l’interesse per l’investimento stabile dovesse essere man i-
festato solo dagli azionisti già di controllo (ipotesi molto verosimile) si per-
verrebbe a risultati molto simili a quelli che si avrebbero in una struttura
dual- class shares.
Partiamo col rammentare che agli albori delle società per azioni e dunque
nelle Compagnie olandesi, francesi, tedesche, italiane, inglesi e americane,
la puntuale corrispondenza tra risorse impegnate e capacità deliberativa solo
di rado si riscontrava.
In America fino al XIX secolo era diffusa la regola democratica “one vote
per person ”48; regola che trovava una giustificazione culturale e politica l e-
gata alla nascita degli Stati Uniti d’America49. Per questa ragione le corpo-
rations erano viste come « little republics »50 e come nelle strutture politiche
il diritto di voto era concepito come elemento fondamentale51. A prevalere
era l’immagine del socio come « member of the corporation, rather than
48 Si veda G. HYDEN – M. BODIE , One Share, One Vote and The False Promise of Homo-
geneity , 30 Cardozo L. Rev. 445 , 2008, consultabile all’indirizzo: http://scholar
lycommons.law.hofstra.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1166&context=faculty_scholars
hip, p. 470: « For much of the nineteenth century, the common law of corporations pr o-
vided for a default rule of one vote per person. This method tracked the def ault partne r-
ship rule, in which each partner has a vote no matter his or her financial interest in the
partnership »; e soprattutto, C.A. DUNLAVY , Social Conceptions of the Corporation: In-
sights from the History of Shareholder Voting Rights, Washington and Lee Law Review,
Vol. 63 , 2006, consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=964377, p. 1354:
«[S]hareholders – like the members of a partnership – have only one vote per person, if
no other voting rules were specified in a corporation’s charter or other statute law ».
49 L’avvenimento considerato l’atto di nascita della democrazia americana fu lo sbarco
dei “padri pellegrini”, salpati con la famosa Mayflower alla volta dell’America alla rice r-
ca di maggiori libertà religiose e politiche. Molti europei seguirono le loro orme, tutti a c-
comunati dal medesimo anelito: la libertà che in patria era negata. Le generazioni future
crebbero sulla base di questi ideali, estranei alle logiche del feudalesimo europeo app e-
santito da dipendenze e vessazioni e questo approccio democratico, che portava a nutr ire
timori avverso concentrazioni di potere, si irradiò anche nel modo di concepire la corpo-
rate governance .
50 C.A. DUNLAVY , Social Conceptions of the Corporation , cit., p. 1353.
51 Ivi, p. 1354: «[l] ike civic governance, corporate governance has many dimensions, but
there are good reason to single out voting rights as its foundation stone. Voting rights
necessarily define a baseline of power relations ».
20
provider of capital »52. Frequenti erano anche complessi sistemi di gradu a-
zione del voto53.
Analoghe considerazioni valevano, a maggior ragione, per le prime Com-
pagnie europee; esperienza che si presentò ben prima che in America. Que-
ste imprese nacquero, come fenomeno eccezionale, per lo sfruttamento de l-
le risorse economiche del le terre d’Oriente e del Nuovo Mondo54 e la loro
costi tuzione passava per un atto di concessione sovrana, a conferma della
52 Ibid.
Sembra interessante segnalare, al proposito, uno studio recente ( H. HANSMANN , The Evo-
lution of Shareholder Voting Right: Separation of Ownership and Consumption , Schola r-
ship Series, Paper 4721 , 2014, consultabile all’indirizzo: http://digitalcommons.la
w.yale.edu/fss_papers/4721 , p. 954) in cui invece si spiega la soluzione del voto “per te-
sta” alla luce di considerazioni economiche. Tale struttura di voto prevaleva nelle indu-
stries ottocentesche che si occupavano della costruzione di infrastrutture, come ferrovie,
ponti, strade e i partecipanti alle stesse erano gli imprenditori locali (“local merchants ”)
che delle infrastrutture intendevano usufruire. Il loro interesse non mirava ai flussi di cas-
sa, bensì alla possibilità di servirsi di quelle opere a prezzi contenuti e dunque vi era la
necessità di evitare concentrazioni di potere che conducessero a discriminazi oni nella
possibilità di utilizzare le infrastrutture per i propri singoli affari.
Questa giustificazione, secondo questo studio, spiegherebbe perché il voto pro capite non
fosse diffuso nelle imprese manifatturiere dove prevaleva la regola “one share , one vote ”
in quanto diverso era l’interesse economico; e perché le limitazioni di voto scomparvero
verso la fine del XIX secolo: in quel periodo lo Stato iniziò a intervenire e a farsi carico
delle ingenti spese necessarie per la realizzazione e il mantenimento delle opere pubbl i-
che.
53 Si v. D.L. RATNER , Government of Business Corporations Critical Reflections on the
Rule of One Share One Vote , 56 Cornell L. Rev. 1 , 1970, consultabile all’indirizzo:
http://scholarship.law.cornell.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=3834&context=clr, p. 3
ss. per esempi e riferimenti più puntuali. Sovente si ricordano le parole di Alexander H a-
milton, primo Segretario al Tesoro degli Stati Uniti d’America, che in occasione della
predisposizione dello statuto della First Bank of the United States sollevò dubbi
sull’opportunità di adottare sia la regola del voto per ogni azione per paura che potesse
facilitare abusi da parte degli azionisti più consistenti, sia la regola del voto per teste, in
quanto non dava adeguato “peso” agli stessi. Pervenne dunque che fosse da preferire “a
prudent mean ”, cioè un sistema di voto scalare con un tetto massimo di 30 voti per socio
(C.A. DUNLAVY , Social Conceptions of the Corporation , cit., p. 1356 ss.; D.L. RATNER ,
Government of Business Corporations , cit., p. 6; G. HYDEN – M. BODIE , One Share, One
Vote., cit., p. 470; C. ANGELICI , intervento al seminario Problemi d’attualità, cit., p. 219).
54 G. ROSSI, Dalla Compagnia delle Indie al Sorbones-Oxley Act , Riv. soc., fasc. 5-6 ,
2006, p. 891.
21
contiguità degli interessi tra politica e mercanti e della supremazia della
prima. Col tempo il privilegio concesso dal sovrano per la costituzione della
società diventò un’autorizzazione governativa55 finalizzata ad accertare la
serietà dell’iniziativa economica, e l’impiego di modelli di proporzionalità
attenuata caratterizzò la società anonima per buona parte del XIX secolo56.
È con il venir meno dell’autorizzazione governativa che si avvertì
l’esigenza di circoscrivere l’autonomia statutaria e si assistette a più minu-
ziose discipline legislative dell’organizzazione interna della società (prev e-
dendo anche requisiti di forma e di pubblicità in precedenza non richie sti)57.
Il bisogno di risorse favorì, successivamente, la “socializzazione” del capi-
tale a cui non fece riscontro una corrispondente “socializzazione ” del pot e-
re: con l’aumento dei partecipanti alla compagine azionaria si prospettò una
55 L’autorizzazione governativa, venuta meno in Italia con il codice del 1882, era indice
dell’idea che l’esercizio del commercio fosse un privilegio concesso dal sovrano.
La classe mercantile divenne molto potente, al punto che si narra che il Papa, per un p e-
riodo intorno la metà del Trecento, si presentò in pubblico senza il pastorale, in quanto i
Bardi – famosi banchieri fiorentini – pretesero in pegno, a garanzia dei prestiti concessi,
proprio il prezioso e sacro bastone. E lo stesso sembra sia avvenuto con la corona del re
d’Inghilterra.
Tuttavia la classe borghese non seppe sviluppare la propria direzione politica oltre la real-
tà comunale e così la scena politica diventò degli Stati monarchici e della loro politica a s-
solutistica. E presto gli Stati, e dunque la classe nobiliare, seppero cogliere i vantaggi che
potevano trarre dall’attività economica col regolamentarla. È proprio per tale ragione che
subito dopo la Rivoluzione tutte le società per azioni furono sciolte con decreto, perché
considerate un residuo dei soppressi privilegi di concessione sovrana. Anche se il provv e-
dimento fu presto revocato ( F. GALGANO , Lex mercatoria , cit., pp. 73 ss. e 146).
La pratica dell’autorizzazione rimase come forma di controllo contro iniziati ve improvv i-
sate o fraudolente e per scoraggiare le «fallaci quanto allettatrici imprese[che]abusano
dell’altrui buona fede[per]cupidigia di disonesti guadagni ». (Sono le parole del ministro
Vacca contenute nella relazione al codice del 1865, lette in A.P. SCHIOPPA , Saggi di sto-
ria del diritto commerciale , cit., p. 210).
56 Fino al settimo decennio dell ’Ottocento – nonostante alcune posizioni critiche che però
hanno visto esaurita la loro espressione allo stadio di progetto – l’autorizzazione govern a-
tiva rima se. Il primo esempio di legislazione liberale sul punto fu quello dello Stato di
New York del 1811. Meriterebbe di essere ricordato anche un progetto del 1806 di Pom-
peo Baldasseroni, giurista toscano allora giudice d’appello a Venezia, in cui si proponeva
l’eliminazione dell’autorizzazione (v. A.P. SCHIOPPA , Saggi di storia del diritto comme r-
ciale , Milano, C.E.A., 1991, p. 131).
57 A.P. SCHIOPPA , Saggi di storia del diritto commerciale , cit., p 216; G.P. LA SALA,
Principio capitalistico e voto non proporzionale , cit., p. 8
22
distinzione tra “partecipanti principali” e “sotto-partecipanti”, con la ten-
denza dei primi ad elaborare forme di concentrazione del potere. Tendenza
che si allargò quando la grande impresa divenne un ordinario fenomeno
dell’economia (soprattutto con la rivoluzione industriale) non più legato a
specifi che contingenze politiche di colonizzazione58.
Gli incrementi dimensionali delle corporazioni e l’apertura del capitale ad
un numero più ampio di soggetti spostarono l’attenzione dalla persona al
capitale investito59, e tali cambiamenti si rifletterono anch e nella struttura di
voto: il voto per teste era una conformazione che poteva essere appropriata
solo in contesti societari ristretti, con pochi azionisti60.
Verso la fine del XIX secolo la regola “one share , one vote ” diventò molto
comune61 e si passò dunque al sistema c.d. “plutocratico”.
A far emergere come standard la regola plutocratica contribuirono sia lo
sviluppo dei mercati azionari sia la caduta del principio dell’autorizzazione
governativa62.
Ma lo sviluppo dei mercati azionari e la conseguente apertura del capitale
ad un numero ampio di soggetti accentuò ancor di più quella tendenza già
manifestatasi di concentrazione del potere in capo ad alcuni azionisti; con-
seguentemente in alcune grandi companies statunitensi si cominciarono ad
emettere azioni senza diritto di voto e in un secondo momento azioni a voto
plurimo.
58 F. GALGANO , Lex mercatoria , Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 141 ss.
59 S. RANADE , Separation of Voting Rights from Cash-Flow Rights in Corporate Law: In
Search of the Optimal , Warwick School of Law Research Paper No. 2013/07 , 2013, con-
sultabile all’indirizzo : http://ssrn.com/abstract=2246757 , p. 4.
60 R.B. THOMPSON – P.H. EDELMAN , Corporate Voting , Vanderbilt Public Law Research
Paper No. 08-32 , 2008, consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=1156901 , p.
137: « Early American corporate law often specified one vote per shareholder and this
might have been appropriate for a corporation with a small number of shareholders who
interacted with and knew each other »; v. anche, ad es., S. RANADE , Separation of Voting
Rights , cit., p. 4: « With the growing size of corporations and the complexity of businesses,
the primitive form of corporate democracy gave way to the plutocratic model of one
share one vote ».
61 C.A. DUNLAVY , Social Conceptions of the Corporation , cit., p. 1356: « one-vote-per-
share had become so familiar in the United States as to make it seem timeless and nat u-
ral», anche se «many Americans were still leery of the power that it put in the hands of
large investors ».
62 G.P. LA SALA, Principio capitalistico e voto non proporzionale , cit., p. 6 e nt. 17.
23
Questo nuovi “esperimenti” non furono immediatamente seguiti da inter-
venti legislativi per regolamentare il fenomeno, ma piuttosto furono seguiti
– negli USA – dalle reazioni delle principali società di gestione dei mercati
finanziari63.
Ad oggi la regola “un’azione, un voto” è rinvenibile in pressoché tutti gli
Stati americani ed è seguita dalla maggior parte delle società quotate64, seb-
bene siano ammesse delle deviazioni65.
63 L’approccio più rigoroso del NYSE ( New York Stock Exchange ) non fu seguito dalle
altre borse americane, le quali furono più liberali nell’ammettere la quotazione di società
con strutture dual-class. Negli anni ottanta, quando si intensificò l’utilizzo di azioni senza
diritto di voto o con voto plurimo come strumenti di difesa contro scalate ostil i che and a-
vano intensificandosi, anche il NYSE mutò orientamento per non subire la concorrenza
delle altre borse il cui maggior permissivismo risultava più attraente, e dunque numerose
società quotate nel NYSE avevano cominciato a orientare altrove la quotazione dei propri
titoli (Su ques ti cenni storici si possono vedere S. RANADE , Separation of Voting Rights ,
cit., p. 5; R.B. THOMPSON – P.H. EDELMAN , Corporate Voting , cit., p. 28; M.G. WARREN ,
One share, one vote: a perceptions of legitimacy , Journal of Corporation Law, Vol. 14 , p.
89, 1988, consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=1621775 , pp. 2 ss; W.G.
RINGE , Deviations from Ownerships – Control Proportionality – Economic Protectionism
Revisited , 2010, Oxford Legal Studies Research Paper No. 23/2011 , consultabile
all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=1789089, p. 225; W.K. TAYLOR , Dueling shares:
comparative Eu-US corporate governance practices , 2013, consultabile all ’indirizzo:
www.fondazionepirelli.org/uploadcultura/pdf/1371479874.pdf , pp. 35-35; S. ALVARO –
A. CIAVARELLA – D. D’ERAMO – N. LINCIANO , Le deviazioni dal principio “un’azione –
un voto ”, cit., pp. 41 ss.; M. VENTORUZZO , Un’azione, un voto: un principio da abban-
donare? , Giur. comm , 2015, I, pp. 513 ss.; G. FERRARINI , “Un’azione – un voto”: un
principio europeo? , Riv. soc. , 2006, pp. 40 ss.).
64 S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D. D’ERAMO – N. LINCIANO , Le deviazioni dal principio
“un’ azione – un voto ”, cit., p. 41.
65 Si v., ad es., il Delaware General Corporation Law, § 212 ( Voting rights of stockhol d-
ers; proxies; limitations ): «(a) Unless otherwise provided in the certificate of incorpor a-
tion and subject to §213 of this title, each stockholder shall be entitled to one vote for
each share of capital stock held by such stockholder. If the certificate of incorporation
provides for more or less than one vote for any share, on any matter, every reference in
this chapter to a majority or other proportion of stock, voting stock or shares shall refer
to such majority or other proportion of the votes of such stock, voting stoc k or shares ».
Facciamo riferimento alla legislazione del Delaware in quanto, come noto, particola r-
mente apprezzata per la sua flessibilità e perciò ampiamente adottata dalle public compa-
nies statunitensi. Il suo successo sarebbe legato alla sua ampia derogabilità, alla mole di
precedenti giurisprudenziali e alla competenza dei suoi operatori, nonché alla sua sensib i-
lità verso le esigenze delle società di capitali (si veda, ad es., L. BEBCHUK , The case for
24
Per quanto riguarda le multiple voting shares, le società che ne hanno fatto
un uso maggiore (spesso in occasione della quotazione in Borsa) sono que l-
le legate a potenti famiglie66 e quelle operanti in settori high- tech (Google ,
Facebook ), della moda (Nike, Ralph Lauren ) e dei media (New York Times ,
News Corp ). Vi sarebbe la convinzione che, soprattutto in certi settori, il
socio fondatore sia la persona più adatta a conservare la guida della socie-
tà67, considerando la spiccata genialità dello stesso, le sue capacità tecniche
e il suo carisma, nonché le caratteristiche uniche del servizio o prodotto o f-
ferto. In questi casi il mercato tollera la concentrazione di potere, ancorché
una situazione del genere potrebbe avallare comportamenti opportunistici.
Le azion i a voto multiplo invalse negli USA si differenziano da quelle eu-
ropee e da quelle recentemente ammesse in Italia: vi è maggiore libertà
nell’attribuzione dei voti e, se trasferite, si convertono in ordinarie68.
increasing shareholder power , cit., dove a p. 844, a proposito dell’ordinamento del De-
laware lo prende in considerazione come « the most important corporate jurisdiction,
which serves as domicile to a majority of public companies »).
Anche se parrebbe particolarmente apprezzato più dalle grandi imprese che da q uelle di
ridotte dimensioni (v. E ASTERBROOK – FISCHEL , L’economia delle società per azioni,
trad. it. di M. SCALIA , Milano, Giuffrè, 1996, pp. 243 ss.).
66 Cfr. per un’analisi empirica anche B. VILLALONGA – R. AMIT, How do family owne r-
ship, control and management affect firm value? , 2006, consultato in: http://people.ste
rn.nyu.edu/bvillalo/VillalongaAmit_JFE2006.pdf, pp. 385 ss.
67 S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D. D’ERAMO – N. LINCIANO , Le deviazioni dal principio
“un’ azione – un voto ”, cit., p. 45; C. ANGELICI , intervento al seminario Problemi
d’attualità , cit., p. 217; N. ABRIANI , Azioni a voto plurimo e maggiorazione del diritto di
voto degli azionisti fedeli: nuovi scenari e inediti problemi interpretativi , Approfond i-
mento del 29 settembre 2014, in www.giustiziacivile.com ., pp. 6-7; M. VENTORUZZO ,
Un’azione, un voto , cit., p. 518; P. MONTALENTI , intervento al seminario Problemi
d’attualità, cit., p. 222.
68 S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D. D’ERAMO – N. LINCIANO , Le deviazioni dal principio
“un’ azione – un voto ”, cit., p. 45; M. VENTORUZZO , Un’azione, un voto, cit., p 515; M.
LAMANDINI , Voto plurimo, tutela delle minoranze e offerte pubbliche di acquisto , Rel a-
zione al Convegno “Unione europea: concorrenza tra imprese e concorrenza tra stati ”,
Courmayeur, 19-20 settembre 2014, consultabile in: www.cnpds.it/documenti/relazione_
prof_lamandini.pdfL., p. 9.
Sull’assenza di un’espressa previsione normativa di tali c.d. sunset clauses, ma di una lo-
ro possibile introduzione statutaria vedi, con riferimento alle azioni a voto plurimo
“all’italiana”, N. ABRIANI , Azioni a voto plurimo e maggiorazione del diritto di voto, cit.,
p. 8.
25
Circa le azioni di fedeltà, invece, abbiamo g ià notato all’inizio del presente
lavoro che la loro diffusione non è ancora molto invalsa nel contesto statu-
nitense, dove manca una regolamentazione specifica, presente invece in Ita-
lia e in Francia; e questo probabilmente perché esiste già uno strumento
come le multiple voting shares il cui utilizzo non incontra limiti consistenti
e dunque è in grado di soddisfare le esigenze che si presentano.
In Inghilterra le azioni prive di voto o con voto privilegiato69 furono a m-
piamente utilizzate fino alla metà del secolo scorso, quando si verificò una
netta inversione di tendenza, probabilmente su pressione degli investitori
istituzionali, come noto massicciamente presenti nella realtà inglese70.
Il principio “one share , one vote” oggi è regola di default71, ma le deviazi o-
ni da questa regola sono ammesse; l’ordinamento inglese è molto liberale al
riguardo. Nonostante ciò, come rilevato dal Report on the Proportionality
Principle in the European Union , l’utilizzo di CEMs è molto contenuto. La
ragione parrebbe riposare n ella potente influenza degli investitori istituzio-
nali, favorevoli a strutture azionarie semplici che non alterino la liquidità
delle azioni, in quanto interessati alla loro frequente negoziazione.
Nel continente europeo l’utilizzo delle azioni a voto plurimo fu avvistato in
Francia già prima delle leggi del 1902 e 1903 che ne generalizzarono
l’uso72, e si fece intenso nell’immediato dopoguerra sia in Francia che in
Germania, soprattutto per evitare che le imprese passassero in mano a indu-
striali stranieri, considerate le svalutazioni monetarie che interessarono i
Al riguardo si segnala l’art. 5.4 dello statuto di F.I.L.A. S.p.A., il quale prevede la con-
versone automatica delle azioni a voto plurimo in azioni ordinarie in caso di alienazione o
cambio di controllo del soggetto titolare delle suddette azioni.
69 Quest’ultime diffusesi anteriormente alla loro introduzione nel continente, v. N. ELENA ,
Le azioni con voto plurimo o con voto altrimenti privilegiato nelle società commer ciali
italiane , Torino, Fratelli Bocca editori, 1927, p. 19.
Sull’utilizzo delle azioni a voto plurimo all’inizio del ‘900 v. anche A. SCIALOJA , Il voto
plurimo nelle società per azioni, in Foro it., 1925, I, (a commento di App. Milano 11
agosto 1925), col. 775.
70 W.G. RINGE , Deviations from Ownerships – Control Proportionality , cit., p. 226.
71 V. sect 284 Companies act 2006; il Companies act del 1862 prevedeva, a tutela degli
azionisti minori, il voto scalare. Vedi sect . 44: « Every member shall have one vote for
every share up to ten: he shall have an additional vote for every five shares beyond the
first ten shares up to one hundred, and an additional vote for every ten shares beyond the
first hundred shares ».
72 N. ELENA , Le azioni con voto plurimo, cit., p. 6.
26
Paesi europei in quel periodo73.
In Germania, dopo un loro ampio utilizzo74, nel 1937 ne venne bandita, in
via generale, l’emissione, consentendola solo previa autorizzazione minist e-
riale. Tale eccezi one fu oggetto di discussione in occasione della seconda
grande riforma del diritto societario nel 1965, ma venne abrogata solo nel
1998 con l’entrata in vigore del Gesetz zur Kontrolle und Transparenz im
Unternehmensbereich (“KonTraG ”)75. È stato comunque consentito il man-
tenimento della regola statutaria che consentiva il voto plurimo per un p e-
riodo transitorio di cinque anni, trascorsi i quali solo anguste condizioni a
tutela delle minoranze avrebbero permesso alle società che ancora avessero
le azioni a voto multiplo di mantenerle76.
Oggi il divieto è ancora presente nell’art. 12 dell’Aktieng esetz77.
73 Si veda A. SCIALOJA , Il voto plurimo nelle società per azioni , cit., coll. 758 ss.; A.
ASQUINI , Le azioni privilegiate a voto limita to, MEDIOBANCA (a cura di), consultabile
all’indirizzo: http://www.archiviostoricomediobanca.it/documenti/LE_AZIONI_PRIVILE
GIATE_A_VOTO_LIMITATO.pdf , p. 1; L. LORDI , Sul progetto del nuovo Codice di
Commercio, Riv. dir. comm., 1926, I, p. 299; M. GERMAIN – V. MAGNIER , Les sociétés
commerciales , in Traité de droit des affaires , G. RIPERT – R. ROBLOT , t. II, XXI ed., Pa-
ris, LGDJ, 2014, p. 376; Y. GUYON , Les sociétés: Aménagements statutaires et conve n-
tions entre associés , in Traité des contrats , J. GHESTIN , IV ed., Paris , LGDJ, 1999, p.
183.
74 Si veda ancora N. ELENA , Le azioni con voto plurimo , cit., p. 14 ss. e A. SCIALOJA , Il
voto plurimo nelle società per azioni, cit., in questo caso anche per alcuni esempi applic a-
tivi dell’epoca.
75 A. ANGELILLIS – M.L. VITALI , sub art. 2351, in Commentario alla riforma delle soci e-
tà, cit., p. 464, nt. 281, ove si cita l’art. del “KonTraG ” che ha definitivamente espunto le
azioni a voto plurimo dall’ordinamento tedesco ; G.B. PORTALE , La legge azionaria ted e-
sca cinquanta anni dopo , Riv. soc., fasc. 2-3, 2014 p. 302.
76 V. § 5 Einführungsgesetz zum Aktiengesetz .
Serviva la conferma assembleare con delibera votata da almeno tre quarti del capit ale so-
ciale, esclusi i possessori di azioni a voto plurimo. Vedi S. ALVARO – A. CIAVARELLA –
D. D’ERAMO – N. LINCIANO , Le deviazioni dal principio “un’ azione – un voto ”, cit., p.
40.
Gli azionisti titolari di tali azioni vennero compensati della perd ita del voto potenziato. V.
W.G. RINGE , Deviations from Ownerships – Control Proportionality , cit., p. 226: «
[S]hareholders with such existing rights were granted compensation ».
77 § 12 Stimmrecht. Keine Mehrstimmrechte : «(1) Jede Aktie gewährt das Stimmrecht.
Vorzugsaktien können nach den Vorschriften dieses Gesetzes als Aktien ohne Stimmrech t
ausgegeben werden. (2) Mehrstimmrechte sind unzulässig ».
27
L’altro Paese, come dicevamo, in cui le azioni a voto plurimo hanno una
tradizione robusta è la Francia. Negli anni ’20 del secolo scorso il loro ut i-
lizzo è stato molto intenso, inoltre queste azioni erano quasi sempre nelle
mani dei fondatori e frequenti erano altresì le clausole statutarie che ne im-
pedivano o rendevano difficilissimo il loro trasferimento78.
L’ampia libertà concessa dalla legge del tempo favo rì in alcuni casi gravi
abusi e infatti nel 1933 le azioni a voto plurimo vennero vietate, sancendo il
principio generale di proporzionalità tra numero di azioni possedute e voti.
Contestualmente, però, venne espressamente concessa la possibilità di pr e-
vedere negli statuti l’emissione di azioni di fedeltà a voto doppio ( actions à
droit de vote double ).
Ancora oggi tale istituto trova vigenza e tra le caratteristiche principali vi è
la nominatività delle azioni79, al fine di accertare il requisito del posses so
continuativo e assicurare trasparenza circa l’identità del titolare di un voto
potenziato; l’integrale liberazione così da ragguagliare il voto doppio ad un
attuale sacrificio economico; la detenzione protratta per almeno due anni
(art. L225 -123, comma 1, Code de commerce ). Prima della modifica appo r-
tata dall’art. 7 della Loi n. 2014-384 du 29 mars 2014 (c.d. Loi Florange ), il
terzo comma dell’art. L225 -123 disponeva che la regola del voto doppio
78 Vedi G. FRE, Le azioni a voto plurimo in Francia , Riv. dir. comm ., 1925, I, pp. 207 ss.;
A. SCIALOJA , Il voto plurimo nelle società per azioni , cit., coll. 773-774; N. ELENA , Le
azioni con voto plurimo, cit., pp. 10 ss. e pp. 158 ss., ove si riportano alcuni progetti di
regolamentazione delle azioni privilegiate nel voto, dai quali emergono le finalità ma an-
che le preoccupazioni legate a questo istituto. Con sfumature diverse anche in Francia si
discuteva sul numero massimo di voti; sulla necessaria nominatività dell e azioni per sape-
re a chi si affida la preminenza nella gestione sociale onde evitare che la stessa cadesse
nelle mani di persone gaglioffe; sui limiti alla trasmissibili per gar antire che le stesse r i-
mangano in capo ai veri interessati nell’industria; sui limiti temporali del privilegio.
79 Tale requisito sembrerebbe un ostacolo soprattutto per quegli investit ori di cittadinanza
non francese che non possono o non vogliono detenere le azioni in forma nominativa, a n-
che solo per evitare i costi bancari della registrazione ( I. PARACHKÉVOVA – E. MOUIAL –
BASSILANA , Les apports de la loi Florange , cit., p. 315; M. STORCK – T. DE RAVEL
D’ESCLAPON , Faut- il supprimer à droit de vote double en droit français? , Bulletin Joly
Sociétés , 2009, p. 94). Di fatto, per poter provare di avere titolo alla maggiorazione del
voto bisogna essere residenti in Francia e avervi un conto corrente bancario (v. M.S. S PO-
LIDORO , Il voto plurimo: i sistemi europei , Relazione al Convegno “Unione europea:
concorrenza tra imprese e concorrenza tra stati ”, Courmayeur, 19-20 settembre 2014,
consultabile in: www.cnpds.it/documenti/relazione_prof_spolidoro.pdf , da cui si cita, p.
16 e apparso anche in Riv. soc., 2015, pp. 134 ss.).
28
potesse trovare applicazione anche solo a favore di cittad ini francesi o di
uno Stato membro dell’Unione Europea o di uno Stato facente parte
dell’accordo relativo allo Spazio economico europeo80. L’eliminazione del-
la norma è stata salutata con favore dalla dottrina francese, perché una tale
limitazione soggettiva era vista come una misura discriminatoria e anacr o-
nistica81.
Si prevede anche che, in caso di aumento di capitale con incorporazione di
riserve, benefici o premi di emissione, l’azionista che già possiede azioni a
voto doppio avrà diritto alla maggiorazione anche sulle azioni di nuova
emissione ricevute (art. L225 -123, comma 2, Code de commerce ).
80 A conferma della loro iniziale coloratura nazionalista. Lo spiccato nazionalismo che c a-
ratterizza la Francia è stato segnalato, a commento delle azioni di cui si sta parlando, da
M.S. S POLIDORO , Il voto plurimo , cit., p. 16.
In Francia già alla fine del Medioevo si vide un’embrionale formazione di una monarchia
nazionale.
In Italia, invece, è naturale che il sentimento nazionalista sia più attenuato stante la più
recente formazione. Il fenomeno di ricomposizione politico-territoriale dopo il Medioevo
si arrestò ad uno stadio regionale, non sfociando in una monarchia nazionale. Una miriade
di staterelli, spesso in conflitto fra loro, che resero la penisola debole ed esposta ad inva-
sioni straniere. Ancora nel 1847 si definiva l’Italia solo “un’espressione geografica”
(Matternich), cioè non la si riteneva neppure una nazione. V. GIOBERTI , in Del primato
morale e civile degli italiani , v. I, Torino, Unione tipografico-editrice torinese, 1925, p.
92, scriveva che il popolo italiano « è un desiderio e non un fatto, un presupposto e non
una realtà, un nome e non una cosa, e non so pur se si trovi nel nostro vocabolario. V’ha
bensì un’Italia e una stirpe italiana congiunta di sangue, di religione, di lingua scritta ed
illustre; ma divisa di governi, di leggi, d’instituti, di favella popolare, di costumi, di affe t-
ti, di consuetudini ». D’onde la battuta attribuita a Massimo D’Azeglio, ma pronunciata
nel 1896 all’indomani della disfatta di Adua, dal deputato Ferdinando Martini: «fatta
l’Ital ia bisogna fare gli italiani » (v. S. SOLDANI – G. TURI, La nascita dello Stato nazi o-
nale, in Fare gli italiani: scuola e cultura nell’Italia contemporanea , v. I, Bologna, il
Mulino, 1993, p. 17.
Sia consentita un’annotazione curiosa al riguardo, appresa poco tempo fa dai quotidiani:
l’Italia è uno dei pochissimi Paesi che non festeggia il giorno della propria nascita, mentre
al Sud vi è stato chi, qualche mese fa, celebrava ancora i 300 anni della nascita di Carlo di
Borbone e i 200 del Regno delle Due Sicilie (v. S. RIZZO, Il giorno di nascita dell’Italia
unita? Nessuna celebrazione, lo abbiamo dimenticato , nel Corriere della Sera del 17
marzo 2016, p. 28).
81 I. PARACHKÉVOVA – E. MOUIAL -BASSILANA , Les apports de la loi Florange , cit., p.
315; M. STORCK – T. DE RAVEL D ’ESCLAPON , Faut- il supprimer à droit de vote double ,
cit., p. 96.
29
Inoltre il voto doppio decade nel momento in cui l’azione viene convertita
in azione al port atore o trasferita in proprietà. Nel caso, invece, di succes-
sione, liquidazione della comunione di beni tra coniugi o donazione inter
vivos (entre vifs) , il voto doppio non viene meno, né si interrompe il termine
per acquistarlo. Allo stesso modo, salva diversa previsione statutaria, la fu-
sione o la scissione che comportassero un trasferimento delle azioni con vo-
te double non comportano decadenza del “privilegio” (art. L225-124, primo
comma, Code de commerce ). Anche qualora la fusione o la scissione ri-
guardassero la società emi ttente, gli azionisti che godono del vo to doppio
continueranno a beneficiarne se il meccanismo del voto maggiorato troverà
applicazione anche nella società risultante o beneficiaria (art. L225 -124, s e-
condo comma, Code de commerce ).
Vale la pena di ricordare che con la citata Loi n. 2014-384 du 29 mars 2014
(c.d. Loi Florange ) il sistema del voto maggiorato nel le società quotate è
diventato regola di default ; spetterà agli statuti derogare a tale disciplina.
Anche uno sguardo superficiale e limitato alla lettura degli articoli del Code
de commerc e consente di percepire la somiglianza tra la disciplina del voto
maggiorato introdotto in Italia e quella del vote double.
Parte della dottrina francese ha fortemente criticato la scelta degli autori d el
già citato Report on the Proportionality Principle in the European Union ,
di assimilare le mécanisme des droits de vote double français alle multiple
voting rights shares , obliterando così le significative differenze tra i due
istituti82 e oscurando i pregi del voto doppio francese, posto che le azioni a
voto multiplo sono spesso considerate uno strumento di moltiplicazione del
potere a favore di pochi azioisti, e dunque un possibile strumento di abuso.
In specie – come vedremo studiando l’omologo istituto italiano – le droit de
vote double è una sorta di “premio” riconosciuto all’azionista che abbia
mantenuto le azioni per un determinato periodo, e non implica la creazione
di una categoria di azioni speciali; inoltre il voto aggiuntivo viene perso in
caso di cessione delle loyalty shares e questa circostanza si rifletterebbe an-
che sul prezzo delle azioni stesse, impedendone la valorizzazione in sede di
82 N. CHENE , Le droit de vote double en France – Panorama de son utilization et impact
en termes de valorization des sociétés , Mémoire de Recherche à HEC Paris (2008), con-
sultabile all’indirizzo: http//www.vernimmen.net/ftp/Nchene_Memoire_DDVdoubles.p df ,
p. 16: «[L] ’etude mentionnée ci-dessus entraine selon nous une méprise regrettable dans
le mesure où il assimile le mécanisme des droits de vote double français aux actions à
droits de votes multiples des autres pays européens ».
30
scambio83.
Merita di essere fatto anche un accenno all’ordinamento olandese, ripetu-
tame nte chiamato in causa in occasione della fusione transfrontaliera del
gruppo Fiat- Chrysler (sul punto v. infra ).
Nel Libro II del cod. civ. (Burgerlijk Wetboek ), il titolo quarto è dedicato
alle naamloze vennootschappen (i.e. società con azioni quotate). A ll’art.
118 si stabilisce che se il capitale socale è suddiviso in azioni di uguale v a-
lore nominale, ciascun azionista ha un numero di voti pari alle azioni det e-
nute84; tuttavia è possibile l’emissione di azioni con diverso valore nomin a-
le attributive di un diritto di voto multiplo se il valore nominale è a sua vol-
ta multiplo.
Non c’è nessun riferimento specifico a meccanismi di maggiorazione del
voto legati alla durata del possesso, come avviene in Francia e in Italia; ma
il dato normativo è formulato in modo ampio, per cui gli statuti potranno
strutturare le azioni a voto plurimo anche in un’ottica “fidelizzante”, purchè
sia rispettata la proporzionalità tra capitale e voto.
2.1. (Segue): una ricognizione dell’esperienza italiana.
In Italia, agli albori della società per azioni, solo occasionalmente si ricono-
sceva un voto per ogni azione; più spesso infatti si trovavano negli statuti
delle società del Settecento il voto capitario oppure complicate combinazio-
ni tra tetti minimi e tetti massimi85.
Per trovare riferimenti normativi più puntuali dobbiamo attendere il codice
del commercio del 1882, il quale introdusse un sistema derogabile di voto
scalare e il principio inderogabile che voleva riconosciuto ad ogni azionista
il voto nelle assemblee generali; nessuna norma invece faceva riferimento
alle azioni a voto plurimo (e lo stesso dicasi per il voto maggiorato in rela-
zione alla durata dell’investimento).
83 Ivi, p. 17.
84 Art. 118, secondo comma: « Indien het maatschappelijk kapitaal in aandelen van een
zelfde bedrag is verdeeld, brengt iedere aandeelhouder zoveel stemmen uit als hij aand e-
len heeft ».
85 Si veda G.P. LA SALA, Principio capitalistico e voto non proporzionale , cit., pp. 4 ss,
in particolare alle note 8-9-10-11-12 dove si riportano gli statuti rappresentanti un cam-
pione significativo della realtà azionaria italiana dei secoli XVII e XVI II.
31
Da questo silenzio, verosimilmente dovuto ad un’emersione della prassi del
voto plurimo successivamente alla nascita del codice del 1882, ne derivò un
vivace dibattito dottrinale circa la loro ammissibilità.
La loro diffusione si ebbe soprattutto negli anni 1924 e 192586, sia per i mo-
tivi economici già visti e comuni ad altri Paesi europei (difendersi
dall’aggressione dei capitali stranieri in un periodo di deprezzamento valu-
tario e, successivamente, blindare il controllo degli azionisti), sia per il du-
plice divieto, desumibile dal vecchio codice di commercio, di creare azioni
senza diritto di voto e di istituire tetti minimi per votare87.
La realtà dunque, sempre più fantasiosa del legislatore, presentando nuove
istanze favorì la diffusione di queste azioni, derivandone un’applicazione
estesa ma «empirica e quasi di contrabbando »88. Una diffusione che ebbe
luogo nelle clausole statutarie e trovò il beneplacito dei tribunali, pur in as-
senza di una disciplina giuridica che ne regolamentasse l’applicazione da
parte dell’autonomia privata.
Questo avallo pretorio – teso a riconoscere le nuove esigenze economiche
che trovarono in questo istituto una congeniale espressione – non trovò
un’altrettanta estesa accoglienza in dottrina.
Da un punto di vista economico molti erano coloro che ritenevano le azioni
con voto plurimo un utile strumento a favore della stabilità della direzione
degli affari, necessaria per una sana attività d’impresa; oltre che – come v i-
sto – un valido espediente a protezione della società da scalate straniere89.
Analoga utilità era riconosciuta a favore dello sviluppo delle imprese, con-
sentendo ai fondatori di restare i gestori della società e al tempo stesso in-
86 N. ELENA , Le azioni con voto plurimo , cit., p. 22.
87 Vedi G.P. LA SALA, Principio capitalistico e voto non proporzionale, cit., p. 117, alla
nt. 41.
88 C. VIVANTE , I progetti di riforma sul voto plurimo nelle società anonime , in Riv. dir.
comm ., 1925, I, p. 432.
89 Ibid.; A. SCIALOJA , Il voto plurimo nelle società per azioni , cit., col. 760; A. ARCA N-
GELI – T. ASCARELLI , Il regime delle società per azioni, con particolare riguardo al voto
plurimo e alla protezione delle minoranze , Riv, dir. comm , 1932, I, p. 163; v. anche V.
CARIELLO , Azioni a voto potenziato, “voti plurimi senza azioni” e tutela dei soci estranei
al controllo , Riv. soc ., 2015, alle pp. 168 ss., dove riporta interessanti considerazioni, a
proposito del voto plurimo, attinte da archivi storici, e comprovanti il particolare favore
nei loro confronti espresso dal mondo bancario.
32
grandire il ramo degli affari90.
Altra dottrina poco propensa ad ammettere le azioni a voto potenziato non
riscontrava quel timore di accaparramento da parte degli stranieri tanto p a-
ventato, asserendo che spesso vi era semmai un disinteresse del capitale
estero verso le aziende di Paesi con valuta deprezzata91. E a parte ciò, la di-
fesa nazionale delle società per azioni si poteva assicurare con la nominat i-
vità delle azioni e la loro appartenenz a ad italiani, senza dover ricorrere ad
un privilegio che avrebbe legittimato « una vera schiavitù »92.
Altre posizioni critiche vennero espresse da un economista dell’epoca, con-
vinto che il voto plurimo fosse desiderato soprattutto dalle banche, avendo
le stesse ingenti rapporti con le industrie belliche e desiderose altresì di
mantenere un controllo con minore immobilizzo; ma tale circostanza prelu-
deva a pericolosi conflitti di interesse93. Lo stesso economista constatava
inoltre i possibili abusi qualora si fosse permesso di introdurre
l’innovazione delle azioni a voto potenziato con modifica statutaria di una
società esistente, in quanto suscettibile di pregiudicare le minoranze94.
Avremo modo di vedere l’attualità di queste parole.
Il problema dei possibili abusi che le azioni di comando potevano generare
era in realtà riconosciuto da tutti, ma a fronte di chi lo eleggeva a imped i-
mento assoluto al riconoscimento di tale istituto si ponevano le posizioni
più possibiliste e aperte ai cambiamenti.
Autorevole dottrina95 censurava come si fosse grandemente esagerato nel
sospettare questi abusi e i mali temuti non erano senza rimedio in quanto si
90 N. ELENA , Le azioni con voto plurimo, cit., pp. 4 ss.
91 L. LORDI , Sul progetto del nuovo Codice di Commercio , cit., pp. 299-300.
92 Ivi, p. 300.
93 A. CABIATI , Il progetto del nuovo codice di commercio e le azioni privilegiate, Riv. dir.
comm. , 1926, I, pp. 12 ss. Pensiero riportato anche in V. CARIELLO , Azioni a voto poten-
ziato , cit., p. 171 alla nt. 21.
Sulla potenza degli istituti bancari, stante la scarsità di capitali in Italia e dunque la nece s-
sità di ricorrere ad essi per la costituzione delle società v. anche A. ARCANGELI – T.
ASCARELLI , Il regime delle società per azioni , cit., p. 162.
94 A. CABIATI , Il progetto d el nuovo codice di commercio, cit., p. 12 dove l’autore mette
in guardia dalla possibilità che un gruppo che possegga il 40 o il 50% delle azioni e ne
prenda altre a riporto può attribuirsi il predominio liberandosi dalla noia di tenere troppo
capitale.
95 A. SCIALOJA , Il voto plurimo nelle società per azioni , cit., coll. 778 ss.
33
sarebbe potuto intervenire mediante vari accorgimenti.
Oppure, come sosteneva un altro giurista96, poteva rivelarsi utile circoscr i-
vere l’ambito di applicazione del potenziamento del voto escludendolo nelle
materie ove le ragioni giustificatrici dell’istituto non vi fossero state.
Ciò che sorprende è che già allora – come già anticipato – si constatava la
presenza di azionist i minori disinteressati alla gestione sociale, «della quale
non sanno più di un qualunque lettore di giornali »97; una massa azionaria
attenta ai dividendi, « o troppo docil [e] o troppo venal [e]»98. E a fronte di
questa pletora di azionisti si poneva un gruppo ristretto di soci interessato
alle sorti dell’industria, tecnicamente preparato ed esperto, al quale sembr a-
va opportuno dare un ruolo prevalente nella gestione sociale; dando così
spazio ad un elemento intellettuale sino ad allora trascurato nell’ambito di
un organismo concepito come somma di volontà eguali99.
Proprio questo elemento personalistico, che il voto plurimo sembrava esal-
tare, suscitava perplessità in dottrina100.
96 C. VIVANTE , I progetti di riforma sul voto plurimo , cit., pp. 435-436.
Non dello stesso parere, su questi limiti, A. SCIALOJA , Il voto plurimo nelle società per
azioni , cit., col. 784, secondo il quale « la gestione ordinaria e straordinaria costituisce
un tutto organico, continuativo e inscindibile. Il potere deliberativo non può essere diviso
in compartimenti stagni ». Anche il cambiamento dell’oggetto sociale potrebbe essere una
decisone di normale amministrazione che richiede stabilità di direzione; mentre consen ti-
re la nomina di sindaci sgraditi od ostili al gruppo di comando potrebbe rivelarsi pericolo-
so.
97 A. ARCANGELI – T. ASCARELLI , Il regime delle società per azioni , cit., p. 163.
98 C. VIVANTE , I progetti di riforma sul voto plurimo , cit., p. 431.
99 Sono ancora le parole di A. SCIALOJA , Il voto plurimo nelle società per azioni , cit., col.
761; v. anche C. VIVANTE , I progetti di riforma sul voto plurimo , cit., p. 431, il quale r i-
teneva necessario intervenire per regolare il funzionamento dell’assemblea, divenuta una
«piaga » che il voto plurimo poteva combattere.
Un’altra figura notevole della dottrina giuridica italiana dell’Ottocento, Matteo Pescatore
– magistrato, processualista civile e penale nonché filosofo del diritt o – riteneva utile a f-
fidare gli affari comuni non ad una massa anonima, indiscriminata ed egemonizzabile,
bensì ad un numero ristretto di rappresentanti (v. A.P. SCHIOPPA , Saggi di storia del diri t-
to commerciale, cit., p. 179)
100 Per V IVANTE , I progetti di riforma sul voto plurimo , cit., p. 433, l’intuitus personae
aveva anche nell’anonima una parte considerevole; A. SCIALOJA , Il voto plurimo nelle
società per azioni , cit., col. 769 rammentava che la personalità del socio trovava già spa-
zio in certe circostanze, ad esempio qualora fossero contemplati limiti alla trasmissibilità
delle azioni; per considerazioni analoghe in Francia v. G. FRÈ, Le azioni a voto plurimo in
34
Altrettante divergenze si registravano sotto un profilo squisitamente giur i-
dico, proprio perché la legge taceva al riguardo.
Parte della dottrina101 del tempo riteneva ammissibili le azioni a voto plur i-
mo poiché vigeva il principio della libertà di regolare statutariamente il di-
ritto di voto; il voto scalare era solo suggerito dal legislator e, non imposto.
Inoltre ciò che emergeva dall’art. 164 del codice di commercio del 1882 era
che ogni azionista doveva avere il voto nelle assemblee generali, ma ciò
avrebbe dovuto essere visto come limite minimo e niente affatto preclusivo
delle azioni a voto plurimo.
Altra parte della dottrina102 invece riteneva inammissibili le azioni di cui
trattasi perché una lettura complessiva del sistema e non limitata al dato t e-
stuale non avrebbe consentito meccanismi di accrescimento del potere sen-
za un corrispondent e maggior investimento azionario. Lo stesso sistema
scalare suggerito dal legislatore valeva per tutti gli azionisti, assicurando
parità di trattamento; con le azioni a voto plurimo l’uguaglianza tra soci s a-
rebbe stata eliminata. Inoltre stabilendo come regola di default il voto scala-
re il legislatore aveva lasciato intendere che il limite estremo avrebbe dovu-
to essere il voto per ogni azione.
Con le azioni a voto plurimo si sarebbe svuotato di significato l’art. 164,
nella parte in cui assicurava il diritto di voto ad ogni azionista; diritto che
sarebbe rimasto formalmente, ma sostanzialmente, di fronte a gruppi priv i-
legiati di azionisti con maggior potere deliberativo, sarebbe stato annullato.
Per quanto riguarda i diritti che, secondo l’art. 164 cod. comm., potevano
essere conferiti in misura diseguale, l’unico significato possibile – per la
dottrina contraria all’ammissibilità delle azioni a voto plurimo – era quello
Francia , cit., p. 211; si v. anche le parole di N. ELENA , Le azioni con voto plurimo, cit.,
pp. 54 ss., per il quale « le Società anonime hanno bisogno di un nome» e conclude chi e-
dendo retoricamente: « Ma l’associazione è fra le varie quote di capitale o non piuttosto
fra i capitalisti che le hanno apportate? E la personalità dei capitalisti è veramente tra-
scurabile? ».
Per G. FRÈ, Le azioni a voto plurimo, Riv. dir. comm ., 1926, I, p. 508, le azioni a voto
plurimo sovvertivano un principio basilare della anonima, andando a sostituire l’elemento
della persona a quello del capitale
101 A. SCIALOJA , Il voto plurimo nelle società per azioni , cit., coll. 758 ss.; N. ELENA , Le
azioni con voto plurimo, cit., pp. 26 ss.
102 Ci riferiamo ad es. a G. FRÈ, Le azioni a voto plurimo , cit., pp. 33 ss.; G. CASSINELLI ,
Le azioni a voto plurimo nelle società anonime , 1925, Giur. it., I, sez. II, coll. 663 ss.
35
che attribuiva loro il carattere patrimoniale.
Dei vari proget ti di riforma via via susseguiti si103, alla fine fu il progetto
D’Amelio a prevalere e a trovare recepimento nel codice del 1942: le azioni
a voto plurimo furono vietate, mentre si ammisero le azioni a voto limitato.
E tale divieto rimase intatto fino al 2014.
103 A.P. SCHIOPPA , Saggi di storia del diritto commerciale, cit., pp. 226 ss.
36
37
CAPITOLO SECONDO
ESEGESI DELLA DISCIPLINA DELLE AZIONI CON
VOTO MAGGIORATO.
1. Considerazioni preliminari: precisazi oni sull’ammissibilità del mo-
dello di voto sovraproporzionale prima del decreto competitività.
Fatte alcune premesse introduttive, vediamo ora alcune considerazioni pr e-
liminari. La prima riguarda l’ammissibilità del modello di voto sovrapro-
porzionale prima dell’entrata in vigore del decreto competitività, mentre
con la seconda verranno espresse alcune perplessità attinenti la norma che
temporaneamente ha consentito l’introduzione con maggioranze ridotte de l-
la clausola statutaria contemplante il voto maggiorato.
Si è detto che l’attribuzione di un numero di voti per azione superiore
all’unità ha rappresentato una novità nel panorama del diritto societario ita-
liano. Categorico era, infatti, il divieto di emettere azioni a voto plurimo
previsto dall’art. 2351, quarto comma, cod. civ, prima della novella del
2014.
Ciononostante, una parte minoritaria della dottrina non vedeva in tale divi e-
to un ostacolo al riconoscimento di un modello di voto sovraproporzionale,
in quanto il legislatore non aveva chiarito se l’autonomia statutaria, senza
creare delle categorie speciali di azioni a voto plurimo, potesse o meno a t-
tribuire un numero plurimo di voti1.
Tale circostanza, in specie, doveva ritenersi ammessa dal tenore letterale
dell’art. 2351, terzo comma, cod. civ., il quale – nel consentire agli statuti
delle società che non fanno ricorso al mercato del capita le di rischio di d i-
sporre, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto,
scaglionamenti – sembrava assumere un’intonazione neutra, interpretabile
sia in senso decrescente che crescente (e dunque, superata una certa soglia e
per predeterminati scaglioni, era ben possibile che al socio potesse spettare
1 B. MASSELLA DUCCI TERI, Appunti in tema di divieto di azioni a voto plurimo: evol u-
zione storica e prospettive applicative , RDS, 2013, pp. 761 ss.; M. BIONE , Il voto mult i-
plo: digressioni sul tema , Giur. comm , 2011, I, pp. 679 ss.
38
un numero di voti superiore alle azioni possedute)2. A tali tesi si contrapp o-
nevano però le idee della dottrina nettamente prevalente, la quale ha sempre
inteso il voto scalare come una progressiva limitazione del voto al crescere
delle azioni possedute3.
Secondo la dottrina minoritaria più permissiva non sarebbe valso il richia-
mo del divieto di emettere azioni a voto plurimo, in quanto con lo scaglio-
namento crescente non si sarebbero create nuove categorie di azioni, e dun-
que il fenomeno non sarebbe rientrato nell’ambito del divieto di cui all’art.
2351, quarto comma, cod. civ4.
2 Più puntuali sembrerebbero le disposizioni tedesche e francesi al riguardo. V. § 134
Aktiengesetz : «Für den Fall, daß einem Aktionär mehrere Aktien gehören, kann bei einer
nichtbörsennotierten Gesellschaft die Satzung das Stimmrecht durch Festsetzung eines
Höchstbetrags oder von Abstufungen beschränken »; e art. L225-125 del Code de com-
merce : «Les statu ts peuvent limiter le nombre de voix dont chaque actionnaire dispose
dans les assemblées, sous la condition que cette limitation soit imposée à toutes les a c-
tions sans distinction de catégorie, autres que les actions à dividende prio ritaire sans
droit de vote ».
3 Si veda, tra i tanti, A NGELLILIS – M.L. VITALI , sub art. 2351, in Commentario alla r i-
forma delle società , cit., pp. 443 ss.; A. STAGNO D ’ALCONTRES , sub art. 2351, Commen-
tario Niccolini – D’Alcontres , cit., p. 307; C. PASQUARIELLO , sub art. 2351, Commentario
delle società , cit., p. 347; L. GENGHINI – P. SIMONETTI , Le società di capitali e le coop e-
rative , in “Manuali Notarili”, L. GENGHINI (a cura di), v. III, t. I, Padova, Cedam, 2015,
p. 228, dove si individua nella volontà di impedire che un singolo socio assuma una pos i-
zione eccessivamente forte la ratio dell’art. 2351, terzo comma, cod. civ.; P. MARCHETTI ,
Commento all’art. 20 del d.l. competitività (azioni a voto maggiorato, voto plurimo ed al-
tro), Relazione al Convegno 22 settembre 2014 presso il Consiglio notarile di Milano, r e-
peribile in www.marchettilex.it , area updates ., p. 6, dove definisce lo scaglionamento una
«modulazione (restrittiva) del voto »; M. SAGLIOCCA , Il definitivo tramonto del principio
“un’azione, un voto”: tra azioni a voto multiplo e maggiorazione del voto , Riv. not.,
2014, I, pp. 927; Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, Riv. not. ,
2015, III, p. 491, a proposito dell’eliminazione del divieto di introdurre clausole di tetto
massimo o di voto scalare per le società quotate, con modifica dell’art. 2351, terzo com-
ma, cod. civ; C. TEDESCHI , Le azioni a voto plurimo e la maggiorazione del diritto di v o-
to, Società , 2015, n. 10, p. 1080.
4 V. gli autori citati alla nt. 1; contra M. EREDE – G. SANDRELLI , Attivismo dei soci , cit.,
pp. 977-978, i quali escludono il rafforzamento del diritto di voto degli azionisti di lungo
termine sulla scorta del modello francese (modello che non dà vita ad una categoria di
azioni, ma premia gli azionisti fedeli con una maggiorazione del voto, sulla base dunque
di una caratteristica personale del socio, organizzando l’attribuzione del voto secondo un
modello sovraproporzionale), proprio richiamando, a ragione ostativa, il divieto di attr i-
39
Ad un modello sovraproporzionale si sarebbe potuti giungere, dunque, d i-
sponendo accrescimenti del voto sia in relazione alla quantità di azioni po s-
sedute, sia in relazione alla durata di possesso delle stesse. L’istituto del vo-
to maggiorato si sarebbe potuto ricavare, in altre parole, anche prima del
20145.
Tale impostazione, per quanto suggestiva e non priva di argomenti giuridici
convincenti, non sembrerebbe però accoglibile.
La tesi della dottrina minoritaria sembrerebbe contraddetta sia dal legislato-
re della Riforma del diritto societario del 20036 sia, ex post , dal legislatore
del 2014, considerando l’origina ria formulazione dell’art. 127- quinquies del
TUF inserito con l’art. 20, primo comma, lettera aa) del decreto competit i-
vità. In tale ultima sede il legislatore non aveva ancora messo mano all’art.
2351, quarto comma, cod. civ., per cui la prospettiva di eliminare il divieto
di emissione di azioni a voto plurimo non era ancora stata affrontata, mentre
veniva detto con chiarezza che le azioni con voto maggiorato non avrebbero
costituito un’autonoma categoria.
Nonostante ciò, con l’originario art. 127- quinquies , si esordiva evidenzia n-
do la deroga all’art. 2351, quarto comma, cod. civ., facendo dunque pro-
pendere per l’assunto che il divieto ivi contemplato coprisse non solo la
creazione di categorie speciali di azioni, ma anche qualsiasi forma di attri-
buzione sovraproporzionale del voto7.
È vero che, talvolta, il legislatore ha dato prova di non impiegare le parole
buzione del voto plurimo.
5 B. MASSELLA DUCCI TERI, Appunti in tema di divieto di azioni a voto plurimo , cit., pp.
764-765.
6 In un passo della R ELAZIONE ILLUSTRATIVA AL D. LGS. 17 GENNAIO 2003, N. 6. RIFOR-
MA ORGANICA DELLA DISCIPLINA DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI E SOCIETÀ COOPERATIVE ,
consultabile sia all’indirizzo: http://www.tuttocamere.it/files/dirsoc/RDS_RELAZIONE
_Cod_Civ.pdf, (da cui si cita) sia in Riv. soc. , 2003, pp. 112 ss., si legge, al § 4, : « Anco-
ra, con riferimento al diritto di voto, il 3° comma prevede la possibilità del ricorso a tec-
niche volto a modularlo, come quelle già da tempo note del limite massimo di voti eserc i-
tabili dal singolo socio o l’altra del c.d. “voto scalare” che individua scaglioni mediante
i quali progressivamente si riduce il peso dei voti esercitabili dal socio » (enfasi aggiu n-
ta).
7 L’art. 127- quinquies TUF infatti, nella sua primigenia formulazione così iniziava: « In
deroga all’articolo 2351, quarto comma, del codice civile, gli statuti possono disporre
che sia attribuito voto maggiorato, fino a un massimo di due ».
40
in modo preciso e rigoroso8, ma non si può certo aggrapparsi a tale difetto
per autorizzare interpretazioni troppo disinvolte, stante poi – in questo caso
– il tenore letterale inequivocabile dell’art. 127- quinquies TUF nella sua
primigenia formulazione.
Vi sono poi anche ragioni storiche e sistematiche che avrebbero dovuto
sconsigliare la tesi a favore del modello sovraproporzionale.
Da un punto di vis ta storico, infatti, il voto scalare si è sviluppato per argi-
nare l’eccessivo potere che il principio plutocratico avrebbe potuto generare
in capo ad un singolo socio, tutelando così gli azionisti minori9.
Da un punto di vista sistematico e logico, un lettura complessiva del ve c-
chio art. 2351 cod. civ. avrebbe dovuto fornire un’interpretazione più cauta
di quella prospettata dalla dottrina che qui critichiamo.
L’introduzione del divieto di azioni a voto plurimo fu giustificata dal per i-
colo di facilitare, con siffatto strumento, « l’infeudamento delle società ano-
nime a ristretti gruppi finanziari »10, e di fornire « un comodo strumento di
dominio »11.
Il legislatore del 2003, che introdusse la possibilità della limitazione del vo-
to ad una misura massima e lo scaglionamento, decise di mantenere il divie-
to. Questo ci porta a concludere che il terzo comma dell’art. 2351 cod. civ.
– che letteralmente ben si potrebbe prestare ad una lettura a doppio senso
(scaglionamenti crescenti e decrescenti) – avrebbe dovuto essere interpret a-
to in senso restrittivo, vietando dunque i sistemi sovraproporzionali, al fine
di mantenere la coerenza del sistema. Sostenere che con l’applicabilità dello
scaglionamento (crescente) per tutti gli azionisti non si garantirebbe il con-
trollo stabile e duraturo vale fino a un certo punto, in quanto l’assenza di
limiti legislativi puntuali avrebbe autorizzato una modulazione dello sca-
glionamento tale, in astratto, da dare ad un socio quel pluspotere che si era
8 Sia consentito ricordare, a tal proposito, che il testo della nostra Costituzione fu limato
da Concetto Marchesi, insigne latinista nonché rettore dell ’Università di Padova, il quale
ne curò l ’eleganza, la sobrietà e la pertinenza.
9 V. supra per alcune considerazioni storiche e comparatistiche.
10 COMMISSIONE REALE PER LA RIFORMA DEI CODICI – SOTTOCOMMISSIONE B, Codice di
commercio , II, Relazione sul progetto, Provveditorato Generale dello Stato, Roma, 1925,
pp. 77-78.
11 Sono le parole con le quali la Relazione del Guardasigilli del codice del 1942 accomp a-
gnò il divieto di emettere azioni a voto potenziato, riprodotte anche da V. CARIELLO ,
Azioni a voto potenziato , cit., p. 167.
41
voluto evitare; vanificando così il divieto così incisivamente posto al quarto
comma dell’art. 2351 cod. civ.
Non sarebbe valso neppure fare appello all’ampia autonomia statutaria
emersa dalla riforma del 200312 proprio perché – per quel che qui ci intere s-
sa, come sostenuto da altri in dottrina – il legislatore sembrerebbe aver sì da
un lato liberalizzato l’autonomia privata, e dunque l’alterazione del rappo r-
to fra potere e rischio, decidendo però, dall’altro lato, di mantenere pure dei
confini13. Ammettere un sistema di voto sovraproporziona le senza conte m-
plare dei confini in termini di voti esprimibili (come fa ora, invece, l’art.
127-quinquies TUF, ove si pone il limite massimo del raddoppio del voto)
avrebbe potuto significare la possibilità di un discostamento eccessivo dal
legame tra azioni detenute e diritti di voto connessi.
Anche l’ossatura del vecchio art. 2351 cod. civ. sembrava escludere il mo-
dello qui esaminato. Si partiva dal riconoscere il voto ad ogni azione, a m-
mettendo poi entro certi limiti la creazione di azioni prive del diritto di voto
o con voto limitato. Si prevedevano «altresì» scaglionamenti o tetti massimi
di voto esprimibili: la giustapposizione tra il tetto massimo di voti e lo sca-
glionamento, nonché l’apparente continuità con il comma precedente l a-
sciavano intendere che sempre nell’alveo della limitazione dei di diritti di
voto si doveva essere. Poi si passava al quarto comma, escludendo recis a-
mente l’emissione di azioni a voto plurimo, senza però riprodurre l’ordine
seguito nei commi precedenti, aggiungendo cioè un comma che lasciasse
intendere la possibilità di scaglionamenti crescenti.
2. (Segue): la temporanea deroga al quorum deliberativo richiesto per
l’introduzione del voto maggiorato. Critica.
12 Si v. un recente art. di G. ROSSI, La biblioteca di Babele del diritto societario , ne Il So-
le 24 Ore del 22 novembre 2015, critico sull’eccessiva deregolamentazione del diritto so-
cietario.
13 G.P. LA SALA, Principio capitalistico e voto non proporzionale , cit., pp. 116 ss. Contra
M. BIONE , Il voto multiplo , cit., p. 679 ss., il quale però sembra contraddirsi poiché dap-
prima afferma che la correlazione tra potere e rischio non è elemento preclusivo al rico-
noscimento degli scaglionamenti crescenti, in quanto ampiamente derogabile; ma succe s-
sivamente valorizza il principio come « ineliminabile chiave di volta dell’ordinamento
delle società di capitali ».
42
Tra le novità in astratto significative14 introdotte dal decreto competitività
(o “decreto rilancio”15), intendiamo limitare l’attenzione al voto maggior a-
to, la cui introduzione negli statuti delle società quotate già esistenti richie-
de una delibera dell’assemblea straordinaria (art. 2365, primo comma, cod.
civ.).
A tal proposito, non poche perplessità16 ha suscitato il comma 1 bis inserito
dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116, secondo il quale «[i] n
sede di prima applicazione, le deliberazioni di modifica dello statuto assun-
te entro il 31 gennaio 2015 da soci età aventi titoli quotati nel mercato rego-
lamentato italiano iscritte nel registro delle imprese alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto, con cui viene prev i-
sta la creazione di azioni a voto maggiorato ai sensi dell’articolo 127-
quinquies del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, sono prese, anche
in prima convocazione, con il voto favorevole di almeno la maggioranza
del capitale rappresentato in assemblea ».
Il legislatore, dunque, al fine di incentivare l’adozi one della maggiorazione
del voto ha previsto una temporanea deroga alla disciplina ordinaria, con-
sentendo l’adozione della relativa delibera con un quorum agevolato17.
14 Così M. CIAN, Capitale, proprietà, controlli , cit., p. 1261, la cui puntualizzazione si è
rivelata particolarmente lucida considerando il recente Report on corporate governance
of italian listed companies , dicembre 2015, consultabile nel sito della Consob: http://ww
w.consob.it/main/documenti/Pubblicazioni/Rapporto_cg/rcg2015.pdf ., p. 4, dove emerge
che sono solo diciassette le società quotate che hanno modificato lo statuto introducendo
le loyalty shares , ed una sola impresa invece ha previsto l’emissione di azioni a voto plu-
rimo. La statistica, a dire il vero, andrebbe aggiornata, in quanto le società che hanno
adottato il voto maggiorato sono ad oggi ventitre (elenco reperibile sul sito della Consob:
www.consob.it ).
15 Così è anche stato battezzato in dottrina; v. N. CIOCCA , intervento al seminario Pro-
blemi d’attualità , cit., p. 229.
16 V. anche E. LA MARCA , Azioni (sti) con voto maggiorato: primi spunti , in I Battelli del
Reno , reperibile all’indirizzo: http://www.ibattellidelreno.it , nella sezione: Pubblicazioni ,
in data 26 novembre 2014, p. 5.
17 La decisione è stata giustificata dall’autore dell’emendamento introduttivo della dero-
ga, il senatore Mucchetti, dal fatto che oggi in assemblea possono partecipare anche sog-
getti non più azionisti, i quali possono votare anche se hanno venduto nei giorni prec e-
denti l’assemblea. Era necessario, dunque, « un riequilibrio tra le posizioni di chi [era] di-
sposto a correre il rischio di un investimento stabile e chi [voleva] tenere le mani libere ».
V. M. MUCCHETTI , Perché va difeso il voto plurimo , cit.
Il senatore alludeva al meccanismo della c.d. record date.
43
La scelta ha suscitato legittime e condivisibili perplessità: le maggioranze
qualificate sono contemplate proprio per coinvolgere una fetta consistente
del capitale sociale, e dare dunque un potere di interdizione su aspetti rile-
vanti della vita della società anche ad azionisti non di maggioranza18, pre-
cludendo così all’azionista di controllo di introdurre unilateralmente modi-
fiche consistenti secondo le proprie convenienze.
Consentire una deroga a queste tutele significa autorizzare la lesione degli
interessi degli investitori di minoranza. Ciò ancor di più in contesti indu-
striali – come quello italiano – dove la presenza di società con gruppi di
controllo stabili si fa particolarmente intensa19, consentendo così al socio
controllore di agire indisturbato.
Ma ciò che più preoccupa, come è stato notato, è il messaggio che simili
iniziative danno agli investitori stranieri, i quali potrebbero temere che le
tutele esistenti non siano sufficientemente presidiate, ma esposte a improv-
18 Evitando al tempo stesso di paralizzare l’assemblea, recando dunque pregiudizio
all’efficienza produttiva dell’impresa. È per tale ragione che si esclude l’ammissibilità di
clausole che richiedano l’unanimità dei consensi, stante l’inderogabilità del principio
maggioritario. Cfr., in giurisprudenza, Cass. 26 ottobre 1964, n. 2669, in Giur. it. , 1965, I,
coll. 579 ss.; Cass. 15 aprile 1980, n. 2450, Riv. dir. comm ., II, 1980, p. 369; in dottrina,
stante l’unanimità delle posizioni al riguardo, sia sufficiente il rinvio ad alcuni autori,
quali F. GALGANO , Trattato di diritto civile , v. IV, III ed., Padova, CEDAM, 2015, p.
383; S. ROVERI – N. FACCHIN , sub art. 2368, Commentario delle società , cit., p. 438; G.
D’A TTORRE , Il principio di uguaglianza , cit., pp. 181 ss.
19 V. Report on corporate governance of italian listed companies , cit., p. 3; ISTAT , Rap-
porto annuale 2015 – La situazione del Paese , 20 maggio 2015, reperibile all’indirizzo:
http://www.istat.it/it/files/2015/05/Rapporto-Annuale-2015.pdf , pp. 95 ss., il quale rileva
che la struttura produttiva italiana continua ad essere caratterizzata da una larga presenza
di microimprese, con meno di dieci addetti, che sono circa 4,2 milioni e r appresentano il
95 per cento del totale delle unità produttive; e da una quota particolarmente modesta di
imprese di maggiori dimensioni (oltre 250 addetti, lo 0,1 per cento delle imprese). Gli a s-
setti proprietari delle imprese con almeno tre addetti, si legge nel documento, sono cara t-
terizzati da un’elevata concentrazione delle quote di proprietà e da un controllo a prev a-
lente carattere familiare; v. anche la Testimonianza del dir. centr. per la Ricerca econom i-
ca e le Relazioni internazionali della Banca d’Italia, Daniele Franco, Indagine conoscit i-
va sulle caratteristiche e sullo sviluppo del sistema industriale, delle imprese pubbliche e
del settore energetico , del 26 settembre 2012, presso la Camera dei Deputati, Commi s-
sione 10 (Attività produttive, commercio, turismo), reperibile all’indirizzo: https://www.
bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2012/Franco_26092012.pdf, p. 17.
44
vise compressioni20.
Non sorprende dunque se, al di là delle meritorie finalità sottese
all’introduzione delle loyalty shares, vi possa essere il sospetto che tale ul-
tima previsione sia stato concepita per favorire gli azionisti che già dete n-
gono il controllo societario, essendo stata data loro la possibilità – per alcu-
ni mesi dall’entrata in vigore della nuova disciplina – di modificare lo statu-
to recependo la maggiorazione del voto, senza il bisogno di un confronto
con gli altri azionisti, e in particolare quelli istituzionali.
Considerato il fisiologico assenteismo che caratterizza le società quotate e il
potenziale disinteresse degli azionisti di minoranza verso la maggiorazione
del voto (poco interessati all’esercizio dei diritti corporativi, soprattutto in
società in cui vi è un socio di riferimento che detiene partecipazioni impo r-
tanti), la possibilità che il socio di maggioranza in futuro arriverà a contro l-
lare l’assemblea straordinaria, per il tramite della maggiorazione del voto
dallo stesso introdotta grazie ai quorum favorevoli, è piuttosto verosimile21.
Bene avrebbe fatto, dunque, il legislatore, ad evitare l’inser imento del quo-
rum agevolato, sia perché in grado di suscitare sospetti circa la limpidezza
delle finalità “ufficiali”, sia perché suscettibile di ingenerare dubbi – da pa r-
te degli investitori stranieri – sull’opportunità di investire in Italia22.
20 Si v. AA.VV., Il voto doppio e il quorum qualificato , ne Il Sole 24 Ore del 18 gennaio
2015; molto critico L. ENRIQUES in risposta alle domande di G. NEGRI ne Il Sole 24 Ore
del 26 agosto 2014; un giudizio critico, proprio perché le minoranze non sono adeguat a-
mente tutelate, è stato espresso anche da R. GUGLIELMETTI , Il voto maggiorato alla luce
delle ultime novità del Decreto Competitività , 2 ottobre 2014, consultabile in www.diritto
bancario.it, nella sezione: approfondimenti.
21 AA.VV., Il voto doppio e il quorum qualificato , cit.; E. MARCHISIO , la “maggiorazi o-
ne” del voto , cit., pp. 90-91.
22 Sono interessanti alcuni dati, che riportiamo succintamente. Le prime società quotate ad
adeguare lo statuto alle novità legislative in esame furono la Davide Campari-Milano
S.p.A; AMPLIFON S.p.A.; l’ASTALDI S.p.A.; MAIRE TECNIMONT S.P.A.
Le prime tre provvidero entro il 31 gennaio 2015, ciò nonostante le delibere assembleari
furono adottate con maggioranze superiori ai 2/3. Per la precisione la modifica fu appro-
vata da Campari con il 76 per cento dei voti favorevoli sull’81,2 per cento del capitale
rappresentato (dati reperibili in www.camparigroup.com , nella sezione: Governance –
Loyalty share – Documenti – Assemblea straordinaria del 28 gennaio 2015 – Verbale A s-
semblea straordinaria di Davide Campari-Milano S.p.A. del 28 gennaio 2015 ); da Asta l-
di con il 71,5 per cento dei voti favorevoli sul 75 per cento del capitale rappresentato (dati
reperibili in www.astaldi.it , nella sezione: Governance – Assemblea degli azionisti – As-
45
Se le regole sono precarie e destinate a dissolversi nell’occasionalità parla-
mentare di turno non suscitano certo fiducia e certezza nei destinatari.
3. Ambito di applicazione della disciplina del voto maggiorato.
L’istituto della maggiorazione del diritto di voto trova collocazione nel c a-
semblea degli azionisti – 29 gennaio 2015: Verbale dell’Assemblea ); Amplifon con il 69,9
per cento dei voti favorevoli sull’83,6 per cento del capitale rappresentato (dati reperibili
in www.ampifon.com , nella sezione: Archive – Governance – Assemblea degli azionisti –
Verbale di Assemblea straordinaria degli Azionisti per il giorno 29 gennaio 2015 ). Ma
tutto ciò non, si badi bene, perché vi fu un generale apprezzamento da parte degli invest i-
tori; ma piuttosto perché si trattò di società che facevano e fanno tutt’ora capo ad una f a-
miglia che detiene il controllo di diritto. Davide Campari-Milano S.p.A. ha come azion i-
sta di maggioranza Alicros S.p.A., società che fa capo alla famiglia Garavoglia, che d e-
tiene il 51 per cento delle azioni (dato reperibile in www.camparigroup.com , nella sezio-
ne: Governance – Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari ); ASTALDI
S.p.A è controllata dalla famiglia Astaldi tramite la FIN.AST. S.r.l., detenendo il 52,5 per
cento delle azioni (dati reperibili in www.astaldi.it , nella sezione: Il Gruppo – Astaldi in
breve ); AMPLIFON S.p.A. ha come azionista di riferimento AMPLITER N.V., società
riconducibile alla famiglia Formiggini, il quale detiene il 54,8 per cento delle azioni (dati
consultabili in www.amplifon.com , nella sezione: Il nostro gruppo – Governance – Rela-
zione sul governo societario ).
Per quanto riguarda MAIRE TECNIMONT, il voto maggiorato venne introdotto nello
statuto della società con delibera dell’Assemblea Straordinaria del 18 febbraio 2015. Nel-
la relazione illustrativa del Consiglio di Amministrazione si legge che il management ha
ritenuto opportuno che l’approvazione delle modifiche statutarie avvenisse secondo gli
ordinari quorum di legge, con il massimo coinvolgimento possibile degli azionisti. A tal
fine il CdA revocò l’assemblea straordinaria convocata per il 20-21 gennaio, riconvocan-
dola per il 18-19 febbraio, così da poter, anche, trattare in un’unica assemblea tutte le te-
matiche di corporate governance , contenendo i costi e favorendo l’informativa e la parte-
cipazione degli azionisti (si veda l’integrazione della Relazione illustrativa secondo punto
all’Ordine del Giorno dell’Assemblea Straordinaria 18-19 febbraio 2015, reperibile in
www.mairetecnimont.com , nella sezione: Governance – Voto maggiorato ).
Anche in questa circostanza, a conferma delle caratteristiche degli assetti pr oprietari delle
società italiane, vi è una famiglia che detiene il controllo – la famiglia Di Amato, tramite
la GLV CAPITAL S.p.A – con il 54,8 per cento delle azioni. Mentre la delibera modific a-
tiva dello statuto e introduttiva del voto maggiorato venne approvata, come nelle altre so-
cietà già viste, con l’87,6 per cento dei voti favorevoli sul 76,1 per cento del capitale rap-
presentato (tutti i dati sono reperibili in www.mairetecnimont.com , nella sezione: Gove r-
nance – Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari 2015 ).
46
po II del titolo III, nella parte IV dedicata alla « disciplina degli emittenti »
del TUF, pertanto, ai sensi dell’art. 119, la disciplina delle loyalty shares si
applica «alle società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati
italiani o di altri paesi dell’Unione Europea (società con azioni quotate) ».
Apparentemente, dunque, non sembrerebbero porsi difficoltà interpretative,
stante la scelta legislativa di collocare l’istituto in esame in una legge spe-
ciale, e non nel codice civile23.
L’art. 2351, quarto comma, cod. civ., però, nel consentire l’emissione di
azioni con diritto di voto plurimo riconosce un’ampia autonomia statutaria:
libertà che consentirebbe, secondo parte della dottrina24, di modulare le
23 Non possiamo non ricordare, però, le parole di G. TARELLO , secondo il cui insegn a-
mento continuare ad accreditare significato alla collocazione topografica di una norma s i-
gnifica credere ancora al mito del « “buon legislatore” » (v. anche G. AMADIO , Patto di
famiglia e funzione divisionale , Riv. not. , fasc. 4, 2006, pp. 867 ss).
Parole sacrosante, soprattutto considerando – con preoccupante tristezza – la presenza di
un legislatore sempre più spesso distratto e sempre più spesso privo della cultur a giuridica
necessaria per adempiere al nobile impegno affidatogli.
La necessità di apparire “produttivo” agli occhi dell’opinione pubblica lo porta spesso a
porre mano all’ordinamento senza una chiara visione d’insieme, che sappia valutarne gli
effetti complessivi. Quel bisogno di sapere sistematico e coordinato che, ci ricorda F.
GALGANO , in Trattato di diritto civile , vol. I, III ed., Padova, CEDAM, 2015, nel la prefa-
zione e raccontando di un aneddoto capitatogli quando era un giovane allievo, avvert iva
pure Walter Bigiavi, « giurista che ha dominato la cultura giuridica italiana della metà
del Novecento ».
24 M. CIAN, Capitale, proprietà, controlli , cit., p. 1261, ritiene possibile considerare l’art.
127-quinquies una species di voto plurimo condizionato, notando però che l’art. 127-
sexies lascia supporre il contrario; N. ABRIANI , Azioni a voto plurimo e maggiorazione
del diritto di voto , cit., p. 10 e ID., intervento al seminario Problemi d’attualità , cit., pp.
247-248, in entrambi gli interventi favorevole alla costituzione in società non quotate di
clausole di maggiorazione del voto; M. LIBERTINI , intervento al seminario Problemi
d’attualità , cit., p. 246, secondo il quale la possibilità del voto plurimo non può preclud e-
re l’utilizzazione del voto maggiorato anche nelle società chiuse: «[L] ’interesse » precisa
l’autore «non è lo stesso, però sul piano dell’autonomia statutaria non vedrei difficoltà a
farlo ». Favorevole all’estensione delle loyalty shares nelle società non quotate anche B.
MASSELLA DUCCI TERI, Il decreto competitività, cit., pp. 481 ss.; C.F. GIAMPAOLINO ,
Azioni a voto maggiorato e a voto plurimo , Giur. comm ., fasc. 5, 2015, p. 795; ancora più
permissiva è la tesi di M. BIONE , Il principio della corrispondenza tra potere e rischio ,
cit., p. 276, il quale ritiene che nelle società “chiuse”, ai possessori di azioni a voto plur i-
mo ben possa applicarsi anche il “premio di fedeltà”.
Nella prassi v. Consiglio Notarile dei distretti riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, massima
47
azioni a voto plurimo al punto da strutturarle sostanzialmente come azioni a
voto maggiorato ex art. 127- quinquies TUF, avvalendosi dell’archetipo
dell’azione a voto condizionato (subordinando dunque l’attribuzione del vo-
to plurimo alla condizione dell’iscrizione delle azioni in un apposito regi-
stro per un periodo non inferiore a ventiquattro mesi a nome del medesimo
titolare).
Ciò che potrebbe ostacolare questa impostazione, come è stato subito not a-
to, è la necessità che la condizione sia confezionata in termini oggettivi, non
potendosi dare rilevanza, nella società per azioni, a situazioni soggettive,
destinate a verificarsi per alcuni soci e non per altri25. La stessa dottrina non
manca di ricordare, però, come si sia assistito in più occasioni all’erosione
di questa c aratteristica tipologica delle s.p.a., anche con riferimento alle so-
cietà quotate dove l’esigenza della spersonalizzazione dovrebbe essere an-
cor più avvertita (ci si riferisce alla maggiorazione del dividendo)26.
Per quanto legata alla sfera soggettiva, una clausola siffatta opererebbe in
modo oggettivo, essendo l’evento dedotto in condizione oggettivamente
prestabilito e riscontrabile in capo a chiunque, o se si preferisce un evento
soggettivo ma impersonale a fronte del quale non c’è assoluta indifferenza o
assenza di sacrificio (le azioni, infatti, non devono essere cedute se si vuole
beneficiare del potenziamento del voto), e pertanto sfuggirebbe anche al di-
vieto di subordinare il voto plurimo al verificarsi di condizioni meramente
48/2014, « Categorie di azioni a voto plurimo fidelizzanti »: «1. È legittima la clausola
dello statuto di una società per azioni non quotata che riconosca ad una categori a di
azioni il diritto di voto plurimo, subordinandolo alla condizione che i titolari di tali azi o-
ni abbiano conservato continuativamente il possesso delle stesse per un arco temporale
minimo, la cui durata è liberamente determinabile dallo statuto ».
25 Come accade con il meccanismo del voto maggiorato, sia italiano che francese. Si v. in-
fatti, ad es., Y. DE CORDT , Vers une democrat ie des actionnaires?, Louvain Workplace
Democracy Workshop Working Paper Series , 2007, n. 2, consultabile all’indirizzo: http://
www.uclovain.be/10182.html , p.5: « La technique du vote double permet d’aboutir à une
sorte de personnalisation de la loi de la majorité privilégiant, dans les prises de decision,
l’actionnaire qui a marqué, par son ancienneté, sa fidélité à la société ».
26 M. CIAN, Capitale, proprietà, controlli , cit., pp. 1261-1262; I D., Diritti degli azionisti ,
cit., p. 794.
Esclude l’applicazione della maggiorazione del voto alle società chiuse anche perché
l’attribuzione dei diritti su base personale deve sempre considerarsi un’eccezione (e dun-
que da prevedersi espressamente), E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., pp.
82-83.
48
potestative27. È d’altra parte innegabile che, per questo tramite, benché la
condizione opererebbe oggettivamente, la stessa andrebbe a dare rilevanza
ad una variabile legata alla sfera personale; ma forse lo stesso concetto di
spersonalizzazione oggi potrebbe ritenersi attenuato, e ne andrebbe pertanto
rivista la portata semantica tecnico -giuridica28.
La circostanza prospettata non sarebbe del tutto nuova nel panorama del n o-
stro ordinamento, si pensi all’art. 2351, terzo comma, cod. civ. che consente
di limitare i diritti di voto in ragione delle quantità di azioni possedute; ma
apparirebbe ancora oggi, secondo alcuni29, un elemento “eversivo”
dell’intero sistema delle società azionarie. Escluderne l’ammissibilità nei
casi non autorizzati dalla legge non è considerazione peregrina, dunque, p e-
rò sarebbe a dir poco paradossale consentire la valorizzazione di elementi
soggettivi nelle s.p.a. quotate e non in quelle chiuse, nelle quali, oltretutto e
27 Sul punto, seppur con tutte le cautele necessarie qualora si intenda applicare al fenom e-
no societario disposizioni proprie del diritto comune dei contratti, stante la laconicità
dell’art. 2351 cod. civ. si può fare riferimento alla ratio dell’art. 1355 cod. civ. (v. anche
A. ANGELLILIS – M.L. VITALI , sub art. 2351, in Commentario alla riforma delle società ,
cit., p. 423), ossia impedire la nascita di rapporti giuridici incerti assunti senza alcuna s e-
rietà di intenti (v. A A.VV., Diritto civile. Norme, questioni, concetti , G. AMADIO – F. MA-
CARIO (a cura di), v. I, Bologna, il Mulino, 2014, p. 635). Esigenze di certezza e di trasp a-
renza impongono che gli eventi dedotti in condizione siano disciplinati con sufficiente
precisione nello statuto ( C. PASQUARIELLO , sub art. 2351, Commentario delle società ,
cit., p. 346). Sul significato dell’espressione “condizione meramente potestativa”, si deve
ritenere che essa sia tale quando dipende dall’esclusivo arbitrio di un soggetto, non sorre t-
to da seri o apprezzabili motivi. V., ad es., Cass. civ., sez. III, 26 agosto 2014, n. 18239,
in Rep. Foro it., 2014, n. 330; Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2007, n. 11774, in Rep. Foro
it., 2007, n. 433; Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2006, n. 728, in Rep. Foro it., 2006, n.
452; Cass. civ., sez. I, 21 luglio 2000, n. 9587, in Rep. Foro it., 2000, n. 362; Cass. civ.,
sez. I, 20 giugno 2000, n. 8390, in Rep. Foro it., 2000, n. 444; Cass. civ., 24 febbraio
1983, n. 1432, in Rep. Foro it., 1983 , n. 188.
28 Dare rilevanza alla persona del socio, in termini di oggettività di comportamenti, non
sembrerebbe poi un “attentato”; si fa emergere quel sostrato personale che è comunque
alla base della struttura organizzativa di una società, e si potrebbero incentivare compo r-
tamenti meritevoli di valorizzazione.
Sul fatto che la s.p.a. non possa più essere concepita con sicure zza come « “società di
sacchi di denaro” », visto che non sono rari gli istituti che personalizzano la s.p.a. v. G.B.
PORTALE , Tra diritto dell’impresa e metamorfosi della s.p.a. , Riv. dir. civ. , 2014, pp.
137-138.
29 In questo ordine di idee, a proposito del la maggiorazione del dividendo, M. STELLA R I-
CHTER jr., I troppi problemi , cit., pp. 103-104.
49
come appena evidenziato, la rilevanza alla persona del socio trova già un
varco30.
A meno che non si voglia apprezzare e giustificare la maggiorazione del vo-
to esclusivamente nella prospettiva del mercato finanziario31, e dunque con-
cepire l’istituto come una potenzialità esclusiva delle società quotate32;
quest’ultima riflessione sarebbe avvalorata dalla ratio delle loyalty shares,
ossia “fidelizzare” i soci, affinché il loro investimento sia un investimento
non speculativo. Se questo è l’obiettivo dell’istituto è agevole dedurre che il
legislatore l’abbia concepito per le sole società i cui titoli sono negoziati in
Borsa33, maggiormente esposti all’interessamento di investitori alla ricerca
di guadagni immediati e dunque a quelle perniciose fluttuazioni borsistiche
30 Ivi, p. 104.
31 Di questo avviso sembra C. ANGELICI , intervento al seminario Problemi d’attualità ,
cit., pp. 220-221, il quale ritiene opinabile l’utilizzazione della maggiorazione del voto
nelle società chiuse, proprio perché le diverse motivazioni dell’investimento azionario
nelle società quotate non si ripresenterebbero nelle società chiuse.
Tocchiamo a questo punto un tema delicato, ossia quello dei rapporti tra diritto delle so-
cietà per azioni e diritto dei mercati finanziari, i cui interess i benché non sempre coinc i-
denti, talvolta presentano punti di contatto.
32 V. M. STELLA RICHTER jr., I troppi problemi , cit., p. 93, per una considerazione analo-
ga circa il dividendo maggiorato.
Si va ad accentuare dunque la separazione tra i modelli di società anziché propendere per
un continuum ed un assottigliamento dello “scalino normativo” (P. MONTALENTI , La so-
cietà quotata , in Trattato di diritto commerciale , G. COTTIMO (diretto da), vol. IV, t. 2,
Padova, CEDAM, 2004, pp. 57 ss., spec. p. 64).
33 Per questa ragione, a giudizio di P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto
maggiorato , cit., pp. 451 ss., l’ammissibilità del voto maggiorato nelle società non quot a-
te è alquanto dubbia e perciò il venir meno della quotazione determina la cessazione della
maggiorazione.
L’inciso dell’art. 2351, quarto comma, cod. civ., «[s] alvo quanto previsto dalle leggi spe-
ciali» dovrebbe interpretarsi, secondo l’autore, in termini limitativi a sovrapposizioni di
discipline.
È vero però che, stante la portata generale della disciplina codicistica, esso potrebbe sem-
plicemente alludere al divieto – appunto fatto salvo – del voto plurimo nelle società quo-
tate ricavabile ex art. 127- sexies TUF.
Al proposito si veda l’art. 7 dello statuto di Technogym S.p.A., ove si lega la maggior a-
zione del voto alla persistente quotazione: « Le previsioni in tema di maggiorazione del
diritto di voto previste dal presente articolo si applicheranno fintantoché le azioni della
Società siano quotate in un mercato regolamentato italiano o di altri stati membri
dell’Unione Europea ».
50
che possono compromettere gli interessi tecnici della società. Problemi ana-
loghi non si pongono nelle società non quotate, dove non esiste un mercato
in cui le azioni possono essere scambiate con frequenza e valutate come b e-
ne autonomamente negoziabile, anziché come partecipazione organizzativa
il cui valore derivi esclusivamente dall’andame nto oggettivo della società.
Nelle società chiuse la base azionaria è già “fidelizzata”, per lo più ristretta
e composta da soci imprenditori, non tanto da soci investitori o addirittura
speculatori che operano nel mercato per lucrare forti guadagni proprio gr a-
zie a consistenti riduzioni o aumenti delle quotazioni di Borsa.
Lo spirito della norma, dunque, sembrerebbe deporre per un’utilizzazione
ristretta, ma una lettura complessiva delle norme speciali e generali apre a
scenari interpretativi più liberali, in cui l’art. 127- quinquies sarebbe inteso
semplicemente come norma legittimante e al tempo stesso limitativa
dell’autonomia statutaria delle sole società quotate (proprio perché le azioni
a voto plurimo sono per loro vietate).
Caduto il «tabù»34 del voto multiplo per le società non quotate, potrebbe
apparire singolare non consentire un potenziamento del voto strutturato co-
me premio di fedeltà a queste ultime, posto che si tratta di una versione
“addolcita”, se così si può dire, del voto plurimo ex art. 2351, quarto com-
ma, cod. civ35. Anche perché premiare gli investimenti stabili – sebbene,
come detto, esigenza avvertita nelle sole società quotate – non pare essere
una scelta rivoluzionaria al punto da suscitare allarmismi a fronte di letture
più permissive; evitiamo di imporre limiti laddove non ve ne sia la necess i-
34 P. MONTALENTI , intervento al seminario Problemi d’attualità, cit., p. 221 e I D., Il dirit-
to societario europeo tra armonizzazione e concorrenza regolatoria , Relazione al Conv e-
gno “Unione europea: concorrenza tra imprese e concorrenza tra stati ”, Courmayeur,
19-20 settembre 2014, consultabile in: www.cnpds.it/documenti/relazione _pr of_montalen
ti.pdf , p. 8; M. VENTORUZZO , The Desappearing Taboo of Multiple Voting Shares: Reg u-
latory Responses to the Migration of Chrysler-Fiat, consultabile all’indirizzo: http://ssrn.
com/abstract_id=2574236 ; ID., Un’azione, un voto , cit., p. 512 ss.
35 L. DALLAS – J.M. BARRY , Long-Term Shareholders, cit., p. 37: « Like dual-class stock,
TPV gives some shareholders more voting rights than they would receive under one-
share one-vote, creating a disconnect between voting and cash-flow rights. However, the
disconnect is less extreme than that created by dual-class stock; any shareholder can a c-
quire superior voting rights by simply holding her shares for a specified period of time.
Accordingly, TPV does less to insulate managers from monitoring by public shareholders
than dual-class stock does. This places TPV on the spectrum somewhere between one-
share one vote and dual-class stock ».
51
tà, e lasciamo lavorare la prassi36.
Questa impostazione, a nostro avviso, sarebbe da preferire, anche se l’art.
127-quinquies , settimo comma, del TUF, non sembra darci sostegno. Qui si
prende in considerazione l’ipotesi che la deliberazione di modifica dello
statuto con cui si introduce la possibilità di raddoppiare il voto, venga adot-
tata nel corso del procedimento di quotazione, consentendo, in questo caso,
di computare anche il possesso anteriore alla data di iscrizione nell’elenco
previsto dal secondo comma del medesimo articolo. Si àncora cioè la mag-
giorazione del voto alla quotazione, e sembrerebbe che al di fuori di questa
situazione per così dire “estrema” (l’ipotesi normale è l’introduzione del
voto maggiorato in società già quotate) il voto maggiorato non sia amme s-
so37.
Allo stesso modo l’art. 127- sexies , terzo comma, distinguendo nettamente
le due incrementazioni di voto38, sembrerebbe contrapporre le due figure e
non ammettere contaminazioni.
Tali rilievi non paiono però decisivi: i limiti e la tecnica di stesura risco n-
trabili nel TUF sono da riferirsi esclusivamente alle quotate, dove le azioni
a voto plurimo continuano ad essere bandite e dove risulta ammesso solo un
meccanismo attributivo del voto diverso da quello classico. Giustamente la
legge nella disciplina prevista per le società quotate (TUF) si esprime in
termini di contrapposizione netta.
Laddove invece le azioni a voto plurimo sono ammesse (s.p.a. non quotate)
non si vedrebbe perché non possano assumere una coloritura “fidelizzante”.
Così procedendo, però, la distinzione tra azioni a voto plurimo “fidelizza n-
ti” e loyalty shares sembrerebbe puramente nominalistica, anche perché
36 E forse, le parole di un pioniere dell’industria italiana dell’8 00 nonché senatore, Ale s-
sandro Rossi, secondo cui il capitale va incoraggiato in ogni misura se si vuole che esso
possa far prosperare il commercio, « non vi ha ente al mondo che si lasci imprigionare
meno del capitale », sono parole che torna utile rileggere (v. A.P. SCHIOPPA , Saggi di sto-
ria del diritto commerciale , cit., pp. 177-178).
37 P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , cit., p. 454.
38 M. CIAN, Capitale, proprietà, controlli , cit., p. 1261; P. MARCHETTI , Osservazioni e
materiali sul voto maggiorato , cit., p. 454; anche M. BIANCHINI , Novità in tema di disc i-
plina delle società “quotate” (prime note a margine dell’art. 20, d.l. n. 90/2014, convert i-
to, con modificazioni, nella l. 11 agosto 2014, n. 116) (prima parte) , St. iuris , fasc.12,
2014, p. 1390, ritiene che il legislatore abbia voluto evitare la sovrapposizione e la confu-
sione tra due distinte fattispecie di “potenziamento” dei diritti di voto.
52
parrebbe possibile configurare tutte le azioni come azioni a voto plurimo: il
limite quantitativo riscontrabile nell’art. 2351, secondo comma, cod. civ.,
non è replicato nel quarto comma per le azioni a voto plurimo. In questo c a-
so il concetto di categoria si dissolverebbe e le azioni a voto plurimo dive r-
rebbero le “nuove” azioni ordinarie39. Per cui se si vuole mantenere una
demarcazione la si recupera considerando le azioni a voto plurimo così con-
figurate come una categoria (ammesso che ciò sia possibile, v. infra ) e du n-
que interessante una frazione del capitale sociale; e il voto maggiorato come
criterio attributivo del voto valevole per tutti i soci titolari dello stesso a
prescindere dal tipo di azioni possedute, eventualmente limitabile solo in
base all’oggetto della deliberazione.
Il dato normativo che più ostacola il concepire le azioni a voto plurimo in
questo modo sembrerebbe la necessità che le azioni appartenenti ad una
medesima categoria conferiscano uguali diritti (art. 2348, terzo comma.
cod. civ.); ma se tali diritti dipendono da un comportamento dell’azionista,
per quanto oggettivato che sia, non sempre saranno riscontrabili in tutte le
azioni della stessa categoria avente nella potenzialità di quel diritto il tratto
caratterizzante. A meno che l’uguaglianza non si ritenga rispettata in quanto
viene assicurata la comune soggezione al medesimo evento condizionante40,
ma questo – come vedremo meglio infra – può implicare conseguenze p a-
radossali ex art. 2376 cod. civ.
Se invece si ritenesse non indispensabile mantenere una contrapposizione
tra voto maggiorato e azioni a voto plurimo (accentuando allora non la ratio
del voto maggiorato o la collocazione della sua disciplina in un corpus di
norme speciali, ma l’ampiezza dell’autonomia statuaria nel forgiare le azio-
ni a voto plurimo) allora qu este ultime potrebbero riguardare l’intero capita-
le sociale, e condizionando il rafforzamento del voto al prolungato possesso
si potrebbe, sostanzialmente, dare ingresso nelle società chiuse al meccan i-
smo del voto maggiorato. Purché si ritenga ammissibile – replicando, muta-
tis mutandis , le considerazioni fatte nel capoverso precedente – dedurre in
39 A meno che per azione ordinaria non si intenda esclusivamente quella forgiata sul con-
tenuto tipico indicato dal legislatore, ma è stato notato che il legislatore non ha qualificato
la nozione di azione ordinaria, la quale risponde ad esigenze meramente descrittive ( M.
NOTARI , sub art. 2348, in Commentario alla riforma delle società , cit., pp. 159 ss.).
40 G.P. LA SALA, Principio capitalistico e voto non proporzionale , cit., pp. 90 ss., secondo
il quale è l’identità dei presupposti di fatto dai quali il diritto scaturisce a rilevare, non
l’identità dei diritti materialmente attribuiti dalle azioni.
53
condizione situazioni destinate a non verificarsi per tutti i soci, e dunque
idonee a differenziare i loro diritti senza creare una categoria di azioni (in
deroga all’art. 2348, primo comma, cod. civ., secondo cui le diversità tra
soci non possono che transitare da una diversità dei diritti incorporati nelle
azioni agli stessi assegnati). L’unica differenza che residuerebbe rispetto al
voto maggiorato ex art. 127- quinquies TUF starebbe nel numero dei voti e
nella durata del possesso azionario legittimante il voto plurimo: nelle socie-
tà non quotate il voto potrebbe non solo raddoppiare, ma anche triplicare e a
seguito di un possesso ininterrotto anche inferiore ai 24 mesi.
4. Problemi circa la sua applicabilità alle società cooperative.
Un ulteriore interrogativo riguarda l’applicabilità della disciplina del voto
maggiorato alle società cooperative.
Come noto, tratto saliente di queste società è la regola del voto capitario,
pertanto ammettere la maggiorazione del voto significa discostarsi da qu e-
sta regola peculiare in assenza di una disposizione che puntualmente lo con-
senta; occorre chiedersi, dunque, se l’istituto del voto maggiorato sia com-
patibile con questa tipologia di società.
Alcuni riferimenti normativi sembrerebbero non opporsi, in quanto danno
importanza all’anzianità del socio, come avviene nella disciplina del voto
maggiorato. Ci riferiamo all’art. 2538, primo comma, cod. civ, dove si con-
diziona il diri tto di voto all’iscrizione dell’azionista da almeno novanta
giorni nel libro dei soci: in base a ciò verrebbe da chiedersi cosa escluda
che un potenziamento del voto possa essere condizionato alla “fedeltà” di-
mostrata, posto che ad essa una leggera rilevan za viene già data ai fini del
voto.
Anche l’art. 2527, terzo comma, cod. civ., dà rilevanza all’anzianità del so-
cio cooperatore: esso infatti ammette la categoria dei soci in formazione,
ossia soci di nuova ammissione i cui diritti patrimoniali e amministr ativi
possono essere limitati stante la loro minor esperienza41.
41 G. CAPO, sub art. 2527, Delle societa – dell’azienda – della concorrenza, artt. 2511-
2574 , D.U. SANTOSUOSSO (a cura di), in Commentario del codice civile , E. GABRIELLI
(diretto da), Torino, UTET, 2015, p. 235; C. GANDINI , sub art. 2527, in G. GRIPPO (a cura
di), Commentario delle società , t. 2, Artt. 2436-2548 e 2602-2642, Torino, UTET, 2009,
p. 1411.
54
Vi sono poi altri addentellati normativi idonei a suffragare una deroga al
voto capitario, consentendo il voto plurimo in certe circostanze: e cioè ai
soci cooperatori persone giuridiche (art. 2538, terzo comma, cod. civ.) e ai
soci che realizzano lo scopo mutualistico attraverso l’integrazione delle r i-
spettive imprese, e in ragione della partecipazione allo scambio mutualist i-
co (art. 2538, quarto comma, cod. civ.).
In questi ultimi due casi, p erò, ciò che rileva è essenzialmente il voto “mu-
tualistico”, in sostituzione al voto capitario42: cioè si assiste ad un incr e-
mento del voto in ragione dell’entità degli scambi tra cooperativa e socio.
L’art. 2538, quarto comma, fa espresso riferimento al volume di scambi tra
socio e società; l’art. 2538, terzo comma, subordina l’attribuzione di più vo-
ti al socio persona giuridica che sia anche cooperatore, e dunque benefici
del servizio mutualistico. In questo secondo caso l’utilizzo del parametro
del numero dei membri, in alternativa all’ammontare della quota, come giu-
stificazione della deroga al voto capitario a favore delle persone giuridiche,
esplicita il legame tra il numero dei voti e il numero di scambi mutualistici
instaurati: maggiori sono i membri della persona giuridica, maggiore sarà
l’intensità dello scambio mutualistico realizzato indirettamente dalla perso-
na giuridica (cioè tramite i suoi membri).
Il parametro capitalistico del voto proporzionale alle azioni possedute –
presupposto su cui si innesta la deroga incrementativa del voto maggiorato,
e che dunque deve essere dato per ammissibile anche nelle cooperative se si
vuole estendere loro la disciplina della maggiorazione del voto43 – è poss i-
bile solo ai sensi dell’art. 2543, secondo comma, cod. civ., ma limitatamen-
te all’esercizio del diritto di voto nell’elezione dell’organo di controllo e
comunque in alternativa al parametro della partecipazione allo scambio mu-
tualistico44. Un’unica eccezione non può giustificare un’apertura alla disc i-
plina del voto maggiorato sic et simpliciter ; disciplina che, per quanto pon-
ga l’attenzione sulla persona del socio, ha sempre l’azione come unità di
misura di riferimento, come “veicolo”.
Dalle norme sopra citate, complessivamente, pare che l’attenzione sia sem-
pre posta invece sull’elemento mutualistico, più che su quello capitalistico,
42 G. MARASÀ , Voto plurimo, voto maggiorato e cooperative , Banca, borsa, tit. cred.,
fasc. 1, 2016, pp. 3 ss.
43 Ivi, p. 2.
44 Ivi, p. 4.
55
con la preoccupazione di evitare l’emersione di gruppi di potere.
L’altra figura interessante che potrebbe fornire uno spazio normativo ai fini
dell’applicazione del voto maggiorato è quella del socio finanziatore di cui
all’art. 2526 cod. civ.
Nonostante la terminologia dell’art. 2526 faccia riferimento solo agli stru-
menti finanziari, appare pacifico che la cooperativa possa emettere anche
strumenti finanziari che attribuiscono lo status di socio finanziatore: le c.d.
azioni lucrative, i cui relativi conferimenti sono imputati al capitale45. La
legge non esplicita se per queste azioni di finanziamento il voto debba esse-
re capitario o proporzionale al numero delle azioni, ma appare intuitivo che
– stante la natura del socio finanziatore diversa da quella del socio cooper a-
tore – la regola plutocratica sia più coerente di quella democratica46, anche
perché l ’art. 2538, secondo comma, cod. civ. (contemplante la regola del
voto capitario) fa riferimento ai soli soci cooperatori.
Ritenuto ammissibile il legame tra azioni e diritto di voto ( one share , one
vote), nella misura in cui il legislatore ritiene meritevole l’investimento di
lungo periodo, ben si potrebbe immaginare che la regola del voto maggior a-
to possa essere introdotta per questi soci: potrebbe contribuire ad attrarre e
mantenere investimenti in società in cui la raccolta di capitali – a causa del-
la disciplina che regola le cooperative – si è spesso rivelata difficile47.
45 C. GANDINI , sub art. 2526, Commentario delle società , cit., p. 1403; M. LAMANDINI ,
sub art. 2526, Delle societa – dell’azienda – della concorrenza, artt. 2511-2574 , cit., pp.
215 ss.
46 E. CUSA, Il procedimento assembleare nella società cooperativa e il principio demo-
cratico, Giur. comm. , 2004, I, pp. 851-852; G. CAPO, Fenomenologia cooperativa e pro-
cessi decisionali, Giur. comm ., 2004, I, p. 831; C. GANDINI , sub art. 2526, Commentario
delle società , cit., p. 1406; M. LAMANDINI , sub art. 2526, Delle societa – dell’azienda –
della concorrenza, artt. 2511-2574 , cit., p. 218, secondo il quale il regime delle azioni l u-
crative andrà principalmente desunto dalla disciplina delle azioni e del capitale “fisso”
delle s.p.a; G. MARASÀ , Voto plurimo , cit., pp. 1 ss, per il quale qualche dubbio può res i-
duare qualora lo statuto nulla disponga, ma «deve ritenersi senz’altro consentita una d i-
sciplina statutaria che commisuri il voto dei singoli soci finanziatori al numero delle loro
azioni. Resta fermo naturalmente che l'adozione statutaria di tale regola dovrà fare i
conti con il cosiddetto “vincolo di minoranza”, imposto dall'art. 2526, comma 2°, ultimo
periodo, in relazione a ciascuna assemblea, con il conseguente eventuale decremento del
numero dei voti spettanti a ciascun socio finanziatore ».
47 C. GANDINI , sub art. 2526, Commentario delle società , cit., p. 1400; M. LAMANDINI ,
sub art. 2526, Delle societa – dell’azienda – della concorrenza, artt. 2511-2574 , cit., p.
56
Vi è però un limite ai voti esprimibili dall’insieme dei soci titolari di azioni
di finanziamento ai quali « non può, in ogni caso, essere attribuito più di un
terzo dei voti spettanti all’insieme dei soci presenti o rappresentati in cia-
scuna assemblea generale » (art. 2526, comma 2 °, ultimo periodo)48; limite
collocato non a livello di pertinenza teorica del diritto, bensì a livello del
concreto rapporto tra le diverse classi di investitori in seno alla singola a s-
semblea49 e questo sembrerebbe delineare un quadro normat ivo refrattario a
meccanismi di rafforzamento delle prerogative corporative interne alla so-
cietà, e potrebbe rendere la soluzione del voto maggiorato poco attraente.
Esso non potrebbe mai rivelarsi uno strumento per potenziare il voto rispe t-
to ai soci coop eratori, ma solo per dare più peso all’interno della categoria
dei soci finanziatori.
Un’altra norma sembrerebbe deporre a favore dell’applicabilità del voto
maggiorato alle cooperative: l’art. 135- bis TUF, il quale tra le disposizioni
relative alle societ à quotate che non si applicano alle cooperative non com-
prende gli artt. 127- quinquies e 127- sexies TUF50.
Limitando il discorso alle società con azioni quotate nei mercati regolamen-
tati, le uniche cooperative interessate sarebbero le banche popolari e la coo-
perativa esercente un’impresa assicurativa51. Per le banche popolari, fino a
214, secondo il quale l’emissione di strumenti finanzia ri secondo la disciplina prevista per
le s.p.a. serve a creare « un maggiore level playing field tra cooperative e società per
azioni quanto al loro accesso al mercato dei capitali »; L. GENGHINI – P. SIMONETTI , Le
società di capitali e le cooperative , in “Manuali Notarili”, L. GENGHINI (a cura di), vol.
III, t. II, II ed., Padova, CEDAM, 2015, p. 1481.
48 Limite imposto per non snaturare l’indole mutualistica della società, come si legge ne l-
la Relazione alla riforma del 2003, cit., § 15.
Da notare che la norma parla di assemblea generale, e dall’art. 2351, quinto comma, cod.
civ. si ricava che il voto in assemblea generale è prerogativa esclusiva delle azioni; a con-
ferma della possibile natura azionaria degli strumenti finanziari di cui all’art. 2526 cod.
civ.
49 M. CIAN, Strumenti finanziari partecipativi, cit., pp. 72-73.
50 G. MARASÀ , Voto plurimo , cit., pp. 1 ss., non esclude che ciò dipenda dalla circostanza
che l’art. 135- bis è antecedente alla legge che ha introdotto le disposizioni sulle azioni a
voto plurimo e sulla maggiorazione del voto.
Per cui potrebbe trattarsi di una dimenticanza nell’aggiornamento della disciplina, cons i-
derando anche che l’istituto “gemello” del dividendo maggiorato è stato espressamente
escluso dall’alveo delle cooperative.
51 E. CUSA, sub art. 2539, Delle societa – dell’azienda – della concorrenza, artt. 2511-
57
poco tempo fa, il voto per teste non ammetteva eccezioni (cfr. art. 30, primo
comma, TUB), ma ora il quadro normativo è mutato, posto che tra gli arti-
coli elencati nel nuovo art. 150- bis TUB che non si applicano alle banche
popolari, non vi è né l’art. 2526 cod. civ. né l’art. 2538 cod. civ52.
La disciplina analizzata sembra lasciare degli spiragli al voto maggiorato,
almeno qualora la società cooperativa sia quotata (v. supra per le consid e-
razioni sull’ammissibilità del voto maggiorato nelle non quotate) e limit a-
tamente ai soci finanziatori, per i quali il voto rapportato alla quantità di
azioni detenute parrebbe ammissibile.
Infatti, anche se in dottrina vi è chi si chiede se la regola del voto capitario
sia ancora centrale53, la sensazione è che in questo particolare tipo societ a-
rio tale regola di voto sia veramente (e ancora) una caratteristica peculiare e
le deroghe alla stessa sono per lo più giustificate dall’intensità dello scam-
bio mutualistico e con disposizioni ad hoc . Per cui nulla esclude che il crite-
rio dell’anzianità possa essere combinato con i criteri già previsti legitti-
manti il voto plurimo dei soci cooperatori così da ammettere una maggior a-
zione sui generis54 del voto capitario (chi è nella cooperativa da più tempo
ha partecipato maggiormente allo scambio mutualistico); maggiori dubbi
2574 , cit., p. 359.
52 Come noto, la disciplina delle banche popolari è stata di recente modificata. Tutte le
banche popolari ad oggi quotate hanno un attivo superiore agli otto miliardi di euro (v.
G. MARASÀ , Voto plurimo , cit., p. 6 .), per cui sono sostanzialmente obbligate a trasfo r-
marsi in s.p.a. Il nuovo art. 29 TUB prevede infatti che « L’attivo della banca popolare
non pù superare 8 miliardi di euro »; e che, in caso di superamento esso va ridotto al di
sotto della soglia, oppure va deliberata la trasformazione in s.p.a. o la liquidazione.
Si è preso atto della perdita della vocazione mutualistica di queste banche, almeno per
quelle maggiori, denunciata già dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato,
Antonio Catricalà, in AS422- Schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva
2004/25/CE concernente le offerte pubbliche di acquisto , del 25 settembre 2007, reso alla
Commissione Finanza e Tesoro del Senato, reperibile all’indirizzo: http://www.agcm.it/se
gnalazioni/segnalazioniepareri/download/C12563290035806C/550F5A8DF36BB93BC1
257393003425A9.html?a=AS422.pdf, secondo cui « Tali banche, che oramai hanno sign i-
ficativamente perso la vocazione mutualistica, sono sottratte ag li ordinari meccanismi di
contendibilità del controllo e ciò non appare coerente con lo sviluppo di efficaci dinam i-
che competitive del settore ».
53 G. MARASÀ , Voto plurimo , cit., p. 9.
54 Sui generis perché non si tratterebbe di incrementare il voto per ciascuna azione det e-
nuta per un periodo non inferiore a ventiquattro mesi perché non è previsto il criterio del
voto capitalistico.
58
sembrerebbero esserci qualora si intendesse usare il criterio dell’anzianità in
sostituzione degli altri criteri55, o addirittura quale c riterio per modulare il
voto del socio cooperatore in generale. E questo per quanto riguarda i soci
(solo) cooperatori.
Ma il socio cooperatore può essere al contempo finanziatore ex art. 2538,
secondo comma, cod. civ. Qui le riflessioni fatte in precedenza per il socio
finanziatore potrebbero essere riprodotte, per cui anche il socio cooperatore
acquisendo azioni di finanziamento (per le quali valga la regola capitalist i-
ca) potrebbe beneficiare del voto maggiorato, se previsto56.
La legge, però, stabilisce che se i soci cooperatori sono titolari di strumenti
finanziari, lo statuto dovrà determinare i limiti al diritto di voto degli stessi
(art. 2538, secondo comma, cod. civ.): pare ess erci più la volontà di conte-
nere il voto che consentirne una maggiorazione.
Nella realtà cooperativa il rafforzamento di un socio rispetto agli altri, a
prescindere dalle motivazioni che potrebbero giustificarlo, è visto con sfa-
vore, proprio perché questo tipo di società è stato concepito come uno stru-
mento di organizzazione per chi appartiene al medesimo ceto sociale o c a-
tegoria produttiva, e la cui forza sta nella massa, nel numero dei soci, e non
nella ricchezza e nel potere individuale57.
Allo stato, l’estensione della disciplina del voto maggiorato nelle società
cooperative sembra trovare spazi normativi piuttosto angusti o comunque di
scarsa convenienza pratica.
5. La natura delle azioni a voto maggiorato.
L’art. 2348, primo comma, cod. civ., sancis ce il principio di uguaglianza
delle azioni, in quanto « le azioni devono essere di uguale valore e confer i-
scono ai loro possessori uguali diritti ». Si tratta di uguaglianza relativa, e
non assoluta, e infatti ai sensi del successivo comma si possono creare « ca-
tegorie di azioni fornite di diritti diversi ». In questo caso il principio di
uguaglianza deve essere rispettato nell’ambito di ciascuna categoria.
55 G. MARASÀ , Voto plurimo , cit., pp. 1 ss.
56 Ivi, p. 9.
57 F. GALGANO , in Trattato di diritto civile , vol. IV, III ed., Padova, CEDAM, 2015, p.
696.
59
Da ciò si è sempre sostenuto che la disuguaglianza tra diritti non possa ine-
rire alla persona del socio, ma debba esaurirsi nella tecnica delle categorie
di azioni, non potendosi cioè riconoscere diritti particolari ad personam,
dovendoli al più incorporare ai titoli azionari, affinché fosse rispettata la
standardizzazione e la spersonalizzazione della partecipazione azionaria58.
Le nuove azioni a voto plurimo, in quest’ottica, costituiscono una categoria
di azioni, in quanto classe di azioni dotate di diritti diversi incorporati nelle
stesse.
Discorso ben diverso deve essere fatto per quanto riguarda le loyal ty shares .
Come le actions à droit de vote double francesi, cui il legislatore italiano si
è ispirato, esse non esplicitano una categoria speciale di azioni, bensì un s i-
stema di attribuzione del diritto di voto più sofisticato rispetto alla regola
della proporzionalità59. L’incremento del diritto non è una caratteristica
esclusiva dell’azione, ma deve essere “conquistato” dal socio mantenendo il
possesso continuativo delle azioni; si tratta dunque di una sorta di premio
per la “fedeltà” dimostrata. E infatti, l’art. 127- quinquies, quinto comma,
TUF, precisa che le azioni cui si applica la maggiorazione non costituiscono
una categoria speciale di azione ai sensi dell’art. 2348 del cod. civ.
A questo punto, però, sorgono alcuni interrogativi: ci si potrebbe chiedere
se il beneficio della maggiorazione debba necessariamente essere previsto a
favore di tutti i soci oppure se sia possibile legare tale “premio” solamente
ad una o più categorie di azioni preesistenti, o ancora se il beneficio del vo-
to maggiorato possa essere riservato ad una categoria di azioni (di nuova
creazione) la cui specialità consista proprio e solo nella potenzialità del pr i-
vilegio.
L’impressione è che il voto maggiorato sia stato concepito come un premio
da riconoscere – se recepito nello statuto – a tutti i soci in possesso di azioni
che attribuiscono diritto di voto, indipendentemente dalle loro caratterist i-
che. Ed è su questa considerazione che si cercherà di proporre delle argo-
mentazioni a suo sostegno nelle pagine che seguono, senza esime rci dal
58 F. MAGLIULO , Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a. , Milano,
Ipsoa, 2004, pp. 75 ss.; Consiglio Notarile dei distretti riuniti di Fi renze, Pistoia e Prato,
massima 1/2008, Azioni speciali e loro conversione automatica in ordinarie a seguito di
trasferimento .
59 S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D. D’E RAMO – N. LINCIANO , La deviazione dal princ i-
pio “un’azione – un voto” , cit., p. 37.
60
considerare le altre possibili soluzioni interpretative di cui si è appena dato
conto, ma anzi trovando nelle debolezze delle stesse l’occasione per prend e-
re posizione a favore dell’orientamento più convincente.
Partendo dal dato normativo rinvenibile nell’art. 127- quinquies , quinto
comma, TUF, la legge sembrerebbe volerci dire che le azioni che concreta-
mente godono del beneficio non costituiscono una categoria; se così fosse
non dovrebbe precludersi la liceità di una categoria di azioni che si caratte-
rizzi per l’idoneità a maturare il diritto di voto maggiorato60. La portata de l-
la “non categoria” andrebbe a riferirsi rispetto alle azioni non ancora loyal-
ty, ma idonee a divenirle.
L’ammissibilità di una tale conformazione della struttura azion aria sarebbe
consentita dalla stessa legge: infatti un conto è dire che le azioni a voto
maggiorato (già maturato) non costituiscono una categoria, altro conto è d i-
re che solo una categoria può astrattamente beneficiarne61. Altra dottrina
giustifica la poss ibilità di una tale categoria richiamando la tendenziale l i-
bertà nella determinazione del contenuto delle azioni62.
E allora nella misura in cui si accoglie l’ipotesi che la maggiorazione possa
riguardare solo una frazione del capitale, ci si potrebbe chied ere se sia legit-
tima una delibera di conversione di tutte le azioni preesistenti di una s.p.a.
chiusa, in azioni speciali (la cui specialità consista nell’idoneità a potenziare
60 M. CIAN, Capitale, proprietà, controlli , cit., p. 1262; E. MARCHISIO , la “maggiorazi o-
ne” del voto , cit., p.113 e nt. 77; in questo senso paiono orientarsi anche A. BUSANI – M.
SAGLIOCCA , Le azioni non si contano ma si “pesano”: superato il principio one share
one vote con l’introduzione delle azioni a voto plurimo e a voto maggiorato , Soc. , 2014,
p. 1059; M. VENTORUZZO , The Desappearing Taboo of Multiple Voting Shares , cit., p.
14; e I D., Un’azione, un voto , cit., p. 523; di questo avviso pare anche E. LA MARCA ,
Azioni (sti) con voto maggiorato , cit., p. 4, secondo il quale sarebbe l’art. 127- sexies , se-
condo comma, TUF a confermare indirettamente la possibilità di riconoscere la maggio-
razione anche a singole categorie, proprio perché si vietano – alle società che anterio r-
mente alla quotazione abbiano emesso azioni a voto plurimo – «ulteriori maggiorazioni
del diritto di voto a favore di singole categorie di azioni né ai sensi dell’articolo 127-
quinquies ». Si v. anche, sebbene a commento della fattispecie similare della maggior a-
zione del dividendo, R. CUGNASCO , La maggiorazione del dividendo , cit., p. 957.
61 M. VENTORUZZO , The Desappearing Taboo of Multiple Voting Shares , cit., p. 14; e I D.,
Un’azione, un voto , cit., p. 523; B. MASSELLA DUCCI TERI, Il decreto competitività , cit.,
p. 481 alla nt. 42; a commento della fattispecie similare della maggi orazione del dividen-
do, R. CUGNASCO , La maggiorazione del dividendo , cit., p. 957.
62 E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p.113 e nt. 77
61
il voto in ragione del possesso continuativo), differendo l’effetto di tale de-
libera al momento della quotazione ed emettendo azioni “ordinarie” da o f-
frire al mercato. Potrebbe obiettarsi la violazione della parità di trattamento
con una ingiustificata discriminazione tra soci originari e sopravvenuti, per
cui – al di là della possib ile scarsa appetibilità di una struttura azionaria sif-
fatta (che potrebbe tradursi in un’operazione poco profittevole nella raccolta
di risorse sul mercato) – la delibera assembleare si esporrebbe a seri dubbi
di legittimità.
L’interpretazione illustrata che limita la potenzialità del voto maggiorato ad
una categoria di azioni appositamente creata pare non tener conto di
un’altra considerazione, e cioè che in un contesto come quello proposto le
loyalty shares verrebbero comunque a costituire una categoria di azioni:
nella misura in cui la maggiorazione del voto non debba necessariamente r i-
solversi in una potenzialità a favore di tutte le azioni ma possa riguardare
anche solo una parte di esse, una categoria creata ad hoc , queste ultime d i-
verrebbero delle azioni distinte da quelle “ordinarie” e perciò a prescindere
che godano del privilegio o siano in procinto di acquisirlo, si tratterebbe
comunque di una categoria speciale di azioni.
Ecco allora che la clausola di maggiorazione del voto dovrebbe necessari a-
mente riguardare tutte le azioni, oppure una o più categorie di azioni la cui
specialità risieda in una caratteristica che non sia la maggiorazione del vo-
to63. Infatti un conto è dire che la maggiorazione del voto interessi una c a-
tegoria di azioni il cui unico tratto distintivo sia quello, un altro è dire che la
maggiorazione del voto interessi una categoria di azioni la cui specialità r i-
sieda in altre diversità.
Nel primo caso, la specialità sta in una sorta di fattispecie a formazione
progressiva: al diritto di accedere alla maggiorazione del voto, si aggiunge
il possesso continuato dell’azionista. Senza questa seconda componente
“umana”, la diversità rispetto alle “ordinarie” c’è, ma è puramente teorica;
diviene tangibile solo grazie alla seconda parte della fattispecie complessa.
63 Si veda, in relazione all’art. 127- quater TUF, M. STELLA RICHTER jr., I troppi probl e-
mi, cit., p. 99 e nt. 20, ove l’autore sembrerebbe escludere la possibilità di creare una c a-
tegoria di azioni il cui unico tratto distintivo rispetto alle altre risieda propri o nel diritto
per i portatori di quelle azioni di percepire il dividendo maggiorato. Tale preclusione s a-
rebbe irragionevole e infatti l’autore critica la tendenza del legislatore a promulgare no r-
me narrative, anziché meramente precettive, secondo l’antico brocardo: lex imperat, non
docet.
62
Nel secondo caso, una categoria con la sua organizzazione corporativa esi-
ste già autonomamente e dunque l’introduzione di una clausola ex art. 127-
quinquies non altererebbe la struttura esistente. Qui il problema maggiore,
però, riguarda il rispetto della parità di trattamento, non potendosi cioè cir-
coscrivere il voto maggiorato solo ad alcune delle categorie preesistenti,
salvo autorizzazione ex art. 2376 cod. civ. delle assemblee speciali relative
alle categorie di azioni che sarebbero pregiudicate64. L’autorizzazione po-
trebbe bastare per consentire una differenziazione delle posizioni giuridiche
dei soci mediante l’attribuzione di diritti non compendiabili in una categ o-
ria, senza creare discriminazioni; e proprio la necessità del consenso da pa r-
te degli azionisti delle categorie non beneficiate dalla possibilità di maturare
il voto addizionale potrebbe rendere di fatto l’ipotesi descritta difficilmente
realizzabile.
Ad ogni modo se da un lato si ritiene non violata la parità di trattamento,
posto che si tratta di un principio a protezione degli investitori e dunque d e-
rogabile con il loro consenso (cioè, nel caso sopra esposto, con
l’approvazione dell’assemblea speciale), dall’altro lato l’opzione descritta
potrebbe rivelarsi una forma mascherata per introdurre strumenti azionari
con finalità molto simili alle azioni a voto plurimo; e queste ultime sono
vietate con norma imperativa non derogabile.
Ma il legislatore nella formulazione della disciplina sul voto maggiorato,
nonostante abbia cercato di salvaguardare la centralità dell’azione, caratter i-
stica tipologica delle s.p.a., sembra aver concepito il potenziamento del v o-
to come un beneficio che matura nella sfera personale del socio, e in parti-
colare del socio “fedele”, e pertanto da riconoscere a prescindere dal tipo di
azione di cui è titolare (purché dotata di diritto di voto chiaramente)65.
64 Come già sottolineato, con riferimento alla previsione della maggioraz ione del dividen-
do limitatamente ad una o più categorie già esistenti, dall’autore citato (v. Ibid.).
65 C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato , cit., pp. 779 ss.; v. però M. VENTORU Z-
ZO, Modifiche di diritto, indirette e di fatto del diritto di voto e recesso nelle s.p.a. , Giur.
comm, fasc. 5, 2015, pp. 1055 ss., in particolare la nt. 30, secondo il quale la parità di tra t-
tamento è rispettata qualora non vi siano identiche posizioni tra i soci, come nel caso in
cui si riconos ca la maggiorazione solo ai titolari di azioni a voto limitato (ovviamente nel-
le materie su cui votano).
Ci si potrebbe chiedere, però, se un tale ragionamento regga. Sembrerebbe da escludere la
possibilità di una tale modifica degli assetti di voto senza l’approvazione degli azionisti
ordinari, trattandosi, nei loro confronti, di un pregiudizio sia pure indiretto. Inoltre
63
La scelta di riservare la potenzialità del voto maggiorato ad una o più cate-
gorie preesistenti non sembra ipotesi percorribile.
Appare sensato affermare, semmai, che, almeno nel conteso delle società
quotate, con gli istituti del voto maggiorato e del dividendo maggiorato ab-
bia preso forma una categoria speciale di azionisti66, senza che ciò signif i-
chi l’attribuzione di diritti ad personam , in quanto tale attributo dipend e-
rebbe da una circostanza oggettiva e riscontrabile presso chiunque; e tale ri-
scontro potrebbe non essere del tutto irrilevante, in via di interpretazione,
anche in altri contesti normativi.
Per quanto riguarda la possibilità di creare una categoria di azioni la cui
specialità sia la potenzialità del voto maggiorato, col dire che le azioni che
concretamente godono del beneficio del voto doppio non costituiscono una
categoria speciale di azione ulteriore rispetto a quella composta da azioni
che possono ottenere il voto addizionale – in presenza dei presupposti r i-
chiesti – , non si dice nulla di nuovo. Non è l’azione ad essere fornita di d i-
ritti diversi, essa è solo il “veicolo” tramite il quale si dà rilevanza ad un
comportamento virtuoso del socio e non serviva, forse, che il legislatore
creasse un comma solo per affermare ciò67.
L’assunto potrebbe avere significato, invece, se lo si intendesse come vo-
lontà di negare che la maggiorazione del voto – se introdotta – sia una c a-
ratteristica che possa riguardare solo una parte ristretta dell’azionariato, do-
l’assunto non pare considerare che la diversità tra azioni ordinarie e azioni con voto lim i-
tato solo ad alcuni argomenti – sebbene non richieda necessariamente il riconoscimento
di privilegi patrimoniali a fini compensativi – dovrebbe essere già stata scontata, almeno
a livello di valore economico, posto che sarebbe irrazionale che un soggetto acc etti azioni
private in modo consistente di una delle prerogative più significative, ossia il diritto di vo-
to, senza nessuna contropartita.
L’impressione è che la disparità di trattamento si abbia anche in questi casi poiché se la
società condivide il giudizio di valore espresso dal legislatore a favore degli azionist i fe-
deli (introducendo appunto il voto maggiorato nello statuto) esso deve riguardare tutti i
soci “fedeli” che abbiano la possibilità di esprimere il voto in assemblea. Sarebbe irragio-
nevole dare rilievo ad un comportamento virtuoso ad alcuni e non ad altri.
66 R. CUGNASCO , La maggiorazione del dividendo , cit., p. 939; E. MARCHISIO , la “mag-
giorazione” del voto , cit., p. 98, il quale parla infatti di « disciplina generale del socio
“stabile” ».
67 V. anche, per quanto riguarda les actions à droit de vote double à la française , M.
STORCK – T. DE RAVEL D ’ESCLAPON , Faut- il supprimer à droit de vote double , cit., p. 95;
M. GERMAIN – V. MAGNIER , Les sociétés commerciales , cit., p. 376.
64
vendo dunque riguardare tutti i soci; anche perché si potrebbe dubitare –
come anticipato in precedenza – dell’ammissibilità di una categoria di azio-
ni il cui tratto saliente consista n ella sola possibilità della maggiorazione del
voto. Possibilità che infatti dipenderebbe da un giudizio del titolare delle
azioni stesse, per cui la potenzialità del beneficio rimarrebbe una caratter i-
stica intrinseca dell ’azione (e che altre azioni non conferirebbero al loro t i-
tolare), ma la sua concretizzazione sarebbe esposta al comportamento
dell’azionista, senza il quale sarebbe destinata a rimanere “in potenza”68.
La possibilità di configurare una categoria siffatta non sembrerebbe possib i-
le nemmeno alla luce dell’atipicità delle categorie azionarie e
dell’autonomia statutaria che, in particolar modo dopo la riforma del 2003,
contraddistingue le s.p.a. La diversificazione delle formule di investimento
consente con maggior facilità di intercettare invest imenti nel mercato dei
capitali, offrendo una varietà di strumenti che si possono incrociare più f a-
cilmente con le esigenze degli investitori. Nel nostro caso, però, siamo di
fronte ad un “diritto speciale” che non è acquisito per il sol fatto
dell’acquist o delle azioni di questa ipotetica categoria, ma il socio dovrà
procedere all’iscrizione delle stesse in un apposito elenco e da tale momen-
to inizia a decorrere il periodo rilevante per la maturazione del beneficio;
con ampia libertà al riguardo, in quanto può decidere se e quante azioni
iscrivere nell’elenco ai fini della maggiorazione e se e per quante azioni r i-
nunziare alla maggiorazione (o meglio, escludere che fungano da strumento
con cui veicolare e dare rilevanza all’interno delle dinamiche societarie al
proprio status di socio “anziano” o “fedele”). Quello che si vuole dire è che
non si vedrebbe l’utilità di una categoria azionaria la cui caratteristica s a-
liente sia la sola potenzialità di assicurare il voto maggiorato, posto che è
68 Argomentazioni simili sono espresse anche da P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali
sul voto maggiorato , cit., pp. 452-453, per il quale il punto di riferimento per
l’attribuzione della maggiorazione è il comportamento del socio, e al fine di differenziare
la fruizione dei diritti deve rilevare non la persona ma elementi oggettivi relativi allo sta-
tus di socio. Per cui anche per l’autore la maggiorazione deve riguardare tutti i soci; v.
anche M. CIAN – C. SANDEI , sub art. 2351, Delle società – dell’azienda – della conco r-
renza, artt. 2247-2378 , D. SANTOSUOSSO (a cura di) in Commentario del codice civile , E.
GABRIELLI (diretto da), Torino, UTET, 2015, p. 942, dove, a proposito dell’applicazione
di un tetto massimo o di uno scaglione di voto ad una parte soltanto delle azioni, si so-
stiene che il diritto di voto verrebbe a dipendere da una situazione dell’azionista e non s a-
rebbe un attributo esclusivo dell’azione.
65
data all’azionista la possibilità di decidere se condividere l’interesse per la
maggiorazione del voto o disinteressarsene. Infatti è già lo statuto normat i-
vo del voto maggiorato a soddisfare le possibili esigenze degli investitori:
chi è interessato ad avere un rafforzamen to dei poteri di voice e ad un inve-
stimento di lunga durata potrà chiedere di essere iscritto nell’elenco speci a-
le di cui all’art. 127- quinquies , secondo comma, TUF; chi non è interessato
eviterà tale iscrizione. Non è creando una categoria apposita che si offrono
soluzioni di investimento ulteriori69, e questo perché è la situazione
dell’azionista a determinare il beneficio, non l’azione in sé e per sé.
E quest’ultima è la ragione per cui sembrerebbe da escludere
l’ammissibilità di una categoria azionaria il cui tratto qualificante sia la pos-
sibilità di attribuire il voto maggiorato. Concretamente, infatti, la diversità
del diritto dipenderebbe in misura maggiore dal socio, da una sua scelta di
investimento, più che da una caratteristica intrinseca dell ’azione, e la sua
permanenza sarebbe esposta a valutazioni soggettive dell’azionista. Molto
dubbia sarebbe dunque la configurabilità di una categoria di azioni siffatta,
dove l’elemento distintivo rispetto alle azioni ordinarie non ha una stabile
ed autonoma visibilità (almeno se si accoglie l’idea secondo cui la sussi-
stenza di una categoria azionaria richiede una diversità di diritti intimamen-
te connessa alle azioni e non anche a comportamenti facoltativi del socio)70.
Vi è poi l’impressione che il legislatore del 2014 non avesse nessuna inten-
zione di individuare un’ulteriore fattispecie tipica di categoria, ma semmai
segnalare il proprio favore verso tipologie di investimento di medio- lungo
termine.
Per « beneficio » (art. 127- quinquies , quinto comma) dovrebbe intendersi
dunque il voto maggiorato, sia già maturato che maturando. E questo perché
69 Una delle principali peculiarità delle azioni speciali consiste nell’offrire alla s.p.a. un
ampio spettro di fonti di finanziamento, potendo essere confezionate « quasi a piacimento
dallo statuto » (M. CIAN – C. SANDEI , sub art. 2351, Delle società – dell’azienda – della
concorrenza, artt. 2247- 2378, cit., p. 908) a seconda delle situazioni di mercato (v. anche
la Relazione alla riforma del 2003, cit., § 4).
70 Si v. però P. SFAMENI , Azioni di categoria e diritti sociali , Milano, Giuffrè, 2008, p.
183, secondo il quale – a proposito del dividendo di fedeltà attribuito agli azionisti di una
determinata categoria e prima della sua introduzione nel TUF con l’art. 127- quater – nel-
le s.p.a. non è tollerata la sostituzione della individualità del socio all’azione, ma sarebbe
possibile l’oggettivizzazione dell’intuitus personae di determinate categorie di soci per il
tramite dell’azione.
66
il voto maggiorato andrebbe visto solo come criterio attributivo del voto in
sostituzione di quello ordinario, valevole per tutti coloro che abbiano scelto
di investire in un orizzonte temporale ampio; al più limitandolo solo in caso
di votazione su delibere aventi un determinato oggetto, posto che in certune
materie particolarmente sensibili potrebbe ritenersi più equilibrata la class i-
ca regola del “one share , one vote ” e dunque sacrificabile il diritto “speci a-
le” maturato dal socio fedele71.
Questa interpretazione, oltre a dare un significato non meramente ricognit i-
vo al quinto comma dell’art. 127- quinquies , sembrerebbe in linea con la ra-
tio delle loyalty shares (fidelizzare gli azionisti e contribuire a stabilizzare i
prezzi delle azioni, cosicché queste ultime possano riflettere meglio il valo-
re reale della società). Circoscriverne il perimetro di operatività ad una c a-
tegoria di azioni rischierebbe di depotenziare l’utilità dell’istituto.
L’azionista può decidere se e quante azioni immobilizzare ai fini della
maggiorazione, per cui meglio leggere le disposizioni legislative come l e-
gittimanti un voto maggiorato a favore dell’intero capitale votante, e non
come l’occasione per introdurre una nuova categoria di azioni (che, ancora
oggi, sembrerebbe essere pur sempre una deroga alla regola generale s e-
condo cui le azioni conferiscono ai loro possessori uguali diritti) di cui –
come sostenuto in precedenza – non se ne ravvisa un’ut ilità concreta.
Anzi, ammettendo una tale interpretazione si correrebbe il rischio (ripropo-
nibile anche in questo caso come in quello che vedrebbe riconoscibile la
maggiorazione del voto solamente a favore di alcune delle categorie prees i-
stenti) di “legali zzare” una frode alla legge: si rammenti che nelle società
quotate l’emissione di azioni a voto plurimo è vietata, e questo per evitare
cristallizzazioni del potere; ma limitare il beneficio del voto maggiorato s e-
lettivamente ad una categoria soltanto sembrerebbe proprio una surrettizia
elusione del divieto in esame72. La possibilità per una società quotata di
mantenere le azioni a voto plurimo emesse prima della quotazione ex art.
127-sexies , secondo comma, è norma eccezionale, oltre che di dubbia legit-
timità costituzionale73. La sua operatività (e dunque gli effetti che può com-
71 Come fa lo statuto di HERA S.p.A, il quale all’art. 6.4 si esprime in termini molto chi a-
ri non riferendosi ad azioni a voto maggiorato, ma a «Delibere assembleari con Voto
Maggiorato ».
72 In questi termini B. MASSELLA DUCCI TERI, Il decreto competitività , cit., pp. 479-480.
73 Anche se, come è stato sostenuto, il confezionamento di una norma che spegnesse, per
67
portare) deve essere limitata alla fattispecie presa in esame: vi è un (unico
ed esclusivo) obiettivo di politica legislativa che il legislatore ritiene prior i-
tario – favorire la quota zione delle imprese – al punto da consentire alle
s.p.a. che intendano quotarsi di mantenere le azioni a voto plurimo prec e-
dentemente emesse.
Se si decide a livello statuario che la stabilità dell’investimento è un valore
da premiare con un maggior potere deliberativo non si vede perché debba
esserlo solo per una parte del capitale e non per un’altra. Specificità del vo-
to maggiorato non è quella di segregare una parte del capitale sociale attri-
buendogli più diritti di voto rispetto al numero di azioni di cui è costituito
(come accade con l’emissione di azioni a voto plurimo), ma premiare il so-
cio che se lo merita con una prerogativa connessa al suo status socii. Dare
valore alla fedeltà dell’investimento ad una parte dell’azionariato e non ad
un’altra sembra indice di contraddittorietà, proprio perché è già la disciplina
del voto maggiorato che concede al socio di decidere se meritarsi il premio
oppure no.
Pare certo, poi, che premiare solo alcuni soci per un comportamento faco l-
tativo assunto, contrasta con l’esigenza di assicurare parità di trattamento a
chi si trovi in identiche condizioni. La parità di trattamento potrebbe rite-
nersi rispettata nella misura in cui le azioni della nuova categoria che dà d i-
ritto alla maggiorazione del voto in presenza dei relativi presupposti siano
offerte in opzione a tutti i soci; diritto di opzione che può essere escluso o
limitato, eludendo così l’obbligo di parità di trattamento, e che inoltre non è
gratuito: la maggioranza potrebbe deliberare un aumento di capitale con
azioni potenzialmente in grado di maggiorare il voto proprio perché consa-
pevole che i soci di minoranza non saranno in grado di sottoscrivere le nuo-
ve azioni.
Oppure la parità di trattamento si rispetterebbe qualora in sede di conve r-
sione di una parte delle azioni si rispettino i giusti rapporti di proporzional i-
tà, ma in questo modo si depotenzierebbe l’utilità pratica dell’istituto della
categoria azionaria, che sembrerebbe appositamente previsto nelle s.p.a.
proprio per differenziare le posizioni giuridiche dei soci. E a parte ciò, nel
corso della vita societaria le azioni sono trasferibili, possono entrare nuovi
il solo effetto della quotazione, il beneficio del voto plurimo acquisito ante quotazione
avrebbe potuto avere il sapore di una non ammissibile espropriazione di diritti acquisiti
(A. BUSANI – M. SAGLIOCCA , Le azioni non si contano, ma si “pesano” , cit., p. 1060).
68
soci nella compagine e lentamente delle azioni potenzialmente in grado di
maggiorare il voto potrebbe fare incetta un unico socio. La proporzionale
distribuzione delle azioni sarebbe destinata a venire meno, riproponendo
così il problema della compatibilità con il divieto di azioni a voto plurimo
presente nelle società quotate74.
È da notare, poi, che nelle società quotate la composizione dell’azionariato
è destinata a variare in continuazione per cui vi è la necessità di individuare
prodotti di investimento “preconfezionati”. Una differenziazione delle pos i-
zioni giuridiche che non si realizzi per il tramite della categoria in quanto,
circa l’istituto di cui stiamo trattando, opzione di dubbia praticabilità, non
potrebbe che richiedere – qualora ritenuta ammissibile – il consenso unan i-
me dei soci; consenso che dovrebbe essere continuamente accertato stante
la continua negoziabilità dei titoli azionari, per cui la soluzione è impratic a-
bile75.
Al di là di queste considerazioni vi è comunque un dato testuale dell’art.
127-sexies TUF che sembrerebbe supportare la previsione del beneficio del
voto maggiorato a favore dell’intero capitale. Qui infat ti si dice che nel caso
in cui una società quotata abbia emesso azioni a voto plurimo prima della
quotazione e le abbia mantenute successivamente, non può prevedere « ulte-
riori maggiorazioni del diritto di voto a favore di singole categorie di azio-
ni né ai sensi dell’articolo 127-quinquies ». Sembrerebbe chiaro che il mec-
canismo dell’art. 127- quinquies debba riguardare l’intero capitale sociale76.
74 Ribadiamo, dunque, che la lettura più convincente sembrerebbe quella che intende il
voto maggiorato come premio all’azionista, a prescindere dalla tipologia di azione det e-
nuta (purché con diritto di voto chiaramente); un diverso criterio attributivo del voto
“conquistato” dal socio fedele ed esprimibile in ogni occasione di voto assembleare,
eventualmente escludibile solo in sede di approvazione di delibere avente un determinato
oggetto, dove potrebbe ritenersi più equa la regola “one share , one vote ”.
75 Come è stato efficacemente detto da M. CIAN – C. SANDEI , sub art. 2351, Delle società
– dell’azienda – della concorrenza, artt. 2247- 2378, cit., p. 909, la s.p.a. « dialoga, p er
così dire, non con i singoli individui, ma con platee di investitori e propone dunque solu-
zioni finanziarie non calibrate su aspettative personali, ma su standard caratterizzanti le
seconde ».
76 B. MASSELLA DUCCI TERI, Il decreto competitività , cit., pp. 479-480.
P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , cit., pp. 452-453, condiv i-
de l’idea che la maggiorazione debba riguardare tutti i soci, così da rispettare la parità di
trattamento e continuare a dare significato all’art. 91 TUF, che riconosce come valore la
mobilità del controllo; anche lo studio di S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D. D’E RAMO –
69
Inoltre, anche se il riferimento è labile e di per sé non sufficiente ma non
del tutto irrilevante a fini interpre tativi77, potrebbe notarsi che il legislatore
ha dato all’art. 127- quinquies TUF il titolo «Maggiorazione del voto », e
non “azioni a voto maggiorato”, e anche tale dato pare condurre verso una
concezione della maggiorazione come criterio attributivo del voto in gene-
rale che va a perfezionare quello ordinario.
Un altro dato normativo sembra non trascurabile: l’art. 127- quinquies , sesto
comma, TUF. Ivi si esclude il diritto di recesso in sede di introduzione della
clausola della maggiorazione del voto. Se vi fosse la possibilità di ricono-
scere la maggiorazione solo ad una categoria di azioni, la delibera sembr e-
rebbe introdurre una modifica concernente i diritti di voto “di diritto”, an-
corché indiretta, per chi non potrà beneficiare del potenziamento del voto,
per cui il riconoscimento del recesso dipenderebbe da come si interpreta
l’art. 2437, primo comma, lett. g) cod. civ. (cioè se si ritiene di poter dare
N. LINCIANO , La deviazione dal principio “un’azione – un voto” , cit., che ha evident e-
mente ispirato il legislatore del 2014, sembra riferirsi a tutte le azioni ordinarie con diritto
di voto quando tratta delle loyalty shares , spec. pp. 37 e 53; N. ABRIANI , Azioni a voto
plurimo e maggiorazione del diritto di voto, cit., per il quale l’art. 127- quinquies introdu-
ce solo una modifica della regola di attribuzione del voto destinata a valere per tutti i so ci;
e questo spiegherebbe lo spiccato favore del legislatore verso il meccanismo in esame
(quorum agevolato fino al 31 gennaio 2015 ed esclusione del recesso dei soci non con-
senzienti all’introduzione della maggiorazione); Atto congiunto Banca d’Italia – Consob,
cit., pp. 459-460, ove anche qui ci si riferisce a tutti i soci; M. BIANCHINI , Novità in tema
di disciplina delle società “quotate” , cit., p. 1388; M. LAMANDINI , Voto plurimo, tutela
delle minoranze e offerte pubbliche di acquisto , cit., p. 5; C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a
voto maggiorato , cit., p. 785: «[…] l’attribuzione del voto maggiorato riguarda le azioni
con diritto di voto nella specifica sede assembleare, e non la categoria di azioni, e quindi
ogni distinzione basata sulla titolarità di un certo tipo di azione sarebbe inammissibile
(ed in violazione della parità di trattamento) »; DALLAS – J.M. BARRY , Long-Term
Shareholders, cit., per i quali il meccanismo che premia i long-term shareholders , rigua r-
da tutti i soci, p. 9: « In contrast, under TPV, each shareholder has access to shares with
superior voting rights » (enfasi aggiunta); M. GERMAIN – V. MAGNIER , Les sociétés com-
merciales , cit., p. 376: « La société qui prévoit le vote double ne peut pas le réserver à
certains actionnaires ».
Anche negli statuti delle società che per prime hanno modificato le regole di attribuzione
del voto (v. nt. 55) si fa riferimento all’intero capitale sociale. MAIRE TECNIMONT
S.P.A. riferisce la maggiorazione del voto ai titolari di azioni ordinarie (cioè l’intero capi-
tale, considerando l’assenza di azioni fornite di diritti diversi).
77 Rubrica legis non est lex, ma può essere utilizzata a fini interpretativi.
70
rilevanza anche alle modifiche “di diritto” indirette o addirittura alle mod i-
fiche “di fatto”). La sensaz ione è che le minoranze potrebbero essere seria-
mente pregiudicate qualora non si riconoscesse loro la possibilità di acced e-
re al beneficio, proprio perché il recesso è stato recisamente escluso; ragion
per cui si preferisce concepire la maggiorazione del voto come una prerog a-
tiva accessibile a tutti i soci a prescindere dal tipo di azioni possedute78.
E infine, la stessa relazione accompagnatoria si riferisce ad un « voto mag-
giorato, con un limite di due voti, per tutte le azioni detenute da uno stesso
azioni sta per un periodo consecutivo indicato nello statuto »79 (enfasi a g-
giunta).
Ciò detto, è auspicabile che anche nella pratica la clausola del voto maggi o-
rato riguarderà tutte le azioni, anche perché riservarla solo ad una categoria
significa “procedimentalizzare” ancor di più la vita societaria, rallentandone
la fluidità del funzionamento, stante la la vigenza dell’art. 2376 cod. civ80.
Si consideri poi, al proposito, che a questa ipotetica categoria potrebbe cor-
rispondere un’assemblea speciale (art. 2376 cod. civ.) a cui apparterebbero
contemporaneamente azionisti con diritti diversi, e cioè chi ha già maturato
il voto maggiorato e chi è titolare solo di un’aspettativa (proprio perché le
loyalty shares non sono una categoria, per cui non si applica la discipl ina
connessa); e non è detto che gli interessi siano coincidenti. Ad esempio se si
volesse intervenire statutariamente allungando i termini del possesso nece s-
sario per l’acquisto del beneficio potrebbe prospettarsi un conflitto tra chi
ha già maturato il beneficio (e intenzionato ad aggravare, per gli altri soci, i
presupposti per ottenerlo) e chi no; il tutto in seno ad un’organizzazione
concepita per tutelare gli interessi (coincidenti) degli appartenenti.
In definitiva, e concludendo, si ritiene preferib ile ritenere che la maggior a-
zione del voto sia un diverso criterio attributivo del voto valevole in gener a-
le, un beneficio “conquistato” dal socio meritevole ed esprimibile in ogni
occasione di delibera assembleare nella quale egli abbia diritto di voto,
78 N. ABRIANI , Azioni a voto plurimo e maggiorazione del diritto di voto , cit., p. 16.
Valgono anche qui le considerazioni svolte in precedenza a proposito del diritto di opzio-
ne e della sua utilità (potenziale però) a fini protettivi, con l’aggiunta che nelle società
quotate esso può essere limitato nell’ulterio re ipotesi di cui all’art. 2441, terzo comma,
cod. civ.
79 Relazione contenuta nell’Atto del Senato n. 1541, cit., p. 33.
80 Osservazione fatta anche da P. GROSSO , Categorie di azioni ed assemblee speciali , Mi-
lano, Giuffrè, 1999, p. 43.
71
eventualmente escluso non in ragione della specie di azioni possedute ma
dell’oggetto della deliberazione.
6. Problematiche sul diritto di recesso.
Ai sensi dell’art. 127- quinquies , sesto comma, TUF, la deliberazione di
modifica dello statuto che introduc e la maggiorazione del voto non dà diri t-
to al recesso.
La scelta di politica legislativa, intesa a creare un regime agevolativo
all’introduzione della clausola, è sicuramente netta e inequivocabile; ciò
nonostante anche in questo caso si pongono alcuni interrogativi e riflessio-
ni.
Già sul piano dell’opportunità (se non addirittura della legittimità costit u-
zionale) di questa scelta si potrebbero avere delle perplessità, considerando
che l’istituto del recesso è una delle forme di tutela delle minoranze81.
Come noto, prima della riforma organica del 2003 il recesso del socio di
società di capitali aveva un ruolo marginale ed era visto con sfavore, stante
la sua potenziale forza disgregatrice e il deflusso di liquidità che ne deriva
81 E infatti v. M. VENTORUZZO , Modifiche di diritto , cit., p. 1070; I D., Un’azione, un vo-
to:, cit., p. 524; ID., The Desappearing Taboo of Multiple Voting Shares , cit., p. 15. Ne ri-
levano la illegittimità costituzionale M. LIBERTINI , intervento al seminario Problemi
d’attual ità, cit., p. 247; V. CARIELLO , Azioni a voto potenziato , cit., p. 195 alla nt. 100; G.
GUIZZI , La maggiorazione del diritto di voto nelle società quotate: qualche riflessione s i-
stematica, Corriere giur. , 2/2015, pp. 159 ss., il quale ne ravvisa una possibile illegitt i-
mità sotto il profilo della violazione dello statuto della proprietà delineat o dall’art. 42; e
prima ancora reputa l’esclusione del recesso una scelta distonica al punto che sembrereb-
be lecito chiedersi – ricordando le parole di Ascarelli – se non sia possibile una lettura
della norma che la rendi « diversa dalla sua prima intelligenza; la adatti e la modifichi; la
sviluppi o la riduca, sicché la condanna morale non si eriga eticamente contro la norma
negandola, ma si faccia operosa interpretandola ».
Prima della riforma S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D. D’E RAMO – N. LINCIANO , La de-
viazione dal principio “un’azione – un voto” , cit., p. 62 ritenevano che il recesso avrebbe
potuto, tra gli altri strumenti, tutelare le minoranze; v. anche Audizione del presidente de l-
la Consob, cit., il quale sollecitò ad una riflessione sull’art. 127- quinquies nella parte in
cui esclude il diritto di recesso in caso di introduzione per via statutaria delle azioni a v o-
to maggiorato.
Sulla stampa quotidiana molto critico fu anche L. ENRIQUES , in risposta alle domande di
G. NEGRI , cit.
72
dal suo esercizio82.
La situazione cambia notevolmente nel 2003, con un deciso ampliamento
delle ipotesi di recesso83 e con l’aggiornamento dei criteri di determinazi o-
ne del valore delle azioni; criteri, quelli precedenti, indubbiamente penali z-
zanti, soprattutto per le società non quotate, stante l’esclusivo riferimento al
patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio84.
Ciò che a noi interessa è che, tra le cause di recesso elencate dall’art. 2437,
primo comma, cod. civ., alla lett. g) vi sono anche «le modificazioni con-
cernenti i diritti di voto o di partecipazione ». La norma, per come è stata
confezionata, non brilla per chiarezza85, non essendo chiaro a che cosa si ri-
ferisse il legislatore con l’infelice espressione “diritti di partecipazione”86; e
82 In questi termini V. DI CATALDO , Il recesso del socio di società per azioni , in Il nuovo
diritto delle società . Liber amicorum Gian Franco Campobasso , P. ABBADESSA – G.B.
PORTALE (diret to da), v. III, Torino, UTET, 2007, p. 219; M. MAUGERI – H. FLEISCHER ,
Problemi giuridici in tema di valutazione delle azioni del socio recedente: un confronto
tra diritto tedesco e diritto italiano , Riv. soc ., 2013, p. 82.
83 Cfr. Relazione alla riforma del 2003, cit., § 9, Della disciplina del recesso: « La delega
prevede che la disciplina del recesso sia rivista nel senso di consentire allo statuto di
ampliare le cause di recesso, e di individuare criteri di determinazione del valore della
partecipazione d el recedente che contemperino i suoi interessi e l’esigenza di tutelare
l’integrità del capitale sociale e gli interessi dei creditori, il tutto nel quadro di una con-
cezione del recesso come estremo, ma efficace mezzo di tutela del socio avverso cambi a-
menti sostanziali dell’operazione cui partecipa ».
84 Cfr. la Relazione citata (v. Ibid.): «All’art. 2437 -ter le modalità di determinazione del
valore della quota del recedente, fortemente penalizzanti nell’attuale disciplina, costitu i-
scono grave problema, tra ttandosi di conciliare un atto, ed un intento, liquidatorio, quale
quello del socio, con i caratteri di una società, di un’impresa, in esercizio, e le due pr o-
spettive: liquidazione e continuità sono in contrasto » (enfasi aggiunta).
85 Già L. ENRIQUES lo notò in Audizione dinanzi alle Commissioni Giustizia e Finanze
riunite in tema di Riforma del diritto societario , 27 novembre 2002, consultabile
all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=1463255 , p. 14, paventando rischi di contenzioso
dal momento in cui si fanno dipendere diritti soggettivi da aggettivi così indefiniti.
86 Stante l’opposizione con i diritti di voto, il legislatore potrebbe essersi riferito ai soli d i-
ritti patrimoniali (così M. QUARANTA , sub art. 2437, in Codice civile commentato , cit., p.
903; A. PACIELLO , sub art. 2437, Società di capitali , Commentario Niccolini – Stagno
d’Alcontres , cit., p. 1114; M. VENTORUZZO , Recesso e valore della partecipazione nelle
società di capitali, Milano, Giuffrè, 2012, pp. 15 ss.) ma tale indirizzo sembra scontare
una irragionevole discriminazione, nell’ambito dei diritti di partecipazione, tra diritti
amministrativi e patrimoniali, considerata l’ampia dicitura prescelta ( L. CAVALAGLIO ,
sub art. 2437, D. SANTOSUOSSO (a cura di), Delle società – dell’azienda – della conco r-
73
anche con riferimento alle modificazioni concernenti i diritti di voto si sono
sollevati dei dubbi, per esempio circa la possibilità di farvi rientrare le mo-
difiche del sistema di amministrazione e controllo87.
In questa sede, a noi non interessa indagare sull’ampiezza complessiva di
tale formulazione, bensì sulle (sole) modificazioni concernenti i diritti di
voto.
Ma procediamo con ordine, riportando gli orientamenti interpretativi che si
sono sviluppati, nel tentativo, poi, di valutare la portata dell’art. 127-
quinquies , sesto comma, TUF sulle modificazioni concernenti i diritti di vo-
to.
Il diritto di recesso è un importante strumento di protezione del socio, i cui
effetti, però, mal si conciliano con l’interesse conservativo della società e
del patrimonio sociale; da ciò la generale tendenza a proporre interpretazio-
ni restrittive, nonostante l’ampiezza dell’espressione usata nell’art. 2347,
primo comma. lett. g).
Una prima considerazione riguarda l’effetto della deliberazione che legitti-
merebbe il recesso. La norma par la di « modificazioni » concernenti i diritti
di voto, per cui non limita l’operatività del recesso al solo pregiudizio: la
modifica è un termine neutro che può implicare alterazioni sia in peius che
in melius88. Stante però l’avvertita esigenza di contempera re i vari interessi,
vi è chi ritiene necessario che la modifica debba avere un effetto pregiud i-
zievole affinché il rimedio del recesso sia attivabile89.
La tesi è interessante, ma contrasta troppo frontalmente la lettera della leg-
renza, artt. 2379-2451 , in Commentario del codice civile , E. GABRIELLI (diretto da), To-
rino, UTET, 2015, pp. 1185-1186; A. POSTIGLIONE , sub art. 2437, Codice delle società ,
N. ABRIANI (a cura di), in I codici commentati Bonilini – Confortini , II ed., Torino,
UTET, 2016, p. 1619).
87 M. VENTORUZZO , Recesso e valore della partecipazione , cit., p. 17.
88 G. D’A TTORRE , Il principio di uguaglianza , cit., pp. 236 ss.; M. VENTORUZZO , Modif i-
che di diritto , cit., pp. 1058 ss., secondo il quale ogni alterazione rileva poiché « questo è
un tratto caratterizzante la disciplina del recesso, nella quale il legislatore si astiene dal
richiedere una valutazione generale dell’impatto degli eventi che aprono la porta all’exit,
rimettendo tale giudizio al singolo socio »; A. ABU AWWAD , I «diritti di voto e di partec i-
pazione» fra recesso e assemblee speciali , Banca borsa tit. cred ., fasc. 3, 2009, p. 321 ss;
M. QUARANTA , sub art. 2437, in Codice civile commentato , cit., p. 903.
89 R. CUGNASCO , La maggiorazione del dividendo , cit., pp. 953-954, e in particolare la nt.
123 dove si indica la dottrina cui l’autore aderisce; P. MARCHETTI , Commento all’art. 20
del d.l. competitività , cit., p. 10.
74
ge, la quale non sembra affatto precludere al socio il disinvestimento a fron-
te di cambiamenti sostanziali significativi dell’operazione societaria cui
partecipa, ancorché in ipotesi neutri o addirittura migliorativi90.
Una seconda considerazione riguarda l’intensità della modificaz ione, e cioè
ci si chiede se sia necessaria un’alterazione concernente i diritti di voto d i-
retta oppure se basti una modifica anche solo indiretta o addirittura “di fat-
to”. Anche in questo caso l’ampiezza della formula legislativa sembra d e-
porre per la seconda soluzione91, tuttavia risulta evidente l’opportunità di
90 È la stessa Relazione alla riforma del 2003, cit., § 9 che definisce il recesso come
«estremo, ma efficace mezzo di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali
dell’operazione cui partecipa ». Non si allude a cambiamenti pregiudizievoli, come av-
viene nell’art. 2376 cod. civ. E anche in Cass. civ., sez. I, 8 novembre 2005, n. 21641, in
Rep. Foro. it., 2006 , n. 856, si definisce il recesso come contrappeso al principio maggi o-
ritario che regge il funzionamento della s.p.a., il quale consente al socio che si veda imp o-
sta la modifica delle basi essenziali dell’organizzazione di liquidare il proprio investime n-
to.
Rimane il fatto che difficilmente il socio deciderà di recedere a fronte di modifiche m i-
gliorative.
Queste considerazioni inducono a riflettere sullo scopo del recesso che, stante
l’eterogeneità delle situazioni legittimanti, potrebbero essere vari, non riducendosi es clu-
sivamente a strumento di difesa. V. sul punto V. DI CATALDO , Il recesso del socio , cit.,
pp. 223-224; M. MAUGERI – H. FLEISCHER , Problemi giuridici in tema di valutazione de l-
le azioni del socio recedente , cit., pp. 84-85, secondo i quali il recesso deve intendersi
come strumento di exit a fronte di cambiamenti significativi e a condizioni non influenz a-
te dall’operazione; per osservazioni sull’ordinamento statunitense cfr. B.M. WERTHE I-
MER, The shareholders’ appraisal remedy and how courts determine fair value , in 47 Du-
ke Law Journal, v. 4, 1998, consultabile all’indirizzo: http://scholarship.law.duke.edu/cgi
/viewcontent.cgi?article=1023&context=dljpp , pp. 613 ss., dove si individua la ragione
storica dell’appraisal remedy e anche che oggi esso serve « different purposes ».
Sul fatto che un regime del recesso più favorevole attragga finanziamenti in quanto rende
il disinvestimento più rapido v. L. DELLI PRISCOLI , Delle modificazioni dello statuto. D i-
ritto di recesso. Artt. 2437-2437 sexies, in Commentario al codice civile , P. SCHLESINGER
(fonda to da), F.D. BUSNELLI (diretto da), Milano, Giuffrè, 2013, p. 8. L’osservazione
sembra valere per le società non quotate.
91 Cfr. Consiglio Notarile di Roma, massima n. 2, Recesso del socio di S.p.A ex art. 2437,
primo comma, lett. g) dove si escludono solo « le ipotesi di modifica della situazione “di
fatto” del socio a seguito di delibere legittimamente adottate, anche quando esse incida-
no sul rilievo della sua partecipazione nella compagine sociale (ad es., in caso di aumen-
to a pagamento del capitale che il socio non possa o non voglia sottoscrivere) »; App. M i-
lano, 12 marzo 2002, in Rep. Foro it., n. 860; L. CAVALAGLIO , sub art. 2437, Delle soci e-
75
contenere l’ambito di operatività del recesso, posto il rischio che un suo uso
massiccio può comportare92.
Con la riforma del 2003 le cause di recesso sono state ampliate e inoltre so-
no stati indiv iduati criteri di valutazione delle azioni più idonei; pare corre t-
to dunque propendere per un’interpretazione più rigorosa, almeno per r a-
gioni di certezza applicativa93.
Stante una certa larghezza con cui si può intendere l’esatta nozione di mod i-
fica di fat to e indiretta dei diritti concernenti il voto, se si analizza l’art.
127-quinquies , sesto comma, TUF è fisiologico constatare che in dottrina vi
sia stato chi abbia attribuito all’esclusione del recesso ivi contemplata natu-
ra ricognitiva e chi invece le abbia dato una valenza più pregnante, finali z-
zata a derogare la disciplina dell’art. 2437 cod. civ. che altrimenti avrebbe
trovato applicazione94.
tà – dell’azienda – della concorrenza, artt. 2379-2451 , cit., p. 1185, anche secondo il
quale il recesso non può essere riconosciuto a incisioni “di fatto”.
92 Optano per una limitazione del recesso alle sole modifiche “di diritto” dirette, tra gli a l-
tri, G. D’A TTORRE , Il principio di uguaglianza , cit., pp. 236 ss.; V. DI CATALDO , Il re-
cesso del socio , cit., p. 228; V. CALANDRA BUONAURA , Il recesso del socio di società di
capitali, Giur. comm ., 2005, I, p. 295.
93 Così anche M. VENTORUZZO , Modifiche di diritto , cit., pp. 1058 ss., spec. alla nt. 7.
La diminuzione della tutela dei creditori mediante interpretazioni restri ttive della discipl i-
na del recesso rileva fino ad un certo punto. Le loro ragioni sono presidiate sia da un pro-
cedimento di liquidazione scandito in maniera tale da comportare un’incidenza sul capit a-
le sociale solo come estrema ratio ; sia dalla possibilità di fare opposizione alla deliber a-
zione di riduzione del capitale sociale, con conseguente scioglimento della so cietà. E ciò
a maggior ragione se si ritiene che l’effetto dello scioglimento disposto su accoglimento
dell’opposizione sia anche quello di postergare la soddisfazione del socio recedente a
quella dei creditori sociali, come sostiene parte della dottrina (v., ad esempio, M. GUER-
RINI, sub art. 2437- quater , Commentario delle società , cit., p. 841; V. CALANDRA BUO-
NAURA , Il recesso del socio , cit., p. 307). Ma il punto non è pacifico: vi è chi sostiene che
lo scioglimento disposto su opposizione dei creditori travolga il recesso, mentre altri r i-
tengono che quest’ultimo mantenga la sua efficacia cosicché il socio recedente possa
concorrere con gli altri creditori nella liquidazione della società, senza essere postergato
ad essi (v., ad esempio, L. CAVALAGLIO , sub art. 2437- quater , Delle società –
dell’azienda – della concorrenza, artt. 2379-2451 , cit., p. 1215).
Aggiungiamo che se si arriva allo scioglimento della società forse è anche un bene per il
sistema delle imprese: significa che la società non è più appetibile, per cui meglio che le
risorse ivi investite vengano indirizzate verso società più attraenti.
94 In assenza della espressa previsione, il recesso si sarebbe dovuto riconoscere per M.
76
L’impressione è che se la clausola del voto maggiorato dovesse riguardare
tutte le azioni, il depotenziamento d el potere deliberativo che un socio con-
cretamente potrebbe subire sarebbe di mero fatto, posto che a tutti viene d a-
ta la possibilità di “maggiorare” il voto. Se ciò non avviene è perché
l’azionista non ha voluto chiedere l’iscrizione nell’apposito elenco di cui
all’art. 127- quinquies , secondo comma, TUF, o ha deciso di cedere le azioni
iscritte prima della maturazione del periodo necessario alla maggiorazione.
Se il legislatore ritiene così importante la stabilità degli investimenti,
l’esclusione del recesso ( ex art. 127- quinquies , sesto comma o ex art. 2437,
primo comma, lett. g) interpretato nel senso di escludere il recesso a fronte
di modificazioni “di fatto”) è un sacrificio accettabile.
Le cose cambiano se lo statuto decidesse di premiare anche il poss esso an-
teriore alla data di iscrizione nell’elenco, così come consentito dall’art. 127-
quinquies, settimo comma, TUF95. Vi sarebbero dei soci che potrebbero p o-
tenziare il voto prima di altri in circostanze del tutto fortunate, pertanto qui
una maggiore tute la sarebbe stata opportuna, anche perché i soci che po-
trebbero beneficiare del computo del possesso anteriore sono per certo que l-
li già di controllo (principali artefici dell’introduzione della maggiorazione
del voto nello statuto), per definizione stabili e dunque presenti già da tem-
BIANCHINI , Novità in tema di disciplina delle società “quotate” , cit., pp. 1387-1388; Atto
congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 462; B. MASSELLA DUCCI
TERI, Il decreto competitività , cit., p. 484.; C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato ,
cit., p. 785 ss. Per E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p. 111, il recesso s a-
rebbe da escludere quando la maggiorazione interessi tutte le azioni emesse; dubitativo
nel caso in cui riguardi una categoria. Per M. LIBERTINI , intervento al seminario Problemi
d’attualità , cit., p. 247, la norma che esclude il recesso non è puramente ricognitiva; per
C. TEDESCHI , Le azioni a voto plurimo , cit., p. 1080, sembra avere valenza ricognitiva,
poiché nella maggiorazione del voto rileva lo status di colui che possiede le azioni, e non
le azioni in sé; per M. VENTORUZZO , Modifiche di diritto , cit., pp. 1058 ss., l’introduzione
della maggiorazione nello statuto integra una modifica di fatto e pert anto, coerentemente,
il legislatore esclude il recesso; Per P. MARCHETTI , Commento all’art. 20 del d.l. comp e-
titività , cit., pp. 9-10, l’art. 2437, primo comma, lett. g), cod. civ., trova applicazione
quando la delibera incide direttamente e negativamente sui diritti di voto. La maggior a-
zione comporta solo un depotenziamento indiretto, per cui il recesso si sarebbe dovuto
escludere anche senza un’espressa previsione.
95 Come notato da M. VENTORUZZO , Modifiche di diritto , cit., 1055 ss., secondo il quale
la differenza di trattamento discenderebbe dalla diversità di presupposti e cioè il diverso
periodo di possesso.
77
po nella compagine sociale alla data di introduzione della maggiorazione e
della quotazione96.
Va considerata anche la possibilità che il nuovo istituto non sortisca gli e f-
fetti positivi sperati e che, dunque, il valore della società diminuisca assie-
me alla sua appetibilità sui mercati (per esempio perché il socio di controllo
rafforza la sua posizione, potendo così abusare della stessa; oppure perché
gli investitori istituzionali tenderanno a non investire nella società).
Si potrebbe sostenere, in questi casi, che le minoranze trovino tutela proprio
nella liquidità delle azioni quotate, ma questa osservazione non sembra suf-
ficiente. Nella vendita delle azioni il socio lucrerà il valore di mercato delle
stesse (valore che potrebbe essersi deprezzato dopo l’introduzione della
maggiorazione); nel recesso il valore della liquidazione sarà determinato
secondo criteri diversi e più favorevoli, ai sensi dell’art. 2437- ter, terzo
comma, cod. civ.97.
Forse il legislatore avrebbe dovuto sì intervenire in tema di recesso, ma
96 La disposizione in esame è chiaramente stata concepita per incentivare la quotazione,
rendendola più attraente per la famiglia di controllo, ma forse sarebbe stata preferibile
una disciplina che disponesse interamente per il futuro, senza dare rilevanza ad elementi
antecedenti la sua entrata in vigore.
97 I. POLLASTRO , Voto plurimo e voto maggiorato: prime considerazioni su ricadute e
prospettive , in Il Nuovo Diritto delle Società , II, 2015, consultabile al sito www.centrore
s.org/wordpress/wp-content/uploads/2015/07/3-Pollastro-.pdf. , p. 57.
Certo, la capacità della media semestrale dei prezzi di chiusura di esprimere un valore
equo dipende molto dal mercato e dalla volatilità dei prezzi; non si esclude che i soci di
maggioranza riescano, attraverso i media , a deprimere il corso delle azioni nei mesi pre-
cedenti la deliberazione legittimante il recesso proprio per renderlo meno conveniente. V.
al riguardo P. PISCITELLO , “Valore di disinvestimento” e tutela del recedente nelle soci e-
tà per azioni, Riv. soc. , fasc. 5, 2015, pp. 835 ss.; B.M. WERTHEIMER , The shareholders’
appraisal remedy , cit., pp. 631 ss.; M. MAUGERI , Contratto, merca to e determinazione
del valore delle azioni nel recesso da società quotata , in “Osservatorio del diritto civile e
commerciale” , 2015, consultabile all’indirizzo: http://www.rivisteweb.it/doi/10.4478/804
10, pp. 113 ss., il quale invita a considerare gli effetti che i rumors sull’operazione posso-
no provocare, ragion per cui la legge avrebbe dovuto considerare la data del primo a n-
nuncio al mercato dell’operazione, «la quale può in vero precedere anche di diversi gio r-
ni quella di pubblicazione dell ’avviso di convocazione dell ’assemblea chiamata a delib e-
rare sull ’operazione fonte del recesso ».
Tuttavia l’obiettivo di immunizzare il valore del recesso dagli effetti dell’annuncio
dell’operazione c’è (v. M. MAUGERI – H. FLEISCHER , Problemi giuridici in tema di val u-
tazione delle azioni , cit., p. 94).
78
consentendolo espressamente anziché negarlo, almeno in certe situazioni
più delicate.
Un’ultima considerazione andrebbe fatta nel caso in cui si ritenesse possib i-
le riconoscere la maggiorazione solo ad una categoria di azioni (ipotesi che
in questa sede abbiamo preferito scartare). Qui la modifica concernente i di-
ritti di voto sembra sicuramente “di diritto”, ancorché indiretta, per chi non
potrà beneficiare del potenziamento del voto, per cui il riconoscimento del
reces so dipenderebbe, come visto, da come si interpreta l’art. 2437, primo
comma, lett. g) cod. civ98.
Il legislatore, però, come già anticipato, ha deciso di recidere categoric a-
mente la possibilità di recedere.
Nulla viene detto, invece, per le ipotesi di modif icazione o eliminazione
della clausola che prevede le loyalty shares99, e anche nelle prime prassi
statutarie le soluzioni adottate al riguardo non brillano per chiarezza100. La
98 E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p.111.
99 Nettamente favorevole al riconoscimento del recesso, stante la particolare rilevanza a s-
sunta dopo la riforma del 2003, B. MASSELLA DUCCI TERI, Il decreto competitività , cit.,
pp. 484 ss; favorevole anche Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015,
cit., p. 462; M. VENTORUZZO , Un’azione, un voto , cit., p. 524; E. MARCHISIO , la “mag-
giorazio ne” del voto , cit., p. 109; C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato , cit., pp.
785 ss.
Contrario invece P. MARCHETTI , Commento all’art. 20 del d.l. competitività , cit., p. 10,
secondo il quale rimarrebbe il presidio dell’abuso di maggioranza. Figura che però, ag-
giungiamo noi, risulta più sfuggente e dai confini meno certi. V. Cass. civ., sez. I, 12 d i-
cembre 2005, n. 27387, Rep. Foro. it., 2005 , n. 866, dove si fa riferimento al principio di
buona fede in senso oggettivo che deve improntare l’esecuzione del contratto di società,
per cui vi è abuso della regola di maggioranza – e dunque annullabilità della delibera –
quando essa non trovi giustificazione nell’interesse della società, per essere il voto ispir a-
to al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a
quello sociale; oppure quando vi sia un’intenzionale attività fraudolenta diretta a provoc a-
re la lesione dei diritti delle minoranze. Così anche Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2007, n.
15942, in Rep. Foro. it., 2008, n. 713; in tempi più recenti Cass. civ., sez. I, 26 ottobre
2010, n. 11151, in Rep. Foro. it., 2010 , n. 607.
Il presidio dell’abuso della maggioranza entra in gioco, ovviamente, anche in sede di i n-
troduzione della clausola del voto maggiorato.
100 In alcuni statuti, ad es. quelli di TerniEnergia S.p.A. (art. 6) e di Campari S.p.A. (art.
6), si dice che la modifica o la soppressione della clausola che prevede la maggiorazione
di voto non richiede che l’approvazione dell’assemblea straordinaria ai sensi di legge,
escludendo poi il diritto di recesso nella massima misura consentita dalla legge:
79
circostanza non ci sembra paragonabile all’introduzione della clausola: in
quest’ ultimo caso gli equilibri di voto possono mutare, ma in forza di un
“fatto”, ossia di diverse motivazioni legate all’investimento che ciascun so-
cio può liberamente compiere; nel primo caso, invece, con la soppressione o
modificazione peggiorativa della clausola della maggiorazione del voto, chi
ha maturato il beneficio lo perde e non per un cambiamento di strategia di
investimento, bensì per una scelta assembleare. Il voto maggiorato era stato
“conquistato” mantenendo la fedeltà alla società, magari perdendo occasio-
ni di guadagno significative in momenti in cui i corsi azionari avrebbero r e-
so la dismissione delle azioni vantaggiosa. Legittimo chiedersi, dunque, se
in questi casi il riconoscimento del recesso non sia opportuno, almeno da un
punto di vista economico o equitativo101, perché si andrebbe a penalizzare
proprio coloro che hanno dimostrato fedeltà alla società, con scelte di inve-
stimento meritevoli di riconoscimento.
Più sensato semmai escluderlo qualora il voto addizionale debba ancora e s-
sere maturato (per mancato decorso del termine richiesto), posto che in que-
sto caso vi è una semplice aspettativa. Va detto però che se un soggetto ha
deciso di investire in una società proprio per la particolare regola attributiva
del voto, confidando in una possibile maggior stabilità e in una lungimiran-
za maggiore del management, la soppressione del voto maggiorato potrebbe
non essere un cambiamento marginale; ci si potrebbe chiedere se anche in
questo caso il socio vada tutelato con la possibilità del recesso, o se la liqui-
dità dell’investimento in azioni quotate sia già una tutela sufficiente102.
Il fatto che il legislatore non abbia detto nulla circa la soppressio-
l’espressione usata è ambigua, e lascia spazio alle diverse interpretazioni. EX PRIVIA
S.P.A. lo esclude, ma la scelta è di dubbia portata percettiva dato che non spetta allo sta-
tuto dare interpretazioni restrittive alle fattispecie legislative di recesso.
101 In termini simili M. VENTORUZZO , Modifiche di diritto , cit., 1055 ss.
Il presupposto è che l’eliminazione della clausola comporti il venir meno della maggior a-
zione anche per chi l’ha già maturata, posto che si va a modificare un criterio di attribu-
zione del voto valevole per tutti. Viceversa il mantenimento violerebbe la parità di tratt a-
mento e potrebbe fungere da espediente con cui permettere cristallizzazioni del controllo,
motivo per cui le azioni a voto plurimo sono state vietate nelle società quotate.
102 R. CUGNASCO , La maggiorazione del dividendo , cit., pp. 944-945, a proposito del d i-
videndo maggiorato e prima dell’introduzione del comma 4- ter all’art. 127- quater del
TUF, ritiene possibile affermare, cautamente, il riconoscimento del recesso anche qualora
sia frustrata la sola prospettiva del beneficio.
80
ne/modificazione della clausola statutaria con cui si è introdotta la maggio-
razione del voto potrebbe essere indice della volontà di favorire la diffusi o-
ne e forse anche il mantenimento dell’istituto negli statuti societari; seppur
in modo sibillino, sembra quasi che vi sia stata la volontà di non escludere il
recesso in caso di soppressione del voto maggiora to proprio per la sua po s-
sibile capacità di condizionamento delle decisioni della maggioranza, e
dunque scoraggiare tale eventualità.
Ci si potrebbe domandare a questo punto se il beneficio del voto maggior a-
to possa giovare al socio che recede – per cause diverse dall’introduzione,
modificazione, soppressione della clausola ex art. 127- quinquies TUF – in
sede di determinazione del valore delle azioni per le quali è stato esercitato
il recesso103.
Posto che il criterio “principe”, ancorché non più esclusivo, per la determ i-
nazione del valore delle azioni recedute è la «media aritmetica dei prezzi di
chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero ricezione
dell’avviso di convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano
il recesso »104, e che da un punto di vista economico la maggiorazione in sé
non dà maggior valore alle azioni in quanto nel momento in cui vengono
scambiate il “diritto speciale” viene perso105 (anzi potrebbe deprezzarle se
al momento della loro vendita ci sono altre azioni che soddisfano le cond i-
zioni di maggiorazione: l’acquirente, almeno per i successivi due anni, po s-
103 La suggestione è posta anche da M. VENTORUZZO , The Desappearing Taboo of Mult i-
ple Voting Shares , cit., p. 16, che però lascia « open for future research »; per E. MARCH I-
SIO, la “maggiorazione” del voto , cit., p. 91, la maggiorazione del voto rileva in tutte le
vicende attinenti al procedimento deliberativo assembleare, ma solo in quelle, irrilevante
essendo – tra gli altri esempi – ai fini di commisurazione della quota di liquidazione in
caso di recesso, e a giustificazione di tale assunto sembra richimare l’art. 127- quinquies ,
ottavo comma, TUF.
L’opinione non ci sembra condivisibile, così come è stata esplicitata. Il legislatore ha
escluso che la maggiorazione abbia effetto sui diritti, diversi dal voto, spettanti in forza di
determinate aliquote di capitale, alludendo con ciò, in particolare modo, ai c.d. diritti del-
le minoranze. Ma il diritto alla liquidazio ne delle azioni per le quali è stato esercitato il
recesso non è un diritto che spetta in forza del possesso di determinate aliquote di capit a-
le, ma un diritto il cui ammontare spetta in relazione alle azioni per le quali si è deciso di
recedere. Ma quanto all’an, tale diritto di credito non è affatto subordinato al possesso di
determinate aliquote.
104 Art. 2437- ter, terzo comma, cod. civ.
105 M.S. SPOLIDORO , Il voto plurimo, cit., p. 16.
81
sederà azioni che danno minori diritti di voto106), in sede di valutazione del
valore delle azioni il privilegio non avrà nessun peso107.
Se grazie a questo nuovo istituto la società migliorerà le proprie performan-
ce allora le azioni saranno valutate maggiormente, ma non è il premio di f e-
deltà a rilevare direttamente.
Stessa conclusione sembra esserci nel caso in cui lo statuto contempli criteri
di valutazione diversi. Pare difficile che tra gli « elementi suscettibili di va-
lutazione patrimoniale »108 si decida di inserire anche il premio di fedeltà
maturato dal recedente. Sul piano endosocietario le sue azioni valgono di
più, perché danno un peso maggiore, ma non si tratta di un valore reale, e f-
fettivo, monetizzabile109. Certo, astrattamente, si potrebbe pensare che nello
statuto si decida di adottare criteri valutativi particolarmente favorevoli per
premiare (nuovamente, anche in sede di recesso) il socio per la fedeltà d i-
mostrata e forse sarebbe uno spostamento di ricchezza giustificato, oltre che
un’agevolazione all’afflusso di capitali. Sembrerebbe difficile però che in
sede di liquidazione si possano considerare le condizioni soggettive del r e-
cedente, perché difficilmente quantificabili; a meno che non si individuino
coefficienti correttivi che tengano conto della durata dell’investimento (e
dunque un elemento oggettivo), e si ritenga ammissibile un tale espediente.
Ora le società quotate possono prevedere che il valore di liquidazione sia
determinato anche secondo i criteri indicati dall’art. 2437- ter, primo com-
ma, cod. civ., tra i quali spiccano le prospettive reddituali. Anche in questo
caso è possibile che la maggiorazione del voto si rifletti positivamente su
tali prospettive reddituali e sul valore delle azioni, contribuendo a creare
una compagine azionaria interessata a creare valore nel lungo periodo, ma
non è il voto aggiuntivo che rileva direttamente nella determinazione del
valore delle azioni recedute.
Ricordiamo che il recesso, come abbiamo già avuto modo di dire, ha un po-
tere drenante, per cui prevedere criteri valutativi più favorevoli di quello l e-
106 C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato , cit., p. 785 ss.
107 Almeno qualora si intenda la maggiorazione del voto come criterio attributivo del voto
valevole per tutte le azioni, secondo l’impostazione seguita in questa sede.
108 Art. 2437- ter, quarto comma, cod. civ., così come novellato dal decreto competitività.
109 M. LAMANDINI , Voto plurimo, tutela delle minoranze , e offerte pubbliche di acquisto ,
cit., p. 3 parla infatti di un « valore di uso » in contrapposizione ad un « valore di scambio »
non valorizzabile.
82
gale ha un costo che ne disincentiva l’introduzione.
Se poi si condivide la tesi secondo cui anche in sede di recesso l’azione
quotata viene in rilievo come bene autonomamente negoziabile, in una pro-
spettiva che ricerchi il valore di scambio anziché quello reale, intrinseco110,
è chiaro che il voto maggiorato non si sostanzierà nella valutazione delle
azioni recedute, per la ragione già detta, ovvero che il mutamento di titolar i-
tà comporta il venir meno del beneficio corporativo, per cui non è moneti z-
zabile.
È semmai l’analisi dell’art. 2437- quater , cod. civ., che potrebbe prospettare
una suggestione interessante. Le azioni del socio recedente – si legge al
primo comma – devono essere offerte in opzione agli altri soci in propo r-
zione al numero delle azioni possedute.
A pensarci bene la circostanza non è così lontana – per quel che ci interessa
– da quella dell’aumento di capitale a pagamento (sul quale v. infra ); chia-
ramente in caso di recesso non c’è un aumento di capitale, anzi il proced i-
mento di liquidazione può comportare una sua riduzione, ma a parte ciò ci
sono delle affinità.
Innanzitutto la previsione, in entramb e le fattispecie, del diritto di opzione:
istituto previsto per tutelare i soci dal possibile ingresso di azionisti non
graditi e al contempo per conservare le gerarchie di potere preesistenti.
Si consideri poi che in caso di aumento di capitale mediante nuovi confer i-
menti lo statuto può prevedere – ex art. 127- quinquies , quarto comma, TUF
– che la maggiorazione del voto si estenda proporzionalmente alle nuove
azioni e questo, sembrerebbe, per premiare il socio che non solo si rivela d i-
sponibile a mantenere l’investimento delle proprie azioni, ma addirittura a
investire nuove risorse111.
Ecco che allora ci si potrebbe chiedere se la maggiorazione del voto possa
essere conservata anche relativamente alle azioni per le quali è stato eserc i-
tato il diritto di recesso e che successivamente siano state acquistate,
nell’esercizio del diritto di opzione, da un azionista già titolare di azioni a
voto maggiorato, in ragione di quest’ultime (la maggiorazione si estende
«proporzionalmente » dice la norma). Questa opzione ermeneutica, sebbene
110 M. MAUGERI – H. FLEISCHER , Problemi giuridici in tema di valutazione delle azioni ,
cit., p. 96.
111 Per E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p. 102, tale clausola sarebbe vir-
tuosa perché rappresenterebbe un incentivo a sottoscrivere nuove partecipazioni.
83
non prevista dal legislatore, sarebbe giustificata dalle similitudini con
l’aumento di capitale a pagamento: da un lato il riconoscimento del diritto
di opzione, dall’altro la disponibilità del socio “fedele” di investire ulteriori
risorse a beneficio della solidità e di una migliore patrimonializzazione de l-
la società112.
Se ciò fosse possibile, ecco che in questo caso la maggiorazione del voto
potrebbe essere valutata in sede di liquidazione perché non verrebbe meno a
seguito del recesso e nonostante il mutamento di titolarità.
Quest’ultima circostanza dovrebbe portare ad escludere la conservazione
della maggiorazione del voto (art. 127- quinquies , terzo comma, TUF), ma è
pur vero che un conto è il cambio di proprietà derivante da una vendita
(operazione potenzialmente speculativa, o con cui si potrebbero ricercare
guadagni nel breve termine), altra cosa è il cambio di proprietà conseguente
al recesso (che può essere esercitato solo in ipotesi tassative e non è
un’opzione agevolmente accessibile come la vendita di azioni quotate; inol-
tre nella prospettiva del socio acquirente con esercizio del diritto di opzio-
ne, l’acquisto potrebbe rivelarsi “obbligato”, mosso dal timore che la nece s-
sità di rimborsare il socio receduto possa condurre ad un depauperamento
della società o addirittura allo scioglimento).
Vero, poi, che l’art. 2437- ter, quinto comma, cod. civ., impone agli amm i-
nistratori di rendere nota la determinazione del valore delle azioni almeno
quindici giorni prima della data fissata per l’assemblea chiamata ad assum e-
re la deliberazione che determinerebbe il diritto di recedere dalla società; e
la suggestione che si è prospettata è di per sé incerta poiché non si può pr e-
vedere il destino delle azioni per le quali è stato esercitato il recesso, per cui
incerto è anche il quantum della liquidazione (se le azioni dovessero essere
acquistate da terzi, ad esempio, il voto maggiorato verrebbe perso e non s a-
rebbe valorizzatile in sede di liquidazione). Però gli amministratori ben p o-
trebbero individuare un valore unitario dell’azione e poi rettificarlo113 in
112 Nell’aumento di capitale la sottoscrizione di nuove azioni consente l’acquisizione di
nuove risorse soggette al regime giuridico proprio delle risorse imputate a capitale, men-
tre nel caso del recesso l’esercizio del diritto di opzione impedisce il possibile effetto dr e-
nante che potrebbe verificarsi nell’ev entualità in cui si dovesse procedere al rimborso
mediante acquisto da parte della società ovvero riduzione del capitale.
113 Sulla possibilità di una rettifica, e a proposito dell’ammissibilità o meno degli sconti di
minoranza e dei premi di maggioranza, v. M. MAUGERI – H. FLEISCHER , Problemi giur i-
dici in tema di valutazione delle azioni , cit., pp. 98-99; contra A. POSTIGLIONE , sub art.
84
aumento in caso di eserci zio del diritto di opzione da parte di un socio già
titolare di azioni a voto maggiorato.
Si noti, per inciso, che anche nel caso in cui il recesso non venga esercitato
con riferimento a loyalty shares si potrebbe prospettare l’estensione della
maggiorazione di cui abbiamo dato conto, e per la medesima ratio esplicata
in precedenza.
In questi casi, ovviamente, è necessaria una clausola statutaria che consenta
tali eventualità, ma se così fosse la disciplina che caratterizza l’aumento di
capitale a pagamento in una società che abbia recepito il voto maggiorato
potrebbe essere applicata estensivamente, per identità di ratio , in caso di re-
cesso e successivo esercizio del diritto di opzione da parte di un socio d e-
tentore di azioni a voto maggiorato (ferma restando la specificità e la dive r-
sità dei due istituti, recesso da un lato, aumento di capitale dall’altro).
7. L’esclusione dalla quotazione.
Nel caso di esclusione dalla quotazione la disciplina del voto maggiorato
non dovrebbe più trovare applicazione114 e l’art. 2437- quinquies cod. civ.
concede ai soci che non hanno concorso alla deliberazione il diritto di r e-
cesso, ma come abbiamo visto in tale circostanza il voto maggiorato even-
tualmente maturato non pare essere valorizzabile economicamente in sede
di liquidazione delle azioni.
Tuttavia suscita un interrogativo la lettura dell’art. 145, secondo comma,
TUF, in forza del quale lo statuto deve determinare i diritti compensativi a
favore degli azionisti di risparmio in caso di delisting.
Il legislatore non ha riprodotto tale disposizione nella disciplina del voto
maggiorato, a conferma, forse, del valore puramente endosocietario di tale
istituto, finalizzato esclusivamente a rilevare nell’esercizio del diritto di vo-
to.
L’applicazione analogica, sul presupposto di una lacuna da colmare, sembra
una via difficilmente percorribile.
2437- quater , Codice delle società , cit., p. 1639, secondo la quale in questi casi si ha una
vendita a prezzo imposto che non potrà essere né inferiore né superiore a quello stimato
dagli amministratori e reso noto in anticipo ex art. 2437- ter, quinto comma, cod. civ.
114 Molto opportunamente lo statuto di TECHNOGYM S.P.A. ha previsto questa eventu a-
lità (art. 7).
85
La ratio della disposizione dell’art. 145 TUF potrebbe consentire una tale
ricostruzione, poiché si tratterebbe in entrambi i casi di tutelare quei sogge t-
ti che subirebbero un pregiudizio dall’esclusione dalla quotazione. Ma le
due fattispecie (azioni di risparmio e voto maggiorato) sono molto diverse
da un punto di vista strutturale. Da un lato abbiamo delle azioni che costi-
tuiscono una categoria, e dunque dotate di particolari privilegi patrimoniali
riconosciuti in modo stabile; diritti speciali che vengono apprezzati sia in
sede di acquisto che di vendita delle azioni. Dall’altro lato abbiamo un “di-
ritto speciale” di cui è molto difficile fare una stima economica, diritto che
matura nel la sfera personale dell’azionista “fedele” e in essa esaurisce la
sua potenzialità, concedendo un potere di voice rafforzato. Diritto il cui ac-
cesso, tra l’altro, è assicurato a tutti gli azionisti che ne maturino i requisiti.
Nel caso di delisting di una s.p.a. con azioni a voto maggiorato, quella che
prima era un’azione ordinaria (o speciale) continuerà ad esserlo, con le me-
desime caratteristiche intrinseche di prima, in una situazione di parità con
gli altri soci (tutti o di categoria); il voto maggiorato si era rivelato sempl i-
cemente un arricchimento corporativo e non una privazione di qualche diri t-
to. Nel caso delle azioni di risparmio, invece, l’azionista aveva accettato la
privazione di un diritto significativo a fronte sia di privilegi patrimoniali
che della garanzia della quotazione, e dunque, conseguentemente,
dell’applicabilità di una normativa che assicura maggior trasparenza e ha
come scopo principale la tutela del mercato finanziario (e dunque degli in-
vestitori, quali sono gli azionisti di rispa rmio).
8. Considerazioni attorno alla tutela delle minoranze.
Il regime di favore, seppur temporaneo, per l’introduzione negli statuti delle
società quotate delle loyalty shares nonché l’esplicita esclusione del diritto
di recesso ai soci non consenzienti all’introduzione delle stesse, inducono
ad alcune riflessioni sulle tutele in favore dei soci di minoranza.
Più in generale, è la progressiva erosione del principio di correlazione tra ri-
schio e potere – da ultimo indebolito proprio dall’introduzione delle azioni
a voto plurimo e del voto maggiorato115 –, almeno nella misura in cui si ri-
115 Sin dai primissimi commenti riguardanti la novità legislativa del voto plurimo e del
voto maggiorato non si è mancato di sottolinearne la portata rivoluzionaria rispetto al no-
86
tenga che tale legame sia garanzia di una sana e prudente gestione116, a sol-
lecitare qualche consi derazione.
Il discorso si pone elettivamente per le società quotate, vista la loro apertura
ad una platea ampia di soci investitori che vedono le stesse come mera oc-
casione di investimento dei propri risparmi. Soggetti, questi, non solo privi
dell’animo imprenditoriale, ma anche spesso privi di una cultura finanziaria
che consenta loro di tutelare al meglio i propri interessi (almeno qualora
agiscano individualmente senza affidarsi a forme di gestione collettiva del
risparmio). Si tratta di investitori che, nella maggioranza dei casi, non sono
to principio “one share – one vote ”. E ciò non solo nella stampa quotidiana, a volte, per
quanto specializzata, avvezza ai sensazionalismi; ma anche in alcuni commenti dottrinali
(G. NEGRI , Società con voto “plurimo” , ne Il Sole 24 Ore del 26 giugno 2014, dove si
parla di principio “un’azione, un voto” che va in soffitta; A. BUSANI – M. SAGLIOCCA , Le
azioni non si contano, ma si “pesano” , cit., p. 1048, dove si scrive che «[n] on è infondato
osservare questa nuova legislazione come una sorta di “mini rivoluzione” nel nostro s i-
stema dei diritti degli azionisti »; M. SAGLIOCCA , Il definitivo tramonto del principio “un
azione, un voto” , cit., p. 921, secondo il quale « Il d.l. 24 giugno 2014, n. 91 […] ha pro-
dotto il definitivo “sgretolamento” del principio “un’azione, un voto”, sopravvissuto ai
precedenti interventi legislativi »).
Altra dottrina ha usato toni meno drastici: B. MASSELLA DUCCI TERI, Il decreto compet i-
tività , cit., p. 467, ritiene eccessivo parlare di rivoluzione; G. GUIZZI , La maggiorazione
del diritto di voto , cit., a p. 153, pur ponendo enfasi sul « superamento di un principio che
per oltre settant’anni […] ha costituito nel nostro sistema un vero e proprio dogma », ri-
corda che la cogenza della regola era stata g ià fortemente attenuata; in termini analoghi
M. VENTORUZZO , The Desappearing Taboo of Multiple Voting Shares, cit., dove si legge
a p. 2: « we should be careful in calling the introduction of MVS a revolution. MVS are an
important development that deserves consideration at a number of levels,but also before
August 2015 Italy did not follow a strict “one -share, one- vote” principle »; parla, più cau-
tamente, di discostamento anche M. BIANCHINI , Novità in tema di disciplina delle società
“quotate” , cit., pp. 1385 ss.; I. POLLASTRO , Voto plurimo e voto maggiorato , cit., pp. 43
ss., riconosce le importanti deroghe alla regola « un’azione=un voto » precedenti il decreto
competitività (enfasi aggiunta); M. BIONE , Il principio della corrispondenza tra potere e
rischio , cit., p. 272, esclude che non esista più nessuna correlazione tra rischi o e potere e
che dunque si deve parlare di « calar del sole e non di una vera e propria eclissi totale ».
116 M.S. SPOLIDORO , Il voto plurimo , cit., p. 4, asserisce che il riconoscimento di un pot e-
re maggiore a chi rischia di più (in termini deliberativi significa recepire il principio
“un’azione, un voto”) non è garanzia di una gestione più cauta poiché mancano indagini
empiriche che lo dimostrano e, anche se ci fossero, probabilmente non sarebbero signif i-
cative. I processi decisionali sono condizionati anche da interessi non economici, specie
nelle società che fanno capo ad una famiglia di riferimento.
87
interessati ad una partecipazione attiva nelle assemblee delle società e d e-
tengono percentuali ridotte di azioni; la maggiorazione del voto potrebbe
rivelarsi – per loro – un istituto di scarso interesse, consentendo così ai soci
di controllo di rafforzare il loro potere senza dover acquistare ulteriori azio-
ni (anzi potendo ridurre il rischio economico vendendo una parte delle
azioni in loro possesso, nella convinzione appunto che le azioni che costi-
tuiscono il flottante non recheranno voti aggiuntivi proprio per il disintere s-
se dei loro titolari).
Questo non toglie che l’attenzione vada posta anche nelle s.p.a. non quotate,
considerando che una combinazione tra azioni senza voto e azioni a voto
plurimo (nella loro massi ma potenzialità, ossia tre voti per azione) – appa-
rentemente non esclusa dalla legge117 – consente un controllo di diritto po s-
sedendo solo il 12,6 % del capitale118.
Il set di tutele c’è, ma – come è stato notato – un conto è la «law in the
books », altro è la «law in action »119; occorre anche indagare se nel diritto
vivente quelle regole trovino applicazione, se le tutele apprestate rispondo-
no alle esigenze concrete di protezione.
Si scoprirebbe così, ad esempio e per limitarsi ad alcuni riferimenti che non
andremo ad approfondire in questa sede, che l’esercizio dell’azione sociale
di responsabilità da parte della minoranza è rarissimo in Italia120 e che altri
117 Ma si v. M. LIBERTINI , in M. LIBERTINI – C. ANGELICI , Un dialogo su voto plurimo e
diritto di recesso, Riv. dir. comm ., 2015, I, pp. 1 ss., il quale esclude il cumulo in quanto
l’art. 2351, secondo comma, ult. periodo, deve essere interpretato non in senso formalist i-
co e letterale, ma come indicazione di principio. « Il principio capitalistico » – sostiene
l’autore – «non ha valore assoluto, ma rimane presente nel sistema e dev’essere quindi
preso sul serio ».
118 Certo, quel 12,5 % può sempre essere posseduto da un socio con particolari doti im-
prenditoriali e di onestà; del resto già J.J. Rouss eau insegnava che la volontà generale,
cioè quella che rappresenta i veri interessi di una determinata comunità, non sempre coin-
cide con la volontà della maggioranza. A volte essa è intuita da personalità di eccezione,
dotate di carisma.
Ma adducere inconveniens non est solvere argumentum.
119 M. CAMPOBASSO , La tutela delle minoranze nelle società quotate: dall’eterotutela alla
società per azioni “orizzontale” , in Banca, borsa, tit. cred ., 2015, fasc. 2, p. 145.
Per un’elencazione delle tutele si v. Ivi, pp. 139 ss.; S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D.
D’E RAMO – N. LINCIANO , Le deviazioni dal principio “un’azione – un voto” , cit., pp. 61
ss; P. MONTALENTI , La società quotata , cit., pp. 341 ss. ma passim.
120 M. CAMPOBASSO , La tutela delle minoranze , cit., p. 145. V. anche P. MONTALENTI , La
88
strumenti di tutela quali il diritto di chiedere la convocazione
dell’assemblea ex art. 2367, primo comma, cod. civ., oppure la denunzia al
tribunale ex art. 2409 cod. civ. richiedono soglie di capitale sociale non
sempre agevolmente raggiungibili in presenza di scarso coordinamento tra
piccoli azionisti.
Vi sono poi gli amministratori espressi dalle liste di minoranza e quelli in-
dipendenti a presidio di una corretta governance , soprattutto nelle società
quotate a proprietà azionaria concentrata121, ma è stato notato che questi
amministratori servono a poco se poi vengono catturati dai componenti “di
parte” e tendono a disinteressarsi e appiattirsi sugli orientamenti del mana-
gement122.
società quotata , cit., pp. 335 ss. e A A.VV., La responsabilità degli amministratori nelle
società di capitali , Padova, CEDAM, 2013, pp. 32 ss., dove si mette in luce che lo stru-
mento è eminentemente rivolto agli investitori istituzionali, vista la soglia di capitale r i-
chiesta. E che, se la stessa dovesse essere considerata una condizione dell’azione anziché
presupposto processuale, la quota legittimante l’esercizio dell’azione dovrebbe essere
mantenuta per tutta la durata del processo. Questo significherebbe annullare le potenzial i-
tà dell’istituto posto che gli investitori istituzionali preferiscono avere “le mani libere”.
L’esercizio dell’azione, inoltre, potrebbe avere effetti negativi sulla quotazione, con un
danno nei confronti dei clienti degli investitori professionali che potrebbe essere ripianato
solo nel lungo periodo. Da qui la preferenza per l’exit, piuttosto che intraprendere un pro-
cedimento verosimilmente lungo considerata la lentezza dei processi in Italia.
121 F. CHIAPPETTA , Diritto del governo societario . La corporate governance delle società
quotate , II ed., Padova, CEDAM, 2010, p. 151.
122 M. CAMPOBASSO , La tutela delle minoranze , cit., p. 146; P. BENAZZO , Controlli inte r-
ni, autonomia privata e collegio sindacale nelle società chiuse , in Il diritto delle società
oggi – Innovazioni e persistenze , P. BENAZZO – M. CERA – S. PATRIARCA (diretto da), To-
rino, UTET, 2011, p. 404.
Va detto che il concetto di indipendenza e le competenze degli amministratori “marchi a-
ti” da questo attributo non sono state trattate in modo organico. La fonte che ne parla in
modo più esaustivo è il Codice di Autodisciplina, ma traspare chiaramente la flessibilità e
la discrezionalità lasciate al consiglio di amministrazione circa le competen ze e le funzio-
ni da affidare agli indipendenti.
Insomma se ne sottolinea l’importanza, quasi a voler nobilitare le società che aderiscono
al Codice stesso, salvo poi essere più sfuggenti nello stabilire un perimetr o rigoroso di
questa figura di amministratore.
Non è mancato chi ha sottolineato le asimmetrie informative che complicano l’attività di
vigilanza degli indipendenti, nonché il fatto che spesso si metteno a loro disposizione in-
formazioni di complicata lettura senza un ragionevole preavviso (v. A A.VV., La respon-
sabilità degli amministratori nelle società di capitali , cit., p. 732).
89
Un ruolo di vigilanza è svolto poi dai sindaci, ma tale organo non è immune
da criticità, nonostante la presenza di presidi di indipendenza e profession a-
lità123.
In un contesto di criticità come quello sommariamente descritto e limitato
ad alcuni esempi, cui si aggiunge un quadro normativo che legittima il con-
trollo di società con rischi contenuti124, l’impressione è che spetterà alle a u-
Significativi sono anche i dati elaborati da uno studio di Assonime, La Corporate Gove r-
nance in Italia: autodisciplina, remunerazioni e comply- or-explain (anno 2014), consu l-
tabile all’indirizzo: http://www.assonime.it/AssonimeWeb2/dettaglio.jsp?id=256394&id
TipologiaDettaglio=374, dove emerge che gli amministratori indipendenti sono nett a-
mente meno pagati rispetto agli altri componenti del consiglio di amministrazione.
Difficile pensare che tale ruolo venga occupato da personalità di elevata qualità profe s-
sionale e autorevolezza se non vi sono adeguati incentivi; più probabile che tra i nominati
vi siano persone disinteressate e con poco stimolo.
123 P. MONTALENTI , La società quotata , cit., p. 255; F. CHIAPPETTA , Diritto del governo
societario , cit., pp. 202 ss.
Già M. PESCATORE – magistrato, processualista, filosofo del diritto, politico – a fine ’800,
nutriva dubbi sull’adeguatezza dell’istituto dei sindaci ad assicurare un effettivo controllo
sulla gestione (v. A.P. SCHIOPPA , Saggi di storia , cit., p. 179).
Sia consentito richiamare le parole di A. SCIALOJA , Il voto plurimo nelle società per azio-
ni, cit., col. 784, secondo cui « l’idea che i sindaci debbano essere indipendenti dagli a m-
ministratori si fonda su di un’illusione […]. La verità è che non si può chiedere ad un
istituto giuridico più di quanto possa dare secondo la natura delle cose ».
124 Quello dei mercati finanziari è un settore delicato, e la storia ce l’ha insegnato, presen-
tando il conto ad ogni crisi finanziaria e anche in occasioni di vicende meno sistemiche
riguardanti un numero più ristretto di investitori. Si rivolge al pubblico e ha implicazioni
macroeconomiche non trascurabili, ecco dunque che la politica non può disinteressarsene
perché la responsabilità non può che essere sua in presenza di fallimenti del mercato con
gravi ripercussioni sugli investitori. Eppure quando le cose vanno bene essa è facilmente
catturata da ciò che “luccica ” e dai soggetti vigilati, che in questi periodi di ricchezza a t-
traggono plausi e ammirazione; mentre quando le cose vanno male si avviano necessari
processi di riforma facilmente esposti a tendenze populistiche ( L. ENRIQUES , La gove r-
nance delle autorità di vigilanza dei mercati finanziari: teoria, strategie normative e
un’applicazione alla Consob, Giur. comm. , 2013, fasc. 6, pp. 1153 ss.). Con la cons e-
guenza, spesso denunciata, che le regole diventano troppe, le tendenze populistiche po r-
tano a regolamentazioni complesse, difficili da comprendere e dunque prosperano i « pa-
rassiti delle regole » (U. MORERA – N. RANGONE , Regole e regolatori in tempo di crisi , in
Profili di gestione delle crisi. Il mercato, Le Imprese, La Società , C. PATALANO – C. SAN-
TINI (a cura di), Padova, CEDAM, 2013, p. 451) cioè le burocrazie, gli studi legali, i con-
sulenti.
90
torità di vigilanza un ruolo cruciale e destinato ad accrescersi; ma allora,
nella misura in cui se ne estendono le competenze e si rafforzano i poteri,
va curata la loro governance interna, la congruità delle risorse umane125.
Occorre comunque prudenza. Nell’esaltazione di queste autorità si annidano
criticità non trascurabili: si pensi, ad esempio, ai rischi derivanti
dall’accentramento dei ruoli conflittuali di legislatore, applicatore, giudice,
nonché alle possibili derive di invasività delle autorità sulla gestione
dell’impresa societaria126. Si rischia di « amministrativizzare il diritto soci e-
tario », come ammonivano in passato alcuni studiosi127.
Nel TUF, l’informazione e la trasparenza hanno un ruolo centrale, a benef i-
cio del mercato e per consentire alla Consob di adempiere alle proprie fun-
zioni. Da qui obblighi di disclosure e di redazione di voluminosissimi rap-
porti annuali, che per una società sono un costo. « La luce del sole è il mi-
glior disinfettante »128, è vero, ma esperienze anche recenti ci hanno dimo-
strato che non sempre gli obblighi informativi sono sufficienti;
l’informativa troppo particolareggiata rischia di far sfuggire il quadro com-
plessivo e un eccesso di informazione può equivalere ad una carenza di in-
formazione.
Attenta dottrina ha messo in luce il rischio che l’autorità di controllo possa
«penetrare nel cuore decisionale dell’impresa »129 attraverso questi obbl i-
ghi, in specie tramite quelli di comunicazione imposti all’organo di contro l-
lo interno, il quale viene pesantemente sanzionato in caso di irregolarità
nell’adempimento dei doveri e nel caso di omissione delle comunicazioni
stesse.
125 L. ENRIQUES , La governance delle autorità di vigilanza , cit., pp. 1153 ss., dove si met-
te in luce come anche i regolatori sono essere umani mossi da interessi egoistici . Da ciò
interessanti spunti per migliorare il funzionamento della Consob: dalla selezione del pe r-
sonale alla sua motivazione; nonché l’opportunità di una maggiore trasparenza del pro-
cesso decisionale e dei contatti tra vertici delle autorità e lobbisti.
126 P. MARCHETTI , Il crescente ruolo delle autorità di controllo nella disciplina delle so-
cietà quotate, Riv. soc. , 2016, fasc. 1, pp. 33 ss.
127 Il riferimento è ad A. MIGNOLI e B. VISENTINI , richiamati da P. MONTALENTI , Corpo-
rate governance, sistema dei controlli interni e ruolo della Consob: da garante della tra-
sparenza a presidio della correttezza della gestione?, Riv. soc. , 2015, fasc. 1, pp. 120 ss.;
v. anche P. MARCHETTI , Il crescente ruolo delle autorità, cit., pp. 33 ss.
128 Sono le parole del giurista americano L. BRANDEIS .
129 P. MARCHETTI , Il crescente ruolo delle autorità di controllo , cit., pp. 33 ss.
91
Tra le funzioni ad esso affidate vi è anche la vigilanza « sul rispetto dei
principi di corretta amministrazione » (art. 149, primo comma, lettera b,
TUF), e qualora fossero ravvisate irregolarità deve comunica rle senza indu-
gio alla Consob (art. 149, terzo comma, TUF)130.
C’è il rischio che attraverso questo “pertugio” trapassino valutazioni di m e-
rito, ma se così fosse verrebbero esautorati gli amministratori, e messe in
discussioni scelte imprenditoriali non sindacabili da altri131.
È da verificare dunque, e ce lo diranno i fatti (le prime modifiche statutarie
che hanno recepito la maggiorazione del voto risalgono al gennaio 2015,
per cui i primi effetti concreti del voto maggiorato si avranno dai primi mesi
del 2017) se gli strumenti del voto maggiorato e del voto plurimo si rivele-
ranno utili oppure se saranno fonte di abusi, in particolare in un contesto
economico che vede già la presenza di soci saldamente di controllo nelle
s.p.a. quotate. E se si rivelerà prefer ibile la semplicità della regola “one
share , one vote ”, sotto la cui vigenza la responsabilizzazione di chi ha mol-
to potere (perché detiene molte azioni) avviene “naturalmente” e a monte,
correlando il potere al rischio, senza il bisogno di rendere (ancor) più perv a-
sive le ingerenze delle autorità di controllo o di burocratizzare la vita delle
130 La «corretta amministrazione » è una clausola generale. Ogni ordinamento giuridico le
contempla poiché si tratta di valvole di sfogo necessarie, che danno respiro all’intelaiatura
delle puntuali prescrizioni ( Summum ius, summa iniuria dicevano gli antichi) e consento-
no al diritto di raggiungere le “zone d’ombra ” non preventivate. Le clausole generali, p e-
rò, sono esposte al rischio della diversa sensibilità di coloro che sono chiamati ad inter-
pretarle, cosicché il loro perimetro è destinato a rimanere incerto e mutevole.
131 Il concetto di corretta amministrazione va sicuramente oltre a quello di mera legalità,
ma non ci si può spingere ad un’interpretazione che obblighi gli amministratori ad essere
troppo prudenti. L’attività d’impresa è un’attività rischiosa, fatta di intuizioni; il successo
dipende in buona parte dalla capacità di anticipare i bisogni collettivi e offrire risposte
inedite. Tutto ciò non si realizza – o non si realizza sempre – con scelte gestionali medio-
cri, ordinarie, ma richiede rischio e coraggio. Sia consentito ricordare le esemplari e f a-
mose parole di Henry Ford, fondatore dell’omonima casa automobilistica, il quale ebbe a
dire: « Se avessi dovuto dare ai miei clienti ciò che mi chiedevano, non avrei prodotto a u-
to, ma carrozze più grandi ».
Sull’interpretazione da dare al concetto di corretta amministrazione e all’art. 149, terzo
comma, TUF v. P. MONTALENTI , Corporate governance , cit., pp. 120 ss.; ID., La società
quotata , cit., pp. 259 ss.. Sulla corretta amministrazione v., ad es., C. SIMONE , sub art.
2403, Commentario delle società , cit., pp. 551 ss. Si fa riferimento alla non manifesta i r-
razionalità delle scelte degli amministratori.
92
s.p.a. obbligandole a redigere in continuazione documenti societari e rela-
zioni attestanti la bontà delle operazioni assunte dalla maggioranza.
9. Presupposti della maggiorazione del voto: l’iscrizione nell’elenco e
l’appartenenza continuativa al medesimo soggetto.
Per ottenere il voto maggiorato è necessario prima di tutto che lo statuto
contempli tale possibilità, non operando la maggiorazione del voto come
regola di default132.
L’art. 127- quinquies TUF, poi, fa riferimento ad un apposito elenco, la cui
gestione è demandata all’emittente, necessario per accertare la maturazione
del beneficio in presenza del possesso continuativo delle azioni iscritte su
richiesta da parte dell’azionista.
Sulle modalità per l’attribuzione del voto maggiorato e per l’accertamento
dei relativi presupposti la legge lascia ampio spazio all’autonomia statut a-
ria, ma ciò che risulta chiaro è che la corretta tenuta dell’elenco presuppone
un flusso di informazioni tra azionisti, intermediari ed emittenti133.
Per quanto riguarda il contenuto di questo apposito elenco, la Consob è in-
tervenuta con il nuovo art. 143- quater del regolamento emittenti, dettando
un contenuto minimo. Si è intervenuti, peraltro, col medesimo articolo, an-
che sul regime di pubblicità, sul diritto di ispezione dei soci e sui flussi in-
formativi necessari.
132 Come accade, invece, in Francia: cfr. l’art. L. 225-123 del Code de Commerce.
133 L’art. 83-bis del TUF afferma che «[g] li strumenti finanziari negoziati o destinati alla
negoziazione sui mercati regolamentati italiani non possono essere rappresentati da d o-
cumenti ». Nel nostro ordinamento vige dunque un regime di dematerializzazione obblig a-
torio per gli strumenti finanziari citati, voluto eminentemente per ragioni eff icientistiche.
Il regime di dematerializzazione poggia su di un sistema di documentazione scritturale,
articolato in una rete di conti. Tale rete ha come protagonista al vertice la società di g e-
stione accentrata, la quale accende per ciascun aderente al sistema, dei conti. Ad un live l-
lo inferiore troviamo gli intermediari i quali a loro volta acce ndono dei conti intestati a
ciascun cliente.
La movimentazione degli strumenti finanziari avviene tramite gli intermedia ri (v. M.
CIAN, La dematerializzazione degli strumenti finanziari , Banca, borsa, tit. cred. , 2007,
fasc. 6, pp. 641 ss.; ID., sub artt. 83- bis, 83-ter, 83-quater , in R. LERNER (a cura di), Delle
promesse unilaterali – Dei titoli di credito , in Commentario del codice civile , E. GA-
BRIELLI (diretto da), Torino, UTET, 2015, pp. 572 ss.).
93
Circa la natura di tale elenco, invece, è pacifico che si tratti di una docu-
mentazione complementare al libro soci, e non di un nuovo libro sociale134;
l’assimilazione dell’elenco al libro dei soci consente l’applicazione delle
medesime regole in ordine alla pubblicità delle informazioni e al diritto di
ispezione dei soci. E infatti l’art. 143- quater , quarto comma, reg. emittenti,
replica il contenuto dell’art. 83-undecies, secondo comma, TUF (il quale si
riferisce al libro soci), prevedendo che «[l] e risultanze dell ’elenco sono
messe a disposizione dei soci, a loro richiesta, anche su supporto informa-
tico in un formato comunemente utilizzato ».
In un primo momento, prima delle precisazioni della Consob esplicitate ne l-
le modifiche al reg. emittenti, stante il tenore letterale lacunoso e molto g e-
nerico dell’art. 127- quinquies , primo comma, TUF, si proposero diverse
possibili interpretazioni circa la concreta attribuzione del voto maggiorato.
Sembrava possibile, cioè, sia una lettura che prevedesse nell’elenco solo i
soci che avessero già maturato il diritto alla maggiorazione del voto, sia
un’impostazione secondo cui il periodo continuativo necessario per matur a-
re la maggiorazione si computasse solo a partire dall’iscrizione
nell’elenco135.
Nel primo caso si sarebbe data rilevanza all’effettivo possesso del titolare
delle azioni, fungendo l’iscrizione da mera verifica di tale possesso, con
conseguente attribuzione immediata del privilegio ad avvenuta iscrizione;
nel secondo caso l’iscrizione avrebbe assolto una funzione più incisiva, v a-
lorizzando – ai fini del beneficio – solamente il possesso successivo
all’iscrizione nell’elenco .
134 V. gli esiti della proposta di modifica al Regolamento Emittenti fatta oggetto di con-
sultazione pubblica, reperibile in www.consob.it , nella sezione: La Consob – Regolame n-
tazione – Consultazioni – Archivio consultazioni.
Solamente uno tra i partecipanti propose di attribuire all’elenco la natura giuridica di un
libro sociale autonomo e distinto. Prevalse la posizione di Consob e della maggioranza
dei partecipanti alla consultazione, stante il tenore letterale, ossia il ricorso al termine
“elenco”, e quello funzionale, ossia «[l’]accertamento dell’ownership duration »; elementi
insufficienti per configurare l’elenco come autonomo libro sociale. V. anche le osserv a-
zioni di Assonime in materia di maggiorazione del diritto del voto, assetti proprietari e
opa obbligatoria, reperibili all’indirizzo: http://www.consob.it/main/documenti/Regolame
ntazione/osservazioni_consultazione/voto_plurimo/Assonime.pdf , in cui si rileva la com-
plementarietà tra libro soci ed elenco.
135 E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p. 96; I. POLLASTRO , Voto plurimo e
voto maggiorato , cit., pp. 59-60.
94
Già l’art. 127- quinquies , settimo comma, TUF sembrava, comunque, avva-
lorare la seconda linea interpretativa, posto che autorizzava (e autorizza
tutt’ora) a computare il possesso anteriore alla data di iscrizione nell’elenco
in caso di deliberazione di modifica dello statuto nel corso del procedime n-
to di quotazione delle azioni di una società che non risulti da una fusione
che coinvolga una società con azioni quotata (il che conferma che il posse s-
so, a parte questa eccezione, debba essere computato dalla d ata di iscrizione
nell’elenco)136.
Ora, comunque, il reg. emittenti nel prevedere come contenuto minimo
dell’elenco sia i dati identificativi degli azionisti che hanno richiesto
l’iscrizione, sia i dati identificativi degli azionisti che hanno conseguito la
maggiorazione del diritto di voto, scioglie ogni dubbio (cfr. art. 143-
quater ).
L’iscrizione nell’elenco non è automatica, ma va richiesta dal socio intere s-
sato alla maggiorazione del voto, il quale potrà limitare l’iscrizione anche
solo ad una frazione d ella sua partecipazione137. In dottrina vi è chi si è
chiesto se sia ammissibile una clausola che «detti il principio del “tutto o
nulla” »138, imponendo cioè a chi domanda l’iscrizione nell’elenco di chi e-
136 E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p. 96; per I. POLLASTRO , Voto plu-
rimo e voto maggiorato , cit., pp. 59-60, la citata disposizione del TUF avrebbe dovuto
consentire la valorizzazione del possesso anteriore all’iscrizione nell’elenco anche nelle
società quotate, posto che il “fedele” mantenimento del titolo quotato è di gran lunga più
innaturale.
La lettura era suggestiva, ma in contrasto col dato letterale e con la finalità legislativa.
Con questo comma il legislatore si è proposto di incentivare la quotazione, autorizzando
così una deroga alla disciplina ordinaria. L’espressa previsione è indice della natura ecc e-
zionale, e dunque da applicarsi solo nell’ipotesi indicata. Inoltre il computo del possesso
anteriore non è possibile se la società risulta da una fusione che coinvolga una società con
azioni già quotate, per cui solo l’assoluta estraneità ai mercati regolamentati legittima la
regola di favore.
137 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 474; E. LA MARCA ,
Azioni (sti) con voto maggiorato , cit., p. 9.
Gli statuti di DEA CAPITAL S.p.A, TECHNOGYM S.P.A., MAIRE TECNIMONT
S.P.A., Astaldi S.p.A., Gruppo Waste Italia S.p.A fanno espresso riferimento alla possib i-
lità che la richiesta di iscrizione nell’elenco possa riguardare solo una parte delle azioni.
138 P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , cit., p. 458. L’autore
non lo esclude, anche se sarebbe una previsione statutaria disincentivante la richiesta di
voto maggiorato.
95
dere la maggiorazione per tutte le azioni possedute.
Al proposito, l’art. 23-bis del Provvedimento congiunto Consob – Banca
d’Italia recante «la disciplina dei servizi di gestione accentrata, di liquida-
zione, dei sistemi di garanzia e delle relative società di gestione » 22 feb-
braio 2008, prevede che «il soggetto che intenda iscriversi nell’elenco pre-
visto dall’articolo 127-quinquies, comma 2, avanza apposita richiesta
all’ultimo intermediario » e quest’ultimo provvede poi a inoltrare la comu-
nicazione all’emittente139; la società procede, infine, all’iscrizione dandone
conferma all’intermediario partecipante. Qualora le informazioni ricevute
non siano ritenute sufficienti dall’emittente, l’iscrizione avverrà ugualmente
ma sarà condizionata al ricevimento di ulteriori informazioni; in caso di
omissione delle stesse allora l’emittente provvederà a cancellare l’azionista
iscritto in via condizionata140.
Si diceva in precedenza che la legge lascia ampi spazi all’autonomia statu-
taria circa le modalità per l’accertamento dei presupposti e l’attribuzione
del voto maggiorato. Le società devono prevedere regole, dunque, per quan-
to riguarda la periodicità con la quale i soci possono chiedere l’iscrizione
nell’elenco141, la decorrenza degli effetti, l’attribuzione della maggiorazione
139 Si è optato per la comunicazione, in luogo della certificazione, considerata la netta pr e-
ferenza per la stessa manifestata dai partecipanti alla consultazione della Consob sulla
proposta di modifica al regolamento emittenti e da Assonime nelle osservazioni in mate-
ria di maggiorazione, cit.
AMPLIFON S.p.A, nelle modalità operative di richiesta di iscrizione nell’Elenco fa rife-
rimento ad una certificazione. Probabilmente si tratta di un lapsus calami ; trova comun-
que applicazione, per espresso rinvio dello statuto, la disciplina normativa e regolament a-
re vigente (art. 13 statuto).
140 V. la circolare n. 33 di Abi – Assonime – Assosim, recante « Istruzioni operative per i
flussi informativi tra intermediari ed emittenti relativi alle azioni a voto maggiorato ai
sensi dell’art. 23-bis del Provvedimento Post-Trading », del 30 novembre 2015, consult a-
bile all’indirizzo: https: //www.abi.it/DOC_Mercati/Finanza/Diritti-degli-azionisti/Diritti
-degliazionisti/istruzioni_operative_voto_maggiora to_26nov2015.pdf, p. 4.
141 Per fare alcuni esempi, Astaldi S.p.A., IREN S.p.A e HERA S.p.A provvedono alle
iscrizioni e all’aggiornamento dell’elenco secondo una periodicità trimestrale; EXPR I-
VIA S.P.A. « entro il giorno 15 del mese solare successivo a quello in cui è pervenuta la
richiesta di iscrizione dell ’azionista tramite l ’Intermediario » (v. il Regolamento per il
Voto Maggiorato consultabile in www.exprivia.it alle sezione: Investor Relations – Azio-
nisti e Operazioni sul Capitale – Voto Maggiorato ); lo statuto di Campari S.p.A. all’art.
6.7 prevede che la richiesta possa essere sottoposta alla Società nei primi tre mesi
dell’anno solare; AMPLIFON S.p.A ha previsto una cadenza mensile, accorpando così le
96
del voto. A tale ultimo proposito la normativa non chiarisce se, decorso il
possesso continuativo con decorrenza dalla data di iscrizione, la maggior a-
zione venga a configurarsi automaticamente ovvero presupponga un nuovo
atto di impulso dell’azionista interessato. Sarà la società a regolare il mec-
canismo nel dettaglio142.
La previsione di un aggiornamento dell’elenco solo periodico, anziché i m-
mediato e continuo, da un lato agevola l’emittente nell’adempimento degli
incombenti amministrativi, potendo accorpare le richieste di iscrizione e
cancellazione via via pervenute; dall’altro rischia però di accentuare il pro-
blema della sfasatura tra titolarità del diritto a vedersi riconosciuta la mag-
giorazione e legittimazione al suo esercizio143. Infatti le azioni potrebbero
essere state conservate per più di due anni dalla data in cui il socio ha r i-
chiesto l’iscrizione e tuttavia egli potrebbe non essere legittimato ad eserc i-
tare il voto maggiorato a causa del differimento dell’iscrizione.
La richiesta di iscrizione nell’elenco è, dunque, una condizione necessaria
ma non sufficiente per l’attribuzione del voto maggiorato, poiché l’art. 127-
richieste pervenute in un dato mese solare; MAIRE TECNIMONT S.P.A., DEA CAP I-
TAL S.p.A. e TECHNOGYM S.P.A. entro il quinto giorno di mercato aperto dalla fine di
ciascun mese di calendario ed in ogni caso entro la record date prevista dalla disciplina
vigente; lo statuto di TerniEnergia S.p.A., all’art. 6 lett. b), provvede alle iscrizioni e agli
aggiornamenti secondo una periodicità semestrale.
Pare doversi escludere – come già fatto notare, condivisibilmente, in dottrina – di far r e-
troagire, ex lege , gli effetti dell’iscrizione alla data in cui è stata presentata la richiesta,
posta l’ampia autonomia statutaria riconosciuta al riguardo (v. G. GUIZZI , La maggiora-
zione del diritto di voto, cit., p. 162, alla nt. 32). Sarà l'emittente, semmai, a provvedere in
questo senso.
142 Consob nelle consultazioni per la modifica del regolamento emittenti, ritenne più tut e-
lante per gli azionisti interessati subordinare la maggiorazione del voto ad una seconda
dichiarazione di volontà da parte dell’azionista nei confronti dell’emittente. Alcuni statuti
di società che hanno introdotto il voto maggiorato, per esempio TECHNOGYM S.P.A.
(v. il regolamento per il voto maggiorato reperibile in www.technogym.com , alla sezione:
Governance – Voto maggiorato ), prevedono una seconda comunicazione, la cui trasmi s-
sione all’emittente è curata dall’intermediario su richiesta dell’azionista interessato; altre,
come ad es. Campari S.p.A, prevedono il conseguimento del beneficio del voto doppio
automaticamente, senza necessità di apposita richiesta (v. il regolamento dell’elenco spe-
ciale per la legittimazione al beneficio del voto doppio, reperibile in www.camparigro
up.com , nella sezione: Governance – Loyalty shares ).
143 È rilevato in Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., pp. 475-
476 e da G. GUIZZI , La maggiorazione del diritto di voto, cit., p. 162.
97
quinquies , primo comma, TUF richiede un’appartenenza continuativa
dell’azione non inferiore a ventiquattro mesi a decorrere dalla data di iscri-
zione nell’elenco; iscrizione che – come si diceva – potrebbe non essere
contestuale alla richiesta, ma differita in un secondo momento a seconda
delle periodicità con cui la società provvede alle iscrizioni.
È chiaro dunque che le modalità e i tempi di aggiornamento dell’elenco
rappresentano un profilo di estrema delicatezza e importanza nella prospe t-
tiva del richiedente, poiché in occasione di una data assemblea vi potrebb e-
ro essere soggetti ai quali, pur avendo posseduto ininterrottamente per più
di ventiquattro mesi le azioni dalla data di richiesta di iscrizione, il voto
maggiorato potrebbe essere negato.
Questa è la ragione per cui in dottrina si è proposta la retroattività degli e f-
fetti dell’iscrizione alla data della richiesta come risposta a possibili com-
portamenti dilatori degli amministratori o a violazioni delle regole (com-
prensive di quelle dettate dalla società) che presiedono alla modalità di t e-
nuta dell’elenco144.
Il problema della non coincidenza tra la situazione emergente dall’elenco e
quella reale è stato sollevato anche con riferimento ad eventi estintivi del
voto maggiorato, in quanto un aggiornamento solo periodico impedirebbe
di negare la legittimazione a votare in misura rafforzata a chi, pur avendo
rinunziato alla maggiorazione o posto in essere comportamenti estintivi de l-
le stessa, risulta essere ancora iscritto145. A dire il vero in questo caso il
problema non dovrebbe porsi, posto che le società – secondo quanto dispo-
ne l’art. 143- quater , terzo comma, reg. emittenti – provvedono
all’aggiornamento dell’elenco secondo il termine stabilito nello statuto, nel
rispetto comunque di quanto disposto dall’art. 85-bis, comma 4- bis del reg.
emittenti. E cioè l’aggiornamento deve avvenire comunque con cadenza
mensile o entro il giorno successivo della c.d. record date qualora siano a c-
certate variazioni dell’ammontare complessivo dei diritti di voto.
L’iscrizione nell’elenco non comporta immediatamente una variazione del
numero complessivo dei voti, essendo necessario il decorso di almeno ven-
tiquattro mesi, e dunque non sembrerebbe necess ario rispettare i termini ex
art. 85-bis, comma 4- bis del reg. emittenti, potendo – l’iscrizione del richie-
dente – essere posticipata alla prima data utile fissata per le iscrizioni delle
144 G. GUIZZI , La maggiorazione del diritto di voto, cit., p. 162, nt. 32.
145 Ivi, p. 162.
98
richieste pervenute e via via accorpate. La rinunzia o altri eventi estintivi,
invece, incidono direttamente sul numero complessivo dei voti, per cui tali
eventi obbligano l’emittente – appena ne abbia contezza – a rispettare i ter-
mini ex art. 85-bis, comma 4- bis del reg. emittenti. Se è in calendario
un’assemblea l’aggior namento potrebbe dover essere anticipato rispetto alla
periodicità stabilita nello statuto o nell’apposito regolamento per il voto
maggiorato146.
Pertanto, mentre la richiesta di cancellazione dall’elenco (nel caso in cui il
voto maggiorato non sia ancora stato maturato per mancato decorso del
termine) o di iscrizione potrebbero avvenire secondo le varie periodicità
stabilite da ciascuna società, tutti gli eventi che comportano immediata m a-
turazione o cessazione del beneficio – incidendo sul numero complessivo di
voti – dovrebbero essere formalizzati mediante un aggiornamento
dell’elenco che tenga conto della normativa di settore.
Pur nella consapevolezza dell’inopportunità di aggravare gli emittenti di e c-
cessivi obblighi amministrativi legati alla gestione del voto maggiorato, da l-
la regolamentazione attuativa della disciplina dello stesso sembrerebbe
emergere la volontà di assicurare un quadro degli assetti di voto il più po s-
sibile aggiornato147.
Per allineare la situazione reale e quella resa pubblica sarebbe bene che la
società procedesse alle iscrizioni delle richieste, o condizionasse l’efficacia
delle stesse, all’ultimo giorno del mese; in questo modo la maggiorazione
dovrebbe maturare a ridosso del termine fissato per comunicare al pubblico
e alla Consob l’aggiornamento dei diritti di voto complessivi148.
146 Tutte le società che hanno – ad oggi – recepito l’istituto del voto maggiorato hanno
elaborato un apposito regolamento, disponibile nei rispettivi siti internet , in cui si disc i-
plina la gestione amministrativa dell’elenco.
147 Come si evince anche dalla circolare n. 33 di Abi – Assonime – Assosim, cit., p. 5, in
cui si richiede che la revoca totale o parziale dall ’elenco delle azioni oggetto di vend i-
ta/rinuncia deve essere inoltrata senza indugio dall ’intermediario partecipante (cioè quello
ammesso alla gestione accentrata) all ’emittente, in base alle indicazione pervenutegli
dall’ultimo intermediario (cioè quello che tiene i conti sui quali sono reg istrate le azioni
dei soggetti che non operano in qualità di intermediari) , il quale a sua volta procede alle
comunicazioni dovute non appena raccolto l ’ordine di vendita o la richiesta di rinuncia
del voto maggiorato.
148 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 476.
Molti statuti prevedono espressamente che la maggiorazione del voto si consegua dal
quinto giorno di mercato aperto del mese di calendario successivo a quello del decorso
99
I flussi informativi tra azionisti, intermediari ed emittenti, dunque, non si
esauriscono nel momento iniziale funzionale all’iscrizione nell’elenco, po-
sto il possibile verificarsi di vicende rilevanti che impongono la necessità di
aggiornare l’elenco.
Per ottenere il beneficio del voto maggiorato – dice l’art. 127- quinquies ,
primo comma TUF – è necessario che l’azione sia appartenuta al medesimo
soggetto per un periodo continuativo non inferiore a ventiquat tro mesi dalla
data di iscrizione nell’elenco. Si fissa un periodo minimo per cui
l’autonomia statutaria può prevedere termini di appartenenza più ampi, ma
non inferiori ai ventiquattro mesi.
Non passa inosservato l’utilizzo del termine “appartenenza”: nozione che,
rispetto a quelle tradizionali di proprietà, possesso o detenzione, appare
piuttosto imprecisa ed atecnica149.
In termini pratici, questo significa che potrebbero sorgere dubbi interpret a-
tivi sull’esatta portata di tale nozione150. Inoltre, nel prosi eguo della lettura
della disposizione in esame si aggiungono elementi che non aiutano a trova-
re dei confini certi. Si dice infatti che la cessione dell’azione comporta la
perdita della maggiorazione del voto, ma il legislatore sembra oscillare tra
un appro ccio sostanzialista quando impone che anche la cessione diretta o
indiretta di partecipazioni di controllo in società o enti che detengono azioni
a voto maggiorato in misura rilevante fa perdere la maggiorazione (nono-
stante, dunque, le azioni formalmente non cambino titolare); e uno formale,
del periodo rilevante dall’iscrizione nell’elenco speciale (coerentemente con la periodicità
degli aggiornamenti sugli assetti di voto). Molto opportunamente Technogym S.p.A. pr e-
vede che la maggiorazione abbia effetto, una volta decorso il periodo rilevante, in ogni
caso alla c.d. record date (dunque anche prima dell'aggiornamento dell’elenco).
149 Da notare che il legislatore ha cambiato terminologia rispetto alla disciplina della
maggiorazione del dividendo, dove si ricorre al concetto di detenzione (cfr. art. 127-
quater , primo comma, TUF).
150 Come rilevato da M. VENTORUZZO , Un’azione, un voto , cit., p. 522; M. CIAN, Capit a-
le, proprietà, controlli , cit., pp. 1262-1263.
Altra dottrina ha omesso di porvi l’accento, commentando la disposizione ora in termini
di possesso ( E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p. 96); ora in termini di
detenzione ( C. TEDESCHI , Le azioni a voto plurimo , cit., p. 1077; F. ANNUNZIATA – A.
GIOMBINI , La disciplina del voto plurimo introdotta dal Decreto Competitività. Pegno,
usufrutto e sequestro di azioni (a voto plurimo) , novembre 2014, reperibile in
www.dirittobancario.it , alle sezione: Approfondimenti ); ora di titolarità ( A. BUSANI – M.
SAGLIOCCA , Le azioni non si contano, ma si “pesano” , cit., p. 1058).
100
quando consente il mantenimento della maggiorazione nei casi di succe s-
sione mortis causa e fusione o scissione del titolare delle azioni, da cui si
ricava che in assenza di tale previsione il cambiamento formale del titolare
farebbe perdere il voto maggiorato anche in assenza di “cessione” volont a-
ria151.
10. La cessione delle azioni a voto maggiorato, la cessione di partecipa-
zione di controllo in società che detengono azioni a voto maggiorato e le
cessioni infragruppo.
Coerentemente con la finalità del voto maggiorato – incentivare gli inve-
stimenti a medio-lungo termine degli investitori, e dunque la stabilità della
compagine azionaria – e il suo legame con le caratteristiche del soggetto
beneficiario, la cessione dell’a zione a titolo oneroso o gratuito comporta la
perdita del beneficio. Come si è già evidenziato, esso non è una caratterist i-
ca dell’azione per cui il nuovo titolare non ne beneficerà finché non saranno
maturati anche per lui i relativi presupposti.
Sotto il profilo formale per cessione dovrebbe intendersi un negozio che
comporta il trasferimento della titolarità della partecipazione152(compr a-
vendita, permuta, conferimento delle azioni con voto maggiorato in altra
società, donazione, riporto).
La legge equipara il trasferimento della partecipazione di controllo in una
società titolare di azioni a voto maggiorato in misura rilevante, al trasfer i-
mento della partecipazione beneficiata dalla maggiorazione, e questo perché
da un punto di vista sostanziale vi è comunque un mutamento del titolare
della partecipazione. Ma, si badi bene, solamente se la società controllata
detiene azioni a voto maggiorato in misura superiore alla soglia prevista
dall’art. 120, secondo comma, TUF, e cioè al 3%153 o al 5% in caso di PMI
151 C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato , cit., p. 779 ss.
152 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., pp. 463-464.
153 Con l’art. 1, sesto comma, del d. lgs. 15 febbraio 2016, n. 25, in attuazione della dire t-
tiva 2013/50/UE del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifiche dell a direttiva
2004/109/CE finalizzate, tra l’altro, a semplificare gli oneri amministrativi delle società
quotate e garantire una maggiore trasparenza degli assetti proprietari , e conformemente ai
criteri direttivi stabiliti dalla l. delega 9 luglio 2015, n. 114 (spec. art. 5, primo comma,
lett. a) ove si è autorizzato il Governo ad aumentare la soglia minima in materia di obbl i-
ghi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti) si è innalzata la soglia minima dal 2
101
quotate (cfr. art. 127- quinquies , terzo comma, TUF). Cioè solamente quan-
do la partecipazione è tale da comportare obblighi di disclosure, e dunque
sia possibile per gli investitori e per la società partecipata identificare con
facilità il cambio di controllo della holding detentrice delle azioni a voto
maggiorato (il cui nominativo, ex art. 143- quater , quinto comma, reg. emi t-
tenti, deve essere pubblicato nel sito internet della società che ha recepito la
maggiorazione del voto)154. L’approccio sostanziale, dunque, è limitato alle
partecipazioni significative, questo significa che se il cambio del controllo
riguarda società che detengono partecipazioni con voto maggiorato inferiori
alle soglie sopra dette, vi è la possibilità di “monetizzare” il voto doppio
che di fatto passa al nuovo controllore155.
La nozione di controllo che rileverà sarà quella dettata dall’art. 93 TUF.
Tuttavia, il riferimento alla «cessione diretta o indiretta di partecipazioni di
controllo » di cui all’art. 127- quinquies, terzo comma, TUF, sembr erebbe
escludere le ipotesi di controllo esterno, cioè quello dipendente da vincoli
contrattuali anziché da partecipazioni azionarie che conferiscono un con-
trollo di diritto (maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinari) o
anche di fatto (numero di voti sufficienti per esercitare un’influenza dom i-
nante nell’assemblea ordinaria). Salvo ammettere un’applicazione analog i-
ca156.
A tal proposito un altro interrogativo potrebbe sorgere qualora, pur in as-
senza di cessioni di partecipazioni di controllo, gli equilibri di potere interni
all’assemblea della società detentrice di azioni a voto maggiorato mutino
al 3%.
154 Alcuni statuti, ad es. TECHNOGYM S.P.A., LANDI RENZO S.P.A., EXPRIVIA
S.P.A., prevedono che il richiedente, se diverso da persona fisica, precisi se è sottoposto a
controllo e indichi i dati identificativi dell’eventuale controllante finale.
155 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 467.
Al di là di questa ipotesi, come abbiamo già avuto modo di segnalare, il voto maggiorato
non dovrebbe avere alcun riflesso economico. Anzi, in caso di trasferimento e in presenza
di altri soci che invece rimangono “fedeli” è probabile subiscano un deprezzamento (su
tali aspetti v. C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato , cit., p. 779 ss.; M.S. SPOL I-
DORO , Il voto plurimo , cit., p. 16).
156 V. anche E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p. 106.
Gli statuti di MAIRE TECNIMONT S.p.A. e di LANDI RENZO S.P.A., danno rilevanza
al solo controllo di diritto ex art. 2359, primo comma, n. 1, cod. civ., probabilmente per
ragioni di certezza, stante le maggiori difficoltà nell’accertamento delle altre forme di
controllo.
102
per l’effetto di sindacati di voto o di controllo. Come noto, i patti parasoci a-
li hanno un’efficacia meramente obbligatoria e non reale, per cui la loro
violazione da parte degli aderenti comporta solo un obbligo di risarcimento
del danno; ciò non toglie che siano idonei a modificare di fatto gli assetti di
potere e il governo societario.
Come già notato in dottrina157, la disposizione in esame prescinde dal tra-
sferimento delle loyalty shares : anzi il nuovo controllore ben potrebbe esse-
re interessato a non disporre delle stesse. Ma alla legge interessa che la
composizione proprietaria sostanziale rimanga stabile, e cioè che il benef i-
cio del voto maggiorato sia riconducibile sempre agli stessi assetti propri e-
tari. Un ulteriore valorizzazione del carattere personalistico dell’istituto che
stiamo studiando.
L’approccio sostanzialista appena visto potrebbe condu rre a ritenere che
una mera modifica formale del soggetto titolare delle azioni non dovrebbe
comportare la perdita del voto plurimo qualora il controllo sostanziale non
cambi158. Tale ultima considerazione apre ad un ulteriore spunto riguardante
i trasferimenti infragruppo.
Quella del gruppo, è un’esperienza propria della grande impresa che inte-
ressa una pluralità di società giuridicamente autonome l’una dall’altra, ma
sottoposte alla direzione di un’unica società capo-gruppo. Il dato saliente è,
dunque, la reciproca alterità giuridica fra le società coinvolte, seppur
nell’ambito di un’unità che però rileva solo come fenomeno meramente
economico159.
Il movimento delle partecipazioni azionarie all’interno del gruppo è feno-
meno frequente. Tuttavia non risulta agev ole pervenire ad una conclusione
definitiva circa le conseguenze dell’operazione, posto che da un punto di
vista formale siamo in presenza di una cessione vera e propria e dunque la
maggiorazione dovrebbe perdersi; mentre da un punto di vista sostanziale
non vi è cessione ad «economie terze »160. Il beneficio maturato rimane
157 C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato , cit., p. 779 ss.
158 M. VENTORUZZO , Un’azione, un voto , cit., pp. 523-524.
159 V., ad es., F. GALGANO , in Trattato di diritto civile , vol. IV, cit., pp. 767 ss.
160 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 466, secondo cui i
trasferimenti infragruppo potrebbero essere assimilati a operazioni di fusione e scissione,
avendo valenza riorganizzativa.
Contra P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , cit., pp. 455-456,
per il quale il possesso indiretto è irrilevante ai fini dell’appartenenza continuativa, per
103
sempre nel medesimo contesto proprietario, e questa lettura potrebbe giust i-
ficare il mantenimento del voto plurimo anche a seguito delle operazioni
descritte, agevolando così operazioni di riorganizzazione infragruppo.
10.1. (Segue): la cessione di azioni e la c.d. record date.
Come noto, la già citata direttiva 2007/36/CE contenente disposizioni volte
a favorire la partecipazione degli azionisti alla vita societaria è stata recepita
dal legislatore italiano con il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 27. In particolare,
introducendo l’art. 83-sexies TUF, è stato dato ingresso nel nostro ordin a-
mento al meccanismo della c.d. record date. Ciò significa che la legittim a-
zione all’intervento in assemblea e l’esercizio del diritto di voto nelle socie-
tà quotate sono attestati da una comunicazione dell’intermediario, presso il
quale è acceso il conto dove sono registrate le azioni, sulla base delle pr o-
prie risultanze contabili relative al termine della giornata contabile del set-
timo giorno di mercato aperto precedente la data fissata per l’assemblea.
La norma è chiaramente finalizzata a coinvolgere gli investitori istituzion a-
li, maggiormente interessati ad avere “mani libere” nell’acquisto e nella
vendita d elle azioni, piuttosto che immobilizzarle al fine di intervenire in
assemblea ed esercitare il voto.
Il precedente meccanismo prevedeva infatti il deposito dei certificati azio-
nari o delle certificazioni di deposito accentrato alcuni giorni prima
dell’ass emblea, con conseguente blocco della circolazione delle stesse, ob-
bligando così gli investitori ad assistere passivamente alle fluttuazioni dei
corsi azionari161.
Ora l’elenco dei soggetti legittimati al voto si cristallizza a una data fissa
anteriore all’assemblea, non rilevando le registrazioni in accredito o in ad-
cui le cessioni infragruppo non dovrebbero consentire la conservazione del voto maggi o-
rato e non possono essere assimilate a fusioni o scissioni.
Dubitativo invece C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato, cit., p. 779 ss.
161 N. DE LUCA, Titolarità vs. Legittimazione: a proposito di record date, empty voting e
“proprietà nascosta” di azioni , RDS, 2, 2010, pp. 312 ss.; A.V. GUCCIONE , sub art. 83-
sexies , Commentario T.U.F., decreto legislativo 24 febbra io 1998, n. 58 e successive mo-
dificazioni, t. I, Artt. 1-101 , F. VELLA (a cura di), Torino, Giappichelli, 2012, p. 852, s e-
condo cui la record date risponde all’interesse delle società quotate le quali, acconsenten-
do alla negoziazione delle proprie azioni (con la richiesta di quotazione appunto), mostr a-
no il massimo interesse alla loro libera negoziabilità.
104
debito compiute successivamente (cfr. art. 83- sexies , secondo comma,
TUF). Questo significa che è ben possibile una scissione tra la legittimazio-
ne all’esercizio del voto e la titolarità delle azioni, dando così luogo al fe-
nomeno del c.d. empty voting : il soggetto legittimato a votare potrebbe non
avere più il benché minimo interesse economico sottostante, potendo, ap-
punto, essersi disfatto delle azioni nel periodo intercorrente tra la record da-
te e il giorno di convocazione dell’assemblea162.
Risulta evidente, dunque, che se il venditore è titolare di loyalty shares , i ri-
schi poc’anzi esplicitati sarebbero amplificati, “maggiorati” appunto163. Chi
vota non solo non è più titolare del pacchetto azionario e dunque delle pr e-
tese economiche sottostanti, ma addirittura ha un voto maggiorato se alla
data di registrazione risultava titolare del beneficio in virtù dei presupposti
richiesti.
Ora, non può che condividersi l’assunto secondo cui il sistema della data di
registrazione sia una soluzione di compromesso che contempera varie esi-
genze: e cioè l’esigenza organizzativa dell’emittente ad individuare i legit-
timati a partecipare all’assemblea, considerata la difficoltà di carattere pr a-
tico nell’accertamento della legittimazione in tempo reale164; e l’esigenza di
evitare il blocco della circolazione delle azioni165.
Se questa è la ratio , non potrebbe che salutarsi con favore la possibilità di
rettificare la certificazione dell’intermediario fino all’ultima ora, ma biso-
gna chiedersi se il nostro ordinamento lo consente, perché, a dire il vero,
sembra essere perentorio nel dover riferirsi alla data di registrazione166.
162 V., ad es., F. CHIAPPETTA , Diritto del governo societario , cit., p. 108; H.T.C. HU – B.
BLACK , The New Vote Buying: Empty Voting and Hidden (Morfable) Ownership , South-
ern California Law Review , v. 79, 2006, University of Texas Law, Law and Econ R e-
search Paper No. 53 , pp., consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=904004 , pp.
832 ss.
163 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 468; I. POLLASTRO ,
Voto plurimo e voto maggiorato , cit., p. 64.
164 M. GARGANTINI , Identificazione dell’azionista ed esercizio del voto nelle S.P.A. quo-
tate, 2009, consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=1413685 , p. 183.
165 N. DE LUCA, Titolarità vs. Legittimazione , cit., p. 318.
166 Come rilevato in sede di consultazione sulla proposta di modifica del regolamento
emittenti, l’art. 7 della direttiva 2007/36/CE avrebbe consentito di non applicare il mec-
canismo della record date qualora la società fosse stata in grado di desumere i dati ident i-
ficativi dei suoi azionisti da un registro aggiornato, ma in sede di attuazione della direttiva
il legislatore non ha provveduto a disciplinare tale aspetto.
105
Se così fosse apparirebbe difficile sostenere che al soggetto legittimato
all’intervento in assembl ea che abbia, successivamente alla record date,
alienato le loyalty shares possa essere opposta un’eccezione personale r i-
conducibile al difetto di titolarità al fine di impedire l’esercizio del voto
maggiorato167.
Il meccanismo così come trasposto nel nostro ordinamento impone che si
faccia riferimento alla data di registrazione e non ne prevede una disappl i-
cazione qualora l’emittente sia in grado, in tempo reale, di accertare il sog-
getto legittimato.
Non si potrebbe opporre un’eccezione personale volta a disconoscere la
maggiorazione del voto senza dare rilevanza all’evento che l’avrebbe obli-
terata, e cioè il trasferimento delle azioni. Ma opporre il trasferimento delle
azioni significa opporre il difetto di titolarità, e dunque svuotare il contenu-
to della regola della legittimazione sulla base di un indice formale (la re-
cord date ). L’eccezione del difetto di titolarità sarebbe possibile solo qualo-
ra quest’ultima difettasse al momento della record date , a nulla rilevando il
venir meno della stessa nel periodo intercorrente tra la data di registrazione
e quella della convocazione dell’assemblea.
Il disagio potrebbe essere risolto se si ritiene che con la vendita delle azioni
post record date non possa mutare il soggetto legittimato a intervenire in
assemblea e votare (è il legislatore ad escluderlo espressamente), ma il tra-
sferimento della titolarità delle azioni e dei relativi diritti si verifica e rile-
va168. Si porrebbe l’accento sul fatto che l’art. 83-sexies , primo comma,
TUF, faccia riferimento alla «legittimazione all’intervento in assemblea e
all’esercizio del diritto di voto» e non alla titolarità delle azioni. In questo
modo si accetta uno scollamento tra legittimazione al voto e titolarità
dell’azione sottostante, dando così una parziale rilevanza al trasferimento
delle azioni verificatosi successivamente alla data di registrazione; e questa
impostazione sembrerebbe possibile alla luce dell’art. 83-sexies TUF, il
quale parrebbe circoscrivere ai soli fini della legittimazione all’esercizio del
diritto di voto nell’assemblea l’irrilevanza delle registrazioni in accredito o
167 È la proposta di G. GUIZZI , La maggiorazione del diritto di voto, cit., p. 163.
168 M. EREDE , L’esercizio del diritto di intervento e voto in assemblea di società con titoli
quotati: alcune riflessioni in tema di legittimazione e titolarità in seguito all’introduzione
della record date , Banca, borsa, tit. cred. , I, 2012, pp. 59 ss.; G. GUIZZI , La maggiora-
zione del diritto di voto, cit., p. 163.
106
in addebito successive alla record date.
Se il mutamento della titolarità è un fatto che può venire in rilievo, allora
conseguentemente può essere considerato anche il venir meno
dell’appar tenenza continuativa e di conseguenza il benefico del voto mag-
giorato; il venditore mantiene la legittimazione al voto, ma sarà possibile
l’opposizione di un’eccezione personale che sterilizzi il voto doppio169.
Sotto un’altra prospettiva, residuando in capo al venditore delle azioni la
sola legittimazione al voto, si potrebbe sostenere che il diritto di voto stesso
debba essere esercitato sulla base delle indicazioni di chi ne è titolare e
dunque di chi ha un apprezzabile interesse sottostante al voto, o quanto m e-
no in modo da non arrecare danno alla società170. Ma allora, sebbene la per-
tinenza del voto non sia mutata, il voto stesso non sarebbe più pienamente
riferibile al soggetto che lo esercita, per cui sarebbe ragionevole ritenere
che il “premio” del voto maggiorato non sia più spendibile.
Quest’ultima impostazione – più in generale – permetterebbe, forse, di r i-
solvere gli imbarazzi suscitati dal meccanismo della record date , secondo il
quale, ad una prima lettura, potrebbe partecipare in assemblea un sogge tto
del tutto indifferente alle regola giuridica oggetto della deliberazione; senza
dare conto in questa sede degli abusi che una tale disciplina potrebbe com-
portare, con massicce negoziazioni a ridosso della data di registrazione171.
Se invece si ritenesse che da un lato l’effetto del meccanismo della data di
registrazione sia quello di cristallizzare gli assetti di voto ad una determin a-
169 Secondo la proposta, in questa prospettiva ammissibile, di G. GUIZZI , La maggior a-
zione del diritto di voto, cit., p. 163.
170 Posto che la negoziazione su base continua delle azioni quotate prevede che la conclu-
sione dei contratti avvenga, per le quantità disponibili, mediante abbinamento automatico
delle proposte di acquisto e vendita, ossia mediante l’immissione degli ordini nel sistema
telematico ed il loro successivo incrocio senza che fra le parti vi sia alcun effettivo conta t-
to (v. M. EREDE , L’esercizio del diritto di intervento , cit., pp. 59 ss.; P. MARANO , sub art.
83-septies , R. LERNER (a cura di), Delle promesse unilaterali – Dei titoli di credito , in
Commentario , cit., p. 610; M. MAUGERI , Record date e “nuova” inscindibilità della pa r-
tecipazione azionaria, Riv. dir. comm. , 2011, I, p. 141).
171 Sul ricorso alla disciplina del conflitto di interessi per cercare di rimediare ai rischi
connessi al meccanismo della record date v. M. GARGANTINI , Identificazione
dell’azionista ed esercizio del voto , cit., pp. 185 ss.; N. DE LUCA, Titolarità vs. Legittim a-
zione , cit., p. 336, propone di consentire l’opposizione del difetto di titolarità al legittim a-
to qualora la registrazione delle azioni in suo favore a ridosso della record date si sia avu-
ta per perseguire finalità immeritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
107
ta data senza dare rilievo a doveri fiduciari che limitino l’espressione di un
voto non sorretto da alcun apprezzabile interesse circa i suoi effetti172, e
dall’altro che la sussistenza o meno del voto maggiorato vada risolta alla
luce della spettanza del diritto di voto, allora non può che concludersi che in
capo ad un soggetto non più azionista (per aver venduto le azioni dopo la
data di registrazione) persista il voto maggiorato se alla record date aveva
maturato i presupposti, perché continua a persistere il diritto di voto.
Quest’ultima sarebbe una conseguenza connaturata ad un meccanismo che
si fonda su un’identificazione non in tempo reale dei soggetti legittimati ad
intervenire in assemblea e votare173 e che non ammette deroghe.
Ecco dunque che in questi casi potrebbero prospettarsi scenari preoccupan-
ti. Non solo colui che non condivide più l’interesse sociale si ritroverebbe
ad avere un potere assembleare e per giunta sopravvalutato, ma addirittura
si potrebbero profilare ipotesi di negoziazioni successive alla data di regi-
strazione in cui la permanenza del voto maggiorato in capo all’alienante
trovi riscontro nel prezzo pat tuito dalle parti, aprendo le porte ad un ulterio-
re caso di monetizzazione del voto maggiorato, seppur limitatamente
all’assemblea che seguirà immediatamente la vendita. L’acquirente post r e-
cord date potrebbe essere disposto a pagare un prezzo superiore a quello di
mercato, “catturando” il voto potenziato dell’alienante che rimarrebbe legit-
timato al voto e che, a fronte di un guadagno più elevato, sarebbe disponib i-
le ad allinearsi alle indicazioni di voto dell’acquirente.
In questa sede si propende per una soluzione interpretativa che escluda la
conservazione della maggiorazione del voto in capo all’alienante in quanto
si vanno ad amplificare le perplessità che in dottrina si sono prospettate in
merito al meccanismo della record date , inoltre si rischia che si crei un
mercato del voto maggiorato. Nei giorni immediatamente precedenti la data
fissata per l’assemblea potrebbero verificarsi massicci scambi o prestiti di
azioni a prezzi che incorporino il valore del diritto di voto maggiorato, il
quale si presterebbe ad usi incoerenti con la ratio ispiratrice della sua intro-
duzione.
172 Secondo la soluzione prospettata, come visto nelle pagine precedenti, da M. EREDE ,
L’esercizio del diritto di intervento , cit., pp. 59 ss.
173 Alcune società, tra cui Openjobmetis S.p.A., Conafi S.p.A., MAIRE TECNIMONT
S.P.A. prevedono espressamente nello statuto che la legittimazione al voto e
l’accertamento della maggiorazione del voto avvenga con riferimento alla record date.
108
Con il guadagno aggiuntivo ricavato, l’alienante (meglio: speculatore) po-
trebbe poi acquistare sul mercato un numero superiore di azioni rispetto a
quelle vendute, poiché non ci sarebb e nessun voto addizionale valorizzabile
nel prezzo (come avvenuto nella precedente vendita); e ripetendo
l’operazione più volte e su un volume di titoli ragguardevole, si avrebbe un
effetto leva che consentirebbe – almeno in astratto – cospicui guadagni. Ma
il voto maggiorato è stato introdotto per altri scopi.
11. La rinunzia del voto maggiorato.
Il voto maggiorato può venire meno anche per un’altra causa espressamente
indicata dal legislatore, e che prescinde da una vicenda traslativa delle azio-
ni: la rinunzia da parte del titolare del beneficio.
Proprio perché si tratta di una prerogativa individuale, e non di una caratte-
ristica intrinseca all’azione, la maggiorazione del voto è liberamente dispo-
nibile dal socio, il quale può dunque rinunziarvi in tutto o in parte (cfr. art.
127-quinquies TUF).
La legge ad una prima lettura sembrerebbe subordinare la rinunzia irrev o-
cabile ad una espressa previsione statutaria, però – come sostenuto in dot-
trina174 – apparirebbe singolare escluderne l’ammissibilità ove lo statuto
nulla disponga al riguardo. Anzitutto perché, se si tratta di un premio per un
comportamento virtuoso, non si vedrebbe la ragione per cui il beneficiario
non possa rinunciare a questo premio; non siamo certo di fronte ad un dirit-
to indisponibile da parte del titolare. In questo caso l’unico modo per disfa r-
sene sarebbe l’alienazione delle azioni, ma la soluzione è troppo estrema:
l’azionista si troverebbe costretto a ridurre considerevolmente non solo le
proprie prerogative corporative, ma anche la partecipazione ai dividendi e
dunque gli interessi economici.
Una seconda ragione che sembrerebbe deporre per la libera rinunziabilità è
legata alla disciplina dell’OPA. Se infatti il socio è in grado di modulare il
174 G. GUIZZI , La maggiorazione del diritto di voto, cit., p. 157 in particolare alla nt. 17;
P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , cit., pp. 458-459.
E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., pp. 107-108, sottolinea che gli statuti
possono, non devono prevedere la rinunzia; limitandosi ad esprimere perplessità per tale
facoltatività e ravvisando nella rinunzia per legge quella che avrebbe dovuto essere la
scelta migliore.
109
proprio peso in assemblea limitando la propria presenza ad una frazione
della propria partecipazione o rinunziando all’esercizio del voto maggior a-
to175, la ratio della rinunzia pare essere quella di consentire al soggetto int e-
ressato di rientrare dal possibile sforamento delle soglie rilevanti che i m-
pongono obblighi di comunicazione o di OPA, senza essere costretto ad
alienare parte delle azioni176. E infatti, l’art. 49, primo comma, lett. e), reg.
emittenti, prevede, ai fini dell’esenzione dall’obbligo OPA per superamento
della soglia, oltre alla cessione dei titoli in eccedenza, anche la riduzione
dei diritti di voto eccedenti.
La norma del TUF dunque, non dovrebbe essere interpretata nel senso di
consentire la rinunzia solo ove prevista n ello statuto, ma nel senso di legit-
timare gli statuti a modularne gli effetti.
Si attribuisce poi alla rinunzia il carattere dell’irrevocabilità: giustamente,
benché liberamente possibile, la scelta di rinunciare alla maggiorazione del
voto richiede un minimo di serietà, non potendo essere esposta al “capri c-
cio” del suo beneficiario. È necessario sapere con certezza l’ammontare del
numero complessivo dei voti, così da poter determinare la presenza o meno
di obblighi di partecipazioni rilevanti o di OPA anch e in capo ad altri azio-
nisti.
Quello che sembrerebbe certo è che per irrevocabilità non si intende impo s-
sibilità di acquisire in futuro un voto nuovamente maggiorato, ma sempl i-
cemente che per l’ammontare di azioni per cui si è rinunziato alla maggio-
razione sarà necessaria una nuova maturazione dei requisiti177.
Ci si potrebbe chiedere se la rinunzia comporta anche la cancellazione
dall’elenco delle azioni per le quali si è rinunziato o semplicemente
l’azzeramento del possesso continuativo. Evidentemente si disporrà la can-
cellazione (chi ha rinunziato non ha più interesse al potenziamento del voto)
e per riacquistare la maggiorazione del voto sarà necessaria una nuova r i-
chiesta di iscrizione al fine di rinvenire un rinnovato interesse in tal senso in
capo all’azionista.
175 P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , cit., p. 459, il quale d i-
stingue nettamente la rinunzia al diritto al voto maggiorato dalla rinunzia, che rileva a s-
semblea per assemblea, all’esercizio del voto maggiorato.
176 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 470.
177 E. LA MARCA , Azioni (sti) con voto maggiorato , cit., p. 7; Atto congiunto Banca
d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 469.
110
La rinunzia richiede la maturazione del beneficio, ma non pare sia da esclu-
dere anche la possibilità – durante la fase di maturazione del privilegio cor-
porativo – di richiedere la cancellazione dall’elenco, con il conseguente v e-
nir meno della legittimazione al beneficio del voto maggiorato178.
Per rinunzia «in tutto o in parte, al voto maggiorato » si intende indubbi a-
mente la possibilità di abdicare alla maggiorazione per tutte o alcune delle
azioni iscritte nell’elenco. Non sembra possibile una rinunzia consistente in
un’amputazione parziale dell’ammontare della maggiorazione in capo alla
singola azione (cioè, ad es., passare da 2 a 1,5 voti). Va salvaguardato un
minimo di standardizzazione ed evitate complicazioni di scarso interesse
pratico.
Notiamo per inciso che il voto addizionale può consistere non solo in un
raddoppio del voto, ma anche in un incremento frazionario: la locuzione
usata nell’art. 127- quinquies , primo comma, « fino a un massimo di due vo-
ti» per azione sembrerebbe legittimare tale assunto179, ma si tratterebbe,
probabilmente, di una complicazione di scarso interesse da parte delle so-
cietà quotate180.
12. Le vicende modificative dal lato soggettivo che non comportano la
perdita della maggiorazione: la successione mortis causa.
L’art. 127- quinquies , terzo comma, TUF, ci dice che, se lo statuto non d i-
spone diversamente, il diritto di voto maggiorato è conservato in caso di
successione per causa di morte al titolare delle azioni181.
178 Come prevedono espressamente le prassi statutarie di alcune società, tra cui EXPR I-
VIA S.P.A., Campari S.p.A., TerniEnergia S.p.A., HERA S.p.A.
179 Come rilevato da M. CIAN, Capitale, proprietà, controlli , cit., p. 1262, il quale non
manca di rilevare che nella relazione accompagnatoria il legislatore si è lasciato sfuggire
il sintagma “azioni a voto doppio”; E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p.
92; N. ABRIANI , Azioni a voto plurimo e maggiorazione del diritto di voto, cit., p. 17; P.
MARCHETTI , Commento all’art. 20 del d.l. competitività , cit., p. 10; B. MASSELLA DUCCI
TERI, Il decreto competitività , cit., p. 469 alla nt. 9, con riferimento alle azioni a voto plu-
rimo; E. LA MARCA , Azioni (sti) con voto maggiorato , cit., p. 5; contra A. BUSANI – M.
SAGLIOCCA , Le azioni non si contano, ma si “pesano” , cit., p. 1053 nt. 16.
180 Allo stato, infatti, nessuna società ha adottato tale soluzione.
Il diritto francese sembra aver preventivato lo scarso interesse pratico e infatti parla di un
«droit de vote double » (cfr. art. L225-123 Code de commerce ).
181 Cambia la terminologia usata rispetto alla disciplina del dividendo maggiorato, dove si
111
Trattandosi di una vicenda necessaria, e dunque di un trasferimento non l i-
beramente disponibile, il disposto appare dotato di coerenza, anche se il ca-
rattere in senso lato personalistico del voto maggiorato suggerirebbe una
sua estinzione alla morte del titolare, come avviene per altri diritti182. Pro-
prio quest’ultima considerazione potrebbe porre l’interrogativo circa la pos-
sibilità di una valorizzazione economica del voto maggiorato a favore degli
eredi qualora a livello statutario si fosse deciso di escludere la trasmissibil i-
tà del beneficio.
Abbiano visto, a propos ito del recesso, che una valorizzazione economica
del voto aggiuntivo sia difficile da ammettere e anche in sede successoria il
carattere personale del beneficio porterebbe a concludere che con la morte
del titolare esso si estingua, non lasciando spazio a rivendicazioni econom i-
che da parte dei successori a causa di morte.
Tuttavia la legge considera normale la trasmissibilità del voto maggiorato in
questo tipo di successione, lasciando all’autonomia statutaria la possibilità
di derogare alla disciplina di default. Considerato il giudizio legislativo, non
sarebbe poi così peregrino prospettare la possibilità che i successori avanz i-
no delle pretese economiche aggiuntive come ristoro per il mancato conse-
guimento del beneficio “conquistato” dal de cuius , del qu ale si pongono
come “continuatori”, ma la legge nulla dispone al riguardo. Sul piano
dell’opportunità la scelta è comprensibile, in quanto si rischierebbero oneri
non indifferenti in capo alla società, pertanto una tale liquidazione del voto
maggiorato pot rebbe tuttalpiù trovare sanzione solo a livello statutario, co-
me espressione di quell’ampia autonomia riconosciuta ai privati.
La coerenza del disposto di cui all’art. 127- quinquies , terzo comma, si rav-
visa anche ponendo l’attenzione sul significato di que sta successione che
trova la propria ragione nella morte di una persona: infatti in questi casi vi
sono delle situazioni giuridiche attive e passive, nonché situazioni di fatto,
che richiedono un nuovo titolare. La disciplina è dunque regolata in termini
di continuità; addirittura, a conferma di tale caratteristica, nel caso
dell’erede, la situazione di fatto del possesso continua in capo al successore
con i medesimi caratteri che aveva rispetto al defunto, per cui se il de cuius
fanno salvi i benefici « in caso di successione universale » (art. 127- quater , terzo comma,
TUF).
182 A. CHECCHINI – G. AMADIO , Lezioni di diritto privato , IX ed., Torino, Giappichelli,
2014, p. 315.
112
era in buona fede lo sarà anche l’erede a prescindere dal suo stato psicolo-
gico183. L’erede è visto come continuatore della personalità del de cuius ,
subentra nell’identica posizione giuridica del suo dante causa e non è consi-
derato terzo in alcun rapporto184.
Se questa è l’impostazione , potrebbe apparire singolare, semmai, l’opt out
concesso all’autonomia statutaria185. Eppure anche questa possibilità non è
poi così biasimevole, almeno sul piano dell’opportunità. Il voto maggiorato
è un beneficio che si traduce in una forza deliberativa assembleare maggio-
re, e poiché le capacità imprenditoriali tendenzialmente non si ereditano,
c’è il rischio che tale maggiorazione passi in mani non meritevoli, andando
inoltre a cristallizzare il capitalismo famigliare che interessa il contesto ita-
liano186.
Escludendo la trasmissibilità del voto maggiorato si evita dunque che un
potere importante (almeno se la partecipazione è significativa) possa essere
speso da soggetti subentrati nella s.p.a. e tuttavia inesperti, se non del tutto
estranei all’attività perseguita dalla società e digiuni di ogni rudimento atti-
nente il funzionamento di una s.p.a. quotata; o addirittura propensi a diss e-
stare l’impresa per estrarre interessi personali a scapito della sua continuità
e della solidità.
In questi casi la necessità di una maturazione ex novo dei requisiti funge da
garanzia: l’erede interessato alla società potrà maturare le esperienze nece s-
sarie nei due anni successivi e poi votare in assemblea con peso maggiorato,
ma anche in modo più avveduto; l’erede più spregiudi cato sarà probabi l-
mente portato a disfarsi delle azioni.
Inoltre, il fatto che la legge consenta – con le limitazioni del caso – limiti
183 Cfr. art. 1146 cod. civ.
184 L. GENGHINI – P. SIMONETTI , Le successioni per causa di morte , in “Manuali Notarili”,
L. GENGHINI (a cura di), v. IV, t. I, Padova, Cedam, 2012, p. 80.
185 Come notato da E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., pp. 103-104.
È appena il caso di notare che il modello francese prevede la conservazione del vote do u-
ble, senza ammettere deroghe statutarie (cfr. art. L225-124 del Code de commerce ).
186 M.S. SPOLIDORO , Il voto plurimo , cit., p. 18; sulle azioni a voto doppio francese v. M.
STORCK – T. DE RAVEL D ’ESCLAPON , Faut- il supprimer à droit de vote double , cit., p. 91.
Si potrebbe comunque rispondere che il mercato potrà essere un buon giudice, premiando
o deprezzando queste conseguenze; senza dimenticare che a volte esso è anche irraz iona-
lità.
113
statutari alla circolazione delle azioni (anche mortis causa )187, significa che
ha preso in considerazione l’eventualità che possano fare ingresso nella so-
cietà terzi non graditi, magari anche perché privi di uno spirito imprendito-
riale benefico per la società188.
Ad ogni modo, colui che succede al de cuius ha comunque diritto di otten e-
re l’iscrizione nell’elenco al fine di maturare i requisiti per ottenere il bene-
ficio.
Puntualizziamo che per successione mortis causa si intende sia quella a tito-
lo universale sia quella a titolo particolare, pertanto a conservare il voto
maggiorato potrà essere tanto l’erede quanto il legatari o189, salve diverse s o-
luzioni statutarie190. Nel caso di legato di cosa altrui, però, pare difficile
ammettere la conservazione del voto maggiorato eventualmente nella d i-
187 Cfr. art. 2355- bis cod. civ.; Consigl io notarile dei distretti riuniti di Firenze, Pistoia e
Prato, massima 13/2010, Clausole limitative della circolazione delle azioni : «È legittima
qualsiasi forma di clausola limitativa del diritto dell ’acquirente mortis causa ad ottenere
l’iscrizione nel libro dei soci, purché essa preveda espressamente che, in caso di mancata
iscrizione, egli ha diritto di realizzare per le sue azioni il valore che deriva
dall’applicazione dei criteri di cui all ’art. 2437-ter c.c. »; Comitato Triveneto dei Notai,
massima H.I.5, Legittimità delle clausole di gradimento o di intrasferibilità : «È legittimo
sottoporre i trasferimenti di azioni, sia inter vivos che mortis causa, alla clausola di d i-
vieto di trasferimento e a quella di mero gradimento, ove siano rispettate le condizioni r i-
chieste dall ’art. 2355 bis, rispettivamente comma 1 e comma 2. Non è pertanto necessa-
rio il consenso di tutti i soci ».
188 Spersonalizzazione sì dunque, ma fino a un certo punto; la società per azioni non è so-
lo azioni, ma anche capitale umano.
Si noti che la libera trasferibilità delle azioni è una caratteristica impresci ndibile dei titoli
quotati, ma la presenza di limiti al riguardo sembrerebbe essere non del tutto incompatib i-
le. L’art. 2.1.3. del Regolamento Borsa Italiana s.p.a., infatti, parrebbe consentire limit a-
zioni che non comportino perturbazioni del mercato, mentre l’art. 104- bis TUF avente ad
oggetto – come vedremo – la regola di neutralizzazione, sterilizza, tra l’altro, anche le li-
mitazioni al trasferimento dei titoli previste nello statuto, ammettendone dunque implic i-
tamente la presenza (come notato da A. DENTAMARO , sub art. 2355- bis, Codice delle s o-
cietà , cit., p. 739).
189 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 464.
190 Delle società che hanno adottato il voto maggiorato, nessuna ha derogato alla discipl i-
na prevista dalla legge. Per la precisione, gli statuti di SAES GETTERS S.p.A.,
Openjobmetis S.p.A., NICE S.p.A., LANDI RENZO S.P.A., Intek Group S.p.A., Conafi
S.p.A. menzionano espressamente anche il legatario; mentre TECHNOGYM S.P.A.
esclude la conservazione della maggiorazione a favore del legatario.
114
sponibilità del terzo; qui infatti le loyalty shares non appartengono al patri-
monio del de cuius, relativamente al quale si profila un fenomeno di conti-
nuità sostanziale.
La legge si riferisce espressamente al solo caso in cui il voto addizionale sia
già maturato, ma evidentemente il discorso non può non valere anche per il
caso in cui sia in corso di maturazione, per cui – in questo caso – non ci sa-
rà interruzione del periodo di possesso necessario per l’attribuzione del pr i-
vilegio corporativo.
E questa precisazione vale anche per le vicende che prenderemo in esame
nel prosieguo del presente lavoro.
12.1. (Segue): la fusione e la scissione del titolare delle azioni.
L’art. 127- quinquies , terzo comma, lett. a) prosegue dicendo che anche in
caso di fusione e scissione del titolare delle azioni il diritto di voto maggio-
rato è conservato, purché lo statuto non disponga diversamente191.
Come giustamente è stato detto, a rilevare non è tanto la contiguità tra il fe-
nomeno della fusione e della scissione di società, e la vicenda successoria
della persona fisica, come la colloca zione testuale delle tre fattispecie sem-
brerebbe postulare, ma piuttosto la finalità di queste vicende societarie192.
Non è questa la sede per affrontare ex professo la discussione sulla natura
giuridica di questi due istituti, ma giova ricordare alcuni pass aggi storici.
Prima della riforma del 2003, la giurisprudenza e parte della dottrina ritene-
vano che la fusione di società fosse una situazione giuridica corrispondente
alla successione universale mortis causa193, inquadrando così la fusione
stessa in una concezione antropomorfica.
Vi erano tuttavia posizioni dottrinali che rifiutavano la tesi successoria, in-
191 Disposizione salutata positivamente da M. LAMANDINI , Voto plurimo, tutela delle m i-
noranze e offerte pubbliche di acquisto , cit., p. 1, in quanto potrebbe favorire processi di
consolidamento industriale.
192 G. GUIZZI , La maggiorazione del diritto di voto, cit., p. 158.
193 Cass. civ., sez. lav., 22 marzo 2010, n. 6845, Rep. Foro. it., 2010 , n. 900; Cass. civ.,
sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27183, Rep. Foro. it., 2008, n. 916; Cass. civ., sez. I, 16
febbraio 2007, n. 3695, Rep. Foro. it., 2008, n. 919; Cass. civ., sez. lav., 2 aprile 2002, n.
4679, Rep. Foro. it., 2003, n. 1158; per una sintesi in dottrina v. C. BOLOGNESI , sub art.
2501, in G. GRIPPO (a cura di ), Commentario delle società , cit., p. 1234, in particolare a l-
la nt. 6.
115
quadrando la fusione come modifica dell’atto costitutivo, in quanto la vo-
lontà dei soci non era di estinguere le società di appartenenza, ma di conti-
nuare i rapporti sociali in un nuovo assetto organizzativo194.
A seguito della riforma del 2003, dalla lettura dell’art. 2504- bis cod. civ.
sembra essere prevalsa questa seconda tesi dottrinale, posto che «la società
che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli ob-
blighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro
rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione »195. Non si fa più rifer i-
mento alle società estinte come risultava nella vecchia formulazione, ma al-
le società partecipanti.
Con la fusione, dunque, non si verifica un fenomeno successorio, ma sem-
plicemente un atto riorganizzativo, pertanto non vi è un trasferimento delle
azioni a voto maggiorato ma la continuazione del possesso da parte del m e-
desimo ente che sopravvive in un rinnovato assetto organizzativo.
Considerazioni simili sono state fatte anche per la scissione, con
l’affermarsi in modo prevalente dopo la riforma del 2003 della tesi che con-
cepisce la scissione come fenomeno modificativo dell’atto costitutivo196,
anche considerando la nuova terminologia usata dal legislatore, il quale
all’art. 2506 cod. civ. ha preferito stabilire che con la scissione una società
194 Per una sintesi C. BOLOGNESI , sub art. 2501, in G. GRIPPO (a cura di), Commentario
delle società , cit., p. 1234, in particolare alla nt. 10; L. GENGHINI – P. SIMONETTI , Le so-
cietà di capitali e le cooperative , cit., p. 1300.
Tra i processualisti la circostanza è stata esaminata nell’ambito della successione nel pro-
cesso, v. C. CONSOLO , Spiegazioni di diritto processuale , v. II, II ed., Torino, Giappiche l-
li, 2012, p. 437.
195 E la giurisprudenza ne ha preso atto in Cass. civ. [ord.], sez. un., 8 febbraio 2006, n.
2637, Rep. Foro. it., 2006 , n. 892. V. anche Comitato Triveneto dei Notai, massima
L.A.21, Ammissibilità della fusione “propria” a favore di una società di persone di nuo-
va costituzione con unico socio , secondo cui « in base all’art. 2504 bis, comma 1, c.c., nel
testo novellato dal D. Lgs. 6/2003, la fusione tra società non comporta l’estinzione di un
soggetto e la correlativa creazione di un diverso soggetto, ma si risolve in una vicenda
meramente evolutiva e modificativa dello stesso soggetto, che conserva la propria iden-
tità, pur in un nuovo assetto organizzativo (così Cass., sez. un. 8 febbraio 2006, n.
2637) ».
196 F. GALGANO , in Trattato di diritto civile , vol. IV, cit., p. 739, muove dalla distinzione
fra società come atto e società come rapporto; la scissione agisce sul rapporto contrattuale
costituito dall’originario contratto di società, modificandolo. Sarebbe incongruo, sostiene
l’autore, ammettere nuove società costituirsi p er deliberazione a maggioranza.
116
«assegna » l’intero suo patrimonio o parte di esso, non trasferisce197.
Pertanto anche in caso di scissione, e a prescindere se le azioni a voto mag-
giorato siano assegnate ad una o più beneficiarie, il possesso non si inter-
rompe, essendo il fenomeno sempre di natura riorganizzativa198.
In caso di scissione parziale in favore di benefici arie preesistenti sembra e f-
fettivamente esserci un trasferimento, ma il fenomeno ben può qualificarsi,
anche in questo caso, in termini di modifica dell’atto costitutivo, in partico-
lare se si pone l’accento sulla ratio dell’istituto, ossia consentire una r iorga-
nizzazione che renda più efficiente l’attività di impresa.
Per le ragioni esposte, in dottrina si sono espresse perplessità circa
l’esplicita possibilità data agli statuti di disporre diversamente199.
La finalità della norma, probabilmente, è di consen tire agli emittenti che
hanno adottato il voto maggiorato di evitare che operazioni straordinarie r i-
guardanti un ente proprio azionista (fusione e scissione sono vicende di n a-
tura essenzialmente societaria) consentano il mantenimento del beneficio
corporat ivo in capo a quello stesso ente la cui identità – pur in termini di
continuità, come abbiamo visto – può essere notevolmente cambiata200.
197 V. anche Comitato Triveneto dei Notai, massima L.A.15, Applicabilità delle norme
dettate in materia di trasferimento di immobili alle fusioni o scissioni di società , secondo
cui « le fusioni o scissioni, totali o parziali, proprie o improprie, proporzionali o non pr o-
porzionali, sono sempre configurabili come negozi che hanno quale oggetto i soggett i so-
cietà coinvolti, i cui assetti vengono ridefiniti, e non anche i loro patrimoni; risolvendosi
in vicende meramente evolutive e modificative degli stessi soggetti, che conse rvano la
propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo (confr. Cass. Sez. Un. 8 febbraio
2006, n. 2637) ».
F. LOCATELLI , sub art. 110 , Commentario del codice di procedura civile , v. II, Artt. 90-
162, L.P. COMOGLIO – C. CONSOLO – B. SASSANI – R. VACCARELLA (diretto da), Torino,
UTET, 2012, p. 165, rileva come, quanto meno in caso di assegnazione totale del patr i-
monio della scissa, sia difficile non accogliere la tesi dell’estinzione dell’originaria soci e-
tà con conseguente fenomeno successorio.
198 In Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 464 si parla di con-
tinuità sostanziale derivante dalla natura riorganizzativa dell’operazione; in termini ana-
loghi G. GUIZZI , La maggiorazione del diritto di voto, cit., p. 158.
199 E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., pp. 102-103.
200 POLIGRAFICA S. FAUSTINO S.P.A. nel proprio statuto all’art. 7, nono comma, ha
derogato alla disciplina di default. Campari S.p.A. e TerniEnergia S.p.A. escludono il
mantenimento del beneficio se la fusione o scissione comporta cambio di controllo
dell’ente iscritto nell’elenco speciale, indipendentemente dal fatto che le azioni (a voto
maggiorato) costituiscano partecipazione rilevante. Se il cambio di controllo non avviene
117
Da segnalare che in dottrina alcuni autori hanno paventato pericoli di elu-
sione proprio tramite gli istituti della fusione e scissione201, e che alcuni sta-
tuti di società che hanno recepito il voto maggiorato hanno il merito di aver
cercato di porvi rimedio202.
Concludendo, la scelta normativa di default sembra avere, dunque, una giu-
stificazione giuridica ed economica: giuridi ca perché non c’è un trasfer i-
mento vero e proprio; economica perché non penalizza le operazioni di
riorganizzazione finalizzate ad una maggiore efficienza e competitività.
13. Alcune vicende traslative prese in considerazione dalla prassi statu-
taria : il patto di famiglia.
Abbiamo già detto come l’autonomia statutaria abbia ampi margini di m a-
novra, pertanto è auspicabile che gli statuti siano sufficientemente precisi
onde evitare possibili future controversie203.
Nelle prime applicazioni pratiche si sono infatti prese in considerazione cir-
costanze non espressamente regolate dal legislatore204.
l’operazione straordinaria è vista come mera operazione endo-gruppo, rimanendo invari a-
to il titolare sostanziale dell’investimento.
201 M. VENTORUZZO , Un’azione, un voto , cit., p. 523 e I D., The Desappearing Taboo of
Multiple Voting Shares , cit., p. 15, il quale sostiene che l’art. 1344 cod. civ. contro i n e-
gozi in frode alla legge difficilmente potrà essere un valido deterrente; I. POLLASTRO , Vo-
to plurimo e voto maggiorato , cit., p. 65; P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul vo-
to maggiorato , cit., p. 466.
202 Ci riferiamo agli statuti di Campari S.p.A. e TerniEnergia S.p.A., i quali prevedono la
conservazione del voto maggiorato a favore di un ente non soggetto a controllo solamente
se il peso del valore contabile delle azioni della Società rispetto al patrimonio netto
dell’ente avente causa non ecceda il cinque per cento e non sia superiore al corrisponden-
te peso, su basi omogenee, rispetto al patrimonio netto dell ’ente dante causa (cioè quello
già titolare delle azioni a voto maggiorato e interessato dalla fusione o scissione).
In parole più semplici, il mantenimento del voto maggiorato è assicurato solo in presenza
di un indice di non-elusività dell’operazione: se il “peso” delle loyalty shares rispetto al
patrimonio delle società coinvolte nella fusione o scissione è consistente, Campari S.p.A.
e TerniEnergia S.p.A. ritengono che l’operazione possa essere stata confezionata ad hoc
per mascherare una cessione di azioni vera e propria, e dunque comportante la perdita del
beneficio per l’ente avente causa, non trattandosi di un’operazione di riorganizzazione.
203 Chiaramente il ruolo del notaio in questi casi è fondamentale.
204 Pensiamo, ad esempio, agli statuti di Campari S.p.A. e di EXPRIVIA S.P.A.
118
La prima è il patto di famiglia, istituto che consente al titolare di partecip a-
zioni sociali di trasferirle ad uno o più discendenti, tacitando gli altri legit-
timari mediante liquidazione della loro quota di legittima (in rapporto al va-
lore della partecipazione sociale).
Al di là dei moltepl ici modelli ricostruttivi cui la dottrina è pervenuta nello
studio di questo nuovo (ed eversivo) istituto – che vanno dal riconoscimen-
to di un nuovo tipo legale non riconducibile a schemi preesistenti205,
all’incasellamento dell’istituto in figure già note all’ordinamento (contratto
a favore di terzo , donazione modale), fino all’inquadramento dello stesso in
figure che ne mettono in risalto la complessità funzionale ( negotium mixtum
cum donatione , liberalità diretta non donativa)206 – , in questa sede interessa
solo notare che il patto di famiglia, pur essendo un contratto inter vivos , può
essere ricostruito come una successione anticipata, in quanto si anticipa (ec-
cezionalmente) la rilevanza di interessi che altrimenti troverebbero concr e-
tizzazione solamente alla morte del titolare delle azioni207.Tutto ciò sembr e-
rebbe confermato sia dall’art. 458 cod. civ. che qualifica il patto di famiglia
come patto successorio, almeno sul piano degli interessi regolati208, sia dalla
necessità di liquidare la quota di legittima ai non assegnatari impedendo
205 G. PETRELLI , La nuova disciplina del “patto di famiglia” , Riv. not ., fasc. 2, 2006, p.
407, secondo cui occorre « rinunciare ad “incasellare” il patto di famiglia in uno degli
schemi tipici preesistenti alla novella: semplicemente si tratta di un ulteriore contratto,
avente una sua funzione tipica di natura complessa, irriducibile a quella dei t ipi contra t-
tuali precedentemente disciplinati dal codice civile »; anche F. GERBO , Il patto di fam i-
glia: problemi dogmatici. Loro riflessi redazionali , Riv. not ., fasc. 6, 2007, p. 1273, lo
definisce un contratto nominato con causa propria.
206 S. DELLE MONACHE , Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di f a-
miglia , Riv. not. , fasc. 4, 2006, pp. 889 ss.
207 G. AMADIO , Patto di famiglia , cit., pp. 867 ss.
208 In dottrina ( S. DELLE MONACHE , Spunti riflessivi , cit., pp. 889 ss.), si è sostenuta
l’irrilevanza della modifica dell’art. 458 cod. civ., poiché il patto di famiglia non è atto
mortis causa , cioè un atto con cui si dispone ora per allora di beni considerati come po s-
sibile oggetto della futura successione; ma si tratta di attribuzione inter vivos ad efficacia
immediata. Il testamento rimane dunque l’unico negozio mortis causa a contenuto patr i-
moniale ammesso nel nostro ordinamento giuridico . Semmai è rispetto ai divieti di c ui al
periodo finale dell’art. 458 cod. civ., e cioè riguardanti i patti successori dispositivi e r i-
nunciativi (ma che non hanno niente a che vedere con il divieto dei patti successori istitu-
tivi nei cui confronti il patto di famiglia sarebbe una deroga, stante l’attuale formulazione
dell’art. 458 cod. civ.) che il patto di famiglia assume carattere eccezionale.
119
l’operatività della collazione e della riduzione, istituti che presiedono ad in-
teressi normalmente protet ti in sede successoria. Si realizza così un assetto
di interessi dotato di stabilità anche nella futura successione209.
L’assimilazione alla figura della successione per causa di morte legittim e-
rebbe dunque un’interpretazione estensivo-analogica, riconnettendo al patto
di famiglia la stessa disciplina prevista per la successione mortis causa210.
13.1. (Segue): la fondazione.
Tutti gli statuti delle società che hanno preso in considerazione il patto di
famiglia come vicenda non interruttiva dell’app artenenza continuativa fan-
no riferimento anche al trasferimento a titolo gratuito per la costituzione e/o
dotazione di un trust, di un fondo patrimoniale o di una fondazione di cui lo
stesso trasferente o i di lui eredi legittimari siano beneficiari.
La previsione del trust e della fondazione si spiega per la semplice ragione
che si tratta di istituti in genere usati per perseguire scopi analoghi a quelli
che caratterizzano il patto di famiglia, ossia gestire il passaggio generazio-
nale della ricchezza e, segnatamente, delle partecipazioni societarie211.
La fondazione è un ente con personalità giuridica e il trasferimento ad essa
delle azioni integra una cessione ad un altro soggetto. Il fatto, però, che alla
fondazione venga impresso uno scopo a beneficio di appartenenti della stes-
sa famiglia, e in particolare degli eredi legittimari212, consentirebbe di assi-
209 L’istituto è stato oggetto di profonde riflessioni, facendo addivenire la dottrina a pos i-
zioni contrastanti, complice una tecnica legislativa molto criticabile. È sufficiente rima n-
dare a G. AMADIO , Lezioni di diritto civile , cit., pp. 211 ss.; E. ROSSI, Il trasferimento del
patrimonio , cit., pp. 239 ss.; G. DE NOVA – F. DELFINI , sub art. 768 bis, in V. CUFFARO –
F. DELFINI (a cura di), Delle successioni artt. 713-768 octies e leggi collegate , in Com-
mentario del codice civile , E. GABRIELLI (diretto da), Torino, UTET, 2010, pp. 375 ss.
210 P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , cit., pp. 460-461; Atto
congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 464.
211 G. DE NOVA – F. DELFINI , sub art. 768 bis, Delle successioni artt. 713-768 octies e
leggi collegate , cit., p. 376.
212 Ci si riferisce, evidentemente, alle fondazioni familiari. In dottrina vi è chi ammette la
costituzione di fondazioni familiari a scopo “privato” e chi invece ritiene imprescindibile
uno scopo di pubblica utilità, per cui nel caso di fondazioni familiari i beneficiari non p o-
tranno essere gli appartenenti ad una famiglia in quanto tali, bensì solo in quanto versino
in una particolare situazione meritevole di tutela.
120
milare la vicenda, in termini di effetti, alla successione mortis causa e pe r-
tanto si fa salvo il beneficio del voto maggiorato.
Se invece il beneficiar io dovesse essere lo stesso trasferente, un approccio
sostanzialista autorizzerebbe a ritenere che le loyalty shares continuano a
far a capo al medesimo soggetto. La gestione del patrimonio della fond a-
zione, compreso dunque l’esercizio del diritto di voto connesso alle azioni,
dovrà avvenire secondo le indicazioni e gli interessi del trasferente, desu-
mibili dall’atto costitutivo.
13.2. (Segue): il conferimento in trust.
Per quando riguarda il trust, ci troviamo di fronte ad un istituto che ha r i-
scosso successo nella pratica, stante la sua estrema versatilità. L’attenzione
su di esso si è intensificata a seguito della ratifica della Convenzione
dell’Aja del 1° luglio 1985, con L. 16 ottobre 1989, n. 364. È la stessa Con-
venzione a precisare che « per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti
da una persona, il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora
dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un
beneficiario o per un fine specifico » (art. 2 Convenzione dell’Aja 1° luglio
1985).
Lo schema del trust prevede che vi sia un settlor o disponente che confer i-
sce dei beni; un trustee chiamato ad amministrare i beni del trust
nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico; e i beneficiari che
acquisteranno la titolarità dei beni al momento dello scioglimento del
trust213.
Il timore è che, attraverso la fondazione, si possa eludere il divieto della sostituzione f e-
decommissaria. Ma allora se questa è la preoccupazione sarà sufficiente un controllo con-
creto per verificare se si è in presenza di una frode alla legge (per un review dei vari
commenti dottrinali cui si è fatto riferimento v. G. DINACCI , sub art. 16, in A. BARBA – S.
PAGLIANTINI (a cura di), Delle persone, artt. 11- 73, in Commentario del codice civile ,
Torino, UTET, 2016, pp. 92 ss.; A.A. CARRABBA , in Diritto civile. Norme, questioni,
concetti , cit., pp. 175 ss.). Il fumus può essere evitato prevedendo una gestione non nece s-
sariamente statica, consentendo l’alienazione del patrimonio di dotazione purc hé il rica-
vato sia destinato allo scopo della fondazione, e dunque al benessere dei discendenti di
una famiglia (v. A. FUSARO , La fondazione di famiglia in Italia e all’estero, Riv. not ., I,
2010, p. 37).
213 L. PANZANI , Il trust nell’esperienza giuridica italiana: il punto di vista della giur i-
121
L’istituto in parola è sorto nel sistema di common law , e precisamente rap-
presenta una delle più importanti creazioni dell’equity ; è intuibile dunque la
singolarità dell’istituto agli occhi dei giuristi continentali, abituati all’idea
dell’unicità della proprietà e dunque poco propensi ad ammettere il concetto
di proprietà fiduciaria o funzionalizzata214.
Prescindendo dalle riflessioni, tutt’altro che univoche, sull’ammissibilità del
trust interno, quello cioè che ha solo la legge applicabile come elemento
transnazionale215, in questa sede interessa constatare che lo schema del trust
può essere utilizzato per pianificare passaggi generazionali di ricchezza; in
questo caso se ad essere conferite sono azioni, esse formalmente vengono
intestate al trustee , ma se i beneficiari sono gli eredi legittimari (come risul-
ta dalle prime applicazioni pratiche in alcuni statuti), in termini di effetti la
sprudenza e degli operatori, Giur. merito , fasc. 12, 2010, p. 2934B.
214 Il sistema giuridico inglese è noto per la bipartizione (ancora oggi, di fatto) tra com-
mon law ed equity. È una struttura che ha potuto svilupparsi stante la diversa storia rispe t-
to al diritto dei Paesi romanisti, ove il sistema giuridico è stato ordinato attraverso l’opera
delle università e del legislatore, mentre il diritto inglese ha sempre prestato maggiore a t-
tenzione alle procedure. L’equity nacque quando il sistema di common law divenne insu f-
ficiente e difettoso, pertanto il cancelliere interveniva applicando la legge morale o giud i-
cando secondo coscienza. Con il tempo l’equity divenne un corpo di vere e proprie norme
giuridiche.
Limitatamente al trust, il fatto che la common law non prestasse adeguate tutele contro gli
abusi del trustee ha sollecitato l’intervento del Cancelliere, giungendo così
all’elaborazione di regole che consentissero di dare rilevanza al rapporto fiduciario tra
trustee e beneficiario. Il fulcro della disciplina sta nell’ammettere uno smembramento del
diritto di proprietà, nel senso che la proprietà formale spetta all’amministratore in quanto
intestatario dei beni conferiti in trust, mentre quella sostanziale spetta ai beneficiari ( R.
DAVID – C.J. SPINOSI , I grandi sistemi giuridici contemporanei , R. SACCO (a cura di), V
ed. it., Padova, Cedam, 2004, pp. 264 ss.).
Oltre all’equity gioca un ruolo fondamentale anche l’origine feudale del sistema propri e-
tario inglese; è in particolare con l’arrivo dei Normanni che si verificarono profonde in-
novazioni, giungendo a concepire un diritto sulla terra essenzialmente perpetuo in capo al
sovrano e dei diritti riconducibili ai baroni legati da un vincolo di fedeltà verso il sovrano
(S. GASPARINI , Appunti minimi di storia del diritto – Età moderna e contemporanea , v.
II, Padova, Imprimitur, 2002, pp. 285 ss.). Una struttura presente ancora oggi, seppur
svuotata nella sostanza, nell’attuale Commonwealth , che vede al suo vertice la regina
d’Inghilterra, quale governante assoluta (ma solo simbolica).
215 V. sul punto L. PANZANI , Il trust nell’esperienza giuridica italiana , cit.; per alcuni
cenni E. CORAPI , Sul trust interno “autodichiarato”, Banca, borsa, tit. cred ., fasc. 6,
2010, pp. 801 ss.
122
vicenda può essere equiparata ad una successione per causa di morte. Si ri-
tiene dunque che il voto maggiorato possa essere conservato216.
Analogamente a quanto osservato per la fondazione, se beneficiario del
trust è lo stesso disponente titolare delle loyalty shares , il trustee è vincol a-
to a gestire il pacchetto azionario secondo quanto stabilito dal disponente,
per cui la conservazione della maggiorazione del voto trova giustificazione
in una continuità sostanziale.
Il trust può essere utilizzato anche come strumento per rendere attuativo un
patto di sindacato217 e prevenire possibili divergenze di voto tra gli azionisti
interessati (ricordiamo che i patti parasociali hanno efficacia obbligatoria,
per cui residua solo il rimedio risarcitorio in caso di loro violazione). Nella
misura in cui il trustee è vincolato a gestire il pacchetto azionario secondo
le indicazioni dei disponenti, si può ritenere che il voto maggiorato si con-
servi.
Maggiori dubbi si avrebbero se l’amminis tratore avesse un’ampia discr e-
zionalità al riguardo, stante il carattere personalistico del voto maggiorato:
non solo formalmente, ma anche sostanzialmente il premio del voto addi-
zionale non sarebbe più riferibile a chi l’ha conquistato.
Le considerazioni sull’istituto del trust valgono anche qualora si volesse
parlare di negozio fiduciario o di intestazione fiduciaria218, figura equiv a-
lente – ai nostri fini – all’istituto anglosassone219.
Che si parli di trust o di intestazione fiduciaria, si ha sempre un soggetto
(fiduciante) che trasferisce un bene ad un altro soggetto (fiduciario) con il
patto che l’intestatario gestirà quel bene in conformità alle istruzioni impa r-
tite (o che si riserva di impartirgli successivamente) dal fiduciante220.
216 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 464.
217 E. CORAPI , Sul trust interno , cit., pp. 801 ss.
218 Aveva sollevato un interrogativo circa il destino del voto maggiorato a seguito di int e-
stazione fiduciaria M. CIAN, Capitale, proprietà, controlli , cit., p. 1263; v. anche P.
MARCHETTI , in Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , cit., p. 455
219 Si segnala che vi sono due società (COFIDE S.p.A., CLASS EDITORI S.P.A.) che, a
differenza di altre che invece fanno riferimento al trust, hanno preso espressamente in
considerazione la fattispecie in esame, prevedendo nello statuto (rispettivamente all’art.
8.12 e all’art. 11.8) che l ’intestazione o la disintestazione fiduciaria non rilevano, purché
non vi sia stata una modifica del fiduciante.
220 C. BRUNELLI , Negozio fiduciario e imposte indirette , Studio n. 86/2003/T, approvato
dalla Commissione Studi Tributari il 26 marzo 2004 e dal Consiglio del Notariato il 6
123
Discusso è, semmai (ma il tema non sarà approfondito in questa sede), se
nel negozio fiduciario, il fiduciario stesso diventi titolare del diritto (come
nel caso del trust) o se invece acquisti solamente una legittimazione
all’esercizio dei diritti inerenti il bene, la cui proprietà rimane in capo al fi-
duciante221. Di vera e propria “proprietà fiduciaria” si dovrebbe parlare s o-
lamente nel caso del trust ovvero di figure speciali legislativamente previste
nel nostro ordinamento, come ad es. nelle società fiduciarie222.
Per quanto riguarda le azioni, si è comunque riconosciuta la possibilità che
al fiduciario venga attribuita la mera legittimazione, in quanto la legge a m-
metterebbe una divaricazione tra titolarità e legittimazione223.
Sul piano degli interessi e a prescindere dalle ricostruzioni che si possono
fare circa il negozio fiduciario224, l’intestatario delle azioni agisce
maggio 2004, reperibile in www.notariato.it .
221 È la nota distinzione tra fiducia di tipo romano e fiducia di tipo germanico, che merit e-
rebbe di essere approfondita, ma che esula dall’oggetto del presente lavoro. Nella prima,
la proprietà è trasferita al fiduciario ma, in forza del pactum ficuciae , egli è tenuto ad un
esercizio dei diritti connessi in linea con le istruzioni ricevute dal fiduciante (v. Cass. civ.,
sez. I, 27 novembre 1999, n. 13261, Rep. Foro. it., 2000, n. 873). In questo caso si dice
che i mezzi attribuiti al fiduciario sono eccedenti rispetto al fine, per cui la fiducia assume
massima rilevanza (v. però F. GALGANO , in Trattato di diritto civile , v. II, III ed., Padova,
Cedam, 2015, p. 538, secondo il quale – allineandosi ad altri autori – non è corretto parl a-
re di eccesso della causa rispetto allo scopo, ma piuttosto si dovrebbe sostenere che col
negozio fiduciario si persegue uno scopo diverso). Nel secondo tipo di fiducia si pone
l’accento sulla possibilità di separare la titolarità formale del diritto in capo al fiduciante e
la legittimazione, in nome proprio, al suo esercizio in capo al fiduciario.
222 F. GALGANO , in Trattato di diritto civile , v. II, cit., p. 534, per il quale la proprietà f i-
duciaria non può essere, nel nostro ordinamento dominato dal principio della tipic ità dei
diritti, il prodotto dell’autonomia contrattuale, ma può derivare dalla ricorrenza di speciali
figure regolate dalla legge.
223 A. TORRENTE – P. SCHLESINGER , Manuale di diritto privato , F. ANELLI – C. GRANELLI
(a cura di), XXI ed., Milano, Giuffrè, 2013, p. 620; G.B. PORTALE – E. GINEVRA , Intest a-
zione a società fiduciaria di azioni non interamente liberate e responsabilità per i conf e-
rimenti residui, Riv. soc ., fasc. 5, pp. 813 ss.; Trib. Milano, 19 novembre 2001, Rep. Fo-
ro. it., 2002, n. 847; Cass. civ., sez. I, 23 settembre 1997, n. 9355, Rep. Foro. it., 1997 , n.
733, dove si dice esplicitamente che alla società fiduciaria spetta « soltanto la legittim a-
zione ad esercitare i diritti connessi alla partecipazione azionaria ».
224 Il trust e il negozio fiduciario di tradizione romanistica sono molto simili da un punto
di vista strutturale, tuttavia il primo è sorto in un un contesto che dà rilevanza esterna al
rapporto fiduciario; mentre l’apparato rimediale fornito dal nostro ordinamento riconosce
solo una tutela risarcitoria alla violazione del pactum fiduciae (M. BIANCA , Trustee e f i-
124
nell’esclusivo interesse del fiduciante, quasi identificandosi con
quest’ultimo225; se effettivamente risulta essere un mero esecutore della v o-
lontà del fiducian te, privo della benché minima discrezionalità, la conserv a-
zione del voto maggiorato appare circostanza fattibile.
In generale, le ragioni per le quali un soggetto decide di intestare azioni ad
un fiduciario (o ad un trustee ) sono molteplici, si pensi al caso in cui un
azionista abbia difficoltà ad esercitare le prerogative sociali (magari per un
tempo limitato) e ciò nonostante intenda rimanere interessato alla società in
cui ha investito. Non si vede perché il beneficio debba essere perso.
13.3. (Segue): il fondo patrimoniale.
Considerazioni un po’ più articolate vanno fatte per quel che riguarda il
fondo patrimoniale. Da notare innanzitutto che le azioni destinate al fondo
patrimoniale ben possono rimanere in proprietà del conferente, posto che la
comproprietà è prevista in via suppletiva.
In ogni caso l’amministrazione dei beni è regolata dalle norme sulla comu-
nione legale (art. 168, terzo comma, cod. civ.), per cui relativamente agli a t-
ti di ordinaria amministrazione essa può essere disgiuntiva, ma solo qualora
non vi sia comproprietà delle azioni, posto che in questo caso i diritti dei
comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune (art.
2347, primo comma, cod. civ.).
Pertanto, nel caso in cui non dovesse esserci comproprietà, ma manten i-
mento della titolarità in capo al coniuge conferente, il diritto di voto può e s-
sere esercitato dal conferente stesso o dal coniuge. Nel primo caso non do-
vrebbero esserci dubbi sulla conservazione del voto maggiorato, nel secon-
do caso la conservazione del privilegio può essere giustificata dal fatto che
il diritto di voto connesso alle azioni deve essere esercitato in considerazi o-
ne dei bisogni della famiglia, e dunque in base a finalità positivamente valu-
tate dall’ordinamento e non estranee al coniug e che ha dotato il fondo delle
loyalty shares (il quale infatti fa parte della famiglia)226.
Più in generale e dunque anche quando la titolarità delle azioni dovesse
gure affini nel diritto italiano , Riv. not ., fasc. 3, 2009, pp. 557 ss.).
225 G.B. PORTALE – E. GINEVRA , Intestazione a società fiduciaria , cit., pp. 813 ss.
226 Favorevole al mantenimento del voto maggiorato P. MARCHETTI , Osservazioni e ma-
teriali sul voto maggiorato , cit., p. 461.
125
passare all’altro coniuge227, i doveri di mantenimento e la solidarietà che ca-
ratterizzano la famiglia potrebbero autorizzare interpretazioni del concetto
di “appartenenza” non penalizzanti, così da ritenere le azioni con voto mag-
giorato pur sempre riferibili ad un nucleo di interessi non estraneo al prec e-
dente titolare, in modo tale da non scoraggiare l’impiego di una ricchezza
(in questo caso azioni di una società) per i bisogni della famiglia; bisogni
che possono anche essere legati a un tenore di vita elevato.
Ad eccezione degli abusi, il conferimento di azioni in un fondo patrimoni a-
le non compo rta intenti speculativi, pertanto rimane salvo uno degli obiett i-
vi sottesi alla disciplina del voto maggiorato nelle società quotate.
13.4. (Segue): il trasferimento da un portafoglio ad un altro nell’ambito
di un Organismo di investimento collettivo del risparmio gestito da una
stessa SGR.
Un’altra vicenda presa in considerazione da alcune previsioni statutarie r i-
guarda il passaggio delle azioni da un fondo comune di investimento ad un
altro, entrambi gestiti dalla medesima società di gestione del risparmio
(SGR). La scelta indicata in questi casi è per la conservazione della maggi o-
razione del voto228.
Il fondo comune di investimento è un patrimonio autonomo raccolto, m e-
diante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, tra una pluralità di investito-
ri, con la finalità di investire lo stesso sulla base di una predeterminata pol i-
tica di investimento. Esso è gestito in monte nell’interesse degli investitori e
in autonomia dai medesimi (cfr. art. 1, primo comma, lett. j, TUF).
Nonostante le difficoltà interpretative al riguardo, sui beni nei quali vengo-
no investite le risorse dei partecipanti (comprese le azioni, dunque) sembr e-
rebbe sussistere una proprietà sostanziale in capo agli stessi e una titolarità
formale in capo alla SGR229.
227 G. TRAPANI , Obbligazioni familiari e fondo patrimoniale: i limiti dell’esecuzione ,
Studio n. 2384, approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 22 giugno 1999, reper i-
bile in www.notariato.it .
228 Il riferimento è a MAIRE TECNIMONT S.P.A.; TECHNOGYM S.P.A.; SAES GET-
TERS S.p.A.; DEA CAPITAL S.p.A.; Openjobmetis S.p.A.; Conafi S.p.A.; Intek Group
S.p.A., i cui statuti fanno tutti uso della medesima terminologia.
229 Cfr. il punto 1.2.5. Cass. civ., 15 luglio 2010, n. 16605, consultata nel sito: www.corte
dicassazio ne.it, nella sezione: SentenzeWeb .
126
Stante l’insistenza con cui il legislatore sottolinea l’autonomia del fondo e
la pertinenza dei beni stessi al medesimo (cfr. art. 36, quarto comma, TUF),
sembrerebbe che il passaggio da un fondo ad un altro rappresenti una rottu-
ra dell’appartenenza continuativa, ma in una visione che riguarda il gestore
si potrebbe affermare la continuità230. Rammentiamo infatti che il diritto di
voto connesso alle azioni spetta alla SGR, e trattandosi di una gestione in
monte essa non lascia spazio alla considerazione delle esigenze individuali
dei singoli investitori231. La SGR esercita il diritto di voto nell’interesse dei
partecipanti, ma in piena autonomia (cfr. art. 35-decies TUF).
Considerato il carattere personalistico della maggiorazione del voto, sem-
brerebbe dunque coerente il mantenimento del beneficio in caso di trasfer i-
mento da un fondo ad un altro se il gestore rimane lo stesso.
Se invece le azioni rimanessero di pertinenza del medesimo fondo, ma
cambiasse la SGR che lo gestisce, il beneficio del voto maggiorato dovreb-
be venire meno.
14. Pegno, usufrutto, sequestro delle azioni con voto maggiorato.
La possibilità che le azioni possano essere costituite in pegno o usufrutto è
stata presa in considerazione da buona parte della dottrina e della prassi sta-
tutaria. Il legislatore tace al riguardo, pertanto è bene che gli statuti delle
società che intendano introdurre il meccanismo del voto maggiorato speci-
fichino chiarimenti, così da prevenire dubbi interpretativi.
Sappiamo per certo che nelle ipotesi surriferite il diritto di voto spetta al
creditore pignoratizio o all’usufruttario, salva convenzione contraria (art.
2352, primo comma, cod. civ.); il resto dobbiamo tentare di ricavarlo in via
interpretativa.
Viene a riproporsi anche in questo caso, come nel trust, il problema dell’ammissibilità nel
nostro ordinamento dello sdoppiamento del diritto di proprietà. E questo d iscende proprio
dal retroterra normativo e culturale da cui è stato importato il modello del fondo comune
di investimento, ossia il sistema di common law.
230 P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , cit., p. 455.; Atto con-
giunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., pp. 465-466, dove si richiama l’art.
118, quinto comma, reg. emittenti, secondo cui le partecipazioni dei vari fondi gestiti dal-
la SGR vanno aggregate in capo alla SGR.
231 F. ANNUNZIATA , Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del r i-
sparmio , in L’ordinamento finanziario italiano , cit., p. 456.
127
Il pegno e l’usufrutto sono entrambi diritti reali e in quanto tali conferisco-
no al titolare il possesso232, mentre la titolarità delle azioni rimane immut a-
ta. Poiché per la conservazione del voto maggiorato la legge parla di “ap-
partenenza”, ci si potrebbe chiedere dunque se queste vicende incidono o
meno sulla stessa.
La dottrina prevalen te233 e la prassi statutaria234 legano la permanenza del
voto maggiorato alla permanenza dell’attribuzione del diritto di voto, pe r-
tanto se la costituzione di pegno o usufrutto sulle loyalty shares avviene con
mantenimento del diritto di voto in capo al nudo proprietario o al debitore
datore di pegno, il beneficio si conserva; in caso contrario cessa.
Merita di essere citata anche quella parte di dottrina che invece ritiene che il
voto maggiorato si conservi anche in capo al titolare del diritto reale limit a-
to, in quanto le vicende costitutive dello stesso non incidono sulla stabilità
dell’investimento235.
Dando per pacifica la conservazione del voto maggiorato qualora il diritto
di voto sia mantenuto in capo al debitore datore di pegno o al nudo propri e-
tario, nell’ipotesi opposta va detto, per quanto riguarda il diritto di usufru t-
to, che è un diritto reale limitato dal contenuto molto esteso, non a caso si
232 Il termine, in realtà, è improprio qualora ci si riferisca al regime di dematerializzazione
che caratterizza le azioni quotate, dove non sembra possibile replicare posizioni giurid i-
che di natura reale, di carattere dominicale o possessorio ( M. CIAN, La dematerializzazi o-
ne degli strumenti finanziari , cit., p. 641 ss.).
Concepire in termini di “realità” una traccia elettronica è operazione impropria.
233 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., pp. 464-465; P. MAR-
CHETTI , Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , cit., p. 455, per il quale dovrebbe
essere disciplina di default anche quando lo statuto nulla dispone; E. MARCHISIO , la
“maggiorazione” del voto , cit., p. 107; F. ANNUNZIATA – A. GIOMBINI , La disciplina del
voto plurimo , cit., p. 5; C. TEDESCHI , Le azioni a voto plurimo , cit., p. 1079; Osservazioni
di Assonime, cit.; esiti della proposta di modifica al Regolamento Emittenti, cit., p. 10; I.
POLLASTRO , Voto plurimo e voto maggiorato , cit., p. 65.
234 Si vedano gli statuti di DEA CAPITAL S.p.A, AMPLIFON S.p.A., Campari S.p.A,
TerniEnergia S.p.A, TECHNOGYM S.P.A., MAIRE TECNIMONT S.P.A. Tutti ric ono-
scono la maggiorazione del voto qualora il diritto di voto sia spettato al medesimo sogge t-
to in forza di un “diritto reale legittimante” , intendendo per tale diritto la piena proprietà
con diritto di voto, la nuda proprietà con diritto di voto o l’usufrutto con diritto di voto. Si
precisa poi che la costituzione di pegno con perdita del diritto di voto da parte
dell’azionista comporta il venir meno del beneficio.
235 C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato, cit., p. 779 ss.
128
dice che il titolare del bene dato in usufrutto diviene nudo proprietario. È
vero che l’investimento rimane stabile (e questo è proprio uno degli obiett i-
vi della maggiorazione del voto), ma il voto sarebbe esercitato da un altro
soggetto, libero di seguire il proprio interesse e di astenersi dall’eseguire
eventuali istruzioni ricevute dal nudo proprietario; salvo il limite del voto in
odium socii e dell’abuso236 (cfr. art. 1015 cod. civ.), i cui confini sembr e-
rebbero abbastanza ampi.
Pertanto se si ritiene che il voto maggiorato sia una ricompensa per la fede l-
tà dimostrata e se ne accentua il carattere personalistico, sembrerebbe lecito
dubitare della possibilità da parte dell’usufruttuario di avvalersene. Se inve-
ce si ritiene che l’usufruttuario debba esercitare il voto tenendo conto anche
degli interessi del socio-nudo proprietario237, in un’ottica di valorizzazione
del valore delle azioni nel lungo periodo, considerando che si tratta di un
azionista stabile e che, stante il carattere non perpetuo dell’usufrutto, la
“piena” titolarità delle azioni potrebbe ripristinarsi in capo al socio, allora si
potrebbe pervenire alla soluzione opposta, ipotizzando la conservazione del
beneficio in capo all’usufruttuario238.
Da un punto di vista sostanziale la soluzione prospettata non è priva di r a-
zionalità, però lascia margini di perplessità: se un socio intende concedere
in usufrut to le proprie azioni significa che non ha più un interesse attivo
nella società in cui ha investito e la concessione in usufrutto potrebbe essere
un’alternativa alla cessione delle azioni appositamente scelta per consentire
all’usufruttuario di beneficiare del voto maggiorato e al costituente di “mo-
netizzarne” il valore239.
Per quanto riguarda il pegno, sebbene si tratti di un diritto reale nettamente
diverso rispetto all’usufrutto, le considerazioni potrebbero essere similari.
Però è anche vero che esso è un diritto reale di garanzia, non di godimento,
per cui si potrebbe immaginare che la discrezionalità del suo esercizio vada
236 A.M. LUCIANO , Usufrutto di partecipazioni sociali ed esercizio dei diritti amministra-
tivi nelle società di capitali, Giur. comm ., I, 2015, p. 196.
237 G. SENA, Il voto nelle assemblea della società per azioni , Milano, Giuffrè, 1961, pp.
281 ss.
238 La prospettiva che al nudo proprietario sia restituito il bene dato in usufrutto è chiar a-
mente presa in considerazione dalla legge, imponendo all’usufruttuario la diligenza del
buon padre di famiglia nel godimento della cosa (art. 1001, secondo comma, cod. civ.).
239 Infatti C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato, cit., p. 779 ss., paventa il rischio
che tale interpretazione può comportare in termini di elusioni relativamente alla cessione.
129
limitata. È palpabile che vi possa essere una certa estraneità e un certo d i-
sinteresse verso la societ à, infatti le azioni costituite in pegno rappresentano
per il creditore pignoratizio solamente una garanzia del proprio credito ve r-
so il socio-debitore; è ben possibile che non vi sia nessun interesse verso la
società e le sue attività, proprio perché l’azione è una garanzia del credito
come potrebbe esserlo un qualsiasi altro bene del debitore. In altre parole,
per il creditore ciò che rileva è il valore del bene, al fine di garantire il sod-
disfacimento del proprio credito, non tanto la tipologia o la possibilità di
esercitare diritti connessi a quel bene.
La legge attribuisce il diritto di voto al creditore pignoratizio affinché possa
avere un utile potere per salvaguardare l’integrità economica del bene offe r-
to in garanzia240, per cui parrebbe accettabile che tale prerogativa corpor a-
tiva debba essere esercitata tenendo conto degli interessi del debitore- socio
e delle eventuali istruzioni241 (purché tali istruzioni non comportino un pr e-
giudizio al creditore).
Il punto è che tali limiti non si ravvisano dal contesto legislativo242, a meno
che non si ritenga che per custodia dei beni (art. 2790 cod. civ.) si intenda
un comportamento necessariamente ispirato a logiche di medio-lungo ter-
mine.
In definitiva, se si pone l’accento sul carattere personalistico del vo to mag-
giorato esso sembrerebbe spendibile solamente da chi l’ha “conquistato”
(socio -debitore o socio-nudo proprietario), a meno che non si ravvisino in
capo al creditore pignoratizio o all’usufruttuario dei vincoli in forza dei
quali il voto debba essere esercitato secondo le istruzioni operative
dell’azionista, nel qual caso il diritto di voto (compresa la maggiorazione)
240 A. MORANO , La costituzione in pegno di azione e quote di società di capitali, Riv.
not., fasc. 5, 2004, pp. 1137 ss.
241 C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato, cit., p. 779 ss.
242 La dottrina prevalente ritiene che l’esercizio del diritto di voto dell’usufruttuario e del
creditore pignoratizio avvenga iure proprio, non in nome e/o per conto del socio debitore
o del nudo proprietario ( C. PASQUARIELLO , sub art. 2352, Commentario delle società ,
cit., p. 353, alla nt. 124).
Secondo la teoria c.d. societaria il titolare del diritto reale limitato è addirittura assimilab i-
le alla figura del socio; mentre quella c.d. dominicale tende a riconoscere in capo al cred i-
tore pignoratizio e all’usufruttuario dei limiti più pronunciati. Si è rilevata l’opp ortunità di
chiedere indicazioni al socio in caso di delibere di particolare rilievo per la vita sociale
(L. GENGHINI – P. SIMONETTI , Le società di capitali , cit., pp. 289 ss.).
130
sarebbe ancora – da un punto di vista sostanziale – riconducibile al socio
(con i rischi, però, di elusione nel caso di usufrutto).
Per quanto riguarda il sequestro (sia giudiziale che conservativo) si può r i-
tenere che il relativo provvedimento non provochi l’interruzione del deco r-
so del termine ai fini della maggiorazione del diritto di voto243.
Se il beneficio fosse già maturato, si potrebbe ritenere che non cessi in
quanto ad esercitare il diritto di voto sarebbe il custode, nell’esercizio di
una funzione pubblica – e dunque senza essere portatore di propri interessi
– e sotto il controllo del giudice della cautela244, il quale, soprattutto se la
partecipazione è rilevante e se tratta di deliberazioni importanti, sarebbe b e-
ne disponesse che il custode segua le indicazioni dell’azionista.
In base a quanto detto, se si àncora la maggiorazione del voto al soggetto t i-
tolare del diritto di voto (o comunque legittimato ad esercitarlo) è ben po s-
sibile che la richiesta di iscrizione nell’elenco possa essere avanzata da un
soggetto diverso dal socio245. E infatti l’art. 23-bis del provvedimento con-
giunto Consob – Banca d’Italia si riferisce genericamen te al «soggetto » che
intende iscriversi, e poi la legittimazione all’iscrizione è attestata da una
comunicazione all’emittente contenente le informazioni di cui all’art. 21,
secondo comma, del medesimo provvedimento: tra le informazioni conte-
nute, alla lett. b) si rinviene il nominativo del titolare degli strumenti finan-
ziari se diverso dal richiedente.
15. Le azioni con voto maggiorato e gli istituti del riporto e del prestito
titoli.
Con il riporto un soggetto (riportato) trasferisce in proprietà ad un altro (ri-
portatore) una certa quantità di titoli di credito, con l’obbligo per
quest’ultimo di trasferire al riportato, alla scadenza del termine stabilito, la
243 Esiti della proposta di modifica al Regolamento Emittenti, cit., p. 10; I. POLLASTRO ,
Voto plurimo e voto maggiorato , cit., p. 65.
244 Non di questo parere F. ANNUNZIATA – A. GIOMBINI , La disciplina del voto plurimo ,
cit., p. 5; C. TEDESCHI , Le azioni a voto plurimo , cit., p. 1079.
245 Abbiamo visto che, al proposito, molti statuti ai fini della maturazione della maggior a-
zione del voto richiedono la spettanza del diritto di voto al medesimo soggetto in forza di
un “diritto reale legittimante”, specificando che per tale diritto si intende piena proprietà
con diritto di voto, nuda proprietà con diritto di voto o usufrutto con diritto di voto. Non
si menziona il diritto reale del creditore pignoratizio.
131
proprietà di altrettanti titoli della stessa specie (cfr. art. 1548 cod. civ.).
Il diritto di vo to connesso ai titoli oggetto del riporto spetta al riportatore,
salvo patto contrario (art. 1550 cod. civ.).
Anche senza entrare nei particolari, ciò che risulta chiaro in queste occasio-
ni è che siamo di fronte ad una cessione dei titoli azionari, anche se per un
tempo limitato e dunque per finalità diverse dalla modifica stabile degli a s-
setti proprietari246.
Non sembra opportuno applicare analogicamente l’art. 118, sesto comma,
reg. emittenti, secondo cui nel caso di « più operazioni realizzate nel mede-
simo giorno di negoziazione, la partecipazione da considerare ai fini
dell’assolvimento degli obblighi è quella risultante dall ’ultima operazione
effettuata »; e cioè fare salvo il benefico del voto potenziato se con l’ultima
operazione si ripristinano le percen tuali di azioni detenute all’inizio. Non
solo perché il TUF dice esplicitamente che la cessione dell’azione comporta
la perdita della maggiorazione del voto, ma anche perché in questo modo si
contraddirebbe la ratio dell’istituto della maggiorazione del di ritto di voto,
ossia – tra l’altro – scoraggiare le speculazioni sui titoli al fine di stabilizz a-
re i prezzi. È noto, infatti, che, spesso, il prestito di titoli azionari è funzi o-
nale al c.d. short shelling, cioè la vendita di titoli presi in prestito, fat ta so-
vente con finalità speculative, cioè sperando di trarre un profitto dalla ridu-
zione della quotazione delle azioni prese a prestito, così da poterle succe s-
sivamente riacquistare ad un prezzo inferiore rispetto a quello di vendita
(allo scoperto), e “chiudere” la posizione aperta con il prestatario con un
profitto247.
La riserva del voto in capo al riportato/prestatore, nonostante vi sia una ces-
sione, potrebbe consentire la conservazione del voto maggiorato, posto che
non c’è mutamento del soggetto titola re dell’esercizio del voto. Non è da
escludere, però, la possibilità che si ponga l’accento sull’avvenuto trasfer i-
246 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 465; P. MARCHETTI ,
Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , cit., p. 455, il quale riconosce rilevanza in-
terruttiva dell’appartenenza al prestito titoli.
247 La vendita allo scoperto può avere anche finalità non speculative e può contribuire alla
liquidità del mercato. È un fatto, però, che a partire dal 2008 le Autorità di vigilanza dei
principali Paesi hanno adottato una serie di misure volte a limitare la pratica delle vendite
allo scoperto, al fine di limitare brusche correzioni al ribasso delle quotazioni e garantire
un ordinato processo di formazione dei prezzi, riducendo al contempo le possibilità di
abuso di mercato.
132
mento della titolarità azionaria al fine di considerare comunque caducato il
beneficio, proprio per scoraggiare operazioni potenzialmente speculative (in
una prospettiva “pedagogica” e sanzionatoria).
16. Le vicende modificative della società emittente o del suo capitale: la
fusione e la scissione dell’emittente.
Ai sensi dell’art. 127- quinquies , quarto comma, TUF, «[i] l progetto di fu-
sione o di scissione di una societ à il cui statuto prevede la maggiorazione
del voto può prevedere che il diritto di voto maggiorato spetti anche alle
azioni spettanti in cambio di quelle a cui è attribuito voto maggiorato », al
fine di mantenere inalterati gli equilibri di forza248 a seguito di operazioni
riorganizzative e finalizzate a ricercare un assetto più efficiente.
È necessario, anzitutto, che lo statuto della società risultante dall’operazione
(sia essa la società incorporante o risultante, nel caso della fusione, oppure
la/e società beneficiarie in caso di scissione) preveda la maggiorazione del
voto249.
La disposizione sembrerebbe far riferimento solamente all’assegnazione di
azioni a voto maggiorato in cambio delle azioni già “arricchite” di questo
privilegio. Cioè in base ad una interpretazione letterale sembrerebbe quasi
che, con riferimento alle azioni per le quali il diritto alla maggiorazione del
voto sia in corso di maturazione, la durata del possesso della partecipazione
azionaria precedente alla concl usione dell’operazione di fusione o scissione
non possa essere sommata a quella riferita alle azioni ricevute in conca m-
bio250.
Una tale lettura non pare convincente, soprattutto considerando quanto già
detto in precedenza in tema di fusione o scissione del t itolare delle azioni,
ossia che le operazioni di fusione e scissione hanno una natura riorganizz a-
tiva e pertanto non comportano soluzioni di continuità. Se si ammette la
continuazione del benefico non si vede perché non possa ammettersi la con-
tinuazione del possesso ai fini del beneficio251.
248 C. TEDESCHI , Le azioni a voto plurimo , cit., p. 1079.
249 E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p. 97; P. MARCHETTI , Osservazioni
e materiali sul voto maggiorato , cit., p. 463.
250 Come osservato da E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., pp. 97-98.
251 E infatti molte società, tra cui SAES GETTERS S.p.A., MAIRE TECNIMONT
133
La natura giuridica di queste operazioni solleva qualche perplessità anche
per quanto riguarda la scelta di non prevedere l’assegnazione di azioni a vo-
to maggiorato in cambio di quelle possedute precedentemente la fusione o
la scissione, come regola di default. È necessaria un’espressa previsione nel
progetto di fusione o scissione.
Chiaramente, poiché le operazioni straordinarie di cui trattasi coinvolgono
anche soggetti diversi dai soci dell’emittente il cui statuto prev ede la mag-
giorazione del voto252, sarà necessario il loro consenso favorevole al mec-
canismo del voto maggiorato. Ma non era necessario prevedere l’opt in, sa-
rebbe stato sufficiente prevedere la conservazione della maggiorazione rela-
tivamente alle azioni ricevute in concambio come regola di default, consi-
derando che il progetto di fusione o di scissione – redatto dagli amministr a-
tori delle società partecipanti alle operazioni – deve essere approvato, poi,
da ciascuna delle società (dando dunque l’opportunità ai soci di decidere).
Una soluzione più coerente con il principio di continuità che caratterizza la
fusione e la scissione e con il fatto che il concambio non comporta un nuo-
vo investimento, ma solo una ridefinizione di un investimento preesisten-
te253.
Altra parte della dottrina ha sostenuto che, anche qualora se si rinvenisse la
logica di tale disposizione nella volontà di non imporre la maggiorazione
del voto alle società coinvolte nell’operazione straordinaria che non desid e-
rano adottarla, la tecnica redazi onale sarebbe criticabile, in quanto
l’esclusione della maggiorazione del voto sarebbe da ammettere anche sen-
za testuale previsione: si tratterebbe di una deliberazione di eliminazione
della clausola di maggiorazione del voto solo occasionalmente inserita
nell’ambito di un’operazione straordinaria, e che non avrebbe nulla a che
vedere con il procedimento di fusione e scissione254.
Ci si potrebbe chiedere, infine, se – nel caso in cui la disciplina della mag-
giorazione del voto non sia recepita dalla società emittente le azioni asse-
S.P.A., HERA S.p.A., NICE S.p.A., TECHNOGYM S.P.A., hanno precisato nei loro sta-
tuti che ai fini della maggiorazione del voto si tiene conto del periodo a partire
dall’originaria iscrizione nell’elenco speciale.
252 A parte il caso di scissione in senso stretto, cioè con assegnazione del patrimonio a s o-
cietà di nuova costituzione, i cui soci sono inizialmente solo i soci della scissa.
253 Come notato da G. GUIZZI , La maggiorazione del diritto di voto, cit., p. 159.
254 E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., pp. 102-103.
134
gnate in cambio o comunque, ancorché recepita, il progetto di fusio-
ne/scissione non preveda la maggiorazione del voto anche per le azioni
spettanti in cambio di quelle a cui è attribuito voto maggiorato – ai fini della
determinazione del rapporto di cambio debba o possa tenersi conto della
maggiorazione del voto. E cioè se chi possedeva azioni a voto maggiorato
abbia diritto ad un rapporto di cambio più favorevole rispetto agli altri so-
ci255.
Un possibile appiglio normativo al riguardo potrebbe essere rappresentato
dall’art. 2501- ter, primo comma, punto 7, ove si stabilisce che nel progetto
di fusione deve in ogni caso risultare il «trattamento eventualmente riserva-
to a particolari categorie di soci e ai possessori di titoli diversi dalle azio-
ni». È evidente però che, nonostante gli azionisti fedeli possano essere con-
siderati una categoria di soci256, l’articolo citato faccia riferimento ai pos-
sessori di azioni speciali (e non potrebbe essere altrimenti, posta
l’anteriorità cronologica di questa norma rispetto ad decreto competitività).
Le loyalty shares , invece, non rappresentano una categoria di azioni speciali
(nonostante l’anglicismo che sovente si usa possa far ritenere il contrario).
Da verificare, dunque, la possibilità di un’interpretazione evolutiva della
norma, che però richiede a) che il dato testuale e la ratio legis non vengano
stravolti; e b) che vi siano i margini per dare una rilevanza al voto maggio-
rato che non sia puramente endosocietaria, come invece sembrerebbe rica-
varsi dalla disciplina complessiva.
16.1. (Segue): l’aumento del capitale a titolo gratuito e a pagamento.
Proseguendo l’analisi dell’art. 127- quinquies , TUF, constatiamo che il dirit-
to di voto maggiorato si estende anche alle azioni di nuova emissione in ca-
so di aumento di capitale ai sensi dell’art. 2442, cod. civ, salva la possibilità
255 Lo esclude E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., pp. 91-92, per il quale –
come già visto – la maggiorazione del voto rileva solo nelle vicende attinenti al proced i-
mento deliberativo assembleare.
256 Secondo E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p. 98, come già ricordato,
la maggiorazione del dividendo e del voto rappresentano l’emersione di una disciplina
generale del socio “stabile”; e di categoria speciale di soci parla anche R. CUGNASCO , La
maggiorazione del dividendo , cit., p. 939; v. anche M. CIAN, Capitale, proprietà, contro l-
li, cit., p. 1261.
135
che lo statuto disponga diversamente.
È la fattispecie dell’aumento del capitale sociale realizzato mediante impu-
tazione a capitale di riserve e fondi disponibili iscritti in bilancio, cioè di
valori già esistenti nel patrimonio sociale. Si dice che l’aumento è gratuito
in quanto non vi è aumento del patrimonio della società con nuovi confer i-
menti dei soci, ma semplicemente una sua riclassificazione: valori che pr e-
cedentemente erano appostati come riserve o utili vengono imputati a capi-
tale, con l’assoggettamento al vincolo di indisponibilità proprio di
quest’ultimo.
Ai sensi dell’art. 2442, secondo comma, cod. civ., se l’aumento di capitale è
attuato mediante emissione di nuove azioni, queste ultime devono avere le
stesse caratteristiche di quelle in circolazione e devono essere assegnate
gratuitamente agli azionisti in proporzione di quelle da essi già possedute. È
chiara la ratio della disposizione: le riserve disponibili degli utili accanton a-
ti negli eserci zi pregressi sono di pertinenza dei soci in proporzione alla lo-
ro partecipazione alla società, pertanto l’imputazione a capitale deve avve-
nire in ragione delle azioni già pos sedute, così da mantenere le preesistenti
posizioni reciproche degli azionisti, rispettando dunque il principio di parità
di trattamento. Sarebbe illegittimo usare delle risorse della società per priv i-
legiare soltanto alcuni dei soci. Posizioni reciproche che vanno mantenute
anche sotto il profilo amministrativo e cioè della partecipazione alla form a-
zione della volontà sociale.
Ecco dunque che correttamente l’art. 127- quinquies , terzo comma, lett. a),
prevede l’estensione automatica del voto maggiorato257.
Conseguentemente – anche se la legge non lo dice esplicitamente – è chiaro
che il beneficio corporativo riguarderà le azioni di nuova emissione asse-
gnate, ma in ragione di quelle a voto maggiorato già detenute dal socio (per
mantenere inalterati gli equilib ri di forza precedenti). E, mutatis mutandis ,
l’estensione si avrà anche nel caso in cui il voto maggiorato sia in corso di
maturazione, per cui le nuove azioni assegnate in occasione dell’aumento di
capitale acquisteranno il beneficio al compimento del pe riodo di apparte-
nenza necessario riguardante le azioni già iscritte nell’elenco speciale prima
dell’aumento di capitale.
257 Per G. GUIZZI , La maggiorazione del diritto di voto, cit., p. 158, l’aumento gratuito si
realizza mediante valori già durevolmente investiti nella società, per c ui l’estensione au-
tomatica è coerente.
136
La legge, come dicevamo, consente agli statuti di disporre diversamente; in
concreto significa che gli azionisti di maggioranza che votano per
l’introduzione della clausola del voto maggiorato accettano anche di vedere
diminuito il loro potere di voto percentuale in occasione di futuri aumenti
gratuiti di capitale258.
Stante l’ampia libertà riconosciuta agli statuti nello stabilire le modalità per
l’attribuzione del voto maggiorato, sarà possibile sia un’estensione autom a-
tica della maggiorazione alle “nuove” azioni, sia un’estensione condizionata
ad un’espressa istanza del socio interessato (se lo statuto dispone in questo
senso)259.
Sarà inoltre possibile – considerando che si tratta di soluzioni intermedie –
che la maggiorazione si estenda solo ad una parte delle azioni emesse260 o
in misura inferiore rispetto a quella relativa alle azioni già in circolazione
(ma in questo caso si creerebbero complicazioni, forse, di scarso interesse
pratico).
In dottrina vi è chi ha sostenuto che una clausola che escludesse
l’estensione sarebbe nulla perché in caso di aumento del capitale ex art.
2442 cod. civ., «ciascun socio non può che mantenere il beneficio della
maggiorazione del voto nella medesima percentuale di partecipazione pr e-
cedente all’aumento »261.
258 Per questa ragione è intuitivo che la deroga statutaria difficilmente sarà applicata negli
statuti.
L’assegnazione delle azioni in occasione di aumenti a titolo gratuito di capitale, anche in
presenza della maggiorazione del voto, ha sempre come parametro di riferiment o le azio-
ni possedute, in quanto assolve – come già detto – non solo la funzione di mantenere ina l-
terata la partecipazione alla formazione della volontà sociale, ma anche quella di mant e-
nere inalterata la partecipazione al patrimonio complessivo della società.
259 Ad. es., l’art. 7.13 dello statuto di TECHNOGYM S.P.A. non richiede un’apposita ul-
teriore istanza. Molti altri statuti di società che hanno recepito la maggiorazione del voto
subordinano l’estensione del beneficio dal momento dell’iscrizione nell’elenco speciale,
senza specificare se essa avviene automaticamente o su apposita istanza.
L’art. 23-bis del Provvedimento congiunto Consob – Banca d’Italia 22 febbraio 2008
esplicita che, in caso di aumento di capitale, la legittimazione all’estensione della mag-
giorazione eventualmente applicabile è attestata da una comunicazione all’emittente; an-
che qui non è chiaro se serva una richiesta del socio o se lo scambio di informazioni in
questo caso sia solo tra emittente e intermediario.
260 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., pp. 470-471.
261 E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., pp. 98 ss.
137
In effetti se con l’aumento gratuito del capitale vanno rispettate le gerarchie
proprietarie precedenti l’operazione (sia da un punto di vista patrimoniale
che amministrativo), nel caso in cui vi siano azioni a voto maggiorato è al
numero di voti di ciascun socio che si deve far riferimento, non alla perce n-
tuale di capitale (perché siamo in presenza di diritti di voto superiori
all’unità per azione). Esclud endo l’estensione del beneficio, pur nella inva-
rianza della partecipazione al capitale, diminuisce il peso del voto del socio
con azioni a voto maggiorato262.
Qualora l’aumento avvenisse mediante incremento del valore nominale de l-
le azioni in circolazione (art. 2442, terzo comma, cod. civ.), nessuna altera-
zione si verificherebbe, per cui al medesimo risultato deve condurre anche
l’aumento di capitale mediante emissione di nuove azioni263.
Mentre nell’aumento gratuito del capitale vengono solo rimodulate le voci
dello stato patrimoniale senza incidere sul patrimonio della società,
nell’aumento a pagamento si richiedono nuovi conferimenti e dunque si ha
un aumento del patrimonio netto.
In questa occasione, il mantenimento delle posizioni partecipative pregresse
dei soci è circostanza solo tendenziale e il diritto di opzione riconosciuto
dalla legge è lo strumento che permette di non alterare gli equilibri di forza
dei soci.
Ma ciò che rileva maggiormente è la raccolta di ricchezze “fresche”, di
nuovi mezzi e risorse (anche specifiche, per cui non disponibili da chiun-
que) cha vadano ad irrobustire la società. Questa è la ragione per cui in al-
cuni casi il diritto di opzione può anche essere escluso qualora l’interesse
della società lo esiga.
Sostanzialmente l’aument o del capitale a pagamento assume una sfumatura
diversa rispetto all’aumento gratuito, per cui in questo senso si giustifica la
diversa regola di default , secondo cui l’estensione della maggiorazione del
262 Il Comitato Triveneto dei Notai, nella massima H.G.20, Aumento gratuito del capitale
in misura non proporzionale , ritiene legittima l’assegnazione di azioni in misura non pro-
porzionale rispetto a quelle possedute dai soci (alterando dunque la misura di partecip a-
zione al capitale e le gerarchie di potere) solo con il consenso di tutti i soci.
Analogo principio avrebbe potuto riproporsi per l’esclusione dell’estensione del voto
maggiorato alle nuove azioni emesse in sede di aumento di capitale gratuito, ma la legge
concede espressamente la possibilità di derogare la disciplina di default senza la necessità
del consenso unanime.
263 E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p. 101.
138
voto alle azioni emesse richiede un’espressa previsione statutaria (art. 127-
quinquies , quarto comma, TUF).
L’estensione – se prevista – deve avvenire « proporzionalmente ». Il verbo
“estendere” (usato per entrambe le tipologie di aumento di capitale) sem-
brerebbe significare un prolungamento, un allargamento di una situazione
preesistente, per cui solamente i soci che godono già della maggiorazione
possono beneficiare dell’estensione (o quelli, mutatis mutandis , iscritti
nell’elenco ma che non hanno ancora maturato il requisito possessorio: in
questo caso le “nuove” azioni acquisteranno la medesima anzianità di que l-
le già iscritte). L’avverbio “proporzionalmente”264sembrerebbe limitare
l’estensione alle azioni sottoscritte nell’esercizio del diritto di opzione spet-
tante, fino a concorrenza dello stesso, e in ragione delle loyalty shares che
già si posseggono. Se la logica della disciplina del voto maggiorato è pr e-
miare la fedeltà dell’investitore, non sembra possibile che dell’estensione
possano beneficiare terzi sottoscrittori (nel caso di esclusione dell’opzione o
di azioni rimaste inoptate)265.
Nel caso in cui le nuove azioni siano sottoscritte da un socio “fedele”,
l’estensione della maggiorazione alle stesse (in ragione di quelle a voto
maggiorate possedute) è coerente con la funzione premiale dell’istituto del
voto maggiorato: il socio si rivela disponibile non solo a mantenere
l’investimento, ma anche ad investire ulteriori risorse nella società266.
264 Avverbio aggiunto in sede di conversione ma, come notato dal citato autore (v. Ibid.),
implicitamente desumibile anche prima.
In effetti scopo del diritto di opzione è proprio quello di mantenere inalterata sia la parte-
cipazione di ciascun socio alla formazione della volontà sociale, sia il valore patrimoniale
della partecipazione.
265 M. CIAN, Capitale, proprietà, controlli , cit., p. 1263; E. MARCHISIO , la “maggiorazi o-
ne” del voto , cit., p. 102; Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p.
471.
Anche la prassi statutaria sinora affermatasi ha aderito a questa interpretaz ione e opportu-
namente si è tradotta in puntuali precisazioni, posto che il teso legislativo lascia qualche
margine di dubbio.
266 Per E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., p. 102, tale clausola sarebbe vir-
tuosa perché rappresenterebbe un incentivo non solo a mantenere una partecipazi one sta-
bile, ma anche a sottoscrivere nuove partecipazioni in caso di aumento di capitale a p a-
gamento.
139
17. Gli effetti della maggiorazione del voto sui quorum assembleari.
Sebbene l’istituto del voto maggiorato sia stato introdotto con un intervento
normativo puntuale, il legislatore non poteva esimersi dall’intervenire anche
su alcuni aspetti giuridici connessi, al fine di armonizzare la disciplina.
La prima considerazione riguarda i quorum assembleari: ai sensi dell’art.
127-quinquies , ottavo comma, TUF, se lo statuto non dispone diversamente
«la maggiorazione del diritto di voto si computa anche per la determina-
zione dei quorum costitutivi e deliberativi che fanno riferimento ad aliquote
del capitale sociale », mentre « non ha effetto sui diritti, diversi dal voto,
spettanti in forza del possesso di determinate aliquote di capitale ».
Dal momento in cui i voti esprimibili possono essere superiori al numero di
azioni che costituiscono il capita le sociale è sui primi e non più sul secondo
che i quorum vanno calcolati, perciò la maggiorazione del voto rileva sia
quando l’approvazione di una delibera risulti condizionata unicamente al
raggiungimento di un voto favorevole espressione della maggioran za del
capitale rappresentato in assemblea (concetto, questo, che non può che rife-
rirsi al numero dei voti riconosciuti alle azioni presenti, altrimenti si annu l-
lerebbe di fatto il voto maggiorato quando previsto), sia quando i quorum
hanno come riferimento il capitale sociale (globale)267.
Sono stati prospettati due possibili significati della disposizione in esame,
ossia a) che per capitale si intenda la somma dei voti complessivi e non più
la somma delle azioni, dovendosi su questa ba se calcolare le aliquote di ca-
pitale; oppure b) che il capitale resta quello rappresentato dalla somma delle
azioni con diritto di voto e il voto maggiorato si computerebbe per determ i-
nare la forza deliberativa di ciascun socio268.
Intuitivamente è la prima opzione ermeneutica che va accolta. Intanto pe r-
ché se si considerasse il voto maggiorato solo per calcolare la forza partec i-
pativa del socio in relazione ad una base di computo (il capitale sociale gl o-
bale) non proporzionalmente incrementata, si avrebbe un effetto leva ecces-
sivo del voto maggiorato269: chi ha questo privilegio vedrebbe aumentare
significativamente e pericolosamente il “peso” delle proprie azioni in as-
semblea e il raggiungimento dei quorum sarebbe eccessivamente agevol a-
267 M. CIAN, Diritti degli azionisti , cit., p. 794.
268 P. MARCHETTI , Commento all’art. 20 del d.l. competitività , cit., p. 7.
269 Ivi, p. 8.
140
to270. La deviazione in maius dal principio “one share , one vote ” è sì poss i-
bile oggi, ma cum juicio , in quanto il numero di voti esprimibili per azione
è al massimo due; inoltre ad evitare eccessive incrementazioni di potere si
vieta il cumulo tra voto maggiorato e azioni a voto plurimo. Queste dispos i-
zioni impongono interpretazioni prudenti di norme relative all’effetto leva
del voto maggiorato271.
Secondo parte della dottrina anche l’uso del termine « determinazione » non
può che condurre al medesimo risultato, posto che altrimenti il legislatore
avrebbe usato espressioni quali il «raggiungimento dei quorum »; con la
scelta terminologica adottata si è esplicitato che la norma « va ad integrare
le regole stesse della determinazione delle soglie e non solo ad imporre un
certo computo ai fini della verifica del raggiungimento delle soglie mede-
sime»272, sicché la soglia da raggiungere andrà determinata integrando a n-
che il denominatore.
Inoltre vi sarebbe anche l’art. 120, primo comma, TUF, a far propendere
per la prima interpretazione, in quanto in tale sede per capitale sociale si in-
tende – nelle società i cui statuti consentono la maggiorazione del diritto di
voto – il numero complessivo dei diritti di voto. È vero che la norma sem-
brerebbe, da un punto di vista letterale, limitare la propria vigenza solo alla
sezione di appartenenza (sez. I) e l’art. 127- quinquies è collocato nella s e-
zione successiva (sez. II), ma tra assetti proprietari e potenze di voto non
possono non esserci corrispondenze273.
Ancora, è stato notato che l’art. 2368, primo comma, cod. civ., escludereb-
be dal calcolo del quorum costitutivo le azioni prive ( rectius : istituziona l-
mente prive) del diritto di voto, per cui specularmente quelle portatrici di
più voti dovrebbero essere computate tenuto conto dei voti da esse esprim i-
270 I rapporti di forza tra i soci sono dati da una frazione che vede al numeratore le azioni
possedute dal socio e al denominatore quelle complessive. Se una società prevede il voto
maggiorato e di esso se ne tenesse conto solamente per rettificare (in aumento) il numer a-
tore, la forza deliberativa del socio “anziano” crescerebbe notevolmente a parità di deno-
minatore. Se invece anche quest’ultimo fosse incrementato, il peso in assemblea del socio
“fedele” sarebbe (non sterilizzato, ovviamente, ma) attenuato.
271 P. MARCHETTI , Commento all’art. 20 del d.l. competitività , cit., p. 8.
272 E. LA MARCA , Azioni (sti) con voto maggiorato , cit., p. 10.
273 Ivi, p. 11; P. MARCHETTI , Commento all’art. 20 del d.l. competitività , cit., p. 8, secon-
do il quale la comunicazione alla Consob funzionalmente serve a segnalare la massima
possibile potenza di voto oltre certe soglie.
141
bili274.
In sostanza, i riferimenti presenti nel codice civile alle aliquote di capitale
sociale fanno riferimento al numero delle azioni, ma solamente qualora viga
la fattispecie paradigmatica secondo cui tutte le azioni attribuiscono il dirit-
to di voto e ciascuna azione attribuisce un voto; in presenza di deroghe alla
regola “un’azione, un voto” saranno necessari gli adattamenti del caso275.
Al di là di queste considerazioni, è la stessa logica matematica che impone
di scartare l’opzione sub b)276, posto che se ai fini del raggiungimento delle
soglie di capitale richieste si computa il voto maggiorato, esso dovrà essere
considerato anche per determinare la base di calcolo sulla quale si deve cal-
colare il quorum : quest’ultimo è il risultato del rapporto tra un “numerato-
re”, ossia il numero di azioni necessario per la deliberazione o la regolare
costituzione dell’assemblea e un “denominatore”, ossia il numero di azioni
computate. La frazione deve essere calcolata su basi omogenee, non poten-
dosi computare il voto maggiorato al numeratore e non al denominatore.
L’art. 127- quinquies , ottavo comma, lascia agli statuti la possibilità di d i-
274 B. MASSELLA DUCCI TERI, Il decreto competitività , cit., pp. 471-472.
275 Notiamo, per inciso, l’opinione isolata e contraria di G. FERRI, Azioni a voto plurimo e
voto maggiorato: profili tipologici , Riv. not. , fasc. 4, 2015, pp. 761 ss., secondo il quale il
mancato computo delle azioni prive del diritto di voto è giustificato da una specifica esi-
genza, ossia evitare che la loro emissione impedisca il funzionamento dell’assemblea (in
particolare se le azioni prive del diritto di voto sono presenti nella massima potenzialità
consentita, la metà del capitale sociale). Si tratterebbe di una scelta eccezionale non
estendibile a situazioni che vedono la presenza di azioni con più voti ciascuna, per cui
ogniqualvolta la legge si riferisce a quorum deliberativi o costitutivi che rappresentino
anche una determinata percentuale di capitale, essi vanno calcolati con ri ferimento al nu-
mero delle azioni in ragione del proprio valore nominale e indipendentemente dal numero
di voti. Questa è la ragione per cui, secondo l’autore, l’art. 127- quinquies , ottavo comma,
non può applicarsi analogicamente in presenza di azioni a voto plurimo; la circostanza
aggiunta di tali azioni si esaurisce nella fase deliberativa, altrimenti dovrebbe parlarsi non
di azioni a voto plurimo ma di azioni a peso plurimo.
Contrario ad un’applicazione analogica dell’art. 127- quinquies , ottavo comma, anche V.
CARIELLO , Azioni a voto potenziato , cit., p. 195, nt. 104.
Di diverso avviso tutta la dottrina che si è occupata di azioni a voto plurimo nonché il
Consiglio Notarile di Milano, con massima n. 144, Azioni a voto “diverso” e quorum a s-
sembleari (artt. 2351, 2357-ter, comma 2, 2368, 2369 c.c., 120, 127-quinquies, 127-
sexies t.u.f.) .
276 M. CIAN, Capitale, proprietà, controlli , cit., p. 1262.
142
sporre diversamente277. Questo significa, verosimilmente, che ai fini del
quorum costitutivo si potrebbe escludere il computo del voto maggiorato,
così da richiedere una più ampia rappresentatività in assemblea del capitale
nominale278; oppure che ai fini del quorum deliberativo ogni azione conti
per uno, sì da tener conto del voto maggiorato per la regolare costituzione
dell’assemblea (agevolandone la costituzione) ma non nel processo delib e-
rativo, di modo che la deliberazione sia espressiva di « “consensi” sosta n-
ziali» maggiori279. Sarà anche possibile escludere tout court la rilevanza del
voto maggiorato nella determinazione dei quorum relativamente a certe ma-
terie280. Saranno inoltre possibili soluzioni miste, ossia computare il voto
maggiorato e al contempo richiedere che i voti espressi siano anche rappr e-
sentativi di una certa percentuale di capitale nominalmente inteso281 (una
277 Segnaliamo che, ad oggi, solo Intek Group S.p.A. ha parzialmente derogato alla dispo-
sizione di default , prevedendo all’art. 11-ter dello statuto che « La maggiorazione non si
computa nel calcolo dei quorum assembleari costitutivi e deliberativi delle d eliberazioni
assembleari di autorizzazione ai sensi dell ’art. 2364, comma 1 del Codice Civile previste
negli artt. 4 e 10 del presente Statuto », e cioè relativamente alle autorizzazioni per il
compimento degli atti degli amministratori in materia di operazioni con parti correlate e
per il rimborso delle obbligazioni convertende per contanti, in luogo della conversione.
278 E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., pp. 92-93; C.F. GIAMPAOLINO ,
Azioni a voto maggiorato, cit., p. 779 ss.; V. CARIELLO , Azioni a voto potenziato , cit., p.
195, secondo il quale sarebbe una tecnica di tutela delle minoranze auspicabile.
279 C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato, cit., p. 779 ss.; così anche E. MARCH I-
SIO, la “maggiorazione” del voto , cit., pp. 92-93; contra B. MASSELLA DUCCI TERI, Il
decreto competitività , cit., p. 470, nt. 13, il quale esclude che ai fini del quorum deliber a-
tivo non si possa tener conto del numero di voti espressi, pena l’eliminazione della portata
del meccanismo del voto maggiorato. L’autore, invero, non sembra considerare la poss i-
bilità che la deroga possa riguardare solo alcune materie, nel qual caso lo scopo della no-
vella non sarebbe contraddetto.
280 E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., pp. 92-93.; Atto congiunto Banca
d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 473; tale espediente è stato suggerito – prima
della riforma – anche da S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D. D’E RAMO – N. LINCIANO , La
deviazione dal principio “un’azione – un voto” , cit., p. 62 e nt. 169, come strumento di
tutela delle minoranze quando si adottando delibere che incidono significativamente sulla
vita della società.
P. MARCHETTI , Commento all’art. 20 del d.l. competitività , cit., pp. 8-9 ritiene possibile
una deroga totale riguardante tutte le materie; in questo caso la maggiorazione mante r-
rebbe la sua efficacia in tutti i casi in cui i quorum non sono correlati ad aliquote di cap i-
tale.
281 M. CIAN, Capitale, proprietà, controlli , cit., p. 1262; ID., Diritti degli azionisti , cit., p.
143
sorta di doppia maggioranza): in questi casi la portata del meccanismo del
voto maggiorato sarebbe ridotta, ma si darebbe pur sempre agli azioni sti
con voto maggiorato la possibilità di osteggiare l’adozione di delibere so-
stenute dall’aliquota di capitale (nominale) minima richiesta, ma non grad i-
te dai soci “fedeli” (e in grado di esprimere in assemblea un numero di voti
maggiore di quelli favorevoli).
La legge esclude invece che la maggiorazione del voto abbia effetto sui di-
ritti diversi dal voto spettanti in forza del possesso di determinate aliquote
di capitale, coerentemente con la pertinenza della maggiorazione al diritto
di voto282 e a tutela delle minoranze283. Pertanto si farà riferimento al capi-
tale nominalmente inteso, ad esempio, ai fini dell’esercizio del diritto di
convocazione dell’assemblea da parte dei soci (art. 2367 cod. civ.), del d i-
ritto di integrazione dell’ordine del giorno (art. 126- bis TUF), del diritto di
impugnazione delle delibere assembleari (art. 2377 cod. civ.), del diritto di
presentazione delle liste per la nomina degli amministratori (art. 147- ter
TUF)284.
18. Gli effetti della maggiorazione del voto sul c.d. voto divergente.
Un altro aspetto, segnalato da alcuni autori285, che potrebbe suscitare un
certo interesse riguarda il rapporto tra il voto plurimo e il c.d. voto dive r-
gente.
794.
282 P. MARCHETTI , Commento all’art. 20 del d.l. competitività , cit., p. 8.
283 B. MASSELLA DUCCI TERI, Il decreto competitività , cit., pp. 478-479, secondo il quale
la formulazione della norma suggerisce che non siano consentite deroghe statutarie.
284 Esempi citati da M. BIANCHINI , Novità in tema di disciplina delle società “quotate” ,
cit., p. 1390; Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 473; E.
MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., pp. 91-92, il quale rileva come, parado s-
salmente e almeno per quanto riguarda il diritto di presentazione delle liste, si finisce per
non incentivare i soci di minoranza qualificati. Lo stesso autore cita, come ulteriore
esempi in cui la maggiorazione del voto è irrilevante, il diritto di opzione, il calcolo della
quota di liquidazione in caso di recesso, la determinazione del rapporto di cambio nella
fusione o scissione.
285 M. CIAN, Capitale, proprietà, controlli , cit., p. 1262; I. POLLASTRO , Voto plurimo e
voto maggiorato , cit., pp. 53-54; G. FERRI, Azioni a voto plurimo e voto maggiorato , cit.,
pp. 761 ss.
144
Il dibattito sul voto divergente trae spunto dal principio di autonomia delle
azioni, in forza del quale ciascun socio è titolare di una o più partecipazioni
sociali che restano autonome e distinte, per cui, in linea teorica, il titolare
delle azioni potrebbe esercitare i diritti inerenti al titolo azionario in mani e-
ra differente286. Si tende ad ammettere la legittimità del voto divergente, il
cui senso si coglie in particolar modo con riferimento ad una società fidu-
ciaria intestataria di azioni per conto di più soci e che abbia ricevuto istru-
zioni di voto divergenti; oppure con riferimento ad azioni possedute da un
ente pubblico territoriale, come un comune: in questo caso chi rappresenta
l’ente pubblico – se si ammette il voto divergente – può articolare i voti d i-
sponibili in base alle diverse propensioni emerse all’interno dell’organo
comunale in sede di valutazione dell’oggetto della delibera interessante la
società partecipata; oppure, ancora, con riferimento al socio che abbia dec i-
so di vincolare ad un sindacato di voto solo una parte delle azioni di cui è t i-
tolare287.
In tutti questi casi esplicit ati dalla dottrina, il voto divergente potrebbe ave-
re, in effetti, una giustificazione oggettiva e potrebbe essere meritevole di
considerazione sul piano giuridico.
Qualora, invece, un soggetto disponga di più voti grazie al meccanismo di
maggiorazione ex art. 127- quinquies non si vedrebbe perché egli possa
esprimere un voto in un senso e un altro voto in un altro (presupponendo,
per semplicità, la possibilità di raddoppiare il voto). È vero che il voto addi-
zionale non è una caratteristica dell’azione, ma un beneficio attribuito al so-
cio meritevole288, però non si può prescindere dal fatto che il diritto di voto
attribuito all’azione è esercitato dal titolare della stessa in ragione dei suoi
interessi. Il voto contrario e favorevole di un socio ad una stessa proposta di
286 L. GENGHINI – P. SIMONETTI , Le società di capitali , cit., pp. 176 ss.
287 Ivi, p . 178; I. POLLASTRO , Voto plurimo e voto maggiorato , cit., pp. 53-54; F. GALG A-
NO, in Trattato di diritto civile , v. IV, cit., p. 386; P.G. JAEGER , Il voto divergente , in
Trattato delle società per azioni , PORTALE – COLOMBO (diretto da), 3*, Torino, Utet,
1994, pp. 463 ss.
288 Per G. FERRI, Azioni a voto plurimo e voto maggiorato , cit., pp. 761 ss., sarebbe, a l-
meno in linea di principio, ammissibile, poiché il voto aggiuntivo non è collegato
all’azione. Mentre nel caso di azioni a voto plurimo l’autore non ritiene ammissibile la
divergenza di voti sia per ragioni lessicali, posto che la norma si riferisce ad azioni a voto
plurimo e non ad una pluralità di voti, sia richiamando il principio dell’indivisibilità che
caratterizza l’azione.
145
delibera si espone a serie valutazioni di coerenza e di contrarietà al princ i-
pio di buona fede.
Anche nel caso in cui il socio fedele sia una persona giuridica potrebbero
esserci dubbi sull’ammissibilità del voto divergente: se il voto addizion ale è
un beneficio attribuito al socio meritevole, nel caso di persona giuridica tale
beneficio non potrà che essere riconducibile alla maggioranza di cui la per-
sona giuridica è di volta in volta espressione, e dunque dovrà essere espre s-
so in linea con l’indicazione di voto emersa e di cui il rappresentante si farà
portavoce nell’assemblea della società partecipata.
19. Gli effetti della maggiorazione del voto sugli assetti proprietari.
Come accennato, anche la disciplina sugli assetti proprietari è stata “aggio r-
nata”. Se i voti esprimibili non sono superiori al numero di azioni la verifica
degli assetti proprietari consente di determinare la reale situazione di potere
di ciascun azionista, ma se al socio può essere riconosciuto un diritto di vo-
to maggiora to, la partecipazione al capitale non consente più di identificare
la sua forza deliberativa289.
L’art. 120 TUF è stato novellato e in particolare al primo comma si stabil i-
sce che «[n] elle società i cui statuti consentono la maggiorazione del diritto
di voto o hanno previsto l’emissione di azioni a voto plurimo, per capitale
si intende il numero complessivo dei diritti di voto»; mentre al quarto com-
ma, lett. b) si è demandato alla Consob l’individuazione dei « criteri per il
calcolo delle partecipazioni, avendo riguardo anche alle partecipazioni in-
direttamente detenute, alle ipotesi in cui il diritto di voto spetta o è attribu i-
to a soggetto diverso dal socio nonché a quelle di maggiorazione dei diritti
di voto».
L’art. 116- terdecies del reg. emittenti, nel definire il capitale sociale ripro-
duce esattamente la disposizione del TUF di cui all’art. 120, aggiungendo
che per numero complessivo dei voti si intendono anche quelli sospesi.
289 E. MARCHISIO , la “maggiorazione” del voto , cit., pp. 94-95 sottolinea che il legislato-
re avrebbe dovuto predisporre una corrispondente variazione lessicale affinché si facesse
riferimento non più agli assetti proprietari ma agli « assetti di influenza », e non più agli
obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti bensì agli « obblighi di comun i-
cazione dei diritti di voto »; piuttosto che introdurre una nuova e fuorviante definizione di
“capitale”.
146
È intuitivo che il numero complessivo dei voti, e dunque anche la percen-
tuale detenuta da ciascuno rispetto ad esso, possa subire continue oscill a-
zioni in aumento o in diminuzione, poiché come abbiamo visto il voto mag-
giorato matura dopo un periodo di appartenenza che può avere una diversa
decorrenza per i soci, in quanto l’inizio dello stesso è subordinato alla ri-
chiesta di iscrizione nell’apposito elenco di cui abbiamo già dato conto.
Inoltre la maggiorazione del voto viene meno in caso di cessione delle
azioni e nel caso di rinunzia, eventi riconducibili alla discrezionalità di cia-
scun azionista.
Questa è la ragione per cui si è rivelato necessario individuare un riferimen-
to temporale per determinare il numero dei diritti di voto complessivamente
esistenti sulla base del quale calcolare il possesso di una partecipazione r i-
levante. E infatti l’art. 85-bis, comma 4- bis, reg. emittenti, prescrive che
«[n]el caso in cui lo statuto preveda la maggiorazione del diritto di voto ai
sensi dell’articolo 127-quinquies, ovvero l ’emissione di azioni con diritto di
voto plurimo ai sensi dell ’artico lo 127-sexies del Testo unico, fermo r e-
stando quanto previsto dai commi precedenti, l ’emittente comunica al pub-
blico e alla Consob l’ammontare complessivo dei diritti di voto, con indic a-
zione del numero di azioni che compongono il capitale, con le modalità in-
dicate al comma 1, entro il quinto giorno di mercato aperto dalla fine di
ciascun mese di calendario durante il quale ha accertato un aumento o una
diminuzione di tale ammontare, nonché entro il giorno successivo alla data
indicata nell’articolo 83-sexies, comma 2, del Testo unico ».
Per non aggravare eccessivamente gli obblighi burocratici cui sono tenute le
società quotate si è prevista una comunicazione mensile qualora siano a c-
certate variazioni del numero dei diritti di voto, e comunque entro il giorno
successivo alla record date , così da assicurare un’informativa aggiornata a
ridosso dell’assemblea, necessaria per il calcolo dei quorum e per consent i-
re a tutti gli azionisti di conoscere agevolmente il peso dei propri diritti di
voto290.
Molte delle società che hanno recepito il voto maggiorato prevedono negli
statuti che la maggiorazione di voto si consegua proprio con effetto dal
290 Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 482; C ONSOB , Do-
cumento di consultazione. Proposta di modifica al Regolamento emittenti in materia di
voto plurimo , 5 novembre 2014, reperibile in www.consob.it , alla sezione: Archivio – re-
golamentazione – Documenti di consultazione , p. 7.
147
quinto giorno di mercato aperto del mese di calendario successivo a quello
di decorso del periodo rilevante di appartenenza oppure, nel caso in cui sia
convocata l’assemblea, alla data della record date (ancorché, in astratto, il
periodo di appartenenza effettivo sia stato maturato precedentemente), alli-
neando così la maturazione del voto addizionale alla comunicazione di cui
all’art. 85-bis, comma 4- bis, reg. emittenti e facendo “quadrare i conti” sen-
za sfasature291.
Circa gli obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti, proprio
perché il socio non è in grado di conoscere l’ammontare complessivo dei
voti aggiornato292 la Consob ha dettato una regola speciale relativamente ai
casi di superamento delle soglie rilevanti di partecipazione azionaria (rec-
tius: diritti di voto) o di riduzione della partecipazione, al di sotto delle m e-
desime, conseguenti alla maggiorazione del diritto di voto o alla rinunzia a l-
la stessa ascrivibili al socio medesimo: « la comunicazione è effettuata senza
indugio e comunque entro quattro giorni di negoziazione dalla conoscenza
della successiva pubblicazione del numero complessivo dei diritti di voto ai
sensi dell’articolo 85-bis, comma 4-bis » (art. 121, comma 1- bis, reg. emi t-
tenti).
Sembrerebbe essere rimasta inalterata la disciplina per quanto riguarda il
superamento o la riduzione di una soglia rilevante conseguente ad
un’operazione di acquisto o di vendita di azioni anche se la società consente
la maggiorazione del voto (art. 121, primo comma, reg. emittent i): in questi
casi la comunicazione andrà effettuata senza indugio e comunque entro
quattro giorni di negoziazione decorrenti dal giorno dell’avvenuta cono-
scenza dell’operazione posta in essere. L’acquisto o la vendita delle azioni
non determina necessariamente una variazione del numero dei voti dispon i-
bili pertanto si ritiene che il valore segnaletico della comunicazione prec e-
dentemente resa dalla società ai sensi dell’art. 85-bis, comma 4- bis offra un
quadro dei voti complessivi ancora valido293.
291 Si v., ad esempio, gli statuti di ZIGNAGO VETRO Spa; SAES GETTERS S.p.A.;
LANDI RENZO S.P.A.; DEA CAPITAL S.p.A.; NICE S.p.A.; TECHNOGYM S.P.A.;
Intek Group S.p.A.
292 Documento Consob sugli esiti della proposta di modifica al Regolamento Emittenti,
cit., p. 14.
293 Così Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., pp. 482-483.
In realtà potrebbe non essere così, in particolare se ad essere compravendute sono azioni a
voto maggiorato .
148
Correttamente si è, poi, preso atto della possibilità che l’entità della partec i-
pazione possa mutare non in seguito ad un comportamento attivo del titola-
re della partecipazione (o comunque ad un evento riconducibile alla sua sfe-
ra personale), ma ad eventi di natura passiva, di cui l’azionista stesso è
“spettatore”: si tratta, in concreto, della maturazione del voto maggiorato o
della rinunzia allo stesso riguardanti gli altri soggetti. Anche in questi casi è
stato previsto un obbligo di comunicazione delle partecipazioni rilevanti nei
casi di aumento o di riduzione interessanti le soglie di cui all’art. 117 reg.
emittenti.
La novità significativa sta nell’esonero da tale obbligo di comunicazione
nei casi di variazione meramente passiva in misura maggio re o inferiore a lla
soglia del 3% (cfr. art 117, secondo comma, reg. emittenti).
Evidente la ratio : contemperare le esigenze di trasparenza proprietaria (o
meglio, delle posizioni di potere) con l’altrettanto avvertita esigenza di non
aggravare eccessivamente gli oneri di monitoraggio e comunicativi degli
azionisti, in particolare quando il “peso” dei loro voti vari a seguito di even-
ti che sfuggono al loro controllo294.
In sede di consultazione pubblica sulle proposte di modifica del reg. emi t-
tenti per l’attuazione della disciplina del voto maggiorato, si era ravvisata
In ogni caso chi acquista o vende azioni agisce attivamente sul mercato, inc rementando o
diminuendo i diritti di voto di cui può disporre e l’incidenza sulle soglie rilevanti si veri-
fica comunque, per cui va resa nota al pubblico; con la maturazio ne della maggiorazione
del voto o la rinunzia allo stesso l’azionista interessato esercita dei propri diritti concessi
dalla legge e dallo statuto e determina sicuramente una variazione del n umero di voti
complessivi. Queste ragioni giustificherebbero la differenza di trattamento a seconda de l-
la modalità con cui si supera la soglia rilevante, anche in considerazione di un contesto
normativo che sembrerebbe in più occasioni favorevole e incentivante l’istituto del voto
maggiorato.
294 CONSOB , Documento di consultazione , cit., p. 8, per la quale « l’imposizione di un ob-
bligo di comunicazione per il superamento (o riduzione) di natura passiva della soglia
del 2% [ora 3%] potrebbe, infatti, comportare effetti distorsivi sullo sviluppo del mercat o
azionario italiano e disincentivare la partecipazione – specie da parte degli investitori
istituzionali – al capitale delle società quotate italiane. Si tenga presente che, in presenza
di un obbligo anzidetto, i soggetti che hanno un interesse meramente finanziario e part e-
cipano al capitale in misura inferiore al 2% [ora 3%] potrebbero ritenere economic a-
mente più conveniente cedere la propria partecipazione, piuttosto che adottare adeguati
sistemi di gestione degli obblighi di disclosure , a causa di eventi, appunto, non derivanti
da un proprio atto di volontà ».
149
l’opportunità di estendere l’esenzione a tutti gli obblighi di comunicazione
di natura passiva, indipendentemente dalle percentuali interessate, ma la
Consob ha ritenuto impraticabile tale possibilità in considerazione dell’art.
9 della direttiva 2004/109/CE (c.d. direttiva Trasparency ), recepita dal legi-
slatore italiano, la quale impone che l’azionista notifichi all’emittente la
percentuale di diritti di voto detenuta sia in seguito ad acquisizioni o ces-
sioni, qualora raggiunga, superi o scenda al di sotto delle soglie indicate
(5%, 10%, 15%, 20%, 25%, 30%, 50% e 75%); sia a seguito di eventi che,
modificando la distribuzione dei diritti di voto, comportano un superamento
o una riduzione delle predette soglie, e sulla base della comunicazione al
pubblico che l’emittente deve effettuare alla fine di ciascun mese di calen-
dario durante il quale si è verificato un aumento o una diminuzione del tota-
le dei diritti di voto (art. 15 direttiva Trasparency ).
Si è ritenuto possibile un esonero dall’obbligo di comunicazione solo relati-
vamente alla soglia minima del 2% (ora, come già notato, portata al 3% se
l’emittente non è una PMI) inferiore a quella (minima) prevista dalla dire t-
tiva comunitaria (5%).
Per quanto riguarda i possibili problemi di coordinamento tra l’esenzione di
cui si è dato conto e le altre previsioni normative per l’applicabilità delle
quali risulta rilevante il super amento della soglia minima del 3 %, in partico-
lare l’art. 121 TUF in materia di partecipazioni reciproche, la Consob ha
stemperato le preoccupazioni chiarendo che i poteri di vigilanza informativa
e ispettiva ex art. 114-115 TUF – indipendentemente dalla sussistenza di un
obbligo di comunicazione in caso di superamento di una certa soglia – non
vengono meno, per cui la trasparenza è salvaguardata295. Anche se in effetti,
come era già stato notato296, i meccanismi informativi previsti dall’art. 120
TUF sono in larga misura strumentali alle esigenze applicative della disc i-
plina posta dall’art. 121 TUF.
Analoghe perplessità sono state presentate anche con riguardo all’art. 127-
quinquies , terzo comma, TUF (cessione diretta o indiretta di partecipazioni
di controllo in società che detengono azioni a voto maggiorato in misura
superiore al 3%): anche qui però, secondo la Consob, l’emittente dispone
delle informazioni riguardanti gli azionisti con diritto di voto maggiorato,
295 CONSOB , Documento di consultazione , cit., p. 8; Documento Consob sugli esiti della
proposta di modifica al Regolamento Emittenti, cit., p. 15.
296 F. CHIAPPETTA , Diritto del governo societario , cit., p. 52.
150
cui la Consob stessa ha accesso se necessario, per cui la ricorrenza della
specifica causa di cessazione del voto maggiorato può essere rilevata anche
in assenza di obblighi comunicativi297.
20. Gli effetti del voto maggiorato sulla disciplina dell’OPA e sulla r e-
gola di neutralizzazione.
Con l’introduzione del voto maggiorato era inevitabile che il legislatore
provvedesse a ridefinire la regolamentazione delle offerte pubbliche di a c-
quisto obbligatorie, così da assicurare un coordinamento tra le discipline ed
evitare che la maggiorazione del voto potesse consentire il rafforzamento
degli azionisti dominanti permettendo l’acquisizione di un potere deliber a-
tivo superiore alla soglia del 30% (modificando le condizioni di contendib i-
lità e le prospettive dell’investimento degli altri azionisti) pur in assenza di
nuovi acquisti di azioni, e perciò senza l’obbligo di promuovere un’offerta
pubblica di acquisto stante il mancato superamento della partecipazione r i-
tenuta rilevante ai fini dell’OPA stessa; consentendo così un uso opportun i-
stico del voto maggiorato a danno delle minoranze e un depotenziamento
delle finalità dell’istituto dell’OPA obbligatoria298.
L’attuale art. 106, primo comma, TUF dice infatti che «[c] hiunque, a segui-
to di acquisti ovvero di maggiorazione dei diritti di voto, venga a detenere
una partecipazione superiore alla soglia del trenta per cento ovvero a d i-
sporre di diritti di voto in misura superiore al trenta per cento dei medesimi
promuove un’offerta pubblica di acquisto rivolta a tutti i possessori di titoli
sulla totalità dei titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolame n-
tato in loro possesso ». Nel caso di piccole e medie imprese (PMI)299 la so-
297 Documento Consob sugli esiti della proposta di modifica al Regolamento Emittenti,
cit., p. 15.
298 Come segnalato già prima dell’entrata in vigore del decreto competitività da S. ALVA-
RO – A. CIAVARELLA – D. D’E RAMO – N. LINCIANO , La deviazione dal principio
“un’azione – un voto” , cit., p. 59; e poi anche da A. BUSANI – M. SAGLIOCCA , Le azioni
non si contano, ma si “pesano” , cit., p. 1059; G. GUIZZI , La maggiorazione del diritto di
voto, cit., p. 163; C. TEDESCHI , Le azioni a voto plurimo , cit., p. 1079.
299 Per PMI, ai fini della disciplina qui in esame, s’intendono le società con un fatturato o
una capitalizzazione media di mercato inferiori a certe soglie. Cfr. art. 1, lett. w-quater.1 ,
TUF, secondo cui sono PMI: « fermo quanto previsto da altre disposizioni di legge, le
piccole e medie imprese, emittenti azioni quotate, il cui fatturato anche anteriormente
151
glia rilevante può essere diversa, essendo stata data loro la possibilità di fis-
sarla ad un valore più adeg uato alle loro caratteristiche, comunque compr e-
so tra il 25% e il 40% (tale considerazione verrà data per implicita ogn i-
qualvolta nel prosieguo della trattazione si faccia riferimento alla [sola] so-
glia rilevante del 30%).
Accanto al tradizionale presupposto dell’acquisto di una partecipazione su-
periore alla soglia rilevante, poiché vi potrebbero essere azioni in grado di
esprimere un voto superiore all’unità, il legislatore ha aggiunto un nuovo
presupposto ossia il superamento della medesima soglia ma calcolata in
rapporto ai diritti di voto esercitabili nell’assemblea per la nomina o revoca
degli amministratori o del consiglio di sorveglianza.
Sebbene da taluno si fosse prospettata, con la modifica all’art. 106,
l’introduzione di una « doppia soglia OPA concorrente »300, e cioè l’obbligo
di OPA si sarebbe dovuto presentare sia in occasione del superamento de lla
soglia rilevante relativa alla detenzione di titoli che attribuiscono diritto di
voto ex art. 105, secondo comma, TUF, sia in occasione del superamento
della medesima soglia ma in relazione ai diritti di voto, è prevalsa nett a-
mente sia in sede di consu ltazione sulle proposte di modifica del reg. emit-
tenti sia nelle elaborazioni dottrinali successive la preferenza per il sistema
c.d. a soglia unica che ricollega l’obbligo di OPA ad una sola delle fattisp e-
cie, a seconda se si sia recepito o meno la maggio razione del voto. In pre-
senza del meccanismo di cui all’art. 127- quinquies TUF, la detenzione di t i-
toli azionari oltre la soglia rilevante comporta l’obbligo di OPA solamente
se si dispone anche di diritti di voto in misura superiore al 30% dei med e-
simi.
La Consob ha precisato che solo apparentemente l’art. 106, primo comma,
indica due fattispecie distinte301, in quanto la formulazione normativa unit a-
ria prescelta mira a ricomprendere al suo interno sia la circostanza che vede
vigente la regola “one share , one vote ”, sia quella che comporta un disco-
all’ammissione alla negoziazione delle proprie azioni, sia inferiore a 300 milioni di euro,
ovvero che abbiano una capitalizzazione di mercato inferiore ai 500 milioni di euro. Non
si considerano PMI gli emittenti azioni quotate che abbiano superato entrambi i predet ti
limiti per tre anni consecutivi ».
300 N. ABRIANI – E. BARCELLONA in Documento Consob sugli esiti della proposta di mo-
difica al Regolamento Emittenti, cit., p. 18
301 Documento Consob sugli esiti della proposta di modifica al Regolamento Emittenti,
cit., pp. 18-19.
152
stamento da tale regola, e l’obbligo di OPA si presenterà nell’uno o
nell’altro caso a seconda dell’assetto di corporate governance prescelto302.
L’adozione in via esclusiva del criterio di calcolo della partecipazio ne in re-
lazione al numero complessivo dei diritti di voto (nelle società i cui statuti
prevedono il voto maggiorato) anziché al capitale sociale non comporta
dunque una « interpretatio (parzialmente) abrogans della fattispecie prev i-
sta dalla legislazione primaria », come affermato da alcuni autori303.
La ratio dell’OPA obbligatoria (o comunque una delle motivazioni legate
alla sua introduzione) sarebbe la tutela degli azionisti di minoranza non tan-
to a fronte di una modifica degli assetti proprietari, quanto di una modifica
degli assetti di controllo, e infatti ad assumere rilievo nella definizione di
partecipazione rilevante sono le azioni che attribuiscono diritto di voto nelle
deliberazioni riguardanti la nomina o revoca degli amministratori o del con-
siglio di sorveglianza.
Pertanto, poiché la maggiorazione del voto può rivelarsi una tecnica di a c-
quisizione del controllo analoga a quella del rastrellamento di titoli azionari,
ecco che l’art. 106 TUF tiene conto anche di questa possibilità.
Anche qualora si ponga l’accento su un ulteriore scopo sotteso all’OPA ob-
bligatoria, ossia la distribuzione del c.d. premio di controllo pagato
dall’acquirente, appare difficile sostenere la tesi che accrediterebbe il siste-
ma della doppia soglia OPA concorrente. Se infatti la partecipazione acqu i-
stata supera la soglia rilevante in relazione all’ammontare complessivo del
capitale, ma non attribuisce un’altrettanto “peso” in termini di voto, appare
difficile che l’acquisto incorpori un premio di controllo, anche se si tratta di
un acquisto significativo e dunque con elevate probabilità di trasformarsi in
una disponibilità di diritti di voto superiore al 30%304.
302 V. anche Atto congiunto Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., p. 486.
303 Come sostenuto da N. ABRIANI – E. BARCELLONA in Documento Consob sugli esiti
della proposta di modifica al Regolamento Emittenti, cit., p. 18, secondo i quali un crit e-
rio di calcolo della partecipazione determinato non già in relazione al capitale sociale
(con diritto di voto), bensì in funzione del numero complessivo di diritti di voto, rend e-
rebbe l ’ipotesi della detenzione di una partecipazione superiore al 30% coincidente con
quella della titolarità di diritti di voto in misura superiore al 30%. Ipotesi che per gli auto-
ri dovrebbero rimanere sempre distinte e concorrenti, non alternative, stante l’utilizzo nel-
la fattispecie normativa primaria della congiunzione « ovvero ».
304 Documento Consob sugli esiti della proposta di modifica al Regolamento Emittenti,
cit., p. 19.
153
Condivisibile dunque la modalità di stesura del nuovo art. 44- bis.1 reg.
emittenti, per il quale «[n]elle società i cui statuti consentono la maggiora-
zione del diritto di voto […], la partecipazione rilevante ai sensi
dell’articolo 106, commi 1, 1-bis, 1- ter, e 3, lettera b), del Testo unico è
calcolata tenendo conto del numero dei diritti di voto, esercitabili nelle d e-
liber azioni assembleari riguardanti la nomina o la revoca degli ammin i-
stratori o del consiglio di sorveglianza, in rapporto al numero complessivo
dei diritti di voto comunicati dall ’emittente ai sensi dell’articolo 85-bis ».
Il decreto competitività ha introdotto ulteriori novità significative in materia
di offerte pubbliche di acquisto, delle quali non si darà conto in questa sede.
È interessante segnalare, però, l’ulteriore soglia rilevante del 25% introdotta
nel comma 1- bis dell’art. 106 TUF, al super amento della quale – nelle so-
cietà diverse dalle PMI – scatta l’obbligo di offerta pubblica di acquisto to-
talitaria in assenza di un altro socio che detenga partecipazioni più elevate.
Anche in questo caso, come appena visto dalla lettura dell’art. 44-bis.1 reg.
emittenti, la percentuale rilevante si calcola in relazione al numero com-
plessivo dei diritti di voto (se la società contempla la maggiorazione del vo-
to nel proprio statuto). La norma però non rispecchia la formulazione
dell’art. 106, primo comma, TUF, con riferimento alla soglia del 30%, in
quanto collega l’obbligo di OPA al superamento della soglia a seguito di
acquisti e non a seguito di maggiorazione dei diritti di voto.
Probabilmente l’omissione è stata voluta per non disincentivare
l’introduzione della maggiorazione del voto305, considerando che l’OPA
obbligatoria è uno strumento protettivo delle minoranze306 ma anche molto
oneroso per l’obbligato307; tuttavia la disparità di trattamento rispetto al su-
305 M. SASSELLA , I nuovi profili dell ’OPA obbligatoria alla luce del Decreto Competit i-
vità e delle recenti modifiche al Regolamento Emittenti , marzo 2015, reperibile in
www.dirittobancario.it , alle sezione: Approfondimenti , p. 21.
306 Sulle diver se finalità dell’OPA obbligatoria v., ad. es., F.M. MUCCIARELLI , Le offerte
pubbliche d’acquisto e di scambio , in Trattato di Diritto Commerciale , V. BUONOCORE
(diretto da), Torino, Giappichelli, 2014, pp. 134 ss.
307 L. ZINGALES , Il voto plurimo , cit., è stato molto critico circa l’abbassamento della so-
glia per l’OPA obbligatoria in quanto, dato l’elevato valore del controllo in Italia, per un
compratore risulta difficile soddisfare le esigenze di prezzo del venditore ed estendere
questo prezzo a tutte le altre azioni; per cui abbassando la soglia OPA si ingessa il merc a-
to del controllo.
154
peramento della soglia del 30% suscita qualche interrogativo di coerenza308.
Ad ogni modo, almeno a giudizio della Consob, la lacuna non è da colmare
in via analogica o a livello di normazione secondaria309, anche se la stessa
Commissione ha avuto modo di sostenere che il termine “acquisto” sarebbe
da intendere in senso ampio, omnicomprensivo di tutte le condotte di acqu i-
sizione del controllo di una società quotata310; ma allora se così fosse
un’applicazione analogica sarebbe sicuramente coerente.
Rimane il fatto che il comma 1- bis dell’art. 106 è stato inserito nell’ambito
del medesimo intervento legislativo con cui si è modificato il comma 1
dell’art. 106311, per cui si tratterebbe di una svista legislativa troppo grave;
il mancato riferimento alla superamento della soglia del 25% (calcolata con
riguardo al numero complessivo dei diritti di voto) per effetto della maggio-
razione dei diritti di voto non può che essere stato voluto.
Quanto al prezzo dell’OPA obbligatoria, poiché alla stessa si potrebbe esse-
re obbligati anche in assenza di acquisti a titolo oneroso, l’art. 106, secondo
comma, TUF, stabilisce che in questi casi (superamento della soglia per e f-
fetto della maggiorazione dei diritti di voto) l’offerta è promossa ad un
prezzo non inferiore a quello medio ponderato di mercato degli ultimi dod i-
ci mesi o del minor periodo disponibile.
Evidentemente in queste eventualità lo strumento dell’OPA non servirà a
rendere partecipi gli azionisti di minoranza del premio di controllo.
L’offerta pubblica di acquisto deve essere proposta entro venti giorni dal
superamento della soglia rilevante a fini OPA (art. 106, secondo comma,
TUF), ma nel caso in cui trovi operatività il meccanismo della maggior a-
zione del voto l’accertamento di tale superamento risulta essere particola r-
mente difficoltoso poiché il numero complessivo dei diritti di voto – in base
al quale si effettua il computo delle soglie OPA – può essere esposto a con-
tinue variazioni. Correttamente la Consob ha dunque chiarito che in caso di
superamento per effetto della maggiorazione del voto, l’obbligo di OPA a
carico dell’azionista interessato viene a configurarsi dalla data della comu-
308 Come rilevato anche da R. COSTI, intervento al seminario Problemi d’attualità , cit.,
pp. 226-227.
309 CONSOB , Documento di consultazione , cit., p. 22.
310 Ivi, p. 17.
311 Il comma 1- bis, ad essere precisi, è stato inserito in sede di conversione del d.l. 24
giugno 2014, n. 91, con un emendamento fortemente voluto dal senatore M. MUCCHETTI .
155
nicazione ex art. 85-bis, comma 4-bis, reg. emittenti; è da tale aggiornamen-
to periodico che risulta agevolmente conoscibile il numero complessivo dei
diritti di voto aggiornato e il peso dei diritti di voto di ciascun azionista312.
Se il superamento della soglia OPA avviene per effetto di acquisti, il dies a
quo dell’obbligo decorre dalla data in cui l’operazione è stata posta in esse-
re, facendo riferimento al numero complessi vo dei diritti di voto da ultimo
comunicati dalla società quotata313. In effetti in questo caso il compratore ha
consapevolmente e attivamente assunto una posizione che la legge presume
essere di controllo314.
Gli artt. 106, terzo comma, lett. a) del TUF e 45 del reg. emittenti discipl i-
nano l’obbligo di OPA nel caso di partecipazioni indirette rilevanti; cioè nei
casi in cui la soglia rilevante in una s.p.a. quotata non sia stata acquistata d i-
rettamente, bensì mediante una partecipazione in una società control lante
interposta (sia essa quotata o meno) che a sua volta detenga una partecip a-
zione rilevante nella società quotata a valle, e qualora il patrimonio
dell’interposta sia costituito prevalentemente da titoli emessi da tale società
quotata (cioè deve trattarsi di una holding ); ovvero quando il prezzo pagato
per l’acquisto della partecipazione nella società interposta sia prevalent e-
mente rappresentato dal valore della partecipazione ne lla s.p.a. quotata a
valle così come risulta dal bilancio della controllante interposta (ipotesi non
di facile decifrazione e sembrerebbe dai confini incerti).
Rinviando alla lettura degli stessi articoli per i dettagli della disciplina,
preme osservare che anche in tale ambito rileva la maggiorazione dei diritti
di voto, per cui se per effetto della maggiorazione stessa si arriva a disporre,
indirettamente, di una soglia di voti rilevante in una società quotata a valle,
sorgerà l’obbligo di OPA sui titoli di quest’ultima, benché non direttamente
partecipata.
Lo stesso dicasi per i casi di acquisto incrementale, ossia quegli acquisti e f-
fettuati da chi già detenga una partecipazione superiore al 30% o già d i-
312 Ai sensi dell ’articolo 143- quater , quarto comma, del reg. emittenti, le risultanze
dell’elenco sono messe a disposizione dei soci, a loro richiesta, anche su supporto info r-
matico, ma sarebbe eccessivamente gravoso imporre ai singoli azionisti di consultarlo
continuamente.
313 M. SASSELLA , I nuovi profili dell ’OPA obbligatoria , cit., p. 12 alla nt. 32.
314 Il 30% o il 25% non implicano di per sé e necessariamente il controllo della società,
ma rappresentano una soglia significativa.
156
sponga di diritti di voto in misura superiore al 30% dei medesimi (o alla di-
versa soglia eventualmente previs ta se trattasi di PMI), senza detenere la
maggioranza dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria. Il consolidamento
della partecipazione mediante acquisti superiori al 5% ovvero in seguito a
maggiorazione dei diritti di voto in misura superiore alla predetta soglia d e-
termina l’obbligo di offerta (cfr. l’art. 106, terzo comma, lett. b) e l’art. 46
reg. emittenti). Si tratta di acquisti o incrementi di voto significativi che raf-
forzano la posizione del socio, diminuendo il flottante e la contendibilità,
determinando così esigenze di protezione delle minoranze.
Infine, l’incremento del diritto di voto a seguito di maggiorazione rileva an-
che nella disciplina dell’acquisto di concerto di cui all’art. 109 TUF.
Interessanti sono le modifiche normative in materia di esenzione
dall’obbligo di OPA.
Come già detto, il numero totale dei diritti di voto – cioè il denominatore su
cui si calcola la partecipazione (in termini di voto) – può subire variazioni
in aumento e in diminuzione, e in quest’ultimo caso vi potrebbero essere
azionisti che si trovino a superare le soglie percentuali di voto rilevanti ai
fini OPA indipendentemente dalla propria volontà, cioè senza aver acqu i-
stato titoli ovvero incrementato i propri diritti di voto a seguito della mag-
giorazione. E questo perché se vi sono azionisti che rinunziano al voto
maggiorato o pongono in essere eventi estintivi dello stesso si riduce il nu-
mero di voti complessivo e al tempo stesso cresce il peso del voto di cia-
scun socio che non abbia attivato le predette vicende, p ur mantenendo inal-
terato il valore assoluto dei propri diritti di voto disponibili.
Si tratta dei superamenti meramente passivi delle soglie rilevati ai fini OPA,
a fronte dei quali, già prima degli interventi correttivi al reg. emittenti, si
era segnalat a l’opportunità di escludere l’obbligo di OPA totalitaria315.
In ragione delle finalità della disciplina dell’OPA obbligatoria e dei vari in-
teressi coinvolti, la Consob ha trovato un compromesso nell’aggiunta della
lettera d-bis ) al terzo comma dell’art. 49 del reg. emittenti, in forza del qu a-
le i c.d. superamenti passivi sono esentati dall’obbligo di OPA, ma sola-
315 P. MARCHETTI , Commento all’art. 20 del d.l. competitività , cit., p. 11; P. MONTALE N-
TI, intervento al seminario Problemi d’attualità , cit., p. 224, secondo il quale l’obbligo di
OPA in questi casi avrebbe obbligato gli investitori a complesse « “proiezioni di scena-
rio”» non in linea con gli obiettivi di un mercato finanziario trasparente e «“di agevole
lettura” ».
157
mente se l’azionista non abbia acquistato in precedenza (individualmente
e/o in concerto con altre persone) una partecipazione che, calcolata in rap-
porto al numero complessivo dei titoli (non dei diritti di voto complessivi)
emessi dalla societ à, risulti superiore alla soglia OPA.
In pratica sono stati individuati un « “superamento passivo involontario” » e
un «“superamento passivo non involontario” »316, per cui nel primo caso il
superamento è determinato da un fatto imputabile ad un terzo e non prev e-
dibile, o meglio sì prevedibile ma rimesso ad una sua scelta meramente po-
testativa di cui non si ha certezza del suo verificarsi, per cui non idoneo ad
avere conseguenze in capo all’azionista che per effetto di tale fatto si trovi
ad avere un numero di voti sopra soglia.
Nel secondo caso invece si è in presenza di un azionista che ha acquistato
una partecipazione che supererebbe la soglia OPA se fosse calcola ta in rap-
porto al capitale sociale, ma che invece non è rilevante in relazione al nu-
mero dei diritti di voto. Ecco allora che al momento dell’acquisto non sorge
nessun obbligo di OPA, ma se successivamente, anche per fatti riconducib i-
li a terzi, l’azionist a che si era volontariamente posto in una posizione con
elevata potenzialità di divenire rilevante ai fini OPA dovesse superare la
soglia in termini di diritti di voto, ecco che viene meno il presupposto
dell’esenzione per cui sarà tenuto al relativo obbligo.
Alcuni pareri pervenuti alla Consob317 avevano segnalato l’opportunità di
prevedere sempre e comunque l’obbligo di OPA, indipendentemente dalla
involontarietà del superamento, accentuando dunque le esigenze protettive
delle minoranze. In particolare si era evidenziato che il superamento da
maggiorazione ha natura mista, essendo al tempo stesso sia attivo che pa s-
sivo: attivo perché postula l’acquisto delle azioni e la loro iscrizione
nell’elenco; passivo perché dipende sempre anche dalla condotta degli altri
azionisti.
L’orientamento è parso troppo rigoroso. L’iscrizione nell’elenco è indub-
biamente condizione indispensabile per la maggiorazione, ma il superamen-
to concreto delle soglie OPA può dipendere anche da eventi riconducibili a
terzi e astrattamente sì possibili, ma del tutto estranei alla sfera di controllo
dell’azionista.
316 M. SASSELLA , I nuovi profili dell ’OPA obbligatoria , cit., p. 14.
317 N. ABRIANI – E. BARCELLONA , ALTROCONSUMO , in Documento Consob sugli esiti
della proposta di modifica al Regolamento Emittenti, cit., p. 20.
158
Proprio in ragione di queste valutazioni la Consob ha previsto un’esenzione
dall’obbligo di OPA a seguito di superamenti passivi, a meno che il sogge t-
to – come già anticipato – non si sia posto in una posizione di potenziale
controllo che potrebbe attualizzarsi, posizione in cui la partecipazione
espressa in termini di quota percentuale del numero di titoli emessi (supe-
riore al 30% o alle altre soglie di cui ai commi, 1- bis, 1-ter e terzo comma,
lett. b) ha un « valore “segnaletico” » anche in società i cui statuti prevedo-
no la maggiorazione del voto318.
Questa soluzione è stata criticata in dottrina319 poiché se il criterio di calco-
lo della soglia è legato ai voti esercitabili, ad esso si deve fare esclusivo r i-
ferimento, non rilevando più la circostanza del raggiungimento volontario
di una partecipazione superiore al 30% del capitale. Chi si pone nella situa-
zione descritta, si trova in una posizione simile a quella in cui si troverebbe
se – in una società in cui non operi la maggiorazione del voto – ci fosse un
altro soggetto che disponesse di una partecipazione di entità tale da consen-
tirgli la maggioranza dei diritti di voto in assemblea ordinaria (ipotesi di
esenzione ex art. 49, primo comma, lett. a), reg. emittenti); situazione a
fronte della quale la Consob non ha mai prospettato un supposto valore s e-
gnaletico e perciò non si è mai profilata l’eventualità di un obbligo di OPA
successivo a fronte della scelta del titolare della maggioran za relativa dei
voti di ridurre il proprio possesso, andando specularmente ad incrementare
la posizione di potere di colui che in precedenza era stato esentato
dall’offerta.
Inoltre, anche se la scelta della Consob fosse stata quella di evitare forme di
concerto occulto tra l’acquirente delle azioni e chi successivamente rinunzia
alla maggiorazione determinando così per l’acquirente una crescita oltre so-
glia del potere di voto, la soluzione appare comunque distonica rispetto ai
meccanismi antielusivi di cui all’art. 109 TUF. Qui infatti, a proposito
dell’aggregazione di un numero di azioni, in virtù della stipula di un patto
sociale, che determina il superamento della soglia rilevante, l’obbligo di
OPA sorge solo se gli aderenti al patto siano venuti a detenere compless i-
vamente una tale partecipazione nei dodici mesi precedenti la stipula del
318 CONSOB , Documento di consultazione , cit., p. 20.
319 G. GUIZZI , La maggiorazione del diritto di voto, cit., pp. 164 ss; ID., intervento al se-
minario Problemi d’attualità , cit., pp. 239 ss.
159
patto320. Se l’arco temporale è più ampio la legge non presume ci siano
condotte fraudolenti.
Concludendo le considerazioni in materia di OPA, l’art. 106, quinto com-
ma, lett. d), delega alla Consob la regolamentazione dell’ipotesi di super a-
mento di soglia di carattere temporaneo. E infatti l’obbligo dell’offerta pre-
visto dall’art. 106 TUF non sussiste se il soggetto si impegna a cedere a pa r-
ti non correlate i titoli, ovvero ridurre i diritti di voto (ed è in tale circostan-
za che sembra emergere chiaramente, come già detto supra, l’utilità della
rinunzia) in eccedenza entro dodici mesi e a non esercitare i medesimi diri t-
ti di voto (cfr. art. 49, terzo comma, lett. e), reg. emittenti). In tali casi il
soggetto interessato deve comunicare al mercato l’intenzione di avvalersi
dell’esenzione.
Era già stato notato che l’introduzione delle loyalty shares e delle azioni
speciali a voto multiplo avrebbe reso necessario altresì un aggiornamento
dell’art. 104- bis TUF dedicato alla c.d. regola di neutralizzazione321, e infa t-
ti il legislatore ha provveduto stabilendo che nelle assemblee chiamate ad
autorizzare misure che possono contrastare gli obiettivi di un’OPA «le
azioni a voto plurimo conferiscono un voto e non si computano i diritti di
voto assegnati ai sensi dell’articolo 127-quinquies » (art. 104- bis, secondo
comma).
È la stessa direttiva 2004/25/CE, recepita nell’ordinamento italiano con il
d.lgs. 19 novembre 2007, n. 229, che all’art. 11 stabilisce che i «titoli a voto
plurimo conferiscono soltanto un voto nell’assemblea generale che decide
su eventuali misure di difesa ».
Ora, sebbene tale riferimento sia stato inteso come riferentesi alle azioni a
voto plurimo che costituiscono una categoria speciale (cfr. infatti l’art. 2,
primo comma, lett. g) della direttiva, secondo la quale per « titoli con diritto
di voto plurimo [si intendono] i titoli inclusi in una categoria distinta e s e-
parata e che danno diritto a più di un voto»), il legislatore italiano ha inclu-
so nell’operatività della regola di neutralizzazione anche le azioni a voto
maggiorato, in ciò discostandosi dal legislatore francese che invece le ha
escluse proprio perché non ricadrebbero nell’ambito di applicazione
320 ID., La maggiorazione del diritto di voto, cit., p. 167; I D., intervento al seminario Pro-
blemi d’attualità , cit., p. 240
321 S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D. D’E RAMO – N. LINCIANO , La deviazione dal princ i-
pio “un’azione – un voto” , cit., p. 63.
160
dell’art . 11 della direttiva OPA322.
Anche il meccanismo del voto maggiorato dunque è considerato come un
possibile strumento antiscalata323, «seppur con minor “brutalità” della c a-
tegoria delle azioni a voto plurimo »324, mentre il legislatore francese ha da-
to seguito ad un’interpretazione letterale della direttiva325, lasciando inte n-
dere che le actions à droit de vote double “à la française ” non servono solo
322 Ivi, p. 37 alla nt. 103; B. MASSELLA DUCCI TERI, Il decreto competitività , cit., p. 489;
M.S. SPOLIDORO , Il voto plurimo , cit., p. 19, per il quale sembrerebbe quasi che il legisl a-
tore francese, con le azioni di fedeltà a voto doppio, « abbia dettato ante litteram norme
“in frode alla direttiva” o, ancor meglio, che la direttiva sia stata tagliata sulle esigenze
del diritto francese »; M. STORCK – T. DE RAVEL D ’ESCLAPON , Faut- il supprimer à droit
de vote double , cit., p. 90, i quali comunque riconoscono che il voto doppio « peut const i-
tuer une défense contre des OPA inamicales en permettant de verrouiller le contrôle de la
société au profit d’un groupe minoritaire».
323 Per un’elencazione delle strategie difensive preventive e una loro classificazione in
structural barriers , cioè quelle che ineriscono al quadro economico di riferimento (ad es.
la diffusone di società con proprietà azionaria concentrata, la rilevanza delle banche e dei
sindacati dei lavoratori nelle corporate decisions , la scarsa propensione alla quotazione) e
technical barriers (cioè gli accorgimenti adottati per ostacolare cambi di controllo quali,
ad es., dual-class shares , pyramidal groups e cross-shareholdings ), v., ad es., E. BER-
GLÖF – M. BURKART , European Takeover Regulation , 2003, consultabile all’indirizzo: htt
p://ssrn.com/abstract=405660 , pp. 177 ss.; G. FERRARINI , Share Ownership, Takeover
Law and the Contestability of Corporate Control , in Company Law Reform in OECD
Countries. A Comparative Outlook of Current Trends , consultabile all’indirizzo: http://ssr
n.com/abstract=265429 , pp. 5 ss.
324 M. LAMANDINI , Voto plurimo, tutela delle minoranze e offerte pubbliche di acquisto ,
cit., p. 5.
325 A tal proposito si v. T. PAPADOPOULOS , Legal Aspects of the Breakthrough Rule of the
European Takeover Bid Directive , 2008, consultabile in http://ssrn.com/abstract=111467
1, pp. 7-8, dove si critica l’approccio comunitario che ha portato ad escludere
dall’operatività della breakthrough rule le azioni a voto doppio francesi. Una scelta con-
traria agli scopi della direttiva, ossia una maggior armonizzazione del diritto societario
degli Stati europei e la neutralizzazione degli strumenti che possono ostacolare la conten-
dibilità delle società e dunque l’efficienza dei mercati, senza soffermarsi su rilievi pur a-
mente formali come la creazione o meno di una diversa classe di azioni. La direttiva cre e-
rebbe una disparità di trattamento tra Stati (in specie tra la Svezia dove le azioni a voto
multiplo che costituiscono una categoria di azioni distinta sono molto dif fuse e la Fran-
cia). « It is clear » asserisce l’autore «that the Directive tolerates defensive structures
available in some Member States, while prohibiting defences available in other Member
States (Scandinavian dual class shares), which could not advocate effectively their na-
tional interests in the Council ».
161
a promuovere investimenti stabili, ma anche ad ostacolare offerte di acqu i-
sto ostili contro le multinazionali france si326, consi derando poi che il voto
doppio poteva essere appannaggio dei soli cittadini francesi o di uno Stato
membro dell ’Unione Europea o di uno Stato facente parte dell ’accordo rela-
tivo allo Spazio economico europeo (cfr. L225-123, terzo comma Code de
commerce ).
La direttiva OPA, sempre all’art. 11, stabilisce che la regola di neutralizz a-
zione trovi applicazione anche qualora, a seguito dell’offerta, il bidder (i.e.:
offerente) detenga il 75% o più del capitale con diritto di voto, e in partico-
lare «i titoli a voto plurimo conferiscono un voto nella prima assemblea g e-
nerale che segue la chiusura dell’offerta, convocata dall’offerente per mo-
dificare lo statuto societario o revocare o nominare i membri dell’organo
di amministrazione ».
Il legislatore italiano ha attuato tale direttiva stabilendo che l’offerente, se
viene a detenere almeno il 75% del capitale con diritto di voto nelle delib e-
razioni riguardanti la nomina o la revoca degli amministratori o dei compo-
nenti del consiglio di gestione o di sorveglianza, nella prima assemblea che
segue la chiusura dell’offerta, convocata per modificare lo statuto o per r e-
vocare o nominare gli amministratori o i componenti del consiglio di g e-
stione o di sorveglianza, non hanno effetto, fra le altre circostanze elencat e,
le maggiorazioni di voto spettanti ai sensi dell’art. 127- quinquies (cfr. art.
106, terzo comma, TUF). Si dà così all’offerente che abbia acquisito una
posizione robusta in termini di investimento nella società target , con costi
non indifferenti, la possibilità di “scegliersi” un organo gestorio di fiducia,
potendo esercitare in concreto il controllo acquisito con l’OPA.
L’operatività della breakthrough rule potrebbe ledere i diritti di coloro che
la subiscono, in specie – per quel che ci interessa in questa sede – dei soci
che avevano maturato il voto maggiorato, pertanto la legge prevede un equo
indennizzo in caso di pregiudizio patrimoniale327. In pratica qu esto significa
che il voto maggiorato, che normalmente ha solo un valore endosocietario o
di uso, potrebbe comportare al suo titolare una valorizzazione economica.
È altresì intuitivo che lo sforzo finanziario che un bidder deve sostenere
qualora sia interessato a scalare una società che ha recepito il voto maggio-
326 M. LAMANDINI , Voto plurimo, tutela delle minoranze e offerte pubbliche di acquisto,
cit., p. 5.
327 E. LA MARCA , Azioni (sti) con voto maggiorato , cit., pp. 12-13.
162
rato e vede la presenza di azionisti loyal potrebbe rivelarsi ancora più consi-
stente per effetto dell’indennizzo328. Il legislatore italiano infatti, sebbene la
direttiva sul punto sia stata molto vaga329, ha imputato l’obbligo di tale i n-
dennizzo all’offerente, il quale potrebbe trovarsi a sborsare somme ulteriori
rispetto a quelle stimate e dunque a fronteggiare difficoltà aggiuntive. La
scelta del legislatore italiano potrebbe indebolire lo scopo della regola di
neutralizzazione, perché un offerente potrebbe soppesare con cautela la
convenienza di “scalare” società i cui statuti prevedano le circostanze che la
breakthrough rule va a sterilizzare (tra cui anche le azioni a voto plurimo e
le azioni di fedeltà). Alcune misure difensive potrebbero non essere annu l-
late del tutto, in quanto destinate a ripresentarsi successivamente, residuan-
do un (limitato) potere330.
Merita di essere ricordato, per inciso, che la regola di neutralizzazione na c-
que in risposta a delle obiezioni sollevate dal Governo tedesco, poco pro-
penso ad accettare la passivity rule331 senza un meccanismo che sterilizza s-
328 Indennizzo che sembrerebbe essere stato pensato principalmente per compensare i tito-
lari di azioni a voto multiplo (F.M. MUCCIARELLI , Le offerte pubbliche d’acquisto , cit., p.
117).
329 Per A. TUCCI , Le offerte pubbliche di acquisto , in L’ordinamento finanziario italiano ,
cit., p. 925 nt. 35, la disciplina italiana è oscura e frutto di un recepimento assai « sciatto »
di norme comunitarie concepite per tener conto delle diverse esperienze giuridiche.
330 In assenza di un accordo tra offerente e socio danneggiato, l’ammontare
dell’indennizzo dovrà essere determinato in via equitativo dal giudice, avendo riguardo a
dei criteri (cfr. art. 104- bis, quinto comma, TUF) che non agevolano certo l’operazione di
quantificazione (F.M. MUCCIARELLI , Le offerte pubbliche d’acquisto , cit., p. 118).
Proprio il riferimento all’equità potrebbe servire ad evitare gli effetti eccessivamente p e-
nalizzanti paventati, invitando il giudice a soppesare attentamente i vari interessi in gioco
al fine di evitare che l’offerente si trovi a fronteggiare oneri troppo consistenti, ma assicu-
rando al tempo stesso un adeguato ristoro a chi non abbia potuto esprimere totalmente i
propri diritti.
331 Cioè il divieto di compiere atti che possono contrastare il successo di un’offerta pub-
blica di acquisto (specialmente se ostile). La direttiva OPA (art. 9) impone che tali atti,
per essere adottati dagli amministratori, debbano ottenere l’autorizzazione dell’assemblea
degli azionisti, sul modello del City Code on Takeovers and Mergers (Rule 21.1).
All’in troduzione della passivity rule furono opposte molte vischiosità, in particolare dai
tedeschi e dagli scandinavi, sul rilievo che negli Stati Uniti d’America i managers hanno
ampi poteri difensivi in occasione di scalate ostili ( P. MONTALENTI , Mercato del Contro l-
lo e Contendibilità: il Ragionevole Declino della Passivity Rule , in Il diritto delle società
oggi – Innovazioni e persistenze , cit., p. 641).
163
se le difese preventive; la Germania, infatti, aveva definitivamente espunto
dal suo ordinamento le azioni a voto plurimo, una delle principali anti-
takeover defenses. Tale soluzione finalizzata a superare il veto tedesco, p e-
rò, fu fortemente osteggiata da quei Paesi (Svezia in primis ) che conte m-
plavano nel loro ordinamento le azioni a voto plurimo332.
Ecco perché la regola di neu tralizzazione (in Italia) opera solo se lo statuto
la prevede, e questo proprio perché la stessa direttiva OPA ha concesso agli
Stati membri la possibilità di riservarsi il diritto di non esigerne
l’applicazione alle società con sede nel loro territorio, purché fosse attribu i-
ta loro la facoltà di adottarla333.
332 F.M. MUCCIARELLI , Il principio di reciprocità nella Direttiva comunitaria sull’opa ,
Giur. comm ., 2005, I, p. 832.
333 Tale circostanza, unitamente alla regola di reciprocità, testimonia dell’iter travagliato
che ha portato all’approvazione della direttiva e dell’inevitabile compromesso politico
che ne è derivato. Si v. T. PAPADOPOULOS , Legal Aspects of the Breakthrough Rule , cit.,
p. 23, il quale ricorda « the fact that the Takeover Bid Directive is a political compromise,
which tries to balance completely different mentalities of takeover regulation »). Inoltre la
neutralizzazione del voto plurimo avrebbe pregiudicato le società svedesi più di altre, in
quanto molto diffuse in tali società queste tipologie di azioni.
La breakthrough rule è stata molto criticata: si v., ad es., L. BEBCHUK – O. HART, A
Threat to Dual-Class Shares , Financial Times , 31 maggio 2002, consultabile
all’indirizzo:
http://www.law.harvard.edu/faculty/bebchuk/pdfs/FT.Dual.Class.Share.2002.pdf, in cui
gli autori sostengono che la regola di neutralizzazione priva di significato le strutture
azionarie a due categorie, che sarebbero così sostituite da altri meccanism i che consento-
no una separazione tra voting right e cash flow rights non soggetti alla breakthrough rule ,
quali i gruppi piramidali.
Anche per E. BERGLÖF – M. BURKART , European Takeover Regulation , cit., p. 202, la
regola in esame comporterebbe una perdita di valore delle azioni con voto multiplo (la
direttiva europea però prevede delle compensazioni) e discrimina le dual class structure
rispetto ai gruppi piramidali: « The Winter Group explicitly acknowledges that pyramids
and dual class shares serve the purpose of keeping control with little equit y capital, but
recommends that the break-through rule should not apply to pyramids because it would
be too complicated and expensive ».
Si v., però, G. FERRARINI , Share Ownership, Takeover Law and the Contestabili of Cor-
porate Control , cit., pp. 11-12, il quale avverte che le strutture piramidali sono difficili da
regolare poiché è arduo accertare se le stesse abbiano una finalità anti-scalata o se invece
rispondano prevalentemente ad esigenze di efficienza organizzativa.
Si v. anche R. SKOG, The European Union’s Proposed Takeover Directive, the “Brea k-
through” Rule and the Swedish System of Dual Class Common Stock , 2003, reperibile
164
all’indirizzo: www.scandinavianlaw.se/pdf/45-17.pdf , per il quale l’assenza di una regola
di neutralizzazione in occasione di un’OPA su una società target che preveda diverse
classi di azioni non necessariamente riduce la contendibilità. Alle pp. 304-305 si legge
che « Dual class common stock is widely used among Swedish listed companies. Noneth e-
less, takeover activity in Sweden is higher than in the UK, which is generally considered
to be the most active and open market for corporate control in Europe. Statistics provide
no evidence that differentiated voting rights prevent takeovers or hamper takeover activ i-
ty».
Anzi, la presenza di un socio di riferimento impedirebbe avvicendamenti a prezzi scontat i
(dovuti dall’assenza di coordinamento tra piccoli azionisti) essendo necessaria la nego-
ziazione col socio rilevante, con benefici anche per gli altri azionisti in presenza di
un’OPA successiva obbligatoria. Infatti « when confronted with a takeover bid, dispersed
shareholders are unable to act collectively. This inability to coordinate makes it imposs i-
ble for shareholders to negotiate with the offeror to obtain a better price. The existence of
a controlling shareholder helps overcome this collective action problem ».
165
CAPITOLO TERZO
PRIME VALUTAZIONI DI POLITICA LEGISLATIVA.
1. Gli investitori professionali e la c.d. wall street rule (cenni).
Abbiamo così conclusa l’analisi dettagliata della normativa sul voto mag-
giorato. Essa ci ha permesso di ricostruire il meccanismo di funzionamento
di tale istituto e di evidenziare alcuni interrogativi in merito ad alcune no r-
me. In particolare la legge sembrerebbe non chiarire esplicitamente se il vo-
to maggiorato debba riguardare l’intero capitale con diritto di voto o se pos-
sa essere limitato ad una o più categorie.
Ulteriori dubbi sono stati evidenziati a proposito del recesso, non essendo
chiaro se la soppressione d ella clausola statutaria o una sua modificazione
consentano, al socio che non abbia concorso all’approvazione della relativa
delibera, di recedere.
Altri aspetti sono parsi più chiari, e in tali casi si sono prospettate solo delle
puntualizzazioni.
Si sono poste, inoltre, alcune suggestioni a proposito della possibile esclu-
sione dalla quotazione e della conservazione o meno del voto maggiorato in
presenza di talune vicende già prese in considerazione dalla prassi statut a-
ria.
A questo punto spostiamo la nost ra attenzione verso un’analisi economica
della disciplina del voto maggiorato, cercando di metterne in luce le finalità
e le insidie che ne potrebbero derivare.
Focalizzeremo la nostra attenzione, in particolare, sui soggetti che potrebb e-
ro essere maggiormente interessati alla novità legislativa oggetto di questa
tesi di laurea, e sui possibili vantaggi e svantaggi che un rafforzamento del
diritto di voto in assemblea, non accompagnato da un corrispondente inve-
stimento, potrebbe comportare.
Come anticipato agli inizi del presente lavoro, le misure normative introdo t-
te con il decreto competitività non rappresentano una innovazione tutta ita-
liana; già altri Paesi avevano sperimentato le azioni a voto plurimo e le
azioni di fedeltà, ma soprattutto bisogna rilevare che è in corso da tempo
una riflessione a livello comunitario sui miglioramenti della governance
166
delle società quotate, che si propone, tra gli obiettivi, quello di incentivare
gli investimenti di lungo periodo (non speculativi) e il coinvolgimento degli
investitori istituzionali1.
Se dunque questi sono gli auspici e le linee di tendenza che stanno matu-
rando – o che si sono in alcuni casi in parte già materializzate2 – e al tempo
stesso si afferma con convinzione la centralità degli investitori istitu zionali
nel contribuire ad una migliore governance delle società3, riteniamo utile
fare alcune considerazioni – con i limiti del caso, considerando che non è
questa la sede per affrontare la tematica con l’esaustività e la profondità che
meriterebbe – di rilievo prevalentemente economico in merito a tali sogge t-
ti.
Cominciamo col constatare che a tale categoria di investitori la maggior a-
zione del voto subordinata al protratto possesso dell’investimento azionario
e più ampiamente qualsiasi deviazione dal principio “one share , one vote”,
risulterebbe particolarmente invisa4.
1 Come ricordato dallo stesso legislatore nella relazione di accompagnament o alla conve r-
sione del decreto legge contenuta nell’Atto del Senato, cit., p. 32.
2 Ci riferiamo all’Italia e, ancor prima alla Francia, i cui ordinamenti prevedono sia il di-
videndo maggiorato che il voto maggiorato. Anche il § 60 dell’Aktiengesetz autorizza una
ripartizione dei dividendi non proporzionale alle azioni possedute, per cui l’erogazione di
dividendi addizionali in forma di premi sembrerebbe possibile (cfr. N. DE LUCA, Premi di
fedeltà ed eguaglianza tra azionisti , cit., pp. 26 ss.).
3 Si veda la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo,
cit., p. 15; e anche – circa la necessità di un impegno volto a promuovere un maggior
coinvolgimento degli azionisti in generale, al fine di rendere più efficiente il sistema di
governo societario – la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento
europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Piano
d’azione: diritto europeo delle società e governo societario – una disciplina giuridica
moderna a favore di azionisti più impegnati e società sostenibili , del 12 dicembre 2012,
disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2012/IT/1-2012/I
T/1-2012-740- IT-F1-1.Pdf, in particolare a p. 9.
E ancor prima la posizione espressa nel 2002 dall’High Level Group of Company Law
Experts nel Report cit., in particolare a p. 56 dove si legge che « The Group believes inst i-
tutional investors have an important role to play in the governance of companies in which
they invest ».
4 Lo ricordano L. ZINGALES , Il voto plurimo favorisce le piramidi , cit.; A A.VV., Il voto
doppio e il quorum qualificato , cit.; L. GUALTIERI , Sì alla spa, ma col voto plurimo , ne Il
Sole 24 Ore del 6 febbraio 2015. Si vedano anche le risposte di P. MARCHETTI – A. ZOP-
PINI – L. ENRIQUES alle domande di G. NEGRI ne Il Sole 24 Ore del 26 agosto 2014. Vedi
167
Non è un caso che dagli anni novanta, quando all’epoca le azioni senza d i-
ritto di voto erano molto diffuse, in poi, l’interesse manifestato dalle impr e-
se nei confronti di tale strumento sia andato via via scemando; e tra le moti-
vazioni che avrebbero ridotto l’appetibilità di queste azioni vi sarebbe an-
che la preferenza degli investitori istituzionali verso strutture di voto pro-
anche R. COSTI – F. VELLA , Luci e ombre sul voto maggiorato , ne Lavoce.info , 6 febbraio
2015.
In dottrina C. ANGELICI e V.C. BUONAURA , nei rispettivi interventi al seminario Problemi
d’attualità , cit., pp. 219 e 253; C. TEDESCHI , Le azioni a voto plurimo , cit., p. 1080, s e-
condo la quale i meccanismi di rafforzamento del controllo sono visti con ci rcospezione
dagli investitori istituzionali; V. CARIELLO , Azioni a voto potenziato, cit., p. 186, il quale
parla di «persistente atteggiamento – in alcuni casi “ideologico” e culturale – critico ».
Un’ulteriore conferma dell’avversione verso tutti i meccanismi di rafforzamento del con-
trollo da parte degli investitori istituzionali si evince anche dal citato Report on the Pro-
porzionalità Principle in the European Union (2007).
Una conferma empirica ci viene offerta da S. FILIPPETTI , Campari fa da apripista: arriva
il voto plurimo , ne Il Sole 24 Ore del 29 gennaio 2015, p. 27, in cui si riporta che in occa-
sione dell’assemblea della Campari S.p.A. convocata per introdurre nello statuto la mag-
giorazione, il 20% del capitale e la maggioranza degli istituzionali presenti hanno votato
contro. L’avvocato Trevisan che rappresentava il capitale in mano a fondi italiani e esteri
ha dichiarato che il 19,5% ha conferito delega per votare contro, il 10,5% circa per votare
a favore.
Sulla preferenza per soluzioni non eccessivamente diversificate v. anche Atto congiunto
Banca d’Italia – Consob 24 febbraio 2015, cit., pp. 438.
Sulla maggior adeguatezza del voto proporzionale ad attrarre capitali v. G.P. LA SALA,
Principio capitalistico e voto non proporzionale , cit., p. 33.
Nella letteratura straniera, si possono ricordare le parole di J.L. HANSEN , A Scandinavian
Approach to Corporate Governance , 2010, consultabile all’indirizzo: http://www.scandi
navianlaw.se/pdf/50-8.pdf, p. 139 : « Most of the complaints about vote differentiation a p-
pear to come from institutional investors. They suffer the burden of having to invest tri l-
lions of euros which means that their acceptance of shares with inferior votes may quite
voluntary . […] If vote differentiation was banned, they would get more influence for the ir
money ».
Può essere ricordata anche l’intervista rilasciata dall’inglese Lord Myners, Financial Se r-
vices Secretary to the Treasury , in cui suggeriva l’opportunità di adottare iniziative che
intervenissero sui diritti di voto, e che « greater voting rights given to long-standing inve s-
tors would create more sustainable “ownership ” as compared to short-term financial i n-
vestment, coining the phrase “ownerless corporations ”». La risposta, soprattutto degli in-
vestitori istituzionali, fu negativa. Tali aspetti sono riportati anche da W.G. RINGE , Devia-
tions from Ownerships – Control Proportionality , cit., pp. 234 ss.
168
porzionali5.
È ampiamente noto che tali protagonisti della fin anza preferiscono discipl i-
ne che non ostacolino la loro libertà di disinvestire, essendo gli stessi più
votati a frequenti negoziazioni che ad un interessamento duraturo in una so-
cietà; anche in considerazione dei doveri di massimizzazione del valore del
patrimonio loro assegnato dai clienti. Inoltre tali investitori non sarebbero
comunque strutturalmente preparati all’attivismo che un investimento di
lungo periodo potrebbe suggerire6 e potrebbero anche non averne la conv e-
nienza7.
Ecco perché si suol dire che gli investitori professionali votino “con i pie-
di”. Negli ambienti anglosassoni questa prassi è definita wall street rule o
anche foot voting : in pratica, qualora fossero insoddisfatti dell’andamento
societario o di certe decisioni sociali, anziché partecipare attivamente alla
vita assembleare esercitando i poteri di voice, gli azionisti che praticano
questa regola preferiscono l’exit, ossia la vendita delle azioni.
1.1. G li Hedge Founds .
A fronte di atteggiamenti solo sporadicamente attivi degli investitori istitu-
zionali vi sarebbe una categoria di investitori che invece parrebbe più pro-
pensa all’attivismo assembleare e ad un effettivo contributo alle dinamiche
societarie: gli hedge founds8.
5 Vedi S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D. D’E RAMO – N. LINCIANO , Le deviazioni dal
principio “un’azione – un voto” , cit., p. 48; M. SAGLIOCCA , Il definitivo tramonto del
principio “un’azione, un voto” , cit., pp. 921 ss.
Sulla preferenza per il principio one share , one vote degli investitori istituzionali e sul lo-
ro potere di influenza si veda L. ENRIQUES , Nuova disciplina delle società quotate, cit., p.
684, il quale riporta un caso, in Inghilterra, in cui questi investitori furono in grado di r i-
pristinare il suddetto principio in una grande banca quotata.
6 M. EREDE – G. SANDRELLI , Attivismo dei soci, cit., p. 942.
7 Vedi, di recente, S. BAINBRIDGE , Preserving Director primacy by Managing Sharehol d-
er Interventions , agosto 2013, UCLA School of Law, Law-Econ. Research Paper No. 13-
09, consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=2298415 , p. 8: «[T] he gains r e-
sulting from institutional activism are a species of public goods. They are costly to pro-
duce, but because other shareholders cannot be excluded from taking a pro rata share,
they are subject to non-rivalrous consumption ».
8 A. SACCO GINEVRI , L’attribuzione di diritti particolari agli azionisti di lungo termine ,
169
Il loro modus operandi è molto diverso dai tradizionali investitori istituzio-
nali: esso consta di investimenti selettivi finalizzati ad incrementare il valo-
re di mercato di aziende ritenute underperforming9, consentendo così – al
momento opportuno – un successivo smobilizzo redditizio. A tal fine ven-
gono compiute costose attività di analisi per individuare le società più adat-
te10, per poi dispiegare le proprie iniziative nei confronti del management e
cioè cercando di incidere sulla gestione della società anche con forme part i-
colarmente aggressive.
Atteso ciò, parrebbe che l’istituto della maggiorazione del voto andrà a f a-
vorire soprattutto questi organismi. Nell’accezione collettiva e in parte della
letteratura economica però, ad essi viene associata un’attività concentrata
nel breve periodo, con prospettive deleterie su orizzonti temporali più a m-
pi11, vitali per assicurare una duratura e competitiva presenza nel mercato
della società target12.
Tuttavia, proprio perché gli hedge funds selezionano investimenti azionari
che, seppur potenzialmente fruttuosi, appaiono poco redditizi e dunque illi-
cit., p. 241.
9 WILLIAM B. BRATTON , Hedge Funds and Governance Target, agosto 2010,
Georgetown Law and Economics Research Paper No. 928689 , ECGI Law Working Paper
No. 80/2007 , consultabile all’indirizzo http://georgetownlawjournal.org/files/pdf/95-5/BR
ATTON.pdf , p. 1390: « As value investors, the activists look for firms worth more than
their present market price ».
10 V., ad es., M. BECHT – J. FRANKS – C. MAYER – S. ROSSI, Return to shareholder acti v-
ism: evidence from a clinical study of the Hermes U.K. Focus Fund, ECGI-Finance
Working Paper No. 138/2006 (aprile 2006) consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abst
ract=934712 , pp. 14-15, a proposito dei criteri seguiti dal fondo britannico Hermes og-
getto dello studio, e del successivo « engagement process ».
11 Sul fatto che i fondi hedge rappresentano l’archetipo dell’azionista speculatore v. anche
A. SACCO GINEVRI , L’attribuzione di diritti particolari agli azionisti di lungo termine ,
cit., pp. 241-242.
12 Si veda, ad es., A. KLEIN – E. ZUR, Hedge Fund Activism , ottobre 2006, NYU Working
Paper No. CLB-06-017 , consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=1291605 , p.
2, i quali riscontrano « abnormal stock returns » dipendenti dall’eff etto annuncio, ma non
trovano miglioramenti di performance nel lungo periodo.
Questo testimonia la “forza” accumulata da questi operatori nei mercati finanziari e la lo-
ro capacità di coagulare l’appoggio di altri investitori a sostegno di iniziative che questi
ultimi non intraprenderebbero considerando i costi legati all’attivismo; costi non condiv i-
sibili con gli altri azionisti nonostante i risultati positivi della maggior intraprendenza sia-
no percepiti anche da loro.
170
quidi (cioè poco apprezzati dagli operatori finanziari), si potrebbe comun-
que confutare il precedente assunto affermando che necessariamente deb-
bano mantenere le posizioni assunte per un tempo sufficientemente lungo
affinché il risch io assunto, spesso alto, possa essere compensato13. Al di là
dell’ “effetto annuncio”, ben possibile qualora una consistente partecipazio-
ne azionaria venga acquistata da un fondo di investimento di grosse dimen-
sioni e in grado di influenzare il mercato, la valorizzazione degli assets di
una società potrebbe richiedere molto tempo.
A differenza degli altri investitori i fondi hedge non diversificano gli inve-
stimenti al fine di ridurre i rischi14, potendo godere di una maggiore libertà
nella scelta dei criteri di investimento15.
È altresì vero, però, che solitamente gli hedge funds premono per la dismi s-
sione di rami di azienda, ovvero ostacolano operazioni di fusione e acquis i-
zione16; attività, queste ultime, che focalizzano l’azienda su un ramo spec i-
fico, riducon o gli indebitamenti e tendono ad aumentare il valore delle
13 Sul fatto che gli hedge funds non si focalizzano necessariamente sul breve periodo si
veda M. KAHAN – E DWARD B. ROCK, Hedge Funds in Corporate Governance and Cor-
porate Control, maggio 2007, Faculty Scholarship , Paper 94, consultabile all’indirizzo:
http://scholarship.law.upenn.edu/faculty_scholarship/94, i quali, principalmente alle pp.
1083 ss., riconoscono che può essere un problema, ma asseriscono che vi è ambiguità cir-
ca la dannosità e il sistematico ricorso di tali fondi allo short-termism ; W ILLIAM B.
BRATTON , Hedge Funds and Governance Target, cit., pp. 1409 ss.
14 Per questa ragione E DWARD B. ROCK, Shareholder Eugenics in the Public Corpor a-
tion, cit., p. 902, prospetta la possibilità che gli hedge funds possano promuovere una po-
litica societaria più responsabile proprio per le ingenti risorse investite nella società target
su cui hanno scommesso, mentre gli altri investitori di lungo termine so no spesso index
funds , cioè fondi che diversificano prevenendo i rischi e dunque potendosi disinteressar e
dell’andamento di una specifica società in cui hanno investito.
15 I fondi speculativi – nell’ordinamento italiano – non sono destinati in via esclusiva a
determinate categorie di investitori, anche se vi sono dei limiti generali che di fatto li ren-
dono tendenzialmente riservati. Infatti la soglia minima prevista per l’investimento inizi a-
le è molto elevata (500.000 mila euro) e le quote di questi fondi non possono essere o g-
getto di sollecitazione all’investimento (cfr. art. 15 del d. del Ministero del Tesoro 24
maggio 1999, n. 228, « Regolamento attuativo dell’art. 37 del decreto legislativo 24 feb-
braio 1998, n. 58, concernente la determinazione dei criteri generali cui devono essere
uniformati i fondi comuni di investimento ».
16 Sulle attività tipiche degli Hedge Funds vedi M. KAHAN – E DWARD B. ROCK, Hedge
Funds in Corporate Governance, cit., pp. 1087 ss.; A. KLEIN – E. ZUR, Hedge Fund Acti v-
ism, cit., p. 10.
171
azioni nell’immediato, ma che nel lungo periodo potrebbero compromettere
il rafforzamento e la crescita di una società17.
Si finirebbe per agevolare, dunque, l’attività di soggetti niente affatto inte-
ressati all’economia reale e all’attività industriale delle società bersaglio,
ma ai valori azionari di brevissimo periodo18. Soggetti che, tra l’altro, qua-
17 Va detto, comunque, che vi sono studi che dimostrano come l’attivismo di questi inv e-
stitori abbia contribuito positivamente al valore delle società target e senza pregiudizi nel
lungo periodo. Cfr. M. BECHT – J. FRANKS – C. MAYER – S. ROSSI, Return to shareholder
activism, cit.; a simili conclusioni perviene anche C. CLIFFORD , Value Creation or D e-
struction? Hedge Funds as Shareholder Activists, aprile 2008, consultabile all’indirizzo:
http://ssrn.com/abstract=971018 dove si legge, ad es. a p. 29, che « [t]he findings imply
that shareholder activism, at least from hedge funds, is associated with positive wealth
creation in target firms »; WILLIAM B. BRATTON , Hedge Funds and Governance Target,
cit., ad es. a p. 1381 si legge che « hedge fund activism is a more benign phenomenon than
its critics would have us believe ».
Si v. anche L UCIAN A. BEBCHUK – A. BRAV – W. JIANG , The Long-Term Effects of Hedge
Fund Activism, giugno 2015, consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=229157
7.
La percezione negativa dipenderebbe, dunque, più da un sospetto, generato da una rego-
lamentazione favorevole che li esonera spesso dai controlli delle authority , amplifica to da
una aprioristica condanna verso l’alta finanza e soprattutto verso chi vi opera con aggre s-
sività (in particolare dopo la crisi finanziaria del 2007), piuttosto che dal loro reale oper a-
to.
Rimane il fatto che si tratta comunque di investitori che puntano ad alti guadagni, accet-
tando perciò gradi di rischio maggiori (sebbene precedano, come visto, dettagliate analisi
delle potenziali società target ).
La loro attività, come detto, non è limitata da una regolamentazione stringente che ne
condiziona la libertà di azione, come avviene per gli investitori istituzionali. È pacific a-
mente noto, infatti, come le caratteristiche della loro politica di investimento ed il loro a t-
tivismo dipendano, oltre che dalla struttura dei compensi dei managers, la cui remun era-
zione è legata al valore di mercato delle azioni oggetto di investimento, anche da una r e-
golamentazione più permissiva. In particolare non hanno obblighi di diversificazione d e-
gli investimenti per ridurre il rischio o particolari limiti nel ricorso del debito. E questo
perché trattasi di organismi di investimento collettivo a struttura chiusa le cui quote sono
rivolte a investitori sofisticati, e non al pubblico.
Tutto ciò significa maggiore libertà; accettazione di maggiori r ischi e capacità di incidere
sugli andamenti azionari, soprattutto quando a muoversi sul mercato sono hedge funds
che movimentano consistenti somme di denaro.
18 Si potrebbe rispondere a queste preoccupazioni affermando che l’attività di questi fondi
rende gli strumenti finanziari più liquidi, e dunque il mercato finanziario più “vivace”.
172
lora il management non dovesse allinearsi alle loro proposte, comunicate
spesso mediante contatti p rivati e non nelle assemblee degli azionisti, non
esitano ad ingaggiare battaglie, avvalendosi della loro forza e dei mezzi di
informazione per rafforzare il potere di pressione19.
Insomma, al di là delle diverse opinioni che si possono avere al riguardo, t a-
li investitori suscitano molti interrogativi, inoltre, ancorché si ritenga che le
loro posizioni sui titoli acquistati delle società target non siano orientate al
breve periodo (come visto affermazione discutibile), pare che la loro pr e-
senza non superi comunque i due anni20. Bisognerà capire se la maggior a-
zione del voto, qualora contemplata nello statuto, modificherà la durata dei
piani di investimento di questi soggetti o se invece continueranno con que l-
le forme di c.d. private activism, quei contatti para-assembleari con gli a m-
ministratori, particolarmente profittevoli (proprio perché condotti riserv a-
tamente) ma anche opachi21.
1.2. Gli altri investitori istituzionali .
Gli unici esempi di investitori istituzionali “attivi” sarebbero rappresentati
dai fondi pensione. Ma qui il discorso si fa interessante più negli USA, dove
i fondi pensione pubblici e quelli promossi dalle organizzazioni sindacali
19 Vedi W ILLIAM B. BRATTON , Hedge Funds and Governance Target, cit., pp. 1402 ss;
anche M. EREDE – G. SANDRELLI , Attivismo dei soci, cit., p. 934 alla nota 9.
A ciò si aggiunga che frequentemente gli hedge funds non esitano a fare uso degli stru-
menti di finanza “creativa” che sono andati sviluppandosi negli ultimi anni. Una sorta di
Giano bifronte, che consentono sì la copertura di rischi assunti; ma che offrono altresì la
tentazione di cedere alla speculazione, con possibilità di guadagni consistenti, ma anche
di scompensi sull’andamento dei corsi azionari che pregiudicherebbero soprattutto gli in-
vestitori non speculatori. Ci si riferisce ai prestiti di azioni con cui praticare il c.d. short
selling o, qualora si decida di attivarsi in assemblea, moltiplicare i voti a parità di rischio
economico ( empty voting ); nonché agli swaps con cui ci si copre dal rischio di bassi ren-
dimenti sui titoli azionari mantenendo però i corrispondenti poteri corporati vi. Si veda,
per tutti, H ENRY T. C. HU – BERNARD S. BLACK , The New Vote Buying , cit.
20 M. EREDE – G. SANDRELLI , Attivismo dei soci, cit., p. 946.
Ventiquattro mesi è infatti il periodo minimo di detenzione dell’azione affinché alla ste s-
sa possa riconoscersi la duplicazione del voto, secondo l’art. 127- quinquies del TUF.
21 Sull’opacità di questi contatti e il loro utilizzo Ivi, p. 954; v. anche M. BECHT – J.
FRANKS – C. MAYER – S. ROSSI, Return to shareholder activism, cit., p. 22.
173
arrivano a gestire investimenti azionari consistenti, anche se il loro attivi-
smo non è sempre visto positivamente in quanto spesso finalizzato ad inte-
ressi “politici” e a considerazioni occupazionali e salariali più che alla red-
ditività dell’impresa22.
In Italia, però, i fondi pensione non sono ancora diffusamente presenti po i-
ché, come noto, il sistema previdenziale pubblico è sempre stato partic o-
larmente generoso. E il sistema pensionistico pubblico è un sistema a ripar-
tizione, per cui il gettito contributivo riscosso in un certo periodo è destin a-
to a finanziare le prestazioni pensionistiche di quello s tesso periodo e non
viene investito nel mercato dei capitali23.
Rimarrebbero da fare alcune brevi considerazioni sui fondi sovrani, quei
fondi di investimento di proprietà statale che dispongono sovente di enorme
liquidità da investire e che dunque potrebbe ro essere protagonisti da non
sottovalutare.
Ne facciamo menzione considerando che la Commissione europea ha preso
una posizione nettamente contraria a inappropriate forme di shareholder a c-
tivism orientate al breve periodo, prestando attenzione agli investitori a lun-
go termine e alla necessità di promuoverne il coinvolgimento24; e tra gli i n-
22 M. EREDE – G. SANDRELLI , Attivismo dei soci, cit., pp. 939-940 e nt. 29; v. anche S.
CHOI – J. FISCH, On Beyond CalPERS: Survey Evidence on the Developing Role of Public
Pension Funds in Corporate Governance , in Vanderbilt Law Review , vol. 61, 2008, con-
sultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=1010330 , p. 315 ss., dove si evidenzia la
consistenza degli assets gestiti dai fondi pensione americani e il particolare attivismo del
fondo CalPERS ( California Public Employees Pension System ); attivismo che però non
sembra riguardare la maggior parte degli altri fondi pensione, più propensi a battaglie l e-
gali o a forme di attivismo “sindacale” (litigation activism ) più che a partecipazioni nelle
decisioni di governance (non-litigation activism ). Tale prassi sembrerebbe legata alla
componente “politica” che caratterizza questi investitori molto più di quella “tecnica”, e
infatti secondo gli autori una « large percentage of public pension fund assets are mana-
ged externally », per cui spesso manca il know-how per un certo tipo di attività. Il tutto t e-
nendo conto della difficoltà di avere risorse in-house adeguate per svolgere un ruolo att i-
vo in svariati contesti industriali, considerata la diversificazione degli investimenti.
23 Mentre i fondi pensione operano con il sistema a capitalizzazione, cioè i contributi ver-
sati vengono investiti nel mercato dei capitali.
24 Commissione Europea, Libro verde – Il quadro dell'Unione europea in materia di go-
verno societario, 5 aprile 2011, p. 13.
La Commissione rileva anche come la negoziazione ad alta frequenza di titoli sia andata
aumentando, grazie agli sviluppi tecnologici. Con ciò, come è stato segnalato, s embrereb-
be confonde re i piani, almeno nella misura in cui tale rilievo si innesta in un ragioname n-
174
vestitori a lungo termine cui fa riferimento la Commissione e il cui coinvo l-
gimento societario merita attenzione vi sono anche i fondi sovrani25.
Anche qui vi sono alcune criticità. Anzitutto si tratta di un fenomeno che ri-
guarda prevalentemente i Paesi del Golfo, Singapore, Cina, Russia, Libia,
Paesi retti da governi autocratici o comunque di scarsa democraticità. Per
cui il rischio che l’attività di questi fondi assuma sfumature politiche assic u-
rando ai governi proprietari un potere negoziale nei confronti del futuro po-
litico dei Paesi in cui hanno investito, potrebbe profilarsi. In particolare se i
loro investimenti si concentrano nei settori bancari e strategici, quali
l’energetico26.
Oltre ad assicurare scarsa trasparenza sul valore dei propri portafogli e sulle
partecipazioni – ulteriore elemento di criticità – ciò che caratterizza questi
investitori è l’investimento di lungo periodo, al quale però non si associa
sempre una partecipazione attiva nell’organizzazione delle società scelta
nell’investimento27.
Dunque l’atteggiamento dei fondi sovrani è per lo più passivo, ma rispetto
agli altri investitori la loro politica è prevalentemente di lungo periodo. Del-
la maggiorazione del voto potrebbero perciò, in linea di principio, trarre
giovamento, qualora si tratti di strumento che effettivamente possa sollec i-
tare la loro attenzione ad una partecipazione attiva nel governo societario.
Ma che sia così rimane tutto da dimostrare.
to attinente la governance. Qui infatti si parla di operazioni istantanee o comunque collo-
cate sul brevissimo periodo, e cioè che non prevedono contatti con l’organizzazione
dell’emittente; il coinvolgimento societario non sussiste in radice e neppure può essere
incentivato. Si tratta di una questione puramente legata al funzionamento del mercato f i-
nanziario e ad operatori che non hanno il ruolo di “socio” nella sostanza. Sul pun to v. M.
EREDE – G. SANDRELLI , Attivismo dei soci, cit., p. 956.
25 Commissione Europea, Libro verde – Il quadro dell'Unione europea, cit., p. 13 alla no-
ta 46.
26 Va detto che il nostro legislatore è intervenuto nel 2012 con il decreto legge 15 marzo
2012 n. 21, convertito, con modificazioni, nella legge 11 maggio 2012, n. 56, attri buendo
poteri speciali allo Stato italiano a difesa degli interessi stra tegici del paese, nonché della
sicurezza nazionale.
27 Si veda A. QUADRIO CURZIO – V. MICELI , I fondi sovrani , Bologna, il Mulino, 2009, p.
86.
Una strategia attiva, anche in termini di esercizio di voto, sembra essere prevista dal fon-
do Temasek, posseduto dalla città-stato di Singapore. Sul punto Ivi, p. 56.
175
1.3. Scenari più possibilisti.
Le considerazioni sommariamente fatte inducono a riflettere circa
l’appetibilità dell’istituto del voto maggiorato nei confronti di quegli inve-
stitori su cui si è posta l’attenzione del legislatore nazionale e comunitario.
Nonostante ciò, meno categorica e più possibilista sembra essere invece
un’autorevole dottrina, la quale apre a scenari futuri in cui la logica degli
investitori professionali non sia sempre e solo “mani libere” per vendere in
ogni momento, ma in cui vi siano anche spazi per investimenti stabili28.
Lo stesso autore scrivendo che «il voto maggiorato non lega affatto le ma-
ni!», sembrerebbe sostenere che l’art. 127- quinquies del TUF non vada
immediatamente inteso come antistorico, oppure ostativo agli investimenti
degli investitori professionali.
Se così fosse qualche dubbio potrebbe sorgere però. Come dicevamo, gli
istituzionali prediligono la semplicità del “one share , one vote” e la libertà
di negoziare liberamente e con frequenza, anziché immobilizz are
l’investimento. Nelle imprese italiane spessissimo vi è un socio di rifer i-
mento (spesso il fondatore o comunque un soggetto riconducibile alla sua
famiglia), il quale per definizione è un socio stabile, conseguentemente b e-
neficerà quasi sicuramente del rafforzamento del voto, se introdotto nello
statuto. Non è certo scontato che tutto ciò non influenzi l’investitore istitu-
zionale. È vero che acquistando le azioni di quella società tale soggetto non
si vincola a rimanervi in saecula saeculorum, ma questa struttura di gove r-
nance potrebbe disincentivare il suo investimento.
Alle posizioni espresse dalla dottrina citata aderisce anche altra dottrina, s e-
condo la quale, pur premettendo che gli investitori istituzionali producono il
proprio utile più sullo scambio che sulla partecipazione stabile, « non può
escludersi che l’utilizzo integrato delle maggiorazioni personalistiche del
dividendo e del voto non possa incentivare le imprese di investimento a
modificare la propria strategia d’impresa. Così creando un contesto no r-
mativo in cui gli investitori istituzionali possano effettivamente avere incen-
tivi a partecipare attivamente alle attività di monitoraggio di gestione e di
governance anziché limitarsi al c.d. “voto con i piedi” (o wall street ru-
28 Vedi P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto maggiorato , cit., p. 450.
L’autore parla anche di uno sfavore degli investitori istituzionali meno granitico di quel
che si predica.
176
le)»29.
Ultimo dato. Qualche tempo fa Larry Fink, presidente e amministratore d e-
legato di BlackRock – uno dei principali protagonisti sui mercati, consid e-
rando che si tratta di un fondo di investimento che gestisce 4.600 miliardi di
dollari – ha scritto agli amministratori delegati delle società quotate in cui il
suo fondo ha investito, lanciando un messaggio chiaro: va abbandonata
«l’isteria degli utili trimestrali », e spostata l’attenzione sulle strategie di
lungo periodo. Ha invitato i manager a lavorare per sviluppare parametri f i-
nanziari che sostengano una cornice di lungo periodo, e ad abbandonare a l-
cune prassi molto diffuse di segno contrario30.
È troppo presto, tuttavia, per dire se si tratta di un estemporaneo e isolato
“ravvedimento”, oppure se gli orientamenti di investimento stanno cam-
biando anche presso gli investitori professionali, forse condizionati da una
crisi finanziaria che qualcosa avrà pure insegnato.
Sempre a proposito degli investitori istituzionali vi è un istituto, di cui ab-
biamo già dato conto in prec edenza, che accostato alle loyalty shares sem-
brerebbe sollevare delle contraddizioni.
Ci riferiamo alla record date , ossia quel criterio di individuazione dei sog-
getti legittimati all’intervento in assemblea e al voto introdotto per rispon-
dere alle esigenze degli investitori istituzionali, più interessati al buy and
sell che all’immobilizzazione dell’investimento al fine di votare in assem-
blea.
Seppur per inciso, si potrebbe notare che record date e voto maggiorato
sembrerebbero, nelle intenzioni del legislatore comunitario e italiano, disc i-
pline affini quanto ai soggetti per cui sono state prevalentemente pensate,
ma l’approccio pare antitetico. Nel primo caso, infatti, si rimuovono ostaco-
li alla negoziazione libera e continua dei titoli quotati consentendo ugua l-
mente agli investito ri di partecipare all’assemblea; nel secondo caso si vor-
rebbe, invece, promuovere un comportamento esattamente contrario, ossia
un investimento più stabile, e a tal fine si riconosce una maggiorazione del
voto a chi soddisfa tale requisito.
29 E. MARCHISIO , La “maggi orazione del voto” , cit., p. 90.
30 Notizia appresa nella stampa quotidiana, F. FUBINI , Il “re” mondiale dei gestori: “ba-
sta con il breve termine” , nel Corriere della Sera del 3 febbraio 2016, p. 27.
177
1.4. Alcuni possibili scenari alternativi: la rilevanza del voto maggiora-
to per il socio di controllo e per lo Stato.
Se questi sono i dubbi che si potrebbero sollevare, non sono peregrini gli
scetticismi espressi da alcuni studiosi. Vi è infatti chi ha manifestato con
fermezza che le loyalty shares in realtà ingesserebbero la struttura del con-
trollo societario; inoltre, attingendo all’esperienza francese, gli oneri amm i-
nistrativi che regolano il funzionamento del voto doppio sarebbero tali per
cui solo gli azionisti che contano di più avranno interesse a sopportarli31.
È noto infatti che l’azionista di controllo ha una vocazione fisiologica alla
stabile presenza nella compagine sociale (spesso sono i fondatori della so-
cietà), mentre gli altri azionisti vedono le azioni come uno strumento finan-
ziario, uno strumento con cui valorizzare i propri risparmi (ci riferiamo alle
società quotate ovviamente). Questo significa che, anche qualora questi u l-
timi rimanessero fedeli all’investimento azionario, generalmente potrebbero
non partecipare attivamente alla vita societaria e dunque il consolidamento
del potere dell’insider (i.e. socio di controllo) si realizzerebbe comunque,
nei fatti, ancorché la maggiorazione del voto possa interessare tutti gli azio-
nisti32.
Di parere contrario, al riguardo, è parsa altra dottrina, secondo la quale tali
considerazioni avrebbero carattere predittivo ed astratto e non sarebbero
sufficienti per negare l’utilità dell’istituto delle azioni di fedeltà che, per
come è stato concepito, risulterebbe «uno strumento di per sé neutro »33.
Lo stesso L. Zingales, già citato, svela il chiaro intento di protezione del c a-
pitalismo di relazione, a cominciare dalle fondazioni bancarie, concludendo,
con fare canzonatorio, che più che alla «rottamazione siamo alla mummif i-
31 L. ZINGALES , Il voto plurimo favorisce le piramidi , cit. e l’editoriale di REDAZIONE
WALL STREET ITALIA , Zingales, il voto plurimo e il rischio di fuga capitali dall’Italia, 3
gennaio 2015, consultabile all’indirizzo: http://www.wallstreetitalia.com .
Sui costi amministrativi necessari per il funzionamento del meccanismo del TPV ( Time-
Phased Voting ) v. L. DALLAS – J.M. BARRY , Long-Term Shareholders, cit., pp. 75-76.
32 M. BURKART – S. LEE, One Share – One Vote: The Theory , 2007, consultabile
all’indirizzo: http://sifr.org/wp-content/uploads/research/sifr-wp57.pdf , p. 35: « The sys-
tem of double voting shares resembles a dual-class share structure consisting of ordinary
voting shares and shares with two votes each. Like dual-class shares, they can serve to
consolidate an incumbent ’s control and to favor her in control contests ».
33 G. GUIZZI , La maggiorazione del diritto di voto , cit., p. 156.
178
cazione »34. Un giudizio estremamente negativo che dipende anche dal fatto
che le loyalty shares «hanno tutti gli svantaggi del voto plurimo, senza i
vantaggi ». Infatti renderebbero il cambio del controllo molto difficile, in
quanto la vendita delle azioni comporta la perdita della maggiorazione del
voto e dunque l’impossibilità di monetizzare il valore maggiorato del vo-
to35.
Perplessità sono state sollevate anche da altra dottrina, facendo riferimento
alla scarsa contendibilità – dimostrata da studi empirici – nelle società fran-
cesi, la cui causa sarebbero proprio le azioni di fedeltà a voto doppio. Uno
strumento dunque, quest’ultimo, che potrebbe contribuire alla conservazio-
ne dell’attuale struttura del capitalismo italiano – tutt’altro che bisognosa di
aiuto, considerando la presenza di potentati politici e famiglie ossificate – e
ridurre il dinamismo e il ricambio36. Il tutto accompagnato da alcune cons i-
34 L. ZINGALES , Quel voto plurimo cosi opaco , cit.
Si veda anche E.B. ROCK, Shareholder Eugenics , cit., dove a p. 902, a proposito del Te-
nure Voting – ossia, come detto, lo strumento con cui negli USA si aumentano i voti degli
azionisti stabili – si prospetta la possibile “cementificazione” del controllo « in a group of
insiders with a smaller equity stake ».
Anche K. GEENS – C. CLOTTENS , One Share – One Vote: Fairness, Efficiency and (the
Case for) EU Harmonitation Revisited , 2010, THE EUROPEAN COMPANY LAW A C-
TION PLAN REVISITED: REASSESSMENT OF THE 2003 PRIORITIES OF THE
EUROPEAN COMMISSION, Klaus J. Hopt, Koen Geens, eds, Leuven University Press
2010 , consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=1547842 , a p. 34 prospetta s i-
mili scenari, considerando che la migliore protezione per i retail investors spesso non
consiste tanto nel registrare « their shares and to attend the general meeting »; quanto nel
poter vendere liberamente i loro titoli.
Di consolidamento degli interessi di pochi parla anche G. ROSSI, v. F. TAMBURINI , Stato
& Mercato. Riforma (a sorpresa) per le privatizzazioni , in Corriere Economia del 15 set-
tembre 2014.
Contra M. SAGLIOCCA , Il definitivo tramonto del principio “un’azione, un voto” , cit., p.
945, secondo il quale la maggiorazione del voto non è in grado di garantire un controllo
stabile e duraturo.
35 L. ZINGALES , Quel voto plurimo cosi opaco , cit.
36 M.S. SPOLIDORO , Il voto plurimo, cit., pp. 16 ss.; M. STORCK – T. DE RAVEL
D’ESCLAPON , Faut- il supprimer à droit de vote double , cit., p. 94.
Sulla possibile riduzione della contendibilità v. anche F. ANNUNZIATA – A. GIOMBINI , La
disciplina del voto plurimo, cit., p. 3; v. anche E. MARCHISIO , La “maggiorazione del vo-
to”, cit., p. 90, il quale parla di possibile trasferimento del peso decisionale dai soci di
minoranza in favore del socio di controllo.
179
derazioni critiche circa la sicura prevalenza assiologica del lungo periodo e
l’altrettanto sicura convinzione che lo short termism sia la «malattia più
grave del nostro Stato »; sia perché anche il socio cassettista domani potreb-
be diventare « uno speculatore spregiudicatissimo »37, sia perché favorire la
stabilizzazione di un’ammini strazione inefficiente finisce per moltiplicare i
danni38.
Uno studio francese già citato , che potrebbe essere di un certo interesse v i-
sta la maggior tradizione dell’istituto del voto maggiorato in Francia, ha
evidenziato l’ampio utilizzo del droit de vote double nelle società a dimen-
sioni più ristrette, riconducibili ad una famiglia che ne controlla la gestione;
tuttavia un utilizzo non indifferente è stato riscontrato anche nelle società di
maggior capitalizzazione e caratterizzate da una base azionaria diffusa (le
société s à l’actionnariat dispersé )39.
L’altro dato interessante riportato dallo studio citato riguarda il periodo di
detenzione richiesto dagli statuti ai fini dell’attribuzione del voto doppio: le
società a conduzione familiare ( sociétés familia les) richiedono mediamente
tempi più lunghi di quelle ad azionariato diffuso, rendendo l’accesso al voto
doppio meno agevole.
I dati riscontrati consentirebbero di cogliere le diverse finalità che l’istituto
Insomma, aggiungiamo noi, sembrerebbero tornare attuali le parole che Giuseppe Tomasi
di Lampedusa fece pronunciare ad uno dei personaggi del suo più noto romanzo: « Se vo-
gliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi ». E cioè quella che potrebbe
sembrare una significativa novità, non farebbe altro che rafforzare ancor di più gli assetti
proprietari esistenti.
37 M.S. SPOLIDORO , Il voto plurimo, cit., pp. 16 ss.
38 Ibid.
Sul fatto che non necessariamente il breve termine sia « intrinsecamente negativo » v. an-
che F. DENOZZA , intervento al seminario Problemi d ’attualità , cit., p. 238 e come già v i-
sto M. EREDE – G. SANDRELLI , Attivismo dei soci, cit., pp. 982-983.
A commento del dividendo maggiorato, anche M. STELLA RICHTER jr., I troppi problemi
del dividendo maggiorato, cit., p. 105, il quale critica il presunto valore da riconoscere a l-
la durata dell’investimento, e afferma invece che è proprio « l’intento speculativo che
consente al mercato dei capitali di essere tendenzialmente efficiente ».
Si veda anche, nella letteratura straniera, ad esempio, E.B. ROCK, Shareholder Eugenics
in the Public Corporation, cit., dove a p. 901 l’autore esprime le proprie riserve circa
l’attitudine della « lenght of ownership » a fungere da « reasonable proxy for being a good
shareholder (a highly contestable proposition on which I take no position) ».
39 N. CHENE , Le droit de vote double en France , cit., p.29.
180
in esame potrebbe rivestire, a seconda delle car atteristiche della società in
cui si innesta e trova operatività. Nelle società ad azionariato diperso, esso
manifesterebbe la sua utilità in un ottica di “fidelizzazione” dei soci, favo-
rendo così maggior stabilità e l’adozione di politiche di investimento di
lungo periodo; in questi casi un periodo di mantenimento dell’investimento
azionario biennale è ritenuto sufficiente, mentre periodi di detenzione più
lunghi rappresenterebbero un ostacolo all’accesso del “premio”, compo r-
tandone così un apprezzamento meno diffuso. Nelle società in cui
l’azionariato non risulta disperso, non essendoci particolari esigenze di “fi-
delizzazione” dei soci, il voto doppio fungerebbe principalmente da stru-
mento di consolidamento del controllo da parte delle famiglie cui le società
fanno capo, e per questa ragione si tenderebbe in questi casi a fissare term i-
ni di detenzione più lunghi e perciò meno accessibili (i soci di controllo so-
no per definizione stabili, per cui non rappresenterà un ostacolo per loro
mantenere l’investiment o immobilizzato per un lungo periodo)40.
Altri, nel tentativo di cogliere le motivazioni che hanno indotto il legislatore
ad inserire il nuovo art. 127- quinquies TUF, alludono invece a possibili esi-
genze di finanza pubblica. Il voto maggiorato permetterebbe al Ministero
dell’Economia di alienare azioni di società quali Enel, Eni, Finmeccanica
senza perdere il controllo delle stesse41, sebbene al proposito sia stata fatta
40 Ivi, p. 35 .
L’autore invita a non enfatizzare questa seconda declinazione applicativa del voto doppio,
poiché raramente conduce ad un controllo di diritto della società; più spesso serve a con-
solidare un potere già esistente.
Sicuramente, conclude l’autore, il voto doppio, a differenza delle dual class shares , non
sembra essere stato concepito esclusivamente come strumento di dominio (Ivi, p. 50).
41 Così C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato , cit., pp. 779 ss.; F. TAMBURINI ,
Stato&Mercato, cit.; C. ANGELICI , intervento al seminario Problemi d’attualità , cit., pp.
214 ss.; E. MARCHISIO , La “maggiorazione del voto” , cit., pp. 86-87.
Contra A. ZOPPINI in risposta alle domande di G. NEGRI ne Il Sole 24 Ore del 26 agosto
2014, secondo il quale la prospettiva non sarebbe da escludere ma non è la ragione prin-
cipale, anche perché il controllo pubblico in queste società è giudicato positivamente dai
fondi stranieri.
Ad oggi tali scenari devono ancora verificarsi; anzi, la recente IPO e quotazione di ENAV
S.p.A. (società in precedenza totalmente posseduta dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze) non ha palesato interessi verso il voto maggiorato: il nuovo statuto non lo pre-
vede e il Ministero dell’Economia e delle Finanze continua a mantenere più del 50% del
capitale (v. il prospetto informativo consultabile nel sito www.enav.it ).
181
un’acuta osservazione; nel mercato, infatti, lo sconto delle azioni che si vor-
rebbero vendere sarebbe inevitabile, posto che con la vendita (e poi per a l-
meno due anni) il voto loro attribuito sarebbe inferiore di quello garantito
alle azioni conservate dalla sfera pubblica. Conseguenza: un incasso mod e-
sto, qualche soldo che andrà a rimpinguare le finanze pubbliche del singolo
anno e scompensi per gli anni successivi, considerando il rapporto tra gli a l-
ti dividendi che queste società assicurano (e cioè i flussi di cassa positivi
che però vendendo le azioni diminuirebbero) e tassi di interesse d el debito
pubblico. Con un esito finanziario dell’operazione che poterebbe essere n e-
gativo42.
Insomma se così fosse un istituto concepito per promuovere investimenti
con un orizzonte temporale di lungo termine, potrebbe essere utilizzato da l-
lo Stato in una prospettiva tutt’altro che avveduta.
Inoltre, si è ventilato, l’istituto della maggiorazione sembrerebbe fatto su
misura per le grandi società pubbliche, dove la titolarità da parte dello Stato
di partecipazioni appena inferiori la soglia OPA sarebbe parsa non suffi-
ciente a evitare possibili scalate43.
2. Il caso Fiat Chrysler Automobiles e la sopravvalutata influenza sul le-
gislatore italiano.
Aristotele soleva dire che non si conosce il vero se non si conosce la causa.
Poiché in occasione dell’introduzion e delle azioni a voto plurimo e del voto
maggiorato si è spesso menzionato il trasferimento della sede sociale
all’estero di una importante multinazionale italiana, ci sembrano opportune
alcune considerazioni al riguardo per chiarire come la mancanza del voto
maggiorato in Italia potrebbe aver inciso sulla vicenda meno di quel che si
pensa .
42 Così C. ANGELICI , intervento al seminario Problemi d ’attualità , cit., pp. 214 ss, il quale
parla di «politica della cicala ».
Sull’ovvia diminuzione del valore della azioni ordinarie a fronte della presenza di azioni
dotate di voto multiplo (plurimo o maggiorato che sia) v. anche I. POLLASTRO , Voto plu-
rimo e voto maggiorato , cit., p. 65,
43 Si veda C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato , cit., p. 780.
Sul fatto che il voto potenziato potrebbe rivelarsi utile per i socio pubblico si veda anche
R. MAGLIANO , Il labile confine tra tutela degli interessi nazionali e «sviamento prot ezio-
nistico» , in Dir. comm. int ., fasc. 2, 2014, pp. 319 ss.
182
Ne Il Sole 24 Ore – come già ricordato nelle prime pagine di questa tesi di
laurea – un autorevole rappresentante del Senato nonché principale sosten i-
tore delle novità di diritto societario discusse in questa sede, rispondendo
alle perplessità espresse in merito al voto maggiorato44, ebbe a ricordare che
molti ordinamenti societari occidentali lo prevedono e che la storia dovrà
pur insegnare qualcosa: Fiat Industrial e Fiat hanno spostato la sede legale
in Olanda, dove hanno adottato il voto maggiorato45.
Ora, che la realtà sia sempre più fantasiosa del legislatore obbligandolo a
intervenire per impedire la sclerotizzazione dell’ordinamento giuridico è
considerazione condivisa. Il diritto è un insieme di regole create dall’uomo
per governare la convivenza ( ubi societas, ibi ius). I mutamenti sociali, m o-
rali, economici richiedono dunque che le leggi vengano adattate, aggiorn a-
te; sarebbe però riduttivo pensare che solamente l ’impossibilità di emettere
loyalty shares in Italia abbia determinato la Fiat a collocare la sede di FCA
in Olanda46.
Vero che nell’illustrazione delle ragioni della fusione e delle conseguenti
opzioni di corporate governance , la possibilità di emettere azioni a voto
multiplo risulta essere un profilo decisivo47, ma l’istituto delle loyalty
44 Ci riferiamo a M. MUCCHETTI , Perché va difeso il voto plurimo , cit.
45 Anche altri autori non hanno mancato di rilevare come la vicenda abbia inciso signif i-
cativamente nelle decisioni del legislatore. Si veda al riguardo P. MONTALENTI , interven-
to al seminario Problemi d’attualità, cit., p. 222; M. VENTORUZZO , The Desappearing
Taboo of Multiple Voting Shares , cit.; P. MARCHETTI , Osservazioni e materiali sul voto
maggiorato , cit., p. 449, il quale ricordando brevemente l’operazione industriale che ha
interessato la Fiat evidenzia il «peso decisivo rappresentato da una visibilissima esigenza
di concorrenza tra ordinamenti »; e I D., Le fusioni transfrontaliere del gruppo Fiat-
Chrysler, Riv. soc. , 2014, pp. 1124 ss; A. GRAZIANI – G. MINERVINI – U. BELVISO – V.
SANTORO , Manuale di diritto commerciale , XVI ed., Padova, CEDAM, 2015, p. 221.
46 Si v., al proposito, il recente spostamento sia della sede legale che di quella fiscale da
parte di EXOR S.p.A. in Olanda. La holding che fa capo alla famiglia Agnelli annovera
tra i propri criteri di investimento l’attenzione alla sostenibilità nel lungo periodo
(www.exor.com , sezione: Exor – Criteri di investimento ), tuttavia l’istituto del voto mag-
giorato ora contemplato nell’ordinamento italiano – che proprio queste società dovrebbe
interessare – non sembrerebbe aver avuto un ruolo dissuasivo all’espatrio.
47 Vedi Form F-4 depositata alla SEC in data 3 Luglio 2014, consultabile in
www.sec.gov ., p. 34: «[A] redomiciliation into the Netherlands with a listing on the NYSE
and an additional listing on the MTA would be the structure most suitable to Fiat ’s cur-
rent and anticipated profile and its strategic and financial objectives. In order to foster
the development and continued involvement of a core base of long-term shareholders, F i-
183
shares «costituisce soltanto un tassello della valutazione comparativa che
presiede a tali operazioni »48.
Intanto perché, come è stato notato49, l’Olanda non ha una specifica “trad i-
zione” nell’utilizzo di loyalty voting mechanism , per cui anche (e soprattu t-
to) i profili fiscali e l’efficienza del sistema giudiziario potrebbero avere in-
ciso, nonché la burocrazia, la corruzione, la criminalità, la scarsa propen-
sione delle banche a fare credito che sembrerebbero caratterizzare il conte-
sto italiano50.
Va precisato che l’Olanda resta un paese “rispettoso” formalmente del prin-
cipio “one share , one vote”, infatti il premio di fedeltà – che in Italia può
ora concretizzarsi con l’attribuzione fino a due voti ad ogni azione – nella
governance di FCA si realizzerà attraverso l’assegnazione di un’azione spe-
ciale (e quindi di un voto) a chi abbia conservato la titolarità dell’azione per
un certo periodo di tempo51.
Il trasferimento mediante fusione della sede di FCA in Olanda è stata
un’operazione complessa completata con la collocazione della sede amm i-
nistrativa in Inghilterra e la scelta non è casuale consider ando gli accordi tra
at also decided to propose that the redomiciled company would adopt a loyalty voting
structure ».
48 F. PERNAZZA , La mobilità delle società in Europa da Daily mail a Fiat Chrysler Auto-
mobiles, Dir. commercio internaz. , fasc.2, 2015, pp. 439 ss.
49 Ivi, p. 468.
50 Come fa notare, a titolo esemplificativo, anche M. CAMPOBASSO , La tutela delle mino-
ranze , cit., pp. 142 ss.
51 Nello statuto di FCA si fa riferimento:
1. alle azioni ordinarie;
2. alle azioni ordinarie designate, ossia le azioni ordinarie iscritte nel Registro Speciale
al fine della conversione in Azioni Ordinarie Legittimate;
3. alle Azioni Ordinarie Legittimate , cioè alle azioni ordinarie assegnate – a certe con-
dizioni – in occasione della fusione e alle azioni ordinarie designate iscritte ne l Reg i-
stro Speciale senza interruzioni per un certo periodo;
4. alle azioni a voto speciale, ossia le azioni assegnate agli azionisti titolari di azioni o r-
dinarie legittimate. Ogni azionista non può detenere più di un’azione speciale per
ogni Azione Ordinaria Legittimata.
Lo statuto FCA e un commento sull’operazione industriale possono essere letti in P.
MARCHETTI , Le fusioni transfrontaliere , cit., pp. 1124 s s.
P. MONTALENTI , intervento al seminario Problemi d’attualità, cit., p. 222, definisce il
meccanismo come « voto maggiorato cartolarizzato ».
184
Olanda e Inghilterra contro la doppia tassazione e considerando che il si-
stema fiscale inglese è particolarmente attraente per le holding52.
Inoltre il caso di un’altra società, la GTech S.p.A., che ha seguito il modello
dell’operazion e Fiat (anche qui, dunque, una fusione che ha portato poi allo
spostamento della sede nel Regno Unito, e l’adozione di un loyalty plan fi-
nalizzato a promuovere la stabilità della base azionaria con il riconoscimen-
to di una special voting shares per ogni azione ordinaria posseduta per tre
anni consecutivi ) dopo l’introduzione del voto maggiorato in Italia confe r-
merebbe che anche , e soprattutto , i profili fiscali abbiano avuto un rilievo
preminente rispetto a quelli connessi alla legislazione societaria53.
Non deve sorprendere, poi, se qualcuno ha parlato di « questione di baricen-
tro»: le scelte complessive effettuate potrebbero essere il segnale che il ba-
ricentro economico del gruppo Fiat si sia spostato fuori dall’Italia, con pa r-
ticolare riguardo al Nord Ameri ca54.
3. Altra finalità dell’art. 20, d.l. n. 91/2014, commi 1 e 8- bis: favorire la
quotazione delle imprese in un contesto (quello italiano) dominato da
una cultura “bancocentrica”.
Un’ulteriore considerazione riguarda un’altra finalità del decreto compe titi-
vità: incentivare le imprese italiane a quotarsi in Borsa affinché possano r e-
perire più agevolmente risorse economiche, essere maggiormente compet i-
tive e dunque favorire la crescita economica del Paese55.
52 Sul punto si veda ancora F. PERNAZZA , La mobilità delle società in Europa, cit., p. 474.
Per quanto riguarda gli accordi citati, ci si riferisce alla UK/Netherlands double taxation
convention , in www.hmrc.gov.uk .
53 F. PERNAZZA , La mobilità delle società in Europa, cit, p. 476.
Sembra dare rilevanza al sistema fiscale anche un altro autore, il quale esclude che le no-
vità del decreto competitività potranno determinare un incentivo al trasferimento della s e-
de sociale in Italia, proprio perché l’incentivo del voto multiplo sarebbe più che neutrali z-
zato dal disincentivo rappresentato dalla fiscalità italiana (ci riferiam o a E. MARCHISIO ,
La “maggiorazione del voto” , cit., p. 86).
54 J. ALWORTH – G. ARACHI , Perché Fiat ha scelto il Regno Unito , in Lavoce.info del 4
febbraio 2014, per i quali sembrerebbe questo l’aspetto determinante.
55 Sulla possibilità che tale obiettivo possa essere facilitato si veda, a commento del d e-
creto, G. NEGRI , Società con voto “plurimo” , ne Il Sole 24 Ore del 26 giugno 2014; A.
BUSANI , Dal voto plurimo spinta alla borsa , ne Il Sole 24 Ore del 28 giugno 2014; E.L.
GUASTALLA , Nasce il voto plurimo. L’attuazione passa dalla Consob , ne Il Sole 24 Ore
185
Le azioni a voto plurimo introdotte in sede di conversione sembrerebbero
state pensate proprio per questo motivo, ma anche la maggiorazione del vo-
to potrebbe incidere al riguardo: come abbiamo notato è plausibile che della
stessa si serviranno soprattutto i soci di controllo, considerata la maggior
propensione degli altri investitori all’exit, qualora insoddisfatti (anche se, la
finalità più intuitiva delle loyalty shares rimane l’incentivo agli investimenti
di lungo periodo, così da favorire la stabilità e un più efficiente processo di
formazione dei pr ezzi56). Lo stesso dicasi per la possibilità di computare il
possesso anteriore all’iscrizione nell’elenco qualora la deliberazione intro-
del 14 agosto 2014; P. MARCHETTI – L. ENRIQUES in risposta alle domande di G. NEGRI
ne Il Sole 24 Ore del 26 agosto 2014, sembrano invece più cauti.
Si veda anche S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D. D’ERAMO – N. LINCIANO , Le deviazioni
dal principio “un’ azione – un voto” , cit., pp. 52 e 56; Audizione al Senato della Repubbl i-
ca del dott. Giuseppe Vegas, cit., p. 4.
In dottrina, M. VENTORUZZO , The Desappearing Taboo of Multiple Voting Shares , cit.;
C. ANGELICI – F. VELLA – P. MONTALENTI , interventi al seminario Problemi d ’attualità,
cit., pp. 223 e 224 ; E. MARCHISIO , La “maggiorazione del voto” , cit., p. 84; B. MASSE L-
LA DUCCI TERI, Il decreto competitività , cit., p. 466; M. LAMANDINI , Voto plurimo, tutela
delle minoranze e offerte pubbliche di acquisto, cit.; P. MONTALENTI , Il diritto societario
europeo tra armonizzazione e concorrenza regolatoria , cit.; F. ANNUNZIATA – A. GIOM-
BINI, La disciplina del voto plurimo, cit., p. 1 Sullo stimolo che i CEMs (comprese dun-
que le multiple voting shares ) possono dare all’apertura di un’impresa al mercato azion a-
rio si veda anche, tra i tanti, K. GEENS – C. CLOTTENS , One Share – One Vote , cit., ad es.
a p. 8 in cui si legge a proposito dei citati CEMs che « This allows the company to access
the capital market in order to finance its growth, without the controlling shareholder h a-
ving to relinquish control »; V.L. DALLAS – J.M. BARRY , Long-Term Shareholders and
Time-Phased Voting, 2015, cit., p. 9, dove a proposito di una struttura azionaria dual-
class , si legge « this can allow major shareholders to diversify their investment portfolios
and enable firms to issue additional equity without diluting dominant shareholders ’ con-
trol» ; v. anche, relativamente ad uno studio concernente le quotazioni delle imprese e a l-
la scelta di deviare dal principio one share,one vote mediante dual class stock, O. ARU-
GASLAN – D.O. COOK – R. KIESCHNICK , On the decision to go public with dual class
stock , 2009, consultabile all’indirizzo: http//ssrn.com/abstract=1402756 , in particolare a
p. 27: « Consequently, our analyses suggest that firms go public with dual class stock so
their insiders can diversify their portfolios, while continuing to retain incontestable con-
trol».
56 Si veda l’Atto del Senato cit., a p. 32; e, ancor prima che venisse preparata la riforma,
S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D. D’ERAMO – N. LINCIANO , Le deviazioni dal principio
“un’ azione – un voto ”, cit., p. 59; nonché, sul possibile disincentivo al trading E. MAR-
CHISIO , La “maggiorazione del voto” , cit., p. 88.
186
duttiva del voto maggiorato sia adottata nel corso del procedimento di quo-
tazione: un’altra norma pensata per favorire l ’apertura del capitale (art. 127-
quinquies , settimo comma, TUF).
Non è un mistero che uno dei fattori che frenano la quotazione nei mercati
delle imprese è la diluizione legata all’entra ta di nuovi azionisti nella com-
pagine sociale, che si verificherebbe con l’apertura del capitale a questi
nuovi investitori; col rischio, temuto dai soci di controllo, di perdere le re-
dini della società qualora si vedessero costretti ad accettare una riduzione
significativa della propria partecipazione determinata dall’emissione e
dall’offerta di nuove azioni al mercato57.
Del resto tali preoccupazioni non sono solo degli imprenditori italiani, se
consideriamo che anche in altri Paesi si è constatata una certa ritrosia
all’apertura della società a nuovi azionisti, in particolare se il reperimento di
risorse è assicurato da un efficiente sistema bancario58; e si è constatata an-
che una maggior apertura al mercato solamente in presenza di meccanismi
che consentano il mantenimento del controllo della società59.
57 Timore più che comprensibile se torniamo a leggere un articolo di M. MUCCHETTI , La
Grande Crisi e il fine dell’impresa , nel Corriere della Sera del 14 marzo 2010, p. 27. Si
racconta della storia della Fratelli Branca Distillerie che produce dal 1845 un amaro ric a-
vato dall’infusione di una quarantina di erbe e radici provenienti dai 5 continenti, secondo
le proporzioni elaborate da Beniamino Branca. La storia di un’azienda che faceva mark e-
ting quando la materia non era ancora insegnata.
Con 153 miliardi di ricavi, un margine operativo lordo di 33,6 milioni, un utile di 18,4 e
zero debiti si potrebbe estrarre molto valore dalla società; «ma al professor Branca sta
cuore la continuità. Durare vale di più di guadagnare. Sulla durata si costruiscono relazio-
ni e saperi, e per durare ci vuole equilibrio».
Le parole di un operatore nel private equity, citate nell’articolo, sono illuminanti: «Noi
del private equity dovremmo starci alla larga: con aziende come queste guadagneremmo
facile ma poi le ruberemmo l’anima».
58 P. HÖGFELDT , The History and Politics of Corporate Ownership in Sweden , 2008,
Working Paper 10641 , consultabile all’indirizzo: http://www.nber.org/papers/w10641 ,
pp. 7 ss.: « If capital for investments can be supplied primarily through retained earnings,
by borrowing in banks or by infusion of private capital, firms have no immediate need to
go through the strictures of equity offers and place a larger fraction of shares with new
investors that may dilute the value of their private benefits of control and disperse owne r-
ship». In questo lavoro l’autore ripercorre la storia della corporate governance delle so-
cietà svedesi mettendone in luce la sua contiguità con i fattori politici.
59 W.G. RINGE , Deviations from Ownership – Control Proportionality , cit., p. 219: « The
key argument that has been raised against a mandatory OSOV [ One share – One vote ]
187
Tornando al contesto italiano, anche agli inizi del secolo scorso il fatto che i
fondatori di un’impresa spesso esitassero a trasformarla in anonima (così si
chiamava la società per azioni dell’epoca) per ingrandirla, temendo di pe r-
dere la direzione, era circostanza nota60.
Si riconosceva che «[l]e azioni a voto plurimo sono azioni di comando, di
rule is that deviations from a strict proportionality can be beneficial in certain situations.
Entrepreneurs will be more willing to start a business or to expand it later by raising ou t-
side equity capital if they can make sure that they remain the strongest group in the com-
pany ’s decision-making process. Consequently, if such mechanisms (eg. multiple voting
rights) were not allowed, a lot of economic activity requiring outside equity capital
(whether raised through IPOs or later capital increases) would not take plac e for the
controllers ’ fear of losing their influence. From this perspective, deviations from OSOV
facilitate the access to the public equity capital market for some companies (in particular
small, family-owned companies) ».
V. anche M. BUKART – S. LEE, One Share – One Vote: The Theory, 2007, consultabile
all’indirizzo: http://sifr.org/wp-content/uploads/research/sifr-wp57.pdf, dove alle pp. 31
ss., sempre a proposito del noto principio “one share, one vote ” si legge che può « both
discourage and promote ownership concentration. In the first case, large owners relin-
quish control because it is too expensive; in the second case, they are reluctant to float
shares for fear of losing control […]. Moreover, if a firm depends on outside equity but
can only raise funds by issuing voting shares which dilute the incumbent ’s control, the
latter may prefer to forgo valuable investments ».
Si v. anche L.R. KABBACH -CASTRO – R. CRESPÍ -CLADERA – R.V. AGUILERA , Corporate
Ownerschip in Latin American Firm: A Comparative Analysis of Dual-class shares ,
2012, consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=2071217 , p. 15 : «[I] n a situ a-
tion where all shares carry equal cash-flow and voting rights the private cost of is suing
equity is higher, and the natural consequence is to prevent entrepreneurial firms to go
public since their founders may consider not to lose control. Examples from anecdotal e v-
idences are the recent IPOs in the U.S. firms such as Facebook, Zynga, or LinkedIn,
which allow unusual degrees of control in the hands of their entrepreneur-founders
through dual-class shares. In the absence of this alternative, it would be unlikely that they
would use the IPO as a mechanism to finance the company, forcing them to use altern a-
tive, and more expensive, forms of finance that could constrain their growth ».
60 N. ELENA , Le azioni con voto plurimo , cit., p. 143: « Ciò infatti sarebbe molto doloroso
per l ’imprenditore intelligente e accorto che ha cominciato dal nulla, poi man mano si è
andato ingrandendo, i suoi prodotti hanno incontrato il favore del pubblico, è arrivato al
punto in cui sarebbe opportuno iniziare una gestione in grande stile e trovare consegue n-
temente i capitali.
La costituzione di un’anonima risponderebbe pienamente allo scopo, ma c’è pericolo che
la maggioranza degli azionisti possano a un dato momento togliere al fondatore […] la
direzione ».
188
direzione, date a coloro che s’interessano stabilmente delle sorti
dell’industria »61; giovando tale pratica alla trasformazione di imprese fam i-
liari e personali in anonime e a raccogliere il capitale straniero62. Si ricon o-
sceva anche che lo scopo delle azioni a voto plurimo consisteva
nell’assicurare la direzione della società a chi non disponeva di capitali suf-
ficienti, consentendo ai tecnici creatori di un’industr ia di assicurarsi la dire-
zione anche quando abbisognano di ingenti capitali63.
Con la maggiorazione del voto, dunque, e con la possibilità di emettere
azioni a voto plurimo64 si vorrebbe favorire la quotazione in Borsa e la ces-
sione di una parte delle partec ipazioni di controllo sul mercato, nonché
nuove emissioni di azioni, incrementando così il flottante65.
Come evidenziato dal presidente della Consob66, la dimensione del mercato
italiano, e di quello azionario in particolare, mostra un deficit strutturale r i-
spetto a tutte le principali economie europee.
Allo stesso modo un altro interessante studio conferma che nonostante varie
riforme varate abbiano reso il mercato finanziario italiano, almeno da un
punto di vista morfologico, paragonabile a quelli più evolu ti, le dimensioni
rimangono limitate67.
Alla fine del 2013 in Italia vi erano 285 società quotate, contro le 665 di
Francoforte, le 939 di Euronext e le 1903 di Londra68.
61 C. VIVANTE , I progetti di riforma sul voto plurimo , cit., p. 432.
62 Ibid.
63 G. FRÈ, Le azioni a voto plurimo in Francia , cit., pp. 207 ss.; A. SCIALOJA , Il voto plu-
rimo, cit., coll. 758 ss.
64 L’art. 127- sexies , secondo comma prima parte del TUF così recita: « Le azioni a voto
plurimo emesse anteriormente all’inizio delle negoziazioni in un mercato regolamentato
mantengono le loro caratteristiche e diritti ». La disposizione è palesemente stata conc e-
pita per favorire la quotazione delle imprese familiari, consentendo alla famiglia del fon-
datore di ricorrere al mercato premunendosi dal rischio di perdere il controllo proprio
grazie alla possibilità di emettere azioni a voto plurimo e di conservarle dopo la quotazio-
ne. Questa almeno sembrerebbe l’ipotesi più emblematica che il legislatore doveva avere
in mente quando ha pensato a questa norma.
65 E. MARCHISIO , La “maggiorazione del voto”, cit., pp. 85 ss.
66 Audizione al Senato della Repubblica del dott. Giuseppe Vegas del 2 luglio 2014, cit.
67 Così M. BIANCHI – M. BIANCO – S. GIACOMELLI – A.M. PACCES – S. TRENTO , Proprietà
e controllo delle imprese in Italia. Alle radici delle difficoltà competitive della nostra i n-
dustria , Bologna, il Mulino, 2005, (ed. digit.: 2009, doi: 10.978.8815/142498), pp. 23 ss.
68 Dati comunicati dal presidente Consob durante l’Audizione cit., p. 1.
189
Questi dati confermano la cultura “bancocentrica” presente in Italia, ossia la
preferen za verso il credito bancario per il reperimento delle risorse finanzi a-
rie necessarie alla realizzazione dei progetti industriali.
Ma questo forte sbilanciamento verso l’indebitamento bancario si è rivelato
indice di fragilità delle aziende domestiche, penalizzate dalla congiuntura
economica conseguente la crisi finanziaria e dalla relativa stretta creditizia
(c.d. credit crunch ); nonché dalle modifiche strutturali al sistema bancario
dettate dalla disciplina di Basilea II e Basilea III che hanno contribuit o a
inaridire quel canale di finanziamento delle imprese.
«È diventato pertanto sempre più urgente risolvere il problema del finan-
ziamento delle imprese » asserisce il presidente Vegas «come fattore dete r-
minante per favorire la crescita economica del Paese. La crisi finanziaria,
la recessione economica e il nuovo quadro regolamentare di riferimento,
hanno messo in evidenza come difficilmente il nostro sistema creditizio po-
trà continuare a rappresentare il prevalente canale di finanziamento
dell’economia »69.
Preme evidenziare, senza addentrarci nei dettagli, che le misure entrate in
vigore nel 2014 potrebbero anche andare in questa direzione70, ma è chiaro
che le regole da sole non bastano; sono condizioni necessarie ma non suff i-
cienti71.
69 Ibid.
V. anche S. BRAGANTINI , Chi investe nelle Pmi se l’Opa è “à la carte”? , in lavoce.info ,
apparso il 24 ottobre 2014, in cui l’economista riporta i risultati di uno studio comparato
dove si sottolinea che il gap produttivo tra le nostre imprese e quelle tedesche non è dov u-
to alla specializzazione produttiva; bensì alla dimensione troppo piccola delle stesse. È
necessario dunque aiutare le PMI a superare le “colonne d’Ercole” che non osano affron-
tare.; negli stessi termini anche L. ORLANDO , Frenati dalle imprese-bonsai, ne Il Sole 24
Ore del 9 ottobre 2014.
Più recentemente anche D. DI VICO, Quella sfida ai sindacati che riguarda anche il capi-
tale, in Corriere Economia , 9 ottobre 2015, afferma che l’apertura dell’azionariato è una
scelta che non si può rinviare per troppo tempo, citando l’efficace sintesi che L. ZINGA-
LES fece a proposito dell’argomento apostrofandolo come “l’articolo 18 del capitale”.
70 L’art. 20 del decreto è stato rubricato, per l’appunto, come « Misure di semplificazione
a favore della quotazione delle imprese e misure contabili ».
71 Vedi M. TONONI , il progetto Elite, Nuove regole per favorire lo sviluppo dei mercati ,
in Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dall’istituzione della Commissione Nazionale
per le Società e la Borsa, G. MOLLO (a cura di), Roma 20 ottobre 2014, quaderni giuridici
n 9, consultabile nel sito www.consob.it.
190
Il primo e principale f attore ostativo alla quotazione è culturale: la maggior
parte del ceto imprenditoriale italiano è piuttosto refrattario all’apertura del
capitale sociale ad investitori estranei. Inoltre quotarsi significa dover quasi
sicuramente managerializzare la gestione, considerando la necessità di op e-
rare in un ambiente economico e normativo estremamente complesso.
Ecco dunque che nell’economia italiana la crescita dell’impresa sembra in-
contrare un limite connesso proprio con la capacità di controllo
dell’imprenditor e e della sua famiglia: essa si arresta al punto in cui la fa-
miglia controllante è in grado di gestirla72, accontentandosi di dirigere « la
piccola azienda sicura che nessuno verrà mai a scocciarl [a]»73.
Si aggiungano i costi legati alla quotazione e i numero si obblighi di disclo-
sure nei confronti del mercato che sacrificano la segretezza sull’altare della
tutela del mercato74, ma che aumentano significativamente gli oneri amm i-
nistrativi.
Serve dunque anche un’educazione tecnica e culturale, oltre che incentivi
fiscali.
3.1. Possibili contraddizioni sotto il profilo economico.
Se la quotazione delle società è uno dei principali auspici del legislatore e
un’ampia letteratura sembra essere concorde ex post, e averlo guidato, ex
ante, nella predisposizione di un contesto normativo più incentivante (ri-
cordando come ciò sia utile ma probabilmente non sufficiente), merita a t-
tenzione anche la voce di chi ha sottolineato le contraddizioni di politica l e-
gislativa insite nell’introduzione del voto plurimo.
L’intervento, si è detto, non sembra tener conto dello “sconto” – verificato
da numerosi studi – che le azioni con minori diritti di voto subiscono nel
mercato azionario. Mutatis mutandis si potrebbe dubitare dell’effetto incen-
tivante la quotazione derivante dal possibi le potenziamento del voto in capo
a talune azioni; potenziamento che rischierebbe di deprimere il valore (e
72 M. BIANCHI – M. BIANCO – S. GIACOMELLI – A.M. PACCES – S. TRENTO , Proprietà e
controllo delle imprese in Italia , cit., pp. 30 ss.
73 N. ELENA , Le azioni con voto plurimo, cit., p. 143.
74 Si veda, più nel dettaglio, M. DE POLI – N. CECCHETTO , Aziende di famiglia e quot a-
zione in borsa: novità e buoni propositi , disponibile online in www.studiodepoli.it, alla
sezione: Ricerche & Quaderni – Società, Impresa, Fallimento.
191
dunque l’appetibilità) delle altre azioni, e dunque l’efficace reperimento di
capitali75, considerando che per loro natura le azioni a voto plurimo non d o-
vrebbero essere destinate alla quotazione76 (ipotesi verosimile ma chiar a-
mente non preclusiva di diversi scenari)77.
75 C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato e a voto plurimo, cit., pp. 779 ss.
Vedi anche, ad es., K. GEENS – C. CLOTTENS , One Share – One Vote , cit., alle pp. 29-30:
«The potential for extraction of PBs [private benefits] through the use of CEMs could
have a negative impact on the willingness of rational, informed outside investors to buy
shares in companies where such CEMs are present […]. Hence 1S1V [one share, one
vote] could assist in reducing the discount and thus the cost of capital »; F.H. EASTE R-
BROOK – D.R. FISCHEL , Voting in corporate law, Journal of Law and Economi cs, 1983,
consultabile anche all’indirizzo: http://www.jstor.org/stable/725110 , p. 407: «[I] n the ra-
re cases in which firms have outstanding issues of stock with identical rights to share in
the profits but significantly different voting rights, the stock with the stronger voting
rights trades at a premium of 2-4 precent relative to the other series of stock ».
76 L’unica società che ad oggi ha emesso azioni a voto plurimo è F.I.L.A. S.p.A., e tali
azioni, rappresentanti il 15,93 % del capitale sociale, non sono state quotate (v. la Rela-
zione sul governo societario e gli assetti proprietari 2015 consultabile nel sito della soci e-
tà: www.filagroup.it ).
Le azioni della società sono state ammesse alla negoziazione sul Mercato Tel ematico
Azionario (MTA) nel novembre del 2015 e ad oggi la performance è positiva, segnando
un incremento superiore al 20% negli ultimi sei mesi (dati reperibili sul sito di Borsa Ita-
liana www.borsaitaliana.it ).
77 Si veda, ad es., P.A. GOMPERS – J. ISHII – A. METRICK , Extreme Governance: An Anal y-
sis of Dual-Class Firms in the United States , 2008, AFA 2005 Philadelphia Meetings,
Rodney L. White Center for Financial Research Working Paper No. 12-04, Rock Center
for Corporate Governance Working Paper No. 39 , consultabile all’indirizzo: http://ssrn.c
om/abstract=562511, a p. 1: « In the typical dual-class company, there is a publicly tra d-
ed “inferior ” class of stock with one vote per share and a non-publicly traded “superior ”
class of stock with ten votes per share ». Anche S. ALVARO – A. CIAVARELLA – D.
D’ERAMO – N. LINCIANO , Le deviazioni dal principio “un’ azione – un voto ”, cit., p. 55,
considerano l’ipotesi plausible; ma alla nt. 172 ricordano che le azioni a voto multiplo so-
no negoziate in Borsa nei Paesi scandinavi.
V. anche L. ZINGALES , The value of the Votino Right: A Study of the Milan Stock E x-
change Experience , 1994, consultato all’indirizzo: http://faculty.chicagobooth.edu/lui
gi.zingales/papers/research/value.pdf , p. 133, seppur non specificamente riferendosi alle
azioni a voto plurimo, il quale riferisce che « a larger proportion of voting shares are held
in block and never traded ». Per cui in presenza di azioni con e senza diritto di voto, le
prime tendono ad essere meno liquide e di esse il socio controllore preferisce fare incetta
per assicurarsi la guida della società.
Per alcune risultanze empiriche, relativamente al mercato statunitense, C. DOIDGE , U.S.
192
Deprezzamento che potrebbe verificarsi anche con l’operatività del voto
maggiorato, dato che la cessione delle azioni comporta la perdi ta del priv i-
legio amministrativo per cui nei prossimi due anni (almeno) le azioni
dell’acquirente potrebbero valere di meno rispetto a quelle degli insiders
stabilmente presenti nella società78.
Tra gli studi che hanno affrontato il tema va ricordato, cons iderata
l’attinenza alla realtà italiana, quello di un noto economista italiano79. Egli
ebbe a scrivere che in Italia le azioni con diritti patrimoniali inferiori (ma
con diritto di voto) sono comunque scambiate ad un prezzo mediamente su-
periore alle azioni di risparmio, nonostante queste ultime siano privilegiate
nella ripartizione degli utili, per cui questo proverebbe l’elevato valore eco-
nomico del diritto di voto.
Secondo l’autore, data la bassa contendibilità del controllo dovuta dalla
struttura proprie taria concentrata, il notevole divario di prezzi tra azioni o r-
dinarie e di risparmio discenderebbe dalla possibilità per chi controlla la so-
cietà di estrarre elevati benefici privati, considerando che le azioni di r i-
sparmio – prive del diritto di voto – sono necessariamente corredate di pr i-
vilegi patrimoniali80, e questo valore aggiunto dovrebbe tradursi in un ap-
Cross-listings and the Private Benefits of Control: Evidence from Dual Class Fir ms,
2003, University of Toronto Working Paper , consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/ab
stract=373740 , p. 22: « In fact, of the 75 sample firms that cross-listed […] 55 firms listed
the low voting class ».
78 C.F. GIAMPAOLINO , Azioni a voto maggiorato e a voto plurimo, cit., pp. 779 ss.
79 L. ZINGALES , The value of the Voting Right , cit., pp. 125-126: « In Italy voting shares
that have inferior dividend rights trade at an average premium of 82 percent above non-
voting shares. This figure does not take into account that nonvoting shares are entitled to
an additional dividend. By taking this privilege into account, the average premium rises
to more than 90 percent. In other words, the right to vote is worth approximately as much
as the right to receive dividends ».
80 Si veda anche L. ENRIQUES , Gruppi piramidali, operazioni intragruppo e tutela degli
azionisti esterni: appunti per un’analisi economica , Giur. comm , fasc. 5, 1997, p. 703.
Con rifermento agli USA, per esempio, H. DEANGELO – L. DEANGELO , Managerial o w-
nerschip of voting rights. A Study of Public Corporations with Dual Classes of Common
Stock , 1984, consultabile all’indirizzo: http://schwert.ssb.rochester.edu/f423/JFE85_DD.
pdf, i quali, studiando 45 dual class firms statunitensi, hanno rilevato a p. 6 un « differen-
tial payment to the superiore voting stock ».
Per benefici privati si intendono le utilità diverse dalla partecipazione agli utili che il
gruppo di comando estrae dalla società a danno degli azionisti di minoranza. Nella let-
teratura economica M. BARCLAY – C.G. HOLDERNESS , in The law and large-block trades,
193
prezzamento economico maggiore.
4. Cenni sui principali assetti proprietari delle società quotate.
A questo punto riteniamo utile affrontare un ulteriore aspetto, nella consa-
pevolezza che della sua acquisizione, nel prosieguo della trattazione, trar-
remo giovamento.
È indispensabile infatti – nel momento in cui ci si accinge a disquisire degli
effetti economici del voto maggiorato – riassumere que lli che sono i fon-
damentali modelli di corporate governance che sono andati via via affe r-
mandosi e strutturandosi.
Essi denotano assetti proprietari diversi, e diverse sono le dinamiche che
vanno elaborandosi tra i vari organi all’interno della società. Specularmen-
te, eterogenee potranno essere le conseguenze che interventi legislativi in
tema di voting rights possono concretizzare.
Un sistema di corporate governance, spesso considerato come punto di rife-
rimento anche per altri ordinamenti è quello “anglosassone”81. È caratteri z-
zato da società che ricorrono ampiamente al mercato finanziario e la pro-
prietà del capitale sociale risulta polverizzata tra un elevato numero di azio-
nisti. Il mercato finanziario è molto liquido e forte è la presenza di interm e-
diari finanziari.
Il modello “tedesco” invece, rappresenta una forma di capitalismo quasi an-
titetica rispetto a quella anglo -americana. È caratterizzato dal fatto che nelle
grandi imprese la proprietà tende a restare concentrata in pochi azionisti (al-
tre imprese, banche, compagnie di assicurazioni); la dimensione dei mercati
1992, consultato in http://www2.bc.edu/clifford-holderness/LawLargeBlockTrades
JLE1992.pdf, p. 269, definiscono i benefici “privati” «since they accrue only to the
blockholder. Some private benefits are pecuniary – for exemple, excessive compensation
or expenditures on the blockholder’s pet projects. Other private benefits are nonpecun i-
ary – for exemple, synergy in production for corporate blockholders or prestige on ind i-
vidual blockholders ».
Si v. anche S. GROSSMAN – O. HART, One Share – One Vote and the Market for Corpo-
rate Control , 1988, consultabile all’indirizzo: www .law.harvard.edu/programs/olin_cent
er/papers/pdf/Grossman_36.pdf , pp. 3 ss., in cui si distingue tra « private benefits and s e-
curity benefits »: i primi estratti dai controllori; i secondi si riferiscono « to the total market
value of the income streams that accrue to the corporation’s securityholders ».
81 Vedi P. MONTALENTI , La società quotata , cit., p. 66.
194
finanziari è ridotta; il sistema di finanziamento si base soprattutto sul ricor-
so al capitale di debito; vi è un’accentuata presenza delle banche nel capita-
le di rischio e soprattutto spicca il ruolo delle imprese industriali che spesso
detengono partecipazioni rilevanti in altre società: mezzo tramite cui intrat-
tenere relazioni durature tra di loro.
Il modello capitalistico italiano risulta più affine a quello tedesco, con dei
caratteri peculiari. Spicca la massiccia presenza, soprattutto al nord, di pi c-
cole e medie imprese in cui domina una gestione familiare. Le grandi i m-
prese sono poche, e anche in questo caso la proprietà è molto concentrata.
Come abbiamo già visto, il mercato finanziario ha dimensioni ridotte e le
imprese ricorrono principalmente al capitale di debito82.
Interessante è al proposito l’ultimo Report on corporate governance of ita-
lian listed companies pubblicato recentemente dalla Consob83, in cui si con-
ferma l’elevata concentrazione degli assetti proprietari nelle società italiane
quotate84. Merita di essere segnalato un piccolo cambiamento riportato nel
Report , ossia un aumento delle imprese a proprietà dispersa ( widely held
companies ), il cui numero e la cui incidenza sulla capitalizzazione di mer-
cato hanno raggiunto i valori più elevati negli ultimi cinque anni (rispett i-
vamente, 13 e 24%).
Per il resto, la partecipazione degli investitori istituzionali al capitale degli
emittenti quotati italiani è rimasta stabile85, ment re con riferimento agli
azionisti di controllo, le famiglie si confermano “ultimate controlling
shareholders ” nella maggioranza delle imprese (61%).
È stato notato come non esistano evidenze empiriche a dimostrazione della
prevalenza di un assetto rispetto ad un altro86 e che le variabili che influe n-
82 F. CHIAPPETTA , Diritto del governo societario , cit., pp. 10 ss.
83 Vedi Report on corporate governance of italian listed companies , dicembre 2015, cit.
84 Le società quotate italiane risultano controllate (nell ’83% dei casi) o da un azionista d e-
tentore di una partecipazione superiore al 50% (116 società su 238) o da un azionista in
grado di esercitare un ’influenza dominante (51 casi) o da una coalizione di azionisti (32
casi).
85 A fine 2014 tali investitori sono presenti in 94 società (92 nel 2009), con una quota m e-
dia pari al 7% (6,4% nel 2009). Il numero di imprese con almeno un investitore istituzio-
nale italiano nel capitale è diminuito (da 57 nel 2009 a 34 nel 2014), mentre è au mentato
il dato relativo alla presenza di investitori istituzionali stranier i (da 47 nel 2009 a 71 nel
2014).
86 P. MONTALENTI , La società quotata, cit., p. 8; A. SHLEIFER – R.W. V ISHNY , A Survey
195
zano ciascun modello sono sia economiche che culturali e politiche87. E
sebbene sia in atto un processo di convergenza tra i vari assetti, il processo
sarà inevitabilmente lungo e graduale88.
Del resto come notato da un’autorevole voce, « gli ordinamenti sono come
grandi navi, dotate di una massa enorme; e così pure, appunto, di una
grande inerzia, che rende difficile a chiunque, anche allo stesso legislatore,
indurre repentini mutamenti di rotta »89.
5. Considerazioni relative al principio “one share , one vote” e alle sue
deviazioni.
Il diritto commerciale è strutturalmente legato ad aspetti economici e i punti
di intersezione sono molteplici; ce lo testimonia, anzitutto, la sua origine: il
ius mercatorum è un diritto creato dalla classe mercantile medievale per r i-
spondere alle esigenze dei traffici delle merci90. E non è un caso se una risa-
of Corporate Governance , 1997, consultabile all’indirizzo: http://scholar.harvard.edu/file
s/shleifer/files/surveycorpgov.pdf ., pp. 769 ss.; K. GEENS – C. CLOTTENS , One Share –
One Vote, cit., pp. 9-10: « Nor is it obvious which ownership structure and corresponding
corporate governance model is best. So far, no conclusive evidence has been found that
one model is superior to the other and thus the debate remains unsettled ».
87 A. SHLEIFER – R.W VISHNY , A Survey of Corporate Governance, cit., p. 771: «[…] po-
litical pressures are as important in the evolution of corporate government systems as the
economic ones »; K. GEENS – C. CLOTTENS , One Share – One Vote , cit., p. 9: « It is not
certain what determines ownership structure. Some scholars argue that law matt ers, ot h-
ers have advanced alternative political, socio-economic or even cultural expla nations »;
soprattutto politiche anche per C. ANGELICI , intervento al seminario Problemi d ’attualità ,
cit., p. 218.
88 F. ROSSIGNOLI , Gli assetti proprietari delle società quotate: evidenze empiriche in Ita-
lia, Stati Uniti e Germania , Riv. dottori comm ., fasc.1, 2011, pp. 101 ss.
Sull’influenza dei fattori politici sulla configurazione della corporate governance , per
quanto riguarda la Svezia si veda P. HÖGFELDT , The History and Politics of Corporate
Ownership , cit.
Interessante è anche il lavoro di A. SHLEIFER – R.W. VISHNY , A Survey of Corporate G o-
vernance , cit., dove si compendiano le varie strutture proprietarie alla luce di consider a-
zioni ben documentate circa gli agency problems, il ruolo del mercato, le protezioni legali
degli investitori. Questioni su cui torneremo nelle pagine che seguiranno.
89 F. D’A LESSANDRO , “La provincia del diritto societario inderogabile (ri)dete rminata”.
Ovvero: esiste ancora il diritto societario? , Riv. soc. , fasc. 1, 2003, p. 34.
90 Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente si aprì una fase confusa in cui le varie
196
lente ma autorevolissima dottrina abbia definito con grande lucidità il dirit-
to commerciale come un «diritto che viene su dalle cose»91.
Alcune considerazioni economiche legate al principio “one share, one vo-
te” riteniamo, dunque, siano utili, perché potrebbero consentirci di interpr e-
tare meglio le novità normative introdotte col decreto competitività, com-
prendendone le finalità e anticipandone possibili scenari, facendo così no-
stro un altro insegnamento della dottrina appena citata, la quale soleva dire
che «[è] una slealtà scientifica, un difetto di probità parlare di un istituto
per fissarne la disciplina giuridica senza conoscer lo a fondo nella sua real-
tà»92.
A dire il vero, per come è stata concepita la disciplina del voto maggiorato,
sembrerebbe quasi che questo istituto non incida sul principio “one share ,
popolazioni barbariche, spesso in lotta fra loro, diedero vita a regni dai confini incerti.
Tutte prive di un’organizzazione e di istituzioni adeguate non furono in grado di racco-
gliere l’eredità dell’Impero romano d’Occidente, per cui si creò un vuoto di potere che f a-
cilitò la nascita e l’affermazione del potere temporale della Chiesa, unica istituzione in
grado di essere un punto di riferimento. Prende forma la società feudale, segnata da rap-
porti di dipendenza personale e giuramenti di fedeltà, una società chiusa e statica.
Solo dopo l’anno Mille si assiste ad una rinascita graduale, alla ripresa dei commerci e
dunque all’affermazione di un nuovo ceto, quello borghese, e all’affermazione dei Com u-
ni, espressione politica di questa nuova classe sociale cui i vincoli della s ocietà feudale
cominciavano a stare stretti.
Ecco dunque anche la necessità, sul piano giuridico, di nuovi istituti; necessità in parte
dovuta anche all’inadeguatezza del diritto romano. Un diritto che venne alla luce grazie
alla genialità di giuristi che senza dubbio furono protagonisti di un’esperienza giuridica
che costituirà una vetta nella storia dell’uomo; ma si trattava di un sistema giuridico bas a-
to prevalentemente sul possesso e sul godimento dei beni, e in questa prospettiva erano
concepite le regole che presiedevano agli scambi contrattuali.
Nel medioevo, invece, i mercanti necessitavano di maggiore celerità; il contratto, nel con-
testo di un’economia più dinamica, era un affare, un’imperdibile occasione di profitto.
Ecco dunque il farsi strada dello ius mercatorum : regole che affiorano nella prassi con-
trattuale e che diventano consuetudini, per poi passare nelle leggi e nelle sentenze di colo-
ro che decidevano le controversie contrattuali; che altri non erano che mercanti designati
dalla corporazione (per una lettura più approfondita v. F. GALGANO , Lex mercatoria , cit.,
p. 38).
91 Sono le parole di C. VIVANTE , Trattato di diritto commerciale , v. I, V ed., Milano, F.
Vallardi, 1922, nella prefazione alla I ed., p. VIII. Vivante è stato un giurista italiano
(nonché studente dell’Università di Padova) operativo tra la fine dell’800 e la prima metà
del ’900.
92 Ivi, nella prefazione alla V ed., p. X.
197
one vote” , in quanto la maggiorazione parrebbe essere attribuita
all’azi onista fedele, essendo l’azione solo il parametro tramite il quale rico-
noscere il voto aggiuntivo93. Tuttavia, da un punto di vista sostanziale ed
economico si verifica sempre un rafforzamento del potere deliberativo di un
socio senza la necessità di un ult eriore investimento94. Tale circostanza po-
trebbe verificarsi a favore di tutti i soci, ma non necessariamente, in quanto
come già detto l’iscrizione nell’elenco speciale e l’investimento di lunga
durata potrebbero essere interessi non condivisi da tutti gli azionisti.
Il diritto di voto, soprattutto se destinato ad essere esercitato in seno a dec i-
sioni assembleari particolarmente rilevanti, è sicuramente una delle prero-
gative più importanti connesse allo status di socio95.
In questo contesto si è soliti citare le parole di un’autorevolissima dottrina
americana:
«As residual claimants, the shareholders are the group with the appropriate
incentives (collective choice problems to one side) to make discretionary
decisions. […] The shareholders receive most of the marginal gains and in-
cur most of the marginal costs. They therefore have the right incentives to
exercise discretion »96.
93 La norma, tra l’altro, si riferisce ad un voto maggiorato attribuito « per ciascuna azione
appartenuta al medesimo soggetto » (art. 127- quinquies , primo comma, TUF) e non “a
ciascuna azione”. Anche se poi, al quarto comma del medesimo articolo, si riferisce ad un
diritto di voto maggiorato spettante « alle azioni ».
94 Il Report on the Proportionality Principle in the European Union (2007), cit., annovera
tra i CEMs ( i.e. meccanismi di rafforzamento del controllo) le multiple voting rights
shares , ricomprendendovi sia le azioni a voto multiplo che costituiscono una categoria a
sé; sia le azioni a voto doppio francesi.
95 Si v., ad es., le parole di L. MOSSA – avvocato e professore nella prima metà del Nov e-
cento, allievo di Angelo Sraffa, uno dei maestri del diritto commerciale italiano – secondo
il quale « diritto capitale dell’azionista che non può sopprimersi se non rinnegando la sua
sovranità nella società anonima e riducendolo a misero suddito del ceto che comanda, è
quello di voto ». Citazione letta in M. LAMANDINI , Struttura finanziaria e governo nelle
società di capitali , Bologna, il Mulino, 2001 (ed. digit.: 2010, doi: 10.978.8815/144430),
p. 25.
Oppure v. anche M. BURKART – S. LEE, One Share – One Vote: A Theoretical Perspe c-
tive, 2007, ECGI – Finance Working Paper No. 176/2007 , consultabile all’indirizzo:
http://ssrn.com/abstract=987486 , p. 1: «The most important contractual right that shar e-
holders have is widely taken to be their right to vote on important corporate matters ».
96 F.H. EASTERBROOK – D.R. FISCHEL , Voting in corporate law, cit., p. 403.
198
Il diritto di voto, in sostanza, non può che spettare ai soggetti che più sop-
portano il rischio di impresa, i quali più di ogni altro stakeholder dovrebb e-
ro prestare attenzione nel compiere scelte in un’ottica di valorizzazione
dell’impresa stessa.
Logica conseguenza del fatto che i soci siano definiti residual risk-beares
(i.e. creditori di ultima istanza) è proprio il principio di proporzionalità fra
forza deliberativa e numero di azioni possedute, le quali a loro volta rappr e-
sentano l’entità del rischio che un azionista corre. Chi ha un maggior num e-
ro di azioni ha una maggiore ricchezza investita nella società e dunque avrà
interesse ad esercitare il diritto di voto per perseguire l’interesse sociale (i
cc.dd. security benefits ), proprio perché si trova ad essere maggiormente
esposto agli andamenti negativi della società.
Nel momento in cui si altera questa proporzionalità si rompe
quell’equilibrio che assicurerebbe una gestione ottimale della società97, an-
che se l’ottimalità del principio “one share , one vote”, come vedremo, non
può darsi sempre per scontata98.
Nelle imprese con una proprietà dispersa fra molti azionisti (diffuse, come
abbiamo visto, in USA e UK) è stato dimostrato il noto problema del free
riding99: si tratta dell’assenza di coordinamento tra gli azionisti, tutti pos-
sessori di aliquote di capitale molto basse e dunque non incentivati a soste-
nere i costi di monitoraggio del management e i costi di coordinamento in
occasione di takeovers (i.e. cambi di controllo), profilandosi così un potere
di fatto dei manager s sulla società nel primo caso, e il probabile insuccesso
di operazioni di acquisizioni efficienti nel secondo caso. Infatti, in occasio-
97 Ivi, p. 409.
98 M. BURKART – S. LEE, One Share – One Vote: The Theory , cit., p. 1 e passim .; S.
GROSSMAN – O. HART, One Share – One Vote, cit., p. 49: «[O] ur results show that devi a-
tions from one share-one vote can be a characteristic of a corporate charter that is in se-
curity holders’ best interest ».
99 V., ad es., K. GEENS – C. CLOTTENS , One Share – One Vote , cit., p.7; M. BURKART – S.
LEE, One Share – One Vote: The Theory , cit., p. 10; A. KHACHATURYAN , The One –
Share – One – Vote Controversy in the EU, ECMI Paper No. 1/August 2006 , consultabile
all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=908215 , p. 8; L.R. KABBACH -CASTRO – R.
CRESPÍ -CLADERA – R.V. AGUILERA , Corporate Ownerschip in Latin American Firm, cit.,
p. 15: «[the One Share – One Vote ] increases the dispersion of shares, and consequently,
the free-rider problems associate with a high number of small shareholders »; M.G.
WARREN , One share, One Vote: a Perception of Legitimacy , Journal of corporation Law,
Vol. 14 , 1988, consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=1621775 , p. 8.
199
ne di una tender offer (i.e. offerta di acquisto finalizzata all’acquisto del
controllo della società) e in un contesto di asimmetria informativa, ciascun
azionista potrebbe ritenere che l’offerente sia in grado di accrescere il valo-
re della società, per cui non venderà le proprie azioni ma manterrà
l’investimento, convinto che l’offerta di acquisto avrà comunque successo,
essendo la propria partecipazione molto modesta e dunque “non pivotale”,
cioè non decisiva ai fini del successo dell’OPA100.
In sostanza il singolo azionista spera nel successo dell’offerta pubblica di
acquisto senza, però, contribuirvi con l’adesione alla stessa, così da poter
beneficiare dei cc.dd. post- takeove r security benefits (i.e. l’incremento di
valore delle azioni grazie al cambio di controllo efficiente).
Questo comportamento, però, se generalizzato potrebbe determinare il fal-
limento di offerte di acquisto efficienti.
Specularmente potrebbe accadere che i singoli azionisti, pur ritenendo il
prezzo dell’offerta incongruo, siano comunque indotti ad aderirvi nel timore
che, in caso di successo, il valore delle azioni si deprima101, a causa
dell’inettitudine o di una gestione egoistica del nuovo socio di controllo
(che si rivelerebbe allora un socio “locusta”), andando così a favorire cambi
di controllo inefficienti.
I costi di monitoraggio schiudono un altro tema molto studiato che gli eco-
nomisti riassumono nei costi di agenzia.
In estrema sintesi, sul presupposto che i protagonisti della vita societaria
non abbiano interessi coincidenti e agiscano in modo egoistico cercando di
massimizzare i propri, quando la proprietà azionaria è polverizzata nessun
azionista avrà la forza e l’interesse di monitorare l’attività dei managers af-
finché il loro operato sia teso all’interesse dell’azionariato102.
100 V., ad es., M. BURKART – F. PANUNZI , Takeovers , Finance Working Paper N.
118/2006 , consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract_id=884080 , pp. 12 ss; S.
GROSSMAN – O. HART, One Share – One Vote, cit., p. 3, spec. nt. 2.
101 M. BURKART – S. LEE, One Share – One Vote: The Theory , cit., p. 7 ss.; M. BURKART –
F. PANUNZI , Takeovers , cit., pp. 12 ss.
102 M. JENSEN – W. MECKLING , Theory of the firm: Managerial Behavior, Agency Cost
and Ownerschip Structure , 1976, consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=940
43, p. 5: « We define an agency relationship as a contract under which one or more pe r-
sons (the principal(s)) engage another person (the agent) to perform some service on
their behalf which involves delegating some decision making authority to the agent. If
both parties to the relationship are utility maximizers, there is good reason to believe that
200
I problemi di agenzia richiedono dunque dei costi di monitoraggio e di sor-
veglianza (detti appunto costi di agenzia), nonché sistemi di remunerazione
dei managers che cerchino di allineare gli interessi degli stessi con quelli
dei soci (ad es. le stock option ).
Ecco dunque che i principali meccanismi attraverso cui mitigare i problemi
di agenzia tra azionisti e managers consisterebbero nella presenza di un
azionista “forte”, in grado di controllare il management103 o, in un struttura
azionaria dispersa, il mercato del controllo societario104.
Il secondo meccanismo si fonderebbe sulla “mano invisibile d el mercato”.
Una gestione opportunistica dei managers condurrebbe al deprezzamento
delle azioni e ciò potrebbe attirare l’attenzione di un bidder il quale, acqu i-
sito il controllo della società, sarebbe in grado di sostituire i precedenti
amministratori (effetto disciplinante ex ante ); inoltre si potrebbe avere un
effetto positivo ex post , dato che il basso valore delle azioni potrebbe age-
volare acquisizioni efficienti105.
Sulla capacità del mercato di autoregolarsi si possono, comunque, nutrire
the agent will not always act in the best interests of the principal. The principal can limit
divergences from his interest by establishing appropriate incentives for the a gent and by
incurring monitoring costs designed to limit the aberrant activities of the agent ».
103 S. GROSSMAN – O. HART, One Share – One Vote, cit., p. 2: « We would expect monito r-
ing of management to be effective only when a single party becomes large enough to in-
ternalize the externalities of collective action ».
104 H. MANNE , Mergers and the Market for Corporate Control , The Journal of Political
Economy , Vol. 73, No. 2 , aprile 1965, consultabile all’indirizzo: http://www.jstor.org/stab
le/1829527, p . 119: « The market for corporate control implies a number of important a d-
vantages […]. Among the advantages of the former, as we have seen, are a lessing of
wasteful bankruptcy proceedings, more efficient management of corporations, the prote c-
tion afforded non-controlling corporate investors »; K. GEENS – C. CLOTTENS , One Share
– One Vote , cit., p. 8: «When ownership is widely dispersed, the market for corporate con-
trol is supposed to discipline management. A bidder can emerge who buys a block of
shares and votes and then ousts the incumbent management »; S. GROSSMAN – O. HART,
One Share – One Vote, cit., p. 45.
105 H. MANNE , Mergers and the Market for Corporate Control , cit., p. 113: «[t] he lower
the stock price […] the more attractive the take-over becomes to those who believe that
they can manage the company more efficiently »; M. BURKART – S. LEE, One Share – One
Vote: The Theory , cit., p. 8: «A well-functioning takeover market subjects firms to a con-
tinuous auction process: Whenever an outside party is able to improve the value of the
firm’ s existing resources it can bid for its control and replace the incumbent manag e-
ment ».
201
dei dubbi106; in ogni caso tale meccanismo non potrà operare quando la
struttura azionaria non è dispersa107 e dunque il controllo della società risu l-
ta essere poco contenibile. Scarsa contendibilità si avrà anche quando vi so-
no meccanismi che, deviando dalla regola di proporzionalità, consentono di
amplificare i diritti di voto, a meno che non operi la regola di neutralizz a-
zione108.
Con riguardo al primo meccanismo (la presenza di un azionista di contro l-
lo), invece, è interessante notare come la struttura del voto possa avere un
ruolo significativo nel prevenire i problemi di agenzia accennati. La devi a-
zione dal principio “un’azione, un voto” può favorire l’emersione di un
azionista di controllo in grado di monitorare il management109 senza dover
necessariamente sostenere costi eccessivi acquisendo o mantenendo la
maggioranza delle azioni110 (in questo caso si coglierebbe la non ottimalità
106 Da ultimo, M. MUCCHETTI , Perché va difeso il voto plurimo , cit., il quale pare categ o-
rico nel ritenere «[l] ’Opa ostile come igiene del mondo […] un sogno futurista e senza f u-
turo»; v. anche, sulla possibilità che non sempre il mercato del controllo possa avere un
effetto benefico, M. BUKART – S. LEE, One Share – One Vote , cit., pp. 28 ss., in particol a-
re a p. 29: «[T] he takeover pressure may induce insiders to behave myopically and sacr i-
fice long-term pro fitability to boost short-term earnings »; M. BURKART – F. PANUNZI ,
Takeovers , cit., p. 24.
107 V., ad es., K. GEENS – C. CLOTTENS , One Share – One Vote , cit., p. 8: « When owne r-
ship is concentrated, the market for corporate control will be inoperative »; L. BEBCHUK ,
A Rent – protection Theory of Corporate Ownership and Control , Working Paper 7203 ,
1999, consultabile all’indirizzo: http://www.nber.org/papers/w7203 , p. 1: « In contrast,
when a company has a controlling shareholder, control is not contestable but is rather
“locked”, control of the company cannot be obtained against the incumbent's will but on-
ly through negotiations with the incumbent ».
108 Sulla regola di neutralizzazione v. supra.
109 V., recentemente, R. GILSON – A. SCHWARTZ , Constraints on Private Benefits of Con-
trol: Ex Ante Control Mechanism versus Ex Post Transaction Review , 2013, consultato
all’indirizzo: http://digitalcommons.law.yale.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=5865&con
text=fss_papers , p. 168: « A controlling shareholder commonly has the skills, the oppo r-
tunity and the incentive to monitor manager diligence and performance in the publically
held company ».
110 Ad esempio, L.A. BEBCHUK – R. KRAAKMAN – G. TRIANTIS , Stock Pyramids, Cross –
Ownership and Dual Class Equity, The Creation and Agency Costs of Separating Control
from Cash Flow Rights , Harvard Law and Economics Discussion Paper No. 249, 2000 ,
consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=147590 , p. 8; con riguardo alle devi a-
zioni realizzate con dual-class structures , v. E.B. ROCK, Shareholder Eugenetics in the
202
del principio “one share , one vote”).
A questo punto però si prospettano altre riflessioni; infatti in presenza di
una separazione tra diritti di voto e flussi di cassa, i problemi di agenzia di
cui abbiamo parlato sinora possono assumere una rinnovata veste: i “con-
flitti” non saranno più tra azionisti e managers (anzi, questi ultimi di fatto
diventeranno longa manus dei soci di controllo), bensì tra azionisti di mag-
gioranza e azionisti di minoranza111.
Questo perché l’azionista di maggioranza potrà agevolmente abusare della
propria posizione di controllo potendo estrarre i benefici privati ad essa
connessi, cioè quei vantaggi – pecuniari e non – di cui può beneficiare a d e-
trimento degli altri azionisti non in grado di avvantaggiarsene. Chi controlla
Public corporation , cit., p. 899: « They allow a controlling shareholder to maintain con-
trol without continuing to own a majority of the equity in the company ».
111 A. KHACHATURYAN , The One – Share – One – Vote Controversy , cit., p. 9: « Although
concentrated ownership structures effectively overcome the free rider problem between
small shareholders and managers by giving controlling shareholders the power and
benefits of control, they introduce another type of agency problem, i.e. one betwe en con-
trolling and non-controlling shareholders »; K. GEENS – C. CLOTTENS , One Share – One
Vote, cit., pp. 7-8: « In the continental EU and in the rest of the world, share ownership
has been historically – and still is – conspicuously more concentrated […]. Here the
“agency problem ” runs between controlling and minority shareholders »; M. FACCIO – L.
LANG, The Separation of Ownership and Control, An Analysis of Ultimate Ownership in
Western European Corporations , 2000, consultabile all’indirizzo: http://ssrn.com/abstra
ct=222429 , pp. 33-34: « Amongst US corporations, the agency problem is between man-
agers and dispersed shareholders. […] In East Asia, the separation of ownership from
control is that between controlling owners and minorities shareholders since widely-he ld
corporations are in the minority and the predominant ownership structure is control by a
family which often appoints a top manager. Therefore, the salient agency probl em in
these countries is expropriation of outside shareholders by the controlling shareholder.
[…] In Western Europe, we documented a similar control pattern as in East Asia, if not
stronger ».
Sui diversi tipi di agency problems si può vedere anche G. ARMOUR – H. HANSMANN – R.
KRAAKMAN , Agency Problems Legal Strategies and Enforcement , 2009, consultabile
all’indirizzo: http://ssrn.com/abstract=1436555 , p. 3 ss., si legge: « The first involves the
conflict between the firm ’s owners and its hired managers […]. The second agency pro b-
lem involves the conflict between, on one hand, owners who possess the ma jority or con-
trolling interest in the firm and, on the other hand, the minority or noncontrolling owners
[…]. The third agency problem involves the conflict between the firm itself – including,
particularly, its owners – and the other parties with whom the firm contracts, such as
creditors, employees, and customers ».
203
una società con un investimento più contenuto rispetto a quello necessario
nell’ambito del principio “one share , one vote ” potrà avere convenienza a
votare per operazioni dannose per la società ma redditizie per i propri inte-
ressi112.
Tali rischi furono paventati, in Italia, già agli inizi del secolo scorso in seno
alla sottocommissione nominata con R.D. 3 giugno 1942, al fine di pred i-
sporre un nuovo codice del commercio (la Commissione D’Amelio). In tale
occasione la proposta di un autorevole studioso volta a riconoscere la legit-
timità delle azioni a voto plurimo non trovò accoglimento tra la maggioran-
za dei membri proprio perché ci si chiese « se il voto plurimo non faciliti
troppo l’infeudamento delle società anonime a ristretti gruppi finanziari, i
quali, sicuri della loro stabilità, potrebbero finire per curare più gli inte-
ressi propri che quelli della maggioranza degli azionisti »113.
Autorevole dottrina americana distingue tra due tipi di benefits : private b e-
nefits e security benefits.
Mentre i secondi discendono dalla partecipazione alla società e dunque so-
no conseguiti da tutti, i primi sono benefici dei quali può appropriarsene so-
lo il socio controll ore114.
All’interno di questa seconda tipologia è possibile distinguere due ulteriori
categorie di private benefits : quelli che vanno a vantaggio del controllore
senza pregiudicare la compagine azionaria e quelli che invece, sempre a
vantaggio del primo, pregiudicano la seconda. I primi sono benefici “ben i-
gni”: si pensi alla reputazione, al prestigio, alla notorietà che che una pos i-
zione di primo piano in una grossa società comporta, alle relazioni e alle
amicizie cui essa può aprire (soprattutto politiche). I secondi, invece, po-
tremmo definirli “maligni”: si pensi, ad esempio, alle operazioni societarie
depauperative per la società, ma vantaggiose per il controllore115, oppure al
112 P.A. GOMPERS – J. ISHII – A. METRICK , Extreme Governance , cit., p. 38: « A majority
owner of a private company can rationally choose to sacrifice some firm value in order to
maintain private benefits of control ».
113 COMMISSIONE REALE PER LA RIFORMA DEI CODICI – SOTTOCOMMISSIONE B, Codice di
commercio , cit., pp. 77-78.
114 V. nt. 80.
115 V. ad es., M. BURKART – S. LEE, One Share – One Vote, cit., p. 5: « Examples of pr i-
vate bene fits are prestige, consumption of perquisites, excessive salaries, or the sale of
assets below market value to another firm fully owned by the entrepreneur. The existence
of these private bene fits creates a potential con flict and hence a role for control rights »;
204
collocamento di membri della famiglia dell’azionista di riferimento (ancor-
ché inetti) in posizioni di vertice, assicurando loro una retribuzione elevata.
Questi aspetti ci consentono di rilevare che colui che controlla la società
senza un proporzionale rischio d’impresa potrebbe essere in grado di ester-
nalizzare i costi con maggior faci lità, optando per scelte imprenditoriali ad
alto rischio. E per attenuare questi comportamenti “immorali” sarebbero
necessarie regole volte a proteggere le minoranze, regole che però hanno
dei costi, possono rendere il funzionamento dell’attività societaria più g a-
rantista ma anche più “legnoso”, con maggiori costi amministrativi116.
Si rischierebbe di creare un sistema farraginoso in cui anziché produrre cer-
tezza si genera diffidenza, si sovrappongono regimi normativi. In un ramo
del diritto in cui, più di altri, la semplicità è un valore e in cui è importante
un contesto normativo chiaro affinché gli investitori stranieri siano invo-
L. BEBCHUK , A rent-Protection Theory of Corporate Ownership and Control, 1999,
Working Paper 7203 , consultabile all’indirizzo: http://www.nber.org/papers/w7203 , a p.
25 fa riferimento ad entrambe le tipologie: « One factor that might make private control
benefits relatively large is the presence of ample opportunities to engage in self-dealing
transactions and in the taking of corporate opportunities […]. Another factor that can in-
crease the private benefits of the initial owner is the presence of some nonpecuniary be n-
efits from controlling the firm – which might exist when the controller founded the firm,
when the firm has been controlled by the owner ’s family for a long time, or when control
of the firm provides the controller with some prestige and glamour (as is the case with
control of sports teams) »; L. BEBCHUK , Efficient and Inefficient sales of Corporate Con-
trol, 1994, consultabile all’indirizzo: http://www.law.harvard.edu/faculty/bebchuk/pdfs/q
je.94.pdf , p. 962: « Controllers can capture private benefits through using control to di-
vert value by, for example, engaging in self-dealing, taking corporate opportunities, or
obtaining excessive salaries and other benefits.(Although legal rules somewhat constrain
such diversion, they do not prevent it altogether.) Private benefits of control may also i n-
clude such elements as psychic benefits resulting from control or the direct benefits that
other business of the controll er may get as a result of increased synergies or market po w-
er».; P.A. GOMPERS – J. ISHII – A. METRICK , Extreme Governance, cit., p. 4: «These ben e-
fits, typically called “private benefits of control ” in the literature, can include both pec u-
niary and non-pecuniary components »; M. BIANCHI – M. BIANCO – S. GIACOMELLI – A.M.
PACCES – S. TRENTO , Proprietà e controllo delle imprese in Italia , cit., pp. 51 ss.
116 E quando il nostro legislatore è chiamato ad intervenire spesso lo fa con leggi « troppo
verbose, invaden ti, pignole, dettagliate […] con articoli che ospitano troppi commi.
Troppi commi significa troppi capoversi: ti viene il singhiozzo mentre leggi. E l’eccesso
di commi denota o un eccesso di parole o un eccesso d’argomenti trattati sotto lo stesso
titoletto ». Sono le efficaci parole del prof. M. AINIS riportate da M. RICCIARDI , Sopraffa t-
ti dall’ipertrofia normativa , ne Il Sole 24 Ore del 29 novembre 2015, p. 40.
205
gliati ad investire117.
Come è stato notato – tornando ai benefici privati – una struttura CMS
(controlling minority structure ) altera le scelte imprenditoriali potendo con-
durre il socio controllore a scelte collettivamente meno vantaggiose, ma più
desiderabili in quanto generatrici di maggiori benefici privati non condiv i-
sibili con gli altri azionisti118. E analoghe considerazioni valgono in ordine
alle scelte dimensionali ottimali dell’impresa e al tema dei cambi del con-
trollo.
Un cambio di controllo sarà efficiente solo se il futuro azionista di controllo
saprà creare un maggior valore collettivo. Ma quando i benefici privati del
controllo sono consistenti , il controllo stesso ben potrà passare a chi non s a-
prà valorizzare l’impresa, ma sarà in grado di estrarre con maggior intensità
rispetto al precedente controllore, ricchezze non condivisibili con gli altri
azionisti. Egli infatti potrà fare un’offerta ad un pre zzo maggiore di quello
sostenibile per un rivale (magari anche più efficiente, cioè in grado di au-
mentare il valore della società) i cui benefici privati sono trascurabili: le
maggiori spese saranno più che compensate dalla futura estrazione di ben e-
fici privati, cioè vantaggi esclusivi del nuovo azionista di riferimento e non
condivisibili con gli altri soci119.
In presenza di una struttura proprietaria CMS (controlling minority structu-
re) e in regime di market rule, cioè quando d alla cessione del controllo gli
azionisti di minoranza sono esclusi dalla possibilità di partecipare ai guad a-
gni differenziali connessi a tale trasferimento, è stato dimostrato che
l’effetto combinato risultante dalla presenza di alti benefici privati e da una
non proporzionalità tra cash flow rights e voting rights conduce a cambi di
controllo inefficienti ma anche , seppur in misura minore, a mancati avvi-
cendamenti efficienti (entrambe le circostanze favorevoli, però, per le due
parti principali, cedente e cessionario del controllo)120.
In regime di equal opportunity rule – alle stesse condizioni sopra dette, cioè
117 Cfr. M. CAMPOBASSO , La tutela delle minoranze nelle società quotate , cit., p. 153.
118 L.A. BEBCHUK – R. KRAAKMAN – G. TRIANTIS , Stock Pyramids, Cross – Ownership
and Dual Class Equity , cit., p. 9.
119 S. GROSSMAN – O. HART, One Share – One Vote , cit., pp. 7 ss.
120 L.A. BEBCHUK – R. KRAAKMAN – G. TRIANTIS , Stock Pyramids, Cross – Ownership
and Dual Class Equity , cit., pp. 12-13, anche per un’illustrazione matematica del prob-
lema.; L. BEBCHUK , Efficient and Inefficient sales , cit., pp. 964 ss.
206
struttura CMS, alti benefici privati e assenza di proporzionalità – e cioè
quando del surplus pagato per il pacchetto di controllo sono resi partec ipi
anche gli altri azionisti (e lo strumento tipico a tal fine sarà l’offerta pubbl i-
ca di acquisto successiva obbligatoria), da un lato si crea un contesto no r-
mativo più protettivo degli azionisti minori e i trasferimenti inefficienti po-
trebbero essere ridotti, proprio perché l’obbligatorietà dell’OPA rende
l’operazione complessivamente molto costosa e dunque sostenibile solo da
chi sappia valorizzare la società accettando ritorni economici posticipati nel
tempo.
Dall’altro lato, però, si riducono con magg ior incisività rispetto ad un con-
testo normativo di market rule i trasferimenti efficienti121 (per la ragione
appena esposta, ossia l’onerosità della regola che impone l’OPA totalitaria
obbligatoria) e l’impresa rischia di « andare a rotoli » senza che un nuovo
compratore si faccia avanti122.
Le considerazioni svolte sinora sono state per lo più attinte dalla letteratura
statunitense, la quale si trova ad operare in un contesto giuridico ed econ o-
mico diverso da quello europeo e, in particolare, italiano, soprattu tto con ri-
guardo alle strutture proprietarie. È noto infatti che negli Stati Uniti
d’America e nel Regno Unito prevalgono forme societarie a proprietà dilu i-
ta, mentre in Europa la proprietà è più concentrata123.
Per calare le riflessioni fatte in una realtà a noi più famigliare occorrono a l-
cune puntualizzazioni, in parte già anticipate.
Come già detto i problemi di agenzia tra azionisti e managers non si pon-
gono, anzi i managers saranno espressione dell’azionista di controllo.
121 L. BEBCHUK , Efficient and Inefficient sales , cit., p. 960: « The analysis shows that,
compared with the MR [market rule ], the advantage of the EOR [equal opportunity rule ]
is that it prevents all inefficient transfers. Under the EOR, transfers that make minor ity
shareholders worse off cannot take place, and consequently inefficient transfers wi ll nev-
er occur. At the same time, however, the EOR is inferior to the MR in terms of facilitating
efficient transfers:the former prevents a wider range of such transfers than the latter »; M.
BURKART – F. PANUNZI , Takeovers , cit., p. 19.
122 In questi termini L. ZINGALES , a commento del decreto competitività in Il voto plurimo
favorisce “le piramidi” , cit.
123 Si tratta di un dato statistico pacifico. V., ad es., A. SHLEIFER – R.W. V ISHNY , A Su r-
vey of Corporate Governance , cit., p. 754: « In the United States, large share holdings,
and especially majority ownership, are relatively uncommon […]. One other country
where the rule is broadly dispersed ownership by diversified shareholders is the United
Kingdom. In the rest of the world, large share holdings in some form are the norm ».
207
Nella misura in cui vi sia un sistema di voto proporzionale, il controllo r i-
chiede un consistente investimento e questo dovrebbe bastare a disciplinare
l’azionista di riferimento e ad indirizzarlo verso decisioni che massimizzano
il valore societario. Ciò non toglie che egli possa estrarre valore dalla socie-
tà qualora la riduzione di valore della partecipazione (sua e degli altri soci)
sia più che compensata dai benefici privati goduti. Rischio, questo, che ri-
sulterebbe accentuato se vi fossero meccanismi che consentono di acquisire
un controllo con partecipazioni irrisorie, deviando dal principio one share ,
one vote, ma anche rispettandolo formalmente e ricorrendo a strumenti più
opachi quali i gruppi piramidali.
Per quanto riguarda il ruolo depurativo del mercato, esso, come visto, viene
annullato; il cambio del controllo richiederà necessariamente una negozi a-
zione con l’azionista di maggioranza124. Questo significa anche che il pro-
blema del free riding accennato non si pone125. Ammesso che un cambio
del controllo vi sia e in presenza di una disciplina dell’OPA successiva ob-
bligatoria, gli azionisti di minoranza potranno beneficiare del prezzo spun-
tato dall’alienante oppure mantenere l’investimento e sperare in un miglio-
ramento delle performance .
È stato notato, conseguentemente, che in un contesto che vede la presenza
di società a proprietà concentrata, gli strumenti giuridici che consentono
una deviazione dal principio di proporzionalità (tra i quali possiamo anno-
verare anche il voto maggiorato, sebbene abbia una potenzialità inferiore r i-
spetto alle azioni a voto plurimo) potrebbero rafforzare ancor di più la posi-
zione dei soci di maggioranza, consentendo loro di diminuire la propria
esposizione al rischio d’impresa pur conservando il controllo126.
E altre considerazioni molto critiche sono state svolte soprattutto tenendo
conto degli elevati benefici del controllo presenti in Italia127, il cui valore
124 V., ad es., S. GROSSMAN – O. HART, One Share – One Vote, cit., p. 46; H. DEANGELO –
L. DEANGELO , Managerial ownerschip of voting rights , cit., p. 52, i quali appunto a f-
fermano che in presenza di un « incumbent management group, a hostile takeover of the
board cannot be accomplished without the cooperation of at least some group members ».
125 M. BURKART – F. PANUNZI , Takeovers , cit., p. 18.
126 W.G. RINGE , Deviations from Ownerships – Control Proportionality , cit., p. 221: « Ia
dispersed shareholder environment like the UK or the US, however, allowing CEMs
could actually make more sense» ; e che nel contesto europeo « CEMs and other devia-
tions from OSOV reinforce the already existing strong position of blockholders ».
127 L. ZINGALES , Il voto plurimo favorisce “le piramidi” , cit., dove si legge che «[è] vero
208
dipenderebbe anche dall’inefficienza del sistema normativo nel prevenire
gli abusi derivanti da posizioni di controllo128; e dall’inefficienza del s iste-
ma giudiziario nel sanzionarli con celerità, considerati i cronici problemi
che lo caratterizzano.
A fronte dei giudizi negativi sulla deviazione dal principio di proporzional i-
tà, non mancano, comunque, posizioni più possibiliste.
Come già visto supra , il principio “one share , one vote” non incentiverebbe
le imprese ad aprirsi al mercato e questo è visto dai più negativamente; in
questo senso azioni a voto plurimo e (in misura minore) il voto maggiorato
potrebbero favorire le quotazioni in Borsa.
Inoltr e, soprattutto se nella veste delle loyalty shares , le deviazioni favor i-
rebbero politiche industriali più lungimiranti, anche se a tale asserzione si
potrebbe rispondere che tale strumento potrebbe diventare una sorta di c a-
vallo di Troia con cui veicolare surrettiziamente meccanismi “pubblicizz a-
ti” per intenzioni nobili e meritorie, ma che in realtà andrebbero a vantaggio
che la Svezia ha il voto plurimo. È anche vero che il valore del controllo in Svezia è solo
il 7% del valore di un’impresa,perché, anche grazie alle leggi svedesi, gli imprenditori
locali non possono abusare del loro controllo. In Italia, invece, il premio del controllo è
del 37% e le azioni a voto plurimo non faranno che aumentarlo »; L. BEBCHUK , A rent-
Protection , cit., p. 3: « In contrast, in many other countries in which private benefits of
control are large, say, Italy, company founders elect to lock control in their hands when
going public ».
128 L. ZINGALES , The value of the Voting Right, cit., p. 145: « My conjecture is that these
benefits are particularly large because the legal system is very ineffective in preventing
exploitation of a control position ». Benefici privati la cui misurazione non è agevole in
quanto «[i] f they were easily quantifiable, then these benefits would not be private (i.e.,
accruing only to the control group) any longer because outside shareholders would claim
them in court » (ibid.).
Nello studio citato del prof. Z INGALES , viene esaminata un’operazione infragruppo del
1992, quando una società (STET) controllata dall’IRI venne costretta ad acquistare l’83%
del capitale di un’altra società (FINSIEL) posseduto sempre dall’IRI. L’operazione si rea-
lizzò a prezzi superiori a quelli di mercato, per far fronte ad esigenze finanziarie dell’ente
pubblico.
«These intragroup reallocations of ownership » conclude l’autore «are quite frequent in
Italy. The difficulties in challenging these transactions in court and the apparent tole r-
ance of the financial and political environment may then explain the large value of con-
trol in Italy ».
Lo studio, benché interessante, non risulta più, a dire il vero, attualissimo, non tenendo
conto di importanti interventi normativi successivi (il TUF e la Riforma del 2003).
209
dei “poteri forti”. Soprattutto se si rende il meccanismo necessario per il ri-
conoscimento della maggiorazione del voto particolarmente “burocrat i-
co”129, introducibile a maggioranze agevolate e senza riconoscere opportuni
rimedi a chi non sia d’accordo (ad es. il diritto al recesso).
Non si dimentichi, poi, che il maggior attivismo degli azionisti potrebbe r i-
manere un’utopia e in quel caso il voto maggiorato si tradurrebbe, nei fatti,
in uno strumento spendibile dai soli soci di controllo i quali, constatato il
disinteresse diffuso alla maggiorazione del voto, potrebbero dismettere una
parte anche considerevole delle azioni detenute, certi di non perdere il con-
trollo della società. E in questo caso verrebbe a delinearsi una pronunciata
dissociazione tra rischio assunto e poteri di voice .
Una struttura che prevede deviazioni dal principio di proporzionalità m e-
diante loyalty shares richiede delle considerazioni sul cambio di controllo
diverse rispetto a quelle presentate dalla dottrina americana (in particolare)
e con riferimento alle dual- class structures . Il voto maggiorato viene perso
con la cessione delle azioni, per cui un socio di controllo che detenga la
maggioranza dei voti grazie a tale meccanismo non potrà monetizzare il
premio di controllo e, specularmente, chi intenda acquistare il controllo de l-
la società nell’immediato dovrà essere disponibile ad investire somme con-
sistenti in azioni.
Da questo punto di vista, in contesti in cui il valore dei benefici privati è a l-
to, il meccanismo della maggiorazione del voto dovrebbe ostacolare (o per-
lomeno non facilitare) cambi di controllo inefficienti, poiché il potenziale
acquirente dovrà essere disponibile ad investimenti consistenti (non limitati
alla categoria di azioni con più voti che attribuirebbe il controllo) e dunque
ad un’esposizione alla diminuzione di valore della società (a fronte di scelte
collettivamente svantaggiose) che potrebbe (se non annullare) quanto meno
129 V. L. ZINGALES , Il voto plurimo favorisce “le piramidi” , cit.; K. GEENS – C. CLOT-
TENS , One Share – One Vote , cit., p. 34: « In other words, the question remains whether
loyalty shares do not amount to a disguised measure for the benefit of incumbents, for
whom it will be less of a sacrifice to register their shares and to attend the general mee t-
ing than for retail investors, whose only protection often results from t he fact that they
can freely sell their shares ». Sul fatto che il principale effetto di tale misura « will be to
enrich corporate insiders, such as managers and founding families, at outside sharehold-
ers’ expense »; v. anche V.L. DALLAS – J.M. BARRY , Long-Term Shareholders and Time-
Phased Voting , cit., p. 7 e M. STORCK – T. DE RAVEL D ’ESCLAPON , Faut- il supprimer à
droit de vote double , cit., p. 94.
210
diluire i benefici estraibili privatamente e non condivisibili130.
Ѐ pur vero, tuttavia e come già ricordato , che se l’acquirente decidesse di
mantenere stabilmente l’investimento e il voto maggiorato si rivelasse un
istituto di scarso interesse per una buona parte della base azionaria, la pos-
sibilità di vendere azioni sul mercato pur mantenendo significativi poteri di
voto sembrebbe piuttosto verosimile. E questa prospettiva si rivelerebbe
particolarmente attraente per chi è dedi to alla locupletazione, ossia è in gra-
do di estrarre ricchezze a scapito della collettività.
Ciò che può essere detto a favore di chi riconosce un giudizio positivo verso
le deviazioni dal principio “un’azione, un voto”, è che – prendendo ancora
una volta a prestito le parole di un’autorevolissima dottrina del passato –
«[i]l pericolo di abusi non può mai essere un argomento invincibile per d e-
cidere l’ostracismo di un qualunque istituto giuridico, qualora di questo la
necessità o l’utilità sia dimostrata . […] Il legislatore non può condannare
il nuovo procedimento, solo perché esso, come molti altri non più discussi,
può dar luogo a pochi o molti abusi. L’unica concepibile opera legislativa
sta nell’escludere o nel limitare la possibilità degli abusi »131.
In occasione della presentazione del decreto competitività con cui si sono
legittimate deviazioni in maius dalla regola di proporzionalità il legislatore
– come già ricordato – ha richiamato il ritardo dell’Italia rispetto ad altri
Paesi132. Ebbene, uno sgua rdo comparato è positivo, soprattutto se si inten-
de mutuare istituti o politiche che hanno avuto successo. Ed è anche stimo-
lante, potrebbe sollecitare riflessioni e portare a idee nuove. Se lo si fa, p e-
rò, si richiede completezza e un’indagine esaustiva: l ’argomento comparat i-
stico non è senz’altro e di per sé decisivo.
Quando si citano i Paesi scandinavi bisogna anche considerare il basso v a-
lore dei benefici privati e l’efficiente contesto legale di quei Paesi; quando
si guarda agli Stati Uniti, anche qui il valore dei private benefits è basso e in
più vi è un sistema legale e giudiziario severo ed efficiente, mentre i dubbi
sull’efficienza di quello italiano sono noti133.
130 Tale assunto si può ricavare dall’analisi di S. GROSSMAN – O. HART, One Share – One
Vote, cit., pp. 6 ss. Per una sintesi in italiano si v. G. FERRARINI , «Un’azione – un voto» ,
cit., pp. 30 ss.
131 A. SCIALOJA , Il voto plurimo nelle società per azioni , cit., col. 778.
132 V. la relazione di accompagnamento contenuta nell’Atto del Senato n. 1541, cit., p.
177 ss.
133 Si v., ad es., R. GILSON – A. SCHWARTZ , Constraints on Private Benefits of Control:
211
Per concludere, quanto detto sinora ci svela che non esiste nella letteratura
economica e giuridica un orientamento uniforme: ci sono pro e contro lega-
ti sia alla fedeltà al principio “one share , one vote”, sia alle deviazioni dallo
stesso attraverso i vari strumenti.
Quando ci si accinge a interventi normativi attinenti la corporate governan-
ce è necessario avere a mente un quadro il più possibile esaustivo circa gli
effetti che si possono verificare alle luce delle caratteristiche giuridiche ed
economiche del contesto in cui si interviene, cercando così di trovare un
equilibrio, in base poi a ll’obiettivo di politica legislativa contingente.
6. Considerazioni conclusive
Le considerazioni fatte nel presente capitolo rappresentano dunque il qua-
dro in cui le modifiche legislative del 2014 si inseriscono. Una crisi finan-
ziaria che ha drammaticamente svelato le insidie che si celano dietro la fi-
nanza, la speculazione e i facili guadagni, e un conseguente ripensamento,
per quanto riguarda la governance societaria, dei modelli organizzativi delle
società quotate. Modelli che dovrebbero, almeno nelle intenzioni, incentiv a-
re politiche di investimento di lungo periodo. E il voto maggiorato dovreb-
be andare in questa direzione.
Tutta da verificare risulta, però, l’attitudine delle azioni a voto maggiorato
di modificare la prassi operativa degli investitori istituzionali, basata più sul
“foot voting ” che sull’utilizzo dei poteri di voice.
Merita di essere rammentato, invece, il rischio che del potenziamento del
voto possano beneficiare organismi la cui attività non sempre è ritenuta
Ex Ante Control Mechanisms versus Ex Post Transaction Review , 2012, consultab ile
all’indirizzo: http://ssrn.com/abstra ct=2129502 , p. 21 dove si legge che le corti « are
composed of judges with business experience and the cases they see fall into limit ed and
repetitive patterns. This permits the judges to develop expertise ». Gli autori continuano
poi, a p. 37, citando le parole di due studiosi italiani, G. FERRARINI e P. GIUDICI , af-
fermando che « the problem is not so much the substantive legal rules, as much as it is the
absence of an efficient, experienced court system and, to be sure, corporate law that a l-
lows claims to be brought ».
Lo studio mette a confronto il sistema europeo dove spesso per contenere gli abusi degli
azionisti di controllo si ricorre ex ante a divieti o limitazioni, e il più “liberale” sistema
statunitense, che affronta il problema affidandosi ex post a severe e rapide applicazioni
giurisprudenziali delle regole.
212
commendevole; investitori che già ora, comunque, hanno una forte influen-
za sul management , esercitata mediante contatti riservati para-assembleari o
addirittura in forma aggressiva sui media , più che con l’esercizio di diritti
assembleari.
Realistiche sono anche, però, le considerazioni più critiche che vedono
nell’istituto uno strumento per un ulteriore rafforzamento di chi già detiene
il controllo societario.
In effetti, come emerge dal recente Report della Consob134, finora sono p o-
che le imprese quotate che hanno modificato lo statuto prevedendo le loyal-
ty shares. Sarebbe interessante indagare se lo scarso successo dipenda pro-
prio dalle avversioni degli investitori istituzionali; dalla giovane età
dell’istituto oppure dalla scarsa importanza data allo stesso nel contesto ita-
liano.
A ciò probabilmente deve aggiungersi anche il numero limitato di società
italiane quotate di una certa dimensione, in grado di sobbarcarsi gli oneri
amministrativi che l’istituto della maggiorazione comporta135.
Constatiamo comunque la scelta meritoria del legislatore ma anche – in re-
lazione ad alcuni interrogativi sollevati soprattutto circa i veri interessati
all’istituto della maggiorazione del voto – la possibilità che vi siano intere s-
si sottostanti la disciplina del voto maggiorato meno cristallini.
Anche con riferimento al secondo obiettivo dichiarato nella relazione al de-
creto legge – ossia incentivare la quotazione delle imprese familiari italiane
– non risulta agevole esprimere dei giudizi, almeno relativamente
all’incidenza che sullo stesso potrebbe avere la possibilità di emettere azio-
ni a voto plurimo e azioni a voto maggiorato.
Da un lato si tratta di strumenti che potrebbero aiutare i soci fondatori a
vincere il timore di perdere il controllo a quotazione avvenuta; dall’altro la-
to, però, il merc ato potrebbe non reagire positivamente, accettando di inve-
stire in società con tali assetti proprietari solo a prezzi scontati (e a maggior
ragione se le azioni “ordinarie” destinate a costituire il flottante non avess e-
134 Vedi Report on corporate governance of italian listed companies , cit., p. 4.
135 Costi di gestione, organizzazione, amministrazione dell’elenco speciale in cui sono
iscritti i soggetti che hanno chiesto la maggiorazione del voto (attività cui provvede un
incaricato nominato dal Consiglio di Amministrazione, almeno da quanto emerge dai r e-
golamenti per il voto maggiorato approvati dalle società che hanno recepito l’istituto, ed
agevolmente reperibili sui rispettivi siti internet ).
213
ro dei privilegi patrimoniali).
Per quanto riguarda il contesto italiano, non risulta possibile, ad oggi, fare
delle considerazioni empiriche: il già citato Report della Consob ci dice
che, oltre ai dati relativi al voto maggiorato che abbiamo visto, solo
un’impresa ha previsto l’emissione di multiple voting shares136.
136 Vedi Report on corporate governance of italian listed companies , cit., p. 4. Si tratta,
come detto, della F.I.L.A. S.p.A., la quale chiama queste azioni – all’art. 5 del proprio
statuto – come «“Azioni B”», in linea con l’esperienza statunitense (v. M. VENTORUZZO ,
Un’azione, un voto , cit., pp. 514 ss.).
214
215
CONCLUSIONI
Abbiamo così terminato le riflessioni sul nuovo istituto del voto maggior a-
to, con alcuni doverosi cenni alla fattispecie delle azioni a voto plurimo.
Si è potuto constatare che l’argomento ha suscitato un ampio interesse in
dottrina e ha fatto emergere una varietà di posizioni.
Non sembra che tra gli operatori economici la soluzione del voto maggior a-
to abbia destato particolare interesse, essendo poco più di una ventina le so-
cietà quotate in Borsa che hanno adottato nei propri statuti il nuovo istituto;
addirittura solo una società quotata ha optato per l’emissione di azioni a vo-
to plurimo (prima della quotazione), e quest’ultimo dato fa riflettere sulla
capacità di tale categoria azionaria di incentivare la quotazione in Borsa.
È bene, comunque, essere prudenti ed evitare conclusioni affrettate. Ci sia-
mo ormai abituati ad un legislatore che puntualmente non smentisce la sua
abitudine all’incessante produzione normativa, al punto che il carattere i n-
novativo di un istituto non può essere adeguatamente apprezzato ; e questo
testimonia spesso della mancanza di lungimiranza e di una solida prepar a-
zione culturale nelle materie oggetto di legiferazione, nonché di una produ-
zione normativa condizionata, in modo più o meno trasparente, dalle num e-
rose corporazioni o centri di potere. Con conseguenze inevitabili
nell’attività dell’interprete, obbligato a commentare, col rischio di essere
frettoloso, questa fluviale produzione normativa, spesso carente e bisognosa
di precisazioni.
Ciò nonostante, gli istituti di cui abbiamo dato conto nella presente tesi di
laurea sono relativamente recenti, essendo trascorsi poco più di due anni
dalla loro introduzione. Mancano, dunque, significative evidenze empiriche,
soprattutto giurisprudenziali, e la (non ancora?) ampia diffusione potrebbe
trovare in questa considerazione una giustificazione.
Si consideri poi che il numero delle società quotate in Italia è molto mod e-
sto e il contesto economico attuale in cui, purtroppo, si gioisce e fa notizia
la crescita del PIL di qualche decimale, potrebbe aver attratto l’attenzione
degli azionisti e degli amministratori su altre questioni assai più pregnanti e
strategiche.
Lasciamo alle future ricerche e statistiche, dunque, l’ardua sentenza circa il
successo o l’insuccesso del voto maggiorato e delle azioni a voto plurimo.
Alcuni interrogativi possono, comunque, già essere posti. Sembra esserci,
216
spesso, una particolare attrazione verso i modelli angloamericani, ancora
capaci di affascinare giuri sti ed economisti; in specie si guarda spesso alle
public companies americane, convinti che l’assenza, nel mercato italiano, di
analoghi colossi industriali quotati e con un azionariato diffuso sia un defi-
cit da colmare. Anche sulla scorta di queste considerazioni sono maturate le
riflessioni sul voto maggiorato e le azioni a voto plurimo.
Ma così facendo si rischia di non porre un’adeguata attenzione sulle enormi
diversità culturali, geografiche, demografiche del nostro Paese, nonché sulle
nostre speciali peculiarità. L’Italia è conosciuta in tutto il mondo per
l’elevato numero di piccole-medie imprese, frutto dell’operosità e
dell’intraprendenza di imprenditori e artigiani; che sia un punto di forza o di
debolezza non è facile a dirsi, sta di fatto, però, che l’Italia è tra i Paesi più
sviluppati al mondo nonostante i mille difetti che costantemente vanno ripe-
tendosi e che sembra impossibile debellare: la burocrazia asfissiante, la cor-
ruzione, un debito pubblico enorme, l’elevata tassazione, l’evasione, un
economia sommersa dalle cifre spaventose.
L’importante , al di là delle varie sensibilità, è non cedere all’illusione se-
condo cui un mercato finanziario più consistente sarebbe di per sé garanzia
di una maggiore crescita economica.
La quotazione in Borsa di una società può certamente ampliare i canali di
finanziamento, ma la competitività di un’impresa non dipende solo dai d a-
nari a disposizione. Essi possono aiutare la realizzazione di progetti innov a-
tivi, ma la nascita di questi ultimi dipende da nuove idee; e le nuove idee ri-
chiedono un sistema complessivo costruito sull’innovazione che stimoli un
collegamento costante tra imprese e centri di ricerca.
Si è notato, nel corso del presente lavoro, come il legislatore italiano si sia
allineato alle riflessioni maturate in sede comunitaria circa l’importanza di
coinvolgere gli investitori in una partecipazione assembleare attiva.
Si è altresì anticipata la prassi operativa degli investitori istituzionali,
tutt’altro che interessati alla gestione societaria, almeno per ora.
Le condizioni affinché gli attuali azionisti di riferimento rafforzino ult e-
riormente il loro potere sono ben evidenti, dunque, anche considerando
l’inevitabile scarso interesse dei piccoli azionisti, ancora chiamati in Italia
“parco bui”.
Sui siti internet delle società che hanno adottato il voto maggiorato si può
agevolmente constatare che l’istituto in esame ha riscosso successo tra gli
azionisti di maggioranza (quelli che sono risultati determinanti nel recep i-
217
mento statutario dell’istituto, ma anche quelli che non richiedono di essere
“fidelizzati” ); la scommessa è incentivare chi gestisce partecipazioni infe-
riori a fare altrettanto, ma potrebbe non essere così semplice in presenza di
strutture proprietarie concentrate.
Poco avrebbe potuto serv ire circoscrivere l’operatività del voto maggiorato
a soci detentori di aliquote di capitale ridotte: ne sarebbe derivato un com-
pleto fallimento e l’esperienza del dividendo maggiorato docet. Le assem-
blee delle s.p.a. funzionano secondo il principo maggior itario , per cui il
successo di uno strumento giuridico dipende dall’appezzamento di chi ha in
quelle assemblee un peso significativo.
Sembra comunque evidente che il legislatore, nel concepire lo strumento
del voto maggi orato, abbia inteso incentivare poli tiche di investimento di
lungo termine da parte di determinati soggetti, gli investitori istituzionali;
figure professionali che esprimono esponenzialmente i singoli risparmiatori.
L’impressione è che l’istituto del voto maggiorato possa sì rappresentare
una novità importante, ma solamente se il mercato dei capitali italiani saprà
evolversi verso un maggior attivismo degli investitori istituzionali e verso
un controllo societario maggiormente contendibile: ad oggi sembrerebbe
solo uno strumento per irrobustire ancor di più i soci di controllo, e dunque
quel capitalismo relazionale puntellato da patti parasociali che ancora carat-
terizza le grandi s.p.a. italiane.
Se, poi, si voleva incentivare la partecipazione assembleare si sarebbe d o-
vuto ricorrere, forse, ad altri espedienti, quali i gettoni di presenza o altre
forme premiali, anziché consentire di raddoppiare il “peso” in assemblea:
peso che continuerà ad essere basso per chi ha partecipazione irrisorie, e
continuerà ad essere alto per chi controlla la società. Società che, probabi l-
mente, continuerà ad essere governata da scelte assunte al di fuori
dell’assemblea e nella quale ci si limiterà a divulgarle ritualmente mediante
mere formalità.
Laddove invece il mercato dei capitali diventasse più evoluto, a diventare
determinanti potrebbero essere non tanto gli azionisti “fedeli” , quanto il
mercato, dunque i fondi che ne dominano lo spazio e i proxy advisors . Que-
sti ultimi, in particolare, influenzano soprattutto le scelte di voto degli inve-
stitori istituzionali con un portafoglio molto diversificato, e dunque incapaci
di svolgere un ruolo attivo nelle società in cui investono, dati i costi info r-
mativi molto alti.
Probabilmente la stabilità degli investimenti si sarebbe potuta incentivare
218
con maggiore incisività ricorrendo agli strumenti fiscali, riducendo le impo-
ste sulle partecipa zioni azionarie immobilizzate o inasprendo la tassazione
sulle transazioni di azioni possedute per brevi periodi (le transazioni infr a-
giornaliere e ad altissima frequenza), anche se – bisogna essere realisti –
quest’ultima strada in particolare sarebbe stata di dubbia praticabilità.
L’efficacia di una tale misura dipenderebbe da un intervento coordinato a
livello sovranazionale, altrimenti si creerebbe il solo effetto di rendere me-
no competitivo il Paese che decidesse di adottare simili misure. Inoltre le ri-
trosie degli operatori dei mercati finanziari, i veri centri di potere nei cui
confronti il legislatore risulta spesso impotente, renderebbero di difficile
promulgazione norme che ostacolano la libera circolazione degli strumenti
finanziari. Rimangono poi considerazioni di merito – non approfondite in
questa sede – sull’utilità ed effic acia di misure fiscali siffatte, le quali – se-
condo alcuni – danneggerebbero il normale funzionamento del mercato.
Altri accorgimenti tecnici sembrerebbero possibili, come ha rilevato il pre-
sidente della Consob nel discorso in occasione dell’incontro annuale con la
comunità finanziaria del 2016, ma la loro implementazione incontra v i-
schiosità che puntualmente ne rinviano l’entrata in vigore o ne riducono
l’efficacia. E poiché il legislatore non può rimanere indifferente alle varie
sensibilità e interessi, legiferare diventa “l’arte del possibile”.
Venendo a considerazioni più squisitamente giuridiche, ciò che ci ha colpito
è stata indubbiamente la fortissima somiglianza della disciplina del voto
maggiorato con quella delle actions à droit de vote double contemplata
nell’ordinamento francese.
La tecnica normativa usata non è apparsa, fortunatamente, troppo biasim e-
vole; siamo ben lontani dal linguaggio criptico e incomprensibilmente ge r-
gale e arabesco sovente usato in altri settori del diritto. Tuttavia delle lacune
e imprecisioni sembrano esserci, alcune fisiologiche e destinate ad essere
colmate dall’interprete; altre, invece, avrebbero potuto essere evitate.
Gli interventi normativi spesso “chirurgici” e frettolosi, cioè non inquadrati
in una chiara visione d’insieme, rischiano di presentare macroscopici difetti
di coordinamento, come la dottrina non si stanca di ripetere. Tuttavia, la di-
sciplina del voto maggiorato sembra esser e accurata, essendosi trovato un
coordinamento con i principali istituti contemplati nel TUF e interessati dal-
la novità normativa.
Rimangono alcune questioni su cui sono emerse varie posizioni. Ad esem-
pio non è pacifico se il voto maggiorato sia un istitut o esclusivo delle socie-
219
tà quotate o se possa essere utilizzato anche nelle non quotate. Nessun dub-
bio sul fatto che sia stato pensato per le società con titoli quotati, vista an-
che la collocazione dell’istituto in esame nel TUF, ma l’ampia autonomia
statut aria che caratterizza le non quotate potrebbe legittimare una sostanzi a-
le applicazione del voto maggiorato anche in queste ultime.
Sembra inoltre chiaro che le loyalty shares non siano state pensate per le
società cooperative, tuttavia una precisazione al riguardo sarebbe stata op-
portuna.
Una scelta normativa maggiormente precettiva avrebbe evitato le discussio-
ni sull’ammissibilità o meno di una categoria di azioni ad hoc avente come
tratto saliente la possibilità di maggiorare il diritto di voto. In questa sede si
è manifestata la preferenza per una lettura “totalizzante”: una volta introdo t-
to il voto maggiorato nello statuto, esso potrà essere conseguito da chiunque
sia titolare di azioni con diritto di voto e sia in grado di soddisfare i requisiti
prescri tti.
La soluzione interpretativa proposta e già anticipata da parte della dottrina
non trova consensi unanimi, ma è stata condivisa da tutte le prime applic a-
zioni statutarie.
Anche per quanto riguarda gli aspetti legati al recesso sarebbe stata auspi-
cabile qualche puntualizzazione in più: prescindendo dall’esclusione di tale
diritto al socio che non condivida l’inserimento del voto maggiorato – scelta
di politica legislativa che si può condividere oppure no a seconda delle v a-
rie sensibilità – , non è stata minimamente presa in considerazione l’ipotesi
inversa dell’esclusione della clausola. La delicatezza del tema, come è ov-
vio che sia visti i diversi interessi che l’istituto del recesso è chiamato a b i-
lanciare, avrebbe dovuto suggerire una presa di posizione netta del legisl a-
tore. Si è notato, infatti, come – conseguentemente – alcune previsioni sta-
tutarie siano parse piuttosto vaghe e imprecise, escludendo il diritto di r e-
cesso, in occasione di modifiche migliorative o peggiorative della disciplina
della maggiorazione del voto, « nella massima misura consentita dalla leg-
ge».
Il requisito dell’appartenenza continuativa delle azioni non poteva non
schiudere alcuni interrogativi, sollecitati da un’oscillazione tra un approccio
sostanzialista, che vorrebbe il mantenimento del voto maggiorato in occa-
sione di mutamenti meramente formali della titolarità delle azioni (azioni
dunque che continuerebbero ad essere riconducibili al medesimo soggetto);
e un approccio rigidamente formale, che condurrebbe alla perdita del b ene-
220
ficio del voto maggiorato ogniqualvolta si verifichi un cambiamento di tito-
larità.
È parsa particolarmente stimolante la lettura di alcune clausole statutarie
che hanno avuto il merito di regolamentare vicende giuridiche, anche fre-
quenti come il trust, non espressamente previste dal legislatore e dunque
non di immediata intelligibilità.
Ribadiamo, comunque, che i dati empirici sono ancora troppo esigui, non
essendo, l’istituto in esame, sufficientemente diffuso e mancando pronunce
giurisprudenziali al riguardo.
Abbiamo visto come il voto maggiorato segua, di qualche anno,
l’introduzione del dividendo maggiorato; istituto, quest’ultimo, che non ha
destato il benché minimo interesse degli operatori economici, complice for-
se una formulazione normativa troppo complessa e selettiva circa i poten-
ziali interessati.
Si constata comunque come, in un lasso temporale relativamente breve, il
legislatore abbia introdotto nell’ordinamento delle s.p.a. elementi di natura
personalistica, tradizionalmente considerati estranei a questo tipo societario;
vi sono dunque dei diritti che non dipendono esclusivamente dalle caratter i-
stiche dell’azione, ma ai quali concorrono anche le caratteristiche dello
stesso azionista; elementi che, preme precisarlo, non attribuiscono diritti ad
personam , ma sono concepiti in forma oggettiva. Nonostante ciò rappresen-
tano comunque delle novità interessanti, pur senza sovvertire, a nostro mo-
do di vedere, il sistema delle società azionarie: legislatore e interprete non
devono solo custodire la tradizione, ma anche proporsi come garanti di
un’innovazione, come insegnava Ascarelli.
Emerge chiaramente una spiccata attenzione del legislatore verso la stabilità
dell’investimento e la fidelizzazione degli azionisti: può forse ritenersi pre-
matura la nascita di una categoria di azionisti vera e propria, ma indubbi a-
mente la stabilità dell’investimento è positivamente apprezzata dal legisl a-
tore e potrebbe assurgere a canone interpretativo per la soluzione di quesiti
giuridici non riguardanti direttamente gli istituti del voto e del dividendo
maggiorato.
Rimane a questo punto da chiedersi se, in seguito alle novità introdotte con
il decreto competitività, il principio capitalistico che lega il potere al rischio
sia ancora un «canone fondamentalissimo »137 nelle s.p.a.
137 F. D’A LESSANDRO , Aumento di capitale, categorie di azioni e assemblee speciali ,
221
Già prima del 2014 non vi era certo una sua applicazione rigorosa, in parti-
colare considerando la possibilità di emettere azioni totalmente prive del d i-
ritto di voto. Tuttavia, il divieto di emettere tali azioni in misura superiore
alla metà del capita le sociale consentiva di apprezzare la volontà legislativa
di mantenere una certa operatività del suddetto principio, impedendo
all’autonomia statutaria di allontanarsene in misura eccessiva.
Con il voto maggiorato, e ancor più con le azioni a voto plurimo, il legisl a-
tore ha assestato un colpo non indifferente alla solidità del binomio rischio-
potere.
Certo, sono presenti dati normativi che inducono a ritenere non totalmente
obliterata tale correlazione: il voto maggiorato consente al massimo di rad-
doppiare i voti rispetto alle azioni detenute; le azioni a voto plurimo non
possono attribuire più di tre voti cadauna; voto maggiorato e azioni a voto
plurimo non sono cumulabili. Tuttavia una combinazione tra azioni prive
del diritto di voto e azioni a voto plurimo sembrerebbe legittimare il con-
trollo di una s.p.a. detenendo poco più del 12% delle azioni. È una frazione
di investimento sufficiente per ritenere ancora sussistente una correlazione
tra rischio e potere?
La ricchezza investita sembra essere ancora un criterio di legittimazione del
potere interno alle società di capitali, ma non è sicuramente il criterio esclu-
sivo.
Il mercato dei capitali e la finanza stanno assumendo una forza sempre più
decisiva, al punto che i decision makers dei vari livelli sono costretti ad in-
seguire le loro evoluzioni proponendo strumenti giuridici che ne assecond a-
no le dinamiche, o escogitando espedienti normativi che pongano un freno
alle loro perversioni.
Al di là dei calcoli squisitamente matematici e giuridici, il legislato re del
2014 sembra aver compiuto valutazioni sicuramente più incisive rispetto a
quelle maturate in sede di introduzione delle azioni di risparmio e delle
azioni prive del diritto di voto. In quest’ultima sede il movente decisivo fu
l’individuazione di strumenti giuridici che soddisfacessero le esigenze dei
soci “risparmiatori”; con le recenti novità normative, invece, il legislatore
ha direttamente voluto incidere sul binomio rischio -potere, individuando
strumenti giuridici apprezzati, questa volta, dai soci “imprenditori”.
In altri Paesi – in particolare la Svezia (v. Cap. 4, sec. 5 [Differences in vo-
Giur. Comm , I, 1990, p. 582.
222
ting rights ], Swedish Companies act) e gli Stati Uniti – il peso che
un’azione a voto plurimo può avere rispetto ad una ordinaria può essere
particolarmente pronunciato, mentre il legislatore italiano ha deciso di con-
tenere il numero di voti massimo esprimibile da ciascuna azione ad un mas-
simo di tre per le azioni a voto plurimo e di due in caso di operatività del
voto maggiorato. Questo testimonia dell’intenzi one di non volere e, forse,
non potere sgretolare completamente il principio capitalistico, ma di mant e-
nerne una (attenuata) vigenza.
Il potere gestorio trova ancora giustificazione nell’ammontare del rischio
assunto; criterio, quest’ultimo, difficilmente sostituibile nelle società di ca-
pitali. Tuttavia non risulta essere l’unica giustificazione: a rilevare, oggi,
sembra esserci anche la “storia” dell’azionista. Non sarebbero solo i danari
investiti a legittimare il potere gestorio, ma anche le qualità e le conoscenze
personali.
Con particolare riferi mento al voto maggiorato, la sensazione è che il bino-
mio rischio-potere, almeno in astratto, non sia più di tanto scalfito: la poss i-
bilità di raddoppiare il diritto di voto è semplicemente un espediente norm a-
tivo volto a frenare un fallimento del mercato; espediente che il legislatore
ha provato ad adottare dopo l’insuccesso del dividendo maggiorato e la
conclamata difficoltà di fare uso degli strumenti del diritto tributario.
Un principio secolare quale è quello della correlazione tra potere e rischio
non può certo ritenersi totalmente obliterato, per di più ad opera di un legi-
slatore nell’affannosa ricerca di cucire in fretta leggi che aiutino una ripresa
economica che ancora non c’è.
Sembra certo, però, che le dinamiche economiche hanno presentato istanze
e criticità cui i policy makers devono dare delle risposte, anche coraggiose.
La soppressione del divieto di azioni a voto plurimo e un particolare e p a-
ventato esito dell’applicazione dell’istituto del voto maggiorato (rafforz a-
mento del socio di controllo conseguente ad un disinteresse diffuso ad inve-
stimenti stabili e ad un maggior attivismo assembleare) possono condurre a
gestioni societarie sorrette da limitati investimenti, e questo apre le porte a
possib ili abusi. Abusi che, agli occhi del legislatore, presumibilmente, d o-
vrebbero essere evitati da un’attenta attività di vigilanza delle Autorità
competenti, da obblighi di trasparenza e, soprattutto, dal mercato, il quale
dovrebbe saper sanzionare una gestione societaria opportunistica da parte
del gruppo di comando. Che il potere sia ampiamente nelle mani del merc a-
to è testimoniato anche dalla diffusa prassi delle s.p.a. quotate di dotarsi di
223
codici e standard etici con cui nobilitarsi e accreditarsi presso gli investito-
ri. Potrebbero essere proprio questi standard – assieme al ruolo delle Auto-
rità di controllo – ad assumere un ruolo protettivo degli investitori, in un
epoca in cui la centralità dell’assembl ea nelle s.p.a. quotate sembra essersi
ridimensiona ta, complice l’apertura dell’azionariato a soci “investitori ” di-
sinteressati alle attività assembleari.
Dare più potere agli azionisti di lungo termine sembrerebbe quasi, da questo
punto di vista, un’iniziativa antistorica; oppure l’avanguardia di inediti sce-
nari, il cui verificarsi dipenderà dalle reazioni che avranno gli investitori
professionali e, forse, dalla disponibilità delle famiglie di controllo di cede-
re parte delle proprie partecipazioni. Circostanza, quest’ultima, che, anche
se si dovesse verif icare, non dovrebbe comportare rischi di overhang (cioè
che grossi quantitativi di azioni possano finire sul mercato, incidendo neg a-
tivamente sui prezzi), posto che a vendere azioni sul mercato sarebbero pur
sempre soggetti interessati a rimanere controllo ri della società, e dunque a t-
tenti a non creare scompensi eccessivi sull’andamento dei titoli. Ѐ probab i-
le, semmai, che le cessioni sul mercato siano limitate a percentuali ristrette
del pacchetto azionario posseduto.
In un contesto siffatto, dunque, che comprende anche – sempre per mano
del legislatore del 2014 – la riduzione del capitale minimo per costituire una
s.p.a., strumento imprescindibile di garanzia in un modello societario in cui
la responsabilità dei soci è limitata, assumono un’importanza vitale (forse
anche superiore al binomio potere-rischio) altri aspetti, quali
l’organizzazione corporativa e segnatamente l’organo di controllo, il con-
trollo esterno del notaio; mentre nelle s.p.a. quotate – come detto – fond a-
mentale sarà anche il ruolo delle Autorità di controllo e del mercato, nonché
l’allineamento alle best practice nazionali e internazionali, purché non si
tratti di verbose e sterili giaculatorie.
La protezione delle minoranze è questione cruciale, sia perché il risparmio è
ampiamente investito nel capitale delle grandi imprese (e si vorrebbero d i-
mensioni ancor più elevate, portando un numero maggiore di s.p.a. a qu o-
tarsi); sia perché la libertà contrattuale ha raggiunto spazi di manovra molto
ampi, sottraendoli alle norme imperative. Ma nel momento in cui il mercato
finanziario diventa un “luogo” accessibile a chiunque, pretendere che ogni
investitore diventi più propositivo potrebbe rivelarsi un’illusione e gli stru-
menti di eterotutela (ancor più di quelli endosocietari come il diritto di vo-
to) diventano più che mai necessari.
224
Tuttavia gli interessi della collettività (degli investitori) non possono con-
durre ad un’amministrativizzazione del diritto societario: il rischio è che si
creino (anche involontariamente) strumenti facilmente plasmab ili a fini po-
co commendevoli e utilizzabili con ampia libertà statutaria, per poi dover
intervenire con lacci e lacciuoli di vario genere per contener e gli effetti pe r-
versi, in una spirale di corsi e ricorsi.
L’equilibrio tra obiettivi dell’impresa (e dunque del gruppo di comando) e
della collettività (degli investitori) – non sempre coincidenti – è di difficile
individua zione.
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COMITATO TRIVENETO DEI NOTAI , massima H.I.5, Legittimità delle claus o-
le di gradimento o di intrasferibilità.
COMITATO TRIVENETO DEI NOTAI , massima L.A.15, Applicabilità delle
norme dettate in materia di trasferimento di immobili alle fusioni o scis-
sioni di società.
COMITATO TRIVENETO DEI NOTAI , massima L.A.21, Ammissibilità della fu-
sione “propria” a favore di una società di persone di nuova costituzione
con unico socio.
CONSIGLIO NOTARILE DEI DISTRETTI RIUNITI DI FIRENZE , PISTOIA E PRATO ,
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narie a seguito di trasferimento .
CONSIGLIO NOTARILE DEI DISTRETTI RIUNITI DI FIRENZE , PISTOIA E PRATO ,
massima 13/2010, Clausole limitative della circolazione delle azioni.
CONSIGLIO NOTARILE DEI DISTRETTI RIUNITI DI FIRENZE , PISTOIA E PRATO ,
massima 48/2014, Categorie di azioni a voto plurimo fidelizzanti.
CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO , massima n. 144, Azioni a voto “diverso”
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Statuti.
Statuto di AMPLIFON S.p.A., reperibile in: http://corporate.amplifon.com .
Statuto di ASTALDI S.p.A., reperibile in: www.astaldi.it .
Statuto di CLASS EDITORI S.P.A., reperibile in www.classeditori.it.
Statuto di COFIDE S.p.A., reperibile in: www.cofide.it .
248
Statuto di Conafi S.p.A., reperibile in: www.conafi.it .
Statuto di Davide Campari-Milano S.p.A., reperibile in: www.camparigro
up.com.
Statuto di DEA CAPITAL S.P.A., reperibile in: www.deacapital.it .
Statuto di EXPRIVIA S.P.A., reperibile in: www.exprivia.it .
Statuto di Fiat Chrysler Automobiles N.V., reperibile in: www.fcagro
up.com.
Statuto di F.I.L.A. S.p.A., reperibile in: www.fila.it .
Statuto di HERA S.p.A., reperibile in: www.gruppohera.it .
Statuto di Intek Group S.p.A., reperibile in: www.itkgroup.it .
Statuto di LANDI RENZO S.P.A., reperibile in: www.landi.it .
Statuto di MAIRE TECNIMONT S.P.A., reperibile in: www.mairetecnimo
nt.com.
Statuto di NICE S.p.A., reperibile in: www.niceforyou.com .
Statuto di Openjobmetis S.p.A., reperibile in: www.openjobmetis.it .
Statuto di POLIGRAFICA S. FAUSTINO S.P.A., reperibile in: www.psf.it .
Statuto di SEAS GETTERS S.p.A., reperibile in: www.saesgetters.com .
Statuto di TECHNOGYM S.P.A., reperibile in: www.technogym.com .
Statuto di TerniEnergia S.p.A., reperibile in: www.ternienergia.com .
Statuto di ZIGNAGO VETRO Spa., reperibile in: www.zignagovetro.com .
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Acest articol: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E CRITICA DEL DIRITTO DIPARTIMENTO DI DIRITTO PUBBLICO , INTERNAZIONALE E… [615071] (ID: 615071)
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