Tesi 1 Muntean Ioan Sorin [623462]
RUOLO DEL COORDINATORE
INFERMIERISTICO NELL'
ORGANIZZAZIONE D EL LAVORO
PER COMBATTERE, PREVENIRE
LA SINDROME BURNOUT NELLE
STRUTTURE SANITARIE
Muntean Ioan Sorin
INDICE
-Introduzione
-CAPITOLO PRIMO:
Il Coordinatore Infermieristico
-1.1 La figura del Coordinatore Infermieristico
-1.2 Responsabilità e doveri del coordinatore
-CAPITOLO SECONDO
Infermiere vittima dello stress lavoro-correlato
-2.1 Definizione di Stress
-2.2 Stress lavoro-correlato
-2.3 Infermieri e Stress lavoro-correlato
-2.4 Cosa comporta lo stress lavoro-correlato?
-2.5 Tecniche di prevenzione allo stress lavoro-correlato e ai danni emotivi
-CAPITOLO TERZO:
Il Burnout
-3.1 Definizione del termine burnout
-3.2 Predisposizione psicologica al burnout
-3.3 Burnout e ambiente lavorativo
-3.4 La differenza tra stress e burnout
-3.5 Reazione dell’operatore al burnout
-3.6 Burnout malattia professionale: normative a supporto del lavoratore
-CAPITOLO QUARTO:
Coordinatore infermieristico e Burnout
-4.1 Responsabilità del coordinatore nella diagnosi di burnout
– 4.2 Ruolo e funzioni dell coordinatore infermieristico nella revenzione dello
stress.
– Conclusioni
– Bibliografia e Sitografia
INTRODUZIONE
“Se riusciamo a incontrarci, non solo nella nostra capacità professionale, ma anche con la nostra
comune e vulnerabile umanità, da parte nostra potrebbe non esserci più bisogno di parole, ma solo
di rispetto e di ascolto partecipe…”1
L’infermiere “riconosce la salute come bene fondamentale della persone e interesse della collettività
e si impegna con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione.”2
I concetti di salute e malattia, diffusi nelle varie culture e interazioni sociali, hanno subito un
profondo cambiamento con il passare degli anni. La salute e la promozione di essa sono l’obiettivo
principale dell’assistenza infermieristica dove per salute non si intende solo un’assenza di malattia
ma un completo stato di benessere fisico, psichico e sociale. La Costituzione della Repubblica
Italiana, attraverso l’articolo 32, tutela il diritto alla salute.
La domanda da porsi però è la seguente: Premesso che l’infermiere ha cura del prossimo, chi ha
cura dell’infermiere? Chi avrà cura del suo profilo emotivo e psicologico?
Diversi studi internazionali hanno dimostrato l’importanza della prevenzione e/o gestione dello
stress lavoro-correlato.
In questo elaborato verrà descritta una delle malattie lavoro-correlato più diffuse ma scarsamente
diagnosticate e trattate, in quanto caratterizzata da sintomatologia atipica spesso confusa e
sorvolata: il Bournout, considerato un rischio occupazionale, frequente anzitutto nelle professioni in
rapporto con la gente quali le professioni Sanitarie. Inoltre analizzeremo e spiegheremo il ruolo del
Coordinatore Infermieristico, figura di fondamentale importanza nel riconoscimento di tale
patologia, ma non solo, anche come persona specializzata per ricercare, mantenere e promuovere il
benessere dell’infermiere.
1Come scrisse Saunders (2004)
2 Articolo 6 del Codice Deontologico dell’Infermiere, 2009
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Capitolo 1
CORDINATORE INFIERMIERISTICO
1.1LA FIGURA DEL COORDINATORE INFERMIERISTICO
L'evoluzione delle organizzazioni sanitarie verso sistemi di intervento socio assistenziali
caratterizzati da una certa complessità operativa,attraverso anche la partecipazione multi
professionale dei diversi operatori ,ha comportato la necessità di potenziare le funzioni di
coordinamento delle risorse umane per razionalizzare le fasi di intervento e assicurare al cittadino
utente una risposta ai bisogni emergenti con maggiore efficacia.
Progressivo invecchiamento della popolazione rende sempre più necessarie una molteplicità di
interventi professionali ,sempre più integrati .
Oggi le organizzazioni complesse, quali sono le aziende sanitarie, richiedono figure manageriali
preparate a tradurre in modo intelligente le decisioni della direzione di massimo livello, conseguenti
alle scelte di politica sanitaria, realizzando un decentramento delle responsabilità che consente un
funzionamento del sistema basato sulle capacità .
Le funzioni di coordinamento possono assumere un'importante funzione di valorizzazione delle
risorse umane immediatamente coinvolte nei processi assistenziali ,ciò in ragione soprattutto delle
risorse umane addette all'assistenza,caratterizzate da una professionalità in senso
allargato,comprensiva quindi non solo delle capacità tecniche in senso stretto,ma anche degli aspetti
riferiti alla capacità di interazione con l'utenza e di collaborazione nell'ambito di un sistema
organizzato . Le figure di coordinamento dovranno sviluppare capacità non solo di tipo tecnico
assistenziale ma anche doti di comunicazione,motivazione e capacità di far partecipare gli operatori
ai processi decisionali.
Il coordinatore infermieristico è la figura professionale che nella vita di reparto fa da collante tra
quelle che sono le esigenze aziendali e i bisogni di salute dei pazienti e per far ciò che questo
accade deve prendersi cura della situazione emotiva, psicologica e fisica dei dipendenti.
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Nelle sue scelte di management infatti il coordinatore infermieristico deve tener conto dei mezzi sia
tecnici che soprattutto del numero e della qualità delle sue risorse umane.
Essere coordinatori oggi significa assumere un ruolo manageriale, caratterizzato da funzioni
organizzative, gestionali formative dell'assistenza nell'ambito e infermieristica. Al coordinatore
viene chiesto di esercitare il proprio ruolo con autorevolezza, autonomia, credibilità ed efficacia.
Soggetti della sua professionalità sono le persone siano esse professionisti, operatori o utenti del
servizio sanitario: il caposala oggi ha lasciato l'assistenza diretta ma continua ad operare su di essa
creandone le condizioni attraverso l'applicazione del processo direzionale che prevede la
pianificazione, l'organizzazione, la formazione, la direzione e il controllo.
Al coordinatore oggi è richiesto di essere un manager, un leader e di svolgere un ruolo di
rappresentanza per tutto quello che accade nell'unità operativa o di servizio a cui è preposto:
rappresenta l'organizzazione e la cultura esistente a livello infermieristico. Egli si occupa della
soluzione dei problemi, che costituiscono il suo principale campo d'azione, nonché
dell'individuazione delle opportunità di sviluppo.
La presa di decisioni è la sua attività più frequente e tale aspetto richiede al coordinatore particolari
conoscenze e abilità come la capacità di negoziare, la comprensione dei bisogni delle persone, la
capacità di delegare, di promuovere e sostenere processi collaborativi e partecipativi motivando il
personale.
La professionalità del coordinatore deve riflettersi anche nella capacità di esercitare una funzione
complessa con competenza, responsabilità, disponibilità permanente all'aggiornamento e alla ricerca
e richiede anche adesione intima all'etica professionale e identificazione nel gruppo di
appartenenza.
La funzione del coordinatore oggi non è da scoprire o da inventare ma solo da riconoscere. Egli
non è altro che l'espressione, sia reale che giuridica, dell'autonomia del ruolo infermieristico nei
confronti delle persone che, nello stesso ambito,esercitano altri ruoli professionali.
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1.2 Responsabilità e doveri del coordinatore
La figura del coordinatore, che riveste un ruolo critico all'interno delle nuove organizzazioni
sanitarie e che avrebbe dovuto assumere il difficile compito di sostenere la trasformazione della
figura infermieristica, oltre a non avere un sufficiente ed adeguato riconoscimento contrattuale
(almeno fino al nuovo CCNL 2002-2005), ha anche subito le conseguenze di una fase di stallo nella
formazione che è durata quasi dieci anni dal 1994 (chiusura dei corsi per caposala) al 2002
attivazione dei master in management infermieristico per il coordinamento
Nel 2001 la federazione IPASVI ha elaborato un documento, contenente le linee guida per il master
di primo livello in management infermieristico per le funzioni di coordinamento,proponendo una
struttura metodologica per la progettazione di un curriculum per le funzioni di coordinamento,
orientato dai problemi prioritari della qualità dei servizi. Nel documento viene definito chi é il
coordinatore infermieristico: “L’infermiere con funzioni di coordinamento è un professionista che
ha conseguito il master in management infermieristico per le funzioni di coordinamento ed ha
acquisito competenze specifiche nell’area organizzativa e gestionale di primo livello, allo scopo di
attuare politiche di programmazione sanitaria, interventi volti al miglioramento continuo della
qualità in riferimento alle risorse strutturali, tecnologiche ed umane dell’ambito del servizio
coordinato per garantire gli obiettivi del sistema organizzativo sanitario”.
In particolare, in riferimento alla strutturazione del master viene evidenziato che lo stesso é
finalizzato allo sviluppo di cinque aree di competenza:
Gestire persone e relazioni:
• Definire la missione la visione del servizio coordinato in coerenza con quelli dell'Azienda
• Promuovere identità e senso di appartenenza al Servizio" coordinato e all'Azienda
•Valorizzare attitudini,competenze, impegno e risultati
• Coinvolgere i collaboratori nella costruzione dei progetti
• Gestire un sistema premiante orientato alla qualità esplicitandone i criteri
• Preparare e condurre riunioni e gruppi di lavoro
• Promuovere e pianificare la formazione permanente orientata alla qualità
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• Gestire direttamente momenti formativi specifici
• Gestire relazioni interpersonali e conflitti, negoziare, presidiare il clima
• Costruire e mantenere una rete di relazioni esterne al Servizio coordinato
• Promuovere e sviluppatore processi di valutazione tra pari
• Gestire quanti/ qualitativamente la dotazione organica
• Promuovere lo sviluppo professionale e di carriera dei collaboratori
• Collaborare con i dirigenti infermieristici per sviluppare linee strategiche aziendali
• Attribuire compiti, responsabilità, poteri e risorse valutando attitudini,competenze e motivazione.
Gestire il budget:
• Identificare i centri di responsabilità e di costo
• Identificare tipologia e costi delle risorse strumentali e ambientali nel Servizio coordinato
• Verificare le risorse disponibili
• Utilizzare le risorse applicando criteri di costo/efficacia
• Valutare la congruità delle risorse In rapporto ai risultati conseguiti
• Collaborare alla definizione degli obiettivi di budget con criteri di qualità coerenti con il piano
strategico
• Collaborare alla Negoziazione del budget del servizio coordinato
• Monitorare processi e risultati
Gestire informazioni e comunicare
• Rendere omogenei e comprensibili a tutti il linguaggio e i modelli di analisi dell'organizzazione
utilizzati nel Servizio coordinato
• Diffondere visione e missione del servizio coordinato garantendone la coerenza con quelli
aziendali
• Impostare il sistema informativo del servizio coordinato garantendone la coerenza con quello
aziendale e orientandolo alle finalità di ruolo e al Miglioramento Continuo di Qualità (MCQ)
• Analizzare e interpretare la domanda relativa al servizio coordinato
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• Valutare e utilizzare informazioni finalizzate alla gestione organizzativa e tecnica del Servizio
coordinato
• Identificare e proporre soluzioni ai problemi organizzativi del servizio coordinato
• Identificare definire il ruolo degli interlocutori del servizio coordinato (esterni ed interni
all'Azienda) in base agli obiettivi di salute della comunità a alla missione.
• Verificare i processi di comunicazione tra servizio coordinato e i propri interlocutori
• Collaborare alla costruzione della carta dei servizi del servizio coordinato curandone
l'aggiornamento e la pubblicizzazione
• Condurre strategie di comunicazione appropriate agli obiettivi e agli interlocutori
• Impostare e gestire un sistema di supporto per l'accesso all'informazione tecnico-scientifica
Gestire processi, progetti e valutazioni
• Individuare e selezionare problemi in base a criteri di buona qualità
• Identificare la domanda, gli output, gli out comes del servizio coordinato
• Selezionare le priorità tra problemi utilizzando tecniche di comparazione costo/risultato
• Formulare progetti operativi rispondenti a criteri di buona qualità di tutte le componenti
Individuare risorse disponibili o rinegoziabili nel contesto
• Identificare tra quelle disponibili o negoziabili nel contesto, le tecnologie appropriate per la
soluzione di problemi pertinenti al mandato
• Organizzare i processi tecnici e gestionali attraverso la definizione e la diffusione di linee guida di
buona qualità
• Definire ed esplicitare criteri, indicatori e standard di riferimento e livelli soglia accettabili
• Effettuare valutazioni di struttura, di processo e di risultato utilizzando criteri espliciti
• Identificare i bisogni formativi propri e dei propri collaboratori
• Progettare e valutare percorsi formativi
• Valutare l'impatto delle attività formative promosse/realizzate
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Gestire la ricerca:
• Progettare attività di ricerca
• Individuare i campi di ricerca pertinenti alle finalità del servizio coordinato;
• Gestire le procedure di consultazione di agenzie che finanziano attività di ricerca;
• Impostare e gestire una funzione di supporto per la consulenza tecnico-scientifica;
• Promuovere l'ingresso del servizio coordinato in reti di ricerca; individuare canali di
pubblicazione delle ricerche effettuate.
Ogni coordinatore al termine del suo percorso di studi farà tesoro delle conoscenze apprese le
applicherà al suo contesto lavorativo in base alle proprie caratteristiche personali e caratteriali.
Il coordinatore e colui che riguarda il gruppo verso il raggiungimento degli obiettivi dovrà essere il
leader ma nel contempo avere la capacita di delegare tale ruolo ai suoi membri della sua equipe
generando un clima basato sulla fiduccia e sulla collaborazione
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CAPITOLO 2
Infermiere vittima dello stress lavoro-correlato
2.1 Definizione di Stress
“Tutti sanno che cos’è lo stress ma nessuno sa che cos’è”3
La parola stress deriva dal latino “strictus”, che significa stretto, serrato, compresso. Come
espressione anglosassone veniva utilizzata già nel XVII secolo con il significato di difficoltà,
avversità o afflizione. Nel XVIII e nel XIX secolo il termine ha acquisito il significato di forza,
pressione, tensione, sforzo. Il termine ha origine nella metallurgia, dove tradizionalmente indica gli
effetti che grandi pressioni determinano sui materiali.
In medicina si definisce stress ogni causa (fisica, chimica, psichica, ecc.) capace di esercitare
sull'organismo, con la sua azione prolungata, uno stimolo dannoso, provocandone di conseguenza la
reazione quale tensione nervosa, logorio, spesso non avvertito dal soggetto ma ugualmente dannoso.
Ogni stressor che perturba l'omeostasi dell'organismo richiama immediatamente delle reazioni
regolative neuropsichiche, emotive, locomotorie, ormonali e immunologiche.
Anche eventi di vita quotidiana possono portare a mutazioni anche radicali dovute all'adattamento.
Malgrado ciò, l'adattamento è un'attività complessa che si articola nella messa in atto di azioni
finalistiche destinate alla gestione o soluzione dei problemi, alla luce della risposta emotiva
soggettiva suscitata da tali eventi.
La capacità di indirizzare le azioni adattative implica sia la possibilità di azioni finalizzate a
modificare l'ambiente in funzione delle necessità del soggetto, sia l'eventualità di intraprendere una
3 Selye, 1973. Medico austriaco naturalizzato canadese. Si dedicò soprattutto allo studio delle conseguenze degli
stress sull'uomo e all'interpretazione della sindrome generale d'adattamento. I risultati delle sue ricerche hanno
dimostrato come l'organismo risponda sempre in modo unitario anche a stimoli differenti attraverso la mediazione
umorale. Tra le opere: The Stress of Life (1956), Hormones and resistance (1971).
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modificazione di caratteristiche soggettive per ottenere un migliore adattamento all'ambiente
circostante.
Per inquadrare la capacità di adattamento, occorre anche un asse temporale, composto da più
varianti: l'età del soggetto, il suo tempo di reazione e il tempo richiesto dall'evento per ottenere un
adattamento efficace. Infatti, un bambino piccolo non riuscirà ad utilizzare appieno e con la stessa
velocità una medesima capacità adattativa dell'adulto. Per contro, risulterà più difficile scansare un
proiettile di arma da fuoco che non un pallone.
La prevedibilità, la conoscenza e la gravità degli eventi giocano un ruolo fondamentale nella
possibilità di instaurare delle strategie adattative atte a gestirli. Ad esempio, il lutto per la perdita di
una persona cara è, di solito, più facilmente elaborabile quando la persona era anziana e la sua
scomparsa era stata prevista da tempo. All'opposto è problematico l'adattamento in caso di
esposizione a eventi catastrofici
Il maggiore o minore successo dei processi adattativi è dato dal bilancio tra le caratteristiche
qualitative e quantitative degli eventi che li suscitano e le risorse personali del soggetto coinvolto.
Si considerano:
– Caratteristiche temperamentali e di personalità
– Capacità intellettive
– Livello culturale
– Condizioni socio-economiche
– Risonanza soggettiva dell'evento
Un soggetto può essere capace di affrontare determinati eventi, ma non essere in grado di
fronteggiare e gestire in modo adattativo con gli stessi esiti eventi differenti.
Hans Selye definì come "Sindrome Generale di Adattamento”4 quella risposta che l'organismo
mette in atto quando è soggetto agli effetti prolungati di svariati tipi di stressor, quali stimoli fisici,
mentali ad es. impegno lavorativo, sociali o ambientali quali obblighi o richieste dell'ambiente
sociale.
L'evoluzione della sindrome avviene in tre fasi:
4Selye H., (1956) The Stress of life. McGraw-Hill (Paperback), New York.
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– Allarme, l'organismo risponde agli stressor mettendo in atto meccanismi di fronteggiamento
(coping) sia fisici che mentali. Esempi sono costituiti dall'aumento del battito cardiaco, pressione
sanguigna, tono muscolare
– Resistenza, il corpo tenta di combattere e contrastare gli effetti negativi dell'affaticamento
prolungato, producendo risposte ormonali specifiche da varie ghiandole, ad es. le ghiandole
surrenali.
-Esaurimento, se gli stressor continuano ad agire, il soggetto può venire sopraffatto e possono
prodursi effetti sfavorevoli permanenti a carico della struttura psichica e/o somatica.5
Una risposta maladattativa a un evento stressante può determinare l'insorgenza di un quadro
patologico. In caso di disturbo psichico, il quadro clinico mimerà, dal punto di vista
sintomatologico, l'espressione del disturbo maggiore.
La maladattatività può risultare di interesse clinico qualora consista in sintomi emotivi o
comportamentali tali da causare sofferenza soggettiva e una significativa compromissione nel
funzionamento sociale e lavorativo del soggetto. Le caratteristiche di fragilità o rigidità del soggetto
giocano un ruolo importante nel momento in cui egli deve produrre strategie per rispondere in modo
adeguato a una modificazione dell'ambiente.
Le caratteristiche della sindrome da stress sono:
– Sintomatologia preceduta da evento stressante identificabile, sia esso positivo o negativo,
verificatosi nei tre mesi precedenti allo sviluppo della sintomatologia.
– Questa deve essere più intensa rispetto alle corrispettive reazioni normali e avere tendenza alla
risoluzione spontanea entro un periodo di tempo definito (6 mesi)
– La sindrome non deve rappresentare l'esacerbazione dei sintomi di un disturbo mentale di base,
legato o meno all'evento stressante.
La principale conseguenza dovuta a questo meccanismo è la calvizie, la quale risulta anche la più
evide. Lo stress nella sua forma più acuta può arrivare a provocare la morte per auto coagulazione
del sangue.
5Selye H., (1971) Hormones and Resistance. Springer-Verlag, Berlin
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2.2 Stress lavoro-correlato
Lo stress lavoro correlato può essere definito come la percezione di squilibrio avvertita dal
lavoratore quando le richieste dell'ambiente lavorativo eccedono le capacità individuali per
fronteggiare tali richieste.
È l'esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni
d'aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro
lavoro li porta ad assumere.
L'articolo 3 dell'Accordo Europeo del'8 ottobre 2004 – così come recepito dall'Accordo
Interconfederale del 9 giugno 2008 – definisce lo stress lavoro correlato come “condizione che può
essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è
conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o
aspettative riposte in loro” (art. 3, comma 1).6
Nell'ambito del lavoro tale squilibrio si può verificare quando il lavoratore non si sente in grado di
corrispondere alle richieste lavorative. Tuttavia non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro
possono essere considerate come stress lavoro-correlato. Lo stress lavoro-correlato è quello causato
da vari fattori propri del contesto e del contenuto del lavoro.
Lo stress legato all'attività lavorativa rappresenta uno dei nodi principali con cui l'Europa deve
misurarsi in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Ma maggior parte delle giornate
lavorative perse è dovuta allo stress. Ciò comporta costi enormi in termini di disagio personale oltre
al rischio di influenze negative sul risultato economico di un'organizzazione.
Lo stress rappresenta uno dei principali problemi di salute legato all'attività lavorativa riferito più
frequentemente e, colpisce il 22% dei lavoratori dell'Unione Europea. Lo stress influisce fortemente
sui costi dell’azienda e sulla redditività
Di fronte ad un'esposizione prolungata a situazioni di stress si possono manifestare sintomi fisici,
psichici o sociali legati proprio all'incapacità delle persone di colmare il divario tra i loro bisogni e
la loro attività lavorativa. Va altresì sottolineato che persone diverse possono reagire in modo
diverso a situazioni simili e una stessa persona può, in momenti diversi della propria vita, reagire in
maniera diversa a situazioni simili.
6Accordo Europeo sullo stress sul lavoro (Bruxelles, 8 ottobre 2004) ACCORDO QUADRO EUROPEO SULLO STRESS
NEI LUOGHI DI LAVORO
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Secondo le cifre fornite dall'Agenzia, le vittime dello stress da lavoro in Europa sarebbero circa 40
milioni di lavoratori, colpiti da malattie professionali quali disturbi gastrointestinali e
cardiovascolari, spossatezza e depressione. Lo stress da lavoro può causare danni fisici o
psicosociali ed è tra le cause più comuni di malattia dei lavoratori in tutta l'Unione Europea.7
Il rischio stress lavoro-correlato è riconducibile ad alcune caratteristiche del lavoro come, ad
esempio, carichi lavorativi eccessivi, basso grado di controllo sull'attività svolta, basso sostegno
organizzativo, ambiguità e conflitti di ruolo, scarse possibilità di sviluppo professionale, precarietà
del lavoro, stipendio non adeguato e la presenza di varie forme di molestie (bullismo, mobbing,
ecc.).
Nel momento in cui l'individuo non riesca a fronteggiare queste situazioni, le risposte da stress
possono manifestarsi a livello:
– Fisiologico: lo stress innesca reazioni a livello del sistema nervoso autonomo e del sistema
ormonale, perciò si potrebbero avere ripercussioni a livello cardiovascolare (accelerazione del
battito cardiaco), respiratorio (aumento della frequenza respiratoria), muscolo-scheletrico
(ipertonia) e a livello del sistema immunitario (la produzione di adrenalina e cortisolo e
corticosterone inibiscono la produzione di globuli bianchi).
-Psicologico : i principali effetti dello stress riguardano il manifestarsi di stati emotivi negativi,
quali rabbia, ansia, irritabilità e sintomi di depressione. Dal punto di vista cognitivo, invece, si
riscontrano calo dell'autostima e del senso di auto efficacia, diminuzione dell'attenzione (con
conseguente innalzamento della probabilità di errori e incidenti) e percezione di ostilità da parte del
sistema sociale dell'individuo. Infine, dal punto di vista comportamentale, si osservano cali delle
prestazioni (sia in termini quantitativi che qualitativi) e una maggiore inclinazione alla dipendenza
da alcol e sigarette.
Il calo in termini di salute fisica e mentale dei lavoratori porta inevitabilmente al deterioramento
delle prestazioni dell'intera organizzazione, l'aumento del tasso di turnover e la riduzione della
produttività. Un altro fattore importante della presenza di stress lavoro correlato è il problema del
presenzialismo. Il presenzialismo è definibile come il semplice presenziare al lavoro senza
apportare la propria totale portata produttiva a causa di problemi di salute. Questo fenomeno sembra
emergere quando il lavoratore si sente stressato, ma, nel contempo, teme di perdere il posto e di
essere etichettato come malato.
7 European Agency for Safety and Health at Work, (2009). European Risk Observatory Report, OSH in figures: stress
at work — facts and figures
15
2.3Fattori di rischio generali
Secondo alcuni studi che hanno stilato una classifica dei fattori stressogeni esistono due principali
ambiti: uno relativo al contenuto del lavoro (ovvero tutte quelle caratteristiche che fanno parte
dell'attività svolta) e un secondo relativo al contesto in cui si svolge il lavoro (ovvero l'insieme delle
variabili più attinenti all'organizzazione che all'attività svolta).
La mancanza di un ambiente e delle attrezzature idonee possono influenzare su quella che è la
qualità del lavoro e quindi essere fattore di stress; illuminazione, rumore, clima, problemi inerenti
all'affidabilità, la disponibilità, l'idoneità, la manutenzione, o la riparazione di strutture ed
attrezzature di lavoro, condizioni di sicurezza rispetto ai vari rischi esistenti; carico e ritmo di lavoro
il quale spesso porta il lavoratore ad essere sovraccarico o sotto carico, la mancanza di controllo sul
ritmo, tempo insufficiente per eseguire il compito, scadenze pressanti; per non parlare dei turni,
orari di lavoro rigidi, imprevedibili, eccessivamente lunghi o che alterano i ritmi sociali. Questi
sono tutti fattori che possono influenzare la tranquillità lavorativa e quindi collaborare
all’insorgenza di stress lavoro-correlato.
I fattori che principalmente influenzano lo stato di stress nella professione infermieristica sono:
ESTREMAMENTE:
-Non poter assistere i pazienti per la mancanza di risorse
– Morte di un paziente con parentela, o a noi particolarmente caro.
-Prendere decisioni quando il medico non è presente
-Presenza di molteplici pratiche burocratiche
-Vedere un paziente che soffre
-Frequenti interruzioni nell’esercizio della professione
-Non essere in grado di rapportarmi con i parenti durante la comunicazione di exitus.
-Personale non adeguato alla copertura della turistica.
-Sentirsi impotenti di fronte al dolore del paziente.
-Non essere in grado di comprendere le richieste di un paziente.
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FREQUENTEMENTE.
-La morte di un paziente.
-Disaccordo sul piano di cura del paziente e sulle procedure.
-Non essere in grado di rispondere alle domande di un paziente.
-Sentirsi impreparati
-Esecuzione di procedure dolore per i paziente.
-Problemi a rapportarsi con uno o più medici.
-Difficoltà a lavorare in equipe con i colleghi
-Trattamento dei colleghi nei miei confronti.
-Impotenza dinanzi al declino di un paziente che non migliora nonostante le cure.
-Parlare con un paziente consapevole della propria prognosi infausta.
-Timore di commettere errori nel trattamento del paziente.
-Assenza del medico durante la morte del paziente.
-Sentirsi impotente di fronte al dolore del paziente.
-Non ricevere informazioni necessarie sufficienti sull’assistito da parte dello staff medico.
Possiamo anche notare la presenza di fattori burocratici e gestionali
Es:
– Non poter assistere i pazienti per la mancanza di risorse
-Prendere decisioni quando il medico non è presente
-Presenza di molteplici pratiche burocratiche
-Frequenti interruzioni nell’esercizio della professione
-Cambiamento repentino e improvviso dell’equipe di lavoro.
-Problemi con il coordinatore.
-Non essere in grado di rapportarmi con i parenti durante la comunicazione di exitus.
-Personale non adeguato alla copertura della turistica.
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Essi attraverso il tempestivo riconoscimento e con accortezze dal punto di vista del coordinatore
infermieristico divengono ostacoli sormontabili e situazioni risolvibili.
E’ proprio su queste variabili che il coordinatore deve agire nel’ interesse individuale e collettivo
per migliorare la vivibilità all’interno della propria U.O.
Fattori come le pratiche burocratiche, le frequenti interruzioni durante l’attività professionale, il
conflitto con il coordinatore, la modificazione improvvisa della turistica e il cambiamento di equipe
di lavoro, sono frutto di disorganizzazione interne al’ U.O, di mancanza di comunicazione tra
professionisti.
2.4 Infermieri e Stress lavoro-correlato
Tutti i giorni leggiamo articoli che parlano di stress lavoro-correlato e dell’influenza che questo può
avere nella vita di determinate categorie professionali a rischio. Una delle categorie lavorative
sicuramente più a rischio è quella dell’infermiere, una professione che non viene gratificata
economicamente, una professione che vive ancora oggi il demansionamento. A tutto questo, va
aggiunto il fatto di essere turnisti, e che a differenza delle credenze popolari, il nostro lavoro
notturno si accresce di responsabilità data la non sempre presenza del medico di guardia. Durante la
notte infatti vi è un sovraccarico lavorativo, in quanto i pazienti nelle ore buie vedono intensificarsi
lo stato di ansia e preoccupazione dovuti allo stato di salute e chiedono continuamente interventi
assistenziali, nonché compagnia per trascorrere le ore in meno solitudine.
Oggi i pazienti sono molto più critici rispetto al passato e chiedono un’assistenza intensificata
basata non solo su competenze tecniche. Il fatto che l’età media sia aumentata ha reso il nostro
lavoro maggiormente duro, gli accessi e il numero dei degenti risulta essere notevolmente
aumentato e di conseguenza anche il carico di lavoro, il che si associa alle condizioni spesso
deludenti dei luoghi di lavoro incidendo così sulla capacità degli infermieri di erogare un’assistenza
efficacie e efficiente.
Il turn over del personale non è più garantito, come in alcuni casi anche le sostituzioni del personale
in maternità
Nessuna norma riconosce la nostra professione come lavoro usurante. L’infermiere deve garantire
l’assistenza nelle 24 ore con turni massacranti e in situazione di disagio estremo. Molti di noi
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abbandonano la professione perché gravati da difficoltà fisiche, eppure nessuna norma prevede
alcuna malattia professionale. Coinvolgimento emotivo e depressione per la vicinanza a situazioni
umane estreme, patologie a carico del rachide per la movimentazione dei carichi, disturbi del sonno-
veglia per il lavoro notturno, i rischi chimici e biologici non sono riconosciuti.
Oggi l’infermiere in molti casi si trova nella situazione di erogare salute ai cittadini a scapito della
propria salute.
I disturbi di tipo psicologico e fisiologico che sono correlati a livelli elevati di stress sono oggi uno
dei principali problemi sociali e sanitari; gli esperti in materia ritengono che il 50-80% di tutte le
malattie manifestate dai lavoratori, sia strettamente collegato allo stress.
In uno studio recente sono descritti specifici fattori fonte di stress per il personale infermieristico
quali:
– La mancanza di chiarezza rispetto al ruolo
– La difficoltà nella programmazione dei turni e del gruppo di lavoro
– Lo scarso coinvolgimento nei processi decisionali
-Basso status sociale e scarso supporto
Sempre secondo tale studio, la visione che gli infermieri hanno del proprio lavoro è caratterizzata da
attività frenetiche, impegno molto intenso, elevato livello di competenza e flessibilità verso nuovi
apprendimenti.
Diverse indagini sulla salute del lavoratore definiscono lo stress come il risultato di stanchezza
emotiva, mancanza di controllo in situazioni di lavoro altamente esigenti, sensazioni di sforzo,
fatica
Stress sul lavoro in ambito sanitario è associato a situazioni specifiche, come ad esempio problemi
con i colleghi, l'ambiguità e conflitti di funzione, rientri frequenti, la pressione da parte di superiori
in base alla percezione dell'individuo e trasformazioni subite nel contesto dell'occupazione. Queste
situazioni possono essere importanti fonti di stress.
Tra questi, l'infermiere non è esente dalle conseguenze dello stress sul lavoro, mostrando problemi
quali l'insoddisfazione lavorativa, la sindrome di burnout. La professione infermieristica si espleta
per lo più in ambienti ospedalieri, chiedendo un maggiore coinvolgimento del professioni,
19
2.5 Cosa comporta lo stress lavoro-correlato?
Nell’Unione europea i problemi di stress legati al lavoro sono il 28% delle patologie con il 50-60%
di perdita di giornate lavorative e un costo finanziario di 20 miliardi di euro.
Altre cause di questa sindrome che porta a sintomi come depressione, senso di colpa, sfiducia,
disturbi fisici come cefalee, problemi intestinali, affaticamento cronico, insonnia, abuso di caffeina,
nicotina, alcool e droghe, con sintomi fisici, psichici e comportamentali, sono da ricercarsi
nell’elevato costo emotivo a trattare situazioni gravi e penose, al confronto con pazienti e familiari
per problemi di dipendenza, impotenza, angoscia, dolore, aggressività, morte. E’ riconosciuto che
questi disturbi incidono notevolmente sul turnover e sul grado di assenteismo degli infermieri e
spesso esitano in malattie psicosomatiche e, a livello relazionale, verso il deterioramento dei
rapporti con l’utenza e con i propri colleghi. A fronte delle principali cause organizzative del
fenomeno si devono inoltre associare situazioni particolari dovute all’esercizio della professione in
ambiti specifici quali le terapie intensive, i reparti oncologici, nelle unità operative di malattie
infettive/AIDS.
Accanto alla cornice relazionale si tenga infine conto che lo sviluppo medico scientifico pone
l’esercizio della professione di infermiere in un contesto in cui sono richieste sempre maggiori
conoscenze sia specifiche che tecniche (utilizzo sempre più frequente di nuovi protocolli e
strumenti professionali, macchinari, computer e software innovativi) che richiedono continuo
aggiornamento e una flessibilità cognitiva che difficilmente nel tempo può dare garanzia di
sicurezza al professionista e a chi riceve assistenza.
Il problema risulta aggravato nel caso si parli di infermieri turnisti. Il disagio per la vita sociale e
familiare, i disturbi del sonno-veglia, i disturbi metabolici sono sempre più frequenti. I segni di
intolleranza alla turnistica sono maggiori dopo i 40 anni e vi è pure qualche indizio che la turnistica
abbia controindicazioni più serie per le donne: gli autori in particolar modo pongono l’accento sul
“doppio lavoro” domestico che occupa di fatto gran parte del tempo libero dal lavoro principale
Uno studio americano condotto tra il 1988 e il 1998 su oltre 78.000 infermiere ha mostrato che le
infermiere che hanno lavorato turni di notte a rotazione per oltre 30 anni hanno un 36% in più di
possibilità di sviluppare un cancro al seno.
Da tali premesse, ipotizzare di raggiungere l’età pensionabile senza danni fisici risulta oggi
impensabile per la maggior parte degli infermieri.
20
2.6Tecniche di prevenzione allo stress lavoro-correlato e ai danni emotivi
Coping è un’espressione ampliamente usata nel linguaggio comune: letteralmente significa
“cavarsela”, “affrontare con successo”. Nell’ambito di alcune teorie psicologiche ad orientamento
cognitivo comportamentale, il concetto di coping ha assunto un ruolo di rilievo come matrice
comune di tecniche differenti, centrali per l’adattamento del soggetto all’evento malattia. Nella
realtà, il fronteggiamento efficace comprende sia la soluzione del problema che la gestione dello
stress. I comportamenti e gli interventi intesi a prevenire conseguenze patologiche legate allo stress
costituiscono un gruppo di strategie molto ampio individuato con il termine inglese di “coping”,
ovvero “strategie di fronteggiamento”, proposta da Lazarus negli anni Sessanta.8 Studi clinici hanno
identificato differenti modalità di far fronte ad eventi stressanti, tipiche di ciascun individuo,
definite appunto stili di coping. Il concetto di Coping è strettamente connesso con quello di stress.
Infatti indica l’insieme delle strategie cognitive e comportamentali messe in atto da una persona per
fronteggiare una situazione di stress. In altre parole, si riferisce sia a ciò che un individuo fa
effettivamente per affrontare una situazione difficile e dolorosa per la quale non è preparato, sia al
modo in cui si adatta emotivamente a tale situazione.
L’adattamento è dato dagli sforzi cognitivi e comportamentali messi in atto dagli individui per
soddisfare le specifiche richieste, interne ed esterne, che provano le risorse del loro organismo. Si
può agire in due modi, ovvero concentrarsi sull’emozione o sul problema.
Le strategie di adattamento incentrate sull’emozione cercano di migliorare lo stato d’animo della
persona diminuendo lo stress emotivo da essa provato; le strategie di adattamento incentrate sul
problema mirano invece a gestire il problema che è causa di afflizione. Generalmente, in una
situazione stressante vengono attivate entrambe le strategie. La situazione si complica nel caso in
cui la reazione emozionale scatenata dall’evento venga gestita e controllata da meccanismi di difesa
particolarmente intensi. In questo caso l’intensa stimolazione emozionale non affiora, e può
verificarsi una reazione psicosomatica. 9
Affinché lo stress accumulato venga lasciato alle spalle, è necessario ottenere comprensione, avere
l’opportunità di poter parlare con qualcuno delle proprie esperienze. Parlando, l’operatore può
8 Novara F., Sarchielli G. Fondamenti di psicologia del lavoro. Il Mulino, Bologna, p. 303 – 304
94 Pancheri P. Stress, emozioni, malattia. Introduzione alla medicina psicosomatica. Edizioni Scientifiche e Tecniche
Mondadori, Milano 1979, p. 274 – 275
21
riuscire a rendersi conto di ciò che è successo, di ciò che questo ha provocato in lui e, in caso di
evento negativo, riaffermare che si è agito nella maniera corretta, constatando che non si poteva fare
in altro modo; in questo modo si ha la possibilità di superare i sensi di colpa scaturiti dal fallimento
della missione.
Lo stress lavorativo può essere causa di “errore professionale”, di difficoltà nei rapporti con i
pazienti e con i colleghi, nonché’ incidere sulla qualità di vita familiare e sociale del lavoratore.
Alcuni esponenti del Collegio IPASVI, nato per tutelare i cittadini e rappresentare i professionisti
del settore Infermieri, Vigilatrici d’infanzia e assistenti sanitari, propongono di avviare dei percorsi
ad hoc in grado di stabilire e verificare l’idoneità psicologica e la capacità di affrontare lo stress dei
professionisti del settore sanitario.
Oggi si diventa infermieri grazie ad un percorso formativo molto rigido che però non può escludere
nessun soggetto. Quando si passa dallo studio teorico al mondo lavorativo, si trovano ad affrontare
situazioni difficili da gestire non solo dal punto di vista tecnico ma soprattutto psicologico. Dunque
dovrebbe scattare una verifica, per capire le capacità di ogni professionista d’interagire con gli altri,
per coglierne problemi e criticità.
Oggi questo non è possibile, né avviene qualcosa del genere al momento dell’assunzione in una
struttura. Nessuno misura le capacità psichiche dell’infermiere che, in tutto il suo percorso
professionale, viene considerato più come “risorsa economica” all’interno di un sistema
assistenziale che come “capitale umano” in una rete fatta anche di delicate relazioni e interazioni. Ci
si dimentica spesso che siamo davanti a un lavoro faticoso, usurante, che mette a dura prova la
capacità di reggere a stress fisici ed emotivi. Chi può accorgersi se una situazione stia degenerando?
Chi verifica se una persona è in balia da stress professionali o motivi personali?
Da qui la necessità di realizzare dei programmi specifici per la prevenzione dello stress lavoro
correlato, attraverso la formazione del personale, l’organizzazione del lavoro e una corretta gestione
delle risorse umane. Molti esperti nel campo dell’empowermente organizzativo e delle sindromi da
disagio lavorativo propongono di mettere in pratica una parte pratica che consiste nell’effettuare
delle interessanti simulazioni con dei ruoli precisi Role Playing e nel vivere esperienze divertenti
come lo “Yoga della risata” o la “Coccoloterapia emozionale”. Tutte queste tecniche che al primo
approccio potrebbero sembrare alquanto buffe e imbarazzanti, in realtà apportano dei benefici
oggettivi e si basano su evidenze scientifiche riconosciute ormai da tempo.
Un altro strumento utile per evitare l’instaurarsi dello stress lavoro correlato è la Formazione.
22
La formazione può essere il nodo centrale per iniziare un’efficace azione preventiva nei confronti
dello stress lavorativo? Azione che si concentrerebbe in particolare su temi come il coinvolgimento
emotivo, dovuto al contatto ripetuto con la sofferenza che dà luogo all’instaurarsi di una situazione
di anaffettività e di indurimento interiore. Questo tipo di atteggiamento è la risultante inevitabile del
nostro lavoro: allontanarsi dal proprio sé, non riconoscersi come parte emotivamente ed
affettivamente attiva, tende ad annullare le caratteristiche più umane della persona per privilegiare
quelle più tecniche. Per raggiungere una maturità affettiva di questa portata, serve un percorso di
crescita interiore che spinge l’operatore a ripartire da sé per rilanciarsi nel mondo del lavoro sociale
di cura e, in forma più ampia, nel mondo-della-vita. Assumere un atteggiamento di apertura davanti
al mondo, alla vita, permette l’attraversamento dell’affettività senza timori, ma anzi con desiderio,
interesse, entusiasmo e con una sana dose di forza d’animo e coraggio. Questo presuppone perciò
che anche chi cura riconosca le proprie emozioni e rinunci al suo ruolo di esperto ed estraneo a
quanto sta avvenendo all’interno della relazione di cura.
Con l’introduzione dei crediti formativi in Sanità ECM, si è percepita un’iniziale sensazione che
qualcosa stesse cambiando, per dare slancio a un settore come quello della formazione, la cui
carenza era fortemente sentita. Ma la formazione si occupa ancora in gran parte della preparazione
tecnico-strumentale e tralascia gli aspetti affettivo – relazionali della nostra professione. E’ quindi
necessario completare la nostra preparazione arricchendola di incontri che insegnino all’infermiere
lo sviluppo dell’autostima, dell’intelligenza emotiva, dell’empatia, del senso del gruppo. Inoltre va
ricordato che dovrebbe essere responsabilità degli uffici infermieristici, in quanto vicini alla realtà
dell’operatore, organizzare percorsi formativi specifici. E’ altresì comprensibile, che le difficoltà
organizzative e le diverse dinamiche istituzionali disfunzionali si sovrappongono ai problemi più
specifici, derivanti dal contatto con la malattia e dal carico emozionale proveniente dalla relazione
d’aiuto. Ciò però non può essere motivo per giustificare queste carenze che purtroppo sono reali. I
responsabili del benessere del personale non possono esimersi dal farsi promotori di una riflessione
approfondita e di un agire declinato su questo tema, che non può essere lasciato all’informalità e
allo spontaneismo, ma deve occupare un posto centrale nella professionalità degli operatori e nei
percorsi formativi di base e permanenti. 10
Spesso, però, è l’operatore il primo artefice di questa mancanza d’interesse, in quanto rifiuta di
ricorrere alla formazione affettivo-relazionale: glielo impedisce la vergogna di esporsi, la non
accettazione della propria vulnerabilità e della sua fragilità. Conoscere il proprio sentire è
comprendere sempre meglio la propria persona. Essere sincero e autentico è difficile, ma deve
10 1 V. Iori “Nuove fragilità e lavoro di cura”, 2208. p. 221
23
essere possibile per l’infermiere quando è pronto a “viversi, vedersi, ascoltarsi come essere vivo che
è nel mondo con gli altri” e a mettere “a disposizione nel rapporto educativo la sua vita verso il
comprendere e lo sperimentare l’esistenza altrui”. 11
Anche nei momenti in cui si è accompagnati dal dolore si può trovare uno spazio in cui continuare a
stare bene con se stessi. Nei momenti di difficoltà emotiva, e in una giornata di lavoro ce ne sono
tanti, è utile anche solo confrontarsi con i propri colleghi e trovare momenti di condivisione. Spesso
ascoltare un compagno di lavoro riapre quella condizione di rispecchiamento in cui l’operatore
rimbalza un possibile esito di problematiche e disagi che sono anche i suoi. Il bisogno di raccontarsi
è presente, anche se a volte è poco esplicitato oppure viene espresso nei momenti informali
d’incontro, come la “pausa caffè” o durante il cambio all’interno degli spogliatoi. “Sarebbe
auspicabile promuovere spazi d’incontro in cui raccontarsi le difficoltà emotive del lavoro,
lasciandole uscire, legittimando il vissuto di rispecchiamento, superando la logica
oppositiva/difensiva noi-loro e scoprire il “senso degli altri”.12 Bisognerebbe dare un nuovo
significato alla parola equipe, spesso così lontana, così fredda e distaccata dal contesto più umano
della cura. E’ sempre riferita all’organizzazione del lavoro ma in termini tecnicisti, dovrebbe
assumere invece il significato di reciprocità e di ascolto tra i componenti. Affinché questo possa
avere luogo è necessario che chi – ha – cura acquisisca un buon livello di competenza emotiva, in
particolare verso se stesso: saper riconoscere le proprie tensioni per essere in grado di agirle nella
relazione evitando sia di nascondersi sia di farsi travolgere dal sentire dell’altro. In conclusione,
l’ambiente di lavoro può diventare supportivo, anche nelle situazioni di fragilità, quando si respira
un’atmosfera fiduciosa, nutrita di sentimenti coltivati in una cura della vita emotiva.La formazione,
come abbiamo sin qui spiegato, è fondamentale, è l’unico mezzo per risvegliare l’interesse,
motivare alla ricerca, al rinnovamento e alla riflessione, è da sempre una spinta motivazionale di
crescita.
11 Iori, 1988, p. 165
12 M. Augè: “Il senso degli altri. Attualità dell’antropologia”, 2000.
24
CAPITOLO 3
Il burnout
3.1 Definizione del termine Burnout
Sindrome da stress lavorativo, caratterizzata da esaurimento emotivo, irrequietezza, apatia,
depersonalizzazione e senso di frustrazione, frequente soprattutto nelle professioni ad elevata
implicazione relazionale quali medici, infermieri, insegnanti, assistenti sociali.
La sindrome da burnout (o più semplicemente burnout) è l'esito patologico di un processo
stressogeno che interessa, in varia misura, diversi operatori e professionisti che sono impegnati
quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano le relazioni interpersonali.
Maslach e Leiter (2000)13 hanno perfezionato le componenti della sindrome attraverso tre
dimension : -Deterioramento dell'impegno nei confronti del lavoro;
– Deterioramento delle emozioni originariamente associate al lavoro;
– Un problema di adattamento tra la persona ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste di
quest'ultimo.
In tal senso, il burnout diventa una sindrome da stress non più esclusiva delle professioni d'aiuto,
ma probabile in qualsiasi organizzazione di lavoro.
Le cause più frequenti del burnout sono riconducibili: al sovraccarico di lavoro, dove per
sovraccarico di lavoro non parliamo solo di quello fisico, ma anche quando il carico emotivo del
lavoro è troppo eccessivo; al senso di impotenza che si manifesta, quando il soggetto non ritiene che
il suo operato riesca ad influire in modo positivo sull'esito di un determinato evento; al
disadattamento quando si percepisce di ricevere un riconoscimento inadeguato per il lavoro svolto;
Uno dei fattori principali è la mancanza di comunicazione nell’organizzazione, ossia la mancanza di
interazioni interpersonali di qualità, la presenza di conflitti costanti, la mancanza di sostegno.
Le professioni di aiuto richiedono un rapporto emozionale con la gente molto significativo che è
parte essenziale della presa in carico degli assistiti, inoltre, coloro che svolgono queste professioni
13 Michael P. Leiter e Christina Maslach, Burnout e organizzazione. Modificare i fattori strutturali della
demotivazione al lavoro, Erickson, 2000.
25
possono essere soggetti ad esperienze negative ed angoscianti sul luogo del lavoro. Ad esempio, la
maggior parte dei professionisti sanitari sono considerati a “rischio” Burnout perché il rapporto con
i pazienti può evocare emozioni profonde e durature nel tempo (rabbia, senso di colpa, paura,
ansia). Queste emozioni, se non gestite in maniera adeguata, possono interferire con il benessere
personale dei professionisti ed evolversi in sentimenti negativi nei confronti del paziente,
assenteismo sul posto di lavoro e qualità diminuita del’ assistenza erogata.Gli operatori sanitari, in
particolare gli infermieri, hanno un notevole stress nel loro lavoro perché, secondo Maslach, hanno
lunghi orari di lavoro, vasta gamma di attività, rapporti complicati con i pazienti, famiglie e
colleghi. Nel corso degli studi è stato rilevato che circa il 40% degli infermieri in ospedale soffre di
Burnout, e questo può interferire sulla capacità di soddisfare le esigenze dei pazienti. Altri studi
hanno riportato un elevato livello di Burnout tra i dipartimenti di emergenza e terapia intensiva
causati da un aumento di esposizione a condizioni di pericolo di vita, carico di lavoro pesante e una
maggior interazione con i pazienti e famigliari ansiosi. Infine i rapporti interpersonali insoddisfatti
(mancanza di feedback positivo) tra colleghi, influenzano i livelli di Burnout poiché portano gli
infermieri a sentirsi esclusi e frustati.
Un aumento dello sviluppo del Burnout viene associato alle seguenti variabili: età, sesso, stato
civile, avere figli, turno di lavoro, tipologie di aree di servizio dell’ assistenza sanitaria, ma è anche
stato associato a variabili di personalità. La sindrome del Burnout comporta conseguenze dannose
per l’individuo interferendo nei livelli personali, organizzativi e sociali. Queste persone sono
maggiormente a rischio di lasciare il lavoro a causa di una diminuzione della qualità del servizio
prestato; essi investono meno tempo ed energia nelle attività lavorative eseguendo solo ciò che è
assolutamente necessario, aumentano l’assenteismo sul lavoro, adottano atteggiamenti ipercritici
verso l’organizzazione ed i colleghi, tutti aspetti che sono correlati allo sviluppo della sindrome del
Burnout.
Nella traduzione italiana del termine burnout si parla di operatore “cortocircuitato”, “usurato”, o
più spesso fuso o bruciato – esprime con una metafora efficace l’esaurimento dell’operatore e il suo
cedimento psicofisico, all’interno dell’attività lavorativa quotidiana. Prostrazione e svuotamento,
che si esprimono sì a livello fisico, ma in particolare, ci interessano i risvolti emotivi legati al
contatto ripetuto con la sofferenza.
26
3.2Predisposizione psicologica al Burnout
L’approccio clinico al burnout non può prescindere dalla personalità del soggetto, dal suo modo di
essere e di rapportarsi a se stesso e agli altri, del suo stile di vita. Il problema andrebbe ricercato
anche negli stimoli che ci provengono dall’esterno che non sempre sono favorevoli e sollecitano la
capacità di adattamento dell’individuo. Il burnout infatti rappresenta in alcune circostanze la
difficoltà a questa continua richiesta di adattamento. Nel burnout esiste la difficoltà di misurarsi con
le proprie emozioni e quindi il non riconoscimento del problema con conseguente sentimento di
rassegnazione rispetto alla vita.
Tra i fattori predisponenti ci sono senza alcun dubbio anche fattori personali o individuali che
rendono l’individuo più debole e più soggetto all’insorgenza burnout:
– Bassa autostima
-Senso d’inadeguatezza
-Preoccupazione eccessiva
– Passività
– Ansietà sociale
– Isolamento dagli altri
Alcuni soggetti tendono ad attribuire al lavoro significati personali, legati alle dinamiche di
personalità, che possono compromettere l’efficacia individuale.
3.3 Burnout e ambiente lavorativo
Nell’attuale contesto socio-economico, caratterizzato, in Italia ma non solo, da recessione
finanziaria e crisi di valori, diventa importante conoscere quali possano essere i processi alla base
del comportamento nei contesti organizzativi e identificare le variabili psicosociali che potrebbero
contribuire a determinare motivazione, coinvolgimento e soddisfazione, rafforzando il legame tra
l’individuo e l’organizzazione
27
Negli infermieri, rispetto ad altri professionisti della salute, risultano livelli più elevati di burnout,
correlati al contatto diretto prolungato, con rischio di coinvolgimento emotivo, e a bassi livelli di
soddisfazione sul lavoro.14
Molto spesso nella valutazione del burnout si presta maggiore considerazione all’aspetto emotivo,
ritenuto come primo fattore di rischio, sottovalutando l’importanza dei fattori caratterizzanti il
contesto lavorativo.
Indubbiamente le caratteristiche personali influenzano le modalità attraverso le quali ognuno
interpreta, analizza e reagisce al contesto, ma non risultano essere le componenti determinanti del
burnout.
Diversi studi dimostrano come i differenti ambienti lavorativi incidono sul’istaurarsi del burnout; e
strutture particolarmente a rischio sono quelle che si occupano di patologie croniche, in particolare
reparti oncologici, psichiatrici, e quelli che si occupano di malattie infettive.
Il personale infermieristico che lavora nel settore dell’emergenza, o in reparti lunga degenza, terapia
intensiva, instaura un’intensa relazione con persone che stanno vivendo una situazione di criticità
comparsa improvvisamente e spesso drammatica. I pazienti e i familiari possono portare in sé molti
problemi, pensieri, ansie, che inevitabilmente riversano sul personale, proprio per un’esigenza di
trovare ascolto, amplificata dalla rottura di una precedente omeostasi che la situazione di emergenza
ha creato.
Il contatto continuo con questo tipo di richieste, può generare nell’operatore uno stato di stress
cronico, che può condurre anche ad esaurimento emozionale.
Molteplici sono le variabili che influenzano lo stato emozionale ed inducono allo stress il
professionista:
-La concentrazione continua, da parte del professionista, impegnato per tutta la durata del turno di
lavoro, (a volte 10 ore e durante la notte) ad osservare, monitorare, eseguire terapie e prestazioni
complesse
-Il carico di lavoro: spesso elevato vista la criticità del malato e il rapporto disomogeneo tra numero
pazienti e infermieri.
-La morte frequente: fenomeno purtroppo non occasionale ,e che a volte coinvolge pazienti come
bambini o giovani.
142 Engelbrecht et al., 2008; Chopra et al., 2004
28
-La parentela del paziente: si instaura uno stretto rapporto tra i parenti dell’assistito e l’equipe che
durante il ricovero si trova a dover sostituire completamente il paziente nelle azioni quotidiane dalle
piu’ complesse alle piu’ elementari e personali.
-La turistica: il professionista sanitario infermiere e’ sottoposto a turistica e quindi a logorio dei
ritmi circadiani e incapacità di mantenere uno stile di vita equilibrato.
-Elevata richiesta intellettuale: A differenza dei medici, gli infermieri devono possedere conoscenze
a 360° e spaziare su contesti clinici differenti, guardare olisticamente la persona in tutte le sue
sfaccettature, riconoscere prontamente segni e sintomi o mutazioni.
Il coinvolgimento emotivo che si viene a creare con il paziente ha molte ricadute sugli operatori che
tendono a percepire il fallimento della cura come un fallimento personale.15 La patologia
neoplastica, la complessità dei trattamenti, la morte, le questioni etiche correlate risultano fattori
stressogeni che influenzano l’operatività quotidiana.
Nella letteratura si evince che i soggetti più a rischio burnout sono quelli che si sono avviati da poco
nella realtà lavorativa; quindi si parla di soggetti giovani; gli studi più recenti però affermano
esattamente il contrario, i soggetti più insoddisfatti e dunque a maggiore rischio burnout sono quelli
anagraficamente e professionalmente più anziani. Frequentemente i soggetti in burnout soffrono di
una stanchezza cronica che deriva da lunghi periodi di insonnia dovuto ad una turnazione errata
degli operatori sanitari. Per cercare di superare questa sensazione di stanchezza si rivolgono all'uso
e spesso all'abuso di sostanze eccitanti come caffè, droghe, alcool; per riuscire a sedare l'ansia
assumono tranquillanti.
Negli operatori sanitari, la sindrome si manifesta generalmente seguendo quattro fasi:
– La prima, preparatoria, è quella del'"entusiasmo idealistico" che spinge il soggetto a scegliere un
lavoro di tipo assistenziale.
– Nella seconda ("stagnazione") il soggetto, sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi,
inizia a rendersi conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa.
L'entusiasmo, l'interesse ed il senso di gratificazione legati alla professione iniziano a diminuire.
– Nella terza fase ("frustrazione") il soggetto affetto da burnout avverte sentimenti di inutilità, di
inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco
apprezzato; spesso tende a mettere in atto comportamenti di fuga dall'ambiente lavorativo, ed
eventualmente atteggiamenti aggressivi verso gli altri o verso se stesso.
15 Perry B. 2008; Sherman A.C. et al. , 2006; Simon et al , 2005
29
Nel corso della quarta fase l'interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono
completamente e all'empatia subentra l'indifferenza, fino ad una vera e propria "morte
professionale".
3.4 La differenza tra stress e burnout
Il burnout e stato per molto tempo confuso con lo stress e nelle definizione del problema molti
autori sottolineano la stretta connessione tra stress e burnout, “il burnoute una risposta allo stress
lavorativo che emerge dopo un processo cognitivo di rivalutazione dello stressor stesso quando le
strategie di fronteggiamento utilizzate dai professionisti non risultano efficaci nel ridurre lo stress
lavorativo percepito”17 ,e un particolar tipo di stress occupazionale prolungato che risulta frequente
sopratutto quando le richieste interpersonali al lavoro sono pressanti.
Il burnout deve essere definito come una forma particolare di stress on le seguente caratteristiche :
– il burnout richiede un alta motivazione iniziale da parte del lavoratore ,mentre questa non e
rilevante per lo stress
– il burnout porta un atteggiamento estremamente negativo e continuativo nelle relazioni
interpersonali con gli utenti ,aspetto che non può essere presente in una situazione di stress
–rispetto allo stress il burnout non ha risvolti positivi
–il buornout rappresenta un insuccesso nel processo di adattamento ,accompagnato a un
malfunzionamento cronico del' organizzazione lavorativa
– lo stress e il risultato di un squilibrio fra risorse disponibili e richieste del' ambiente esterno.
–Non necessariamente quando ce una situazione di stress ce anche burnout ,mentre non e
vero contrario ,non ce burnout senza la presenza di fattori stressanti
17Massimo Santinello “che cosa e il burnout”
30
3.5 Reazione dell’operatore al burnout
Chi non conosce la sindrome burnout , e si trova a vivere un periodo di forte stress lavorativo
,potrebbe pensare di aver fatto delle scelte sbagliate , di non aver scelto il lavoro giusto ,e di doversi
sacrificare per sempre a una tale insoddisfazione. La persona in burnout si alza al mattino con la
preoccupazione di dove recarsi al lavoro ,e si sente sollevata il sabato oppure nei periodi più
emminenti alle vacanze questo malessere viene confinato in un area centrale dalla sua vita -il
lavoro-ma puo avere importanti ripercursioni sulla vita in generale.
Il punto cardine della sindrome di burnout è sicuramente un sovraccarico emozionale. L’operatore
che è eccessivamente coinvolto dal punto di vista emozionale, tende sempre di più verso gli altri e
infine si sente sopraffatto dalle richieste emozionali che gli vengono imposte.
La risposta a questa dinamica è l’esaurimento emozionale. L’operatore che entra in questa fase si
sente svuotato, non ha le energie necessarie per affrontare un altro giorno, e inizia a sentire
l’angoscia di non avere più nulla da dare agli altri; per liberarsi da questo significativo peso si
sottrae al coinvolgimento emozionale, riducendo il contatto per gestire meglio il rapporto.
Questo modo di agire e questi sentimenti negativi verso gli altri possono inasprirsi fino ad includere
la negatività anche verso se stessi.
Gli operatori delle professioni d’aiuto hanno un forte senso di inadeguatezza circa la propria
capacità di stabilire relazioni con i propri assistiti, in questo modo c’è maggiore facilità che si possa
instaurare la paura del fallimento.
Quando gli operatori sperimentano un periodo di forte stress, tendono a negare la loro condizione in
cui si trovano perché la relazione d’aiuto tende a creare un coinvolgimento psicologicamente
intollerabile. L’infermiere in burnout esegue il minimo indispensabile, affronta la professione
d’aiuto come se fosse un lavoro meccanico, trascurando la parte fondamentale, la relazione. Il
danno prodotto da questa sindrome quindi, va oltre il singolo operatore colpito; danneggia prima il
paziente che ha un'assistenza peggiore, poi l'ente per cui l'operatore lavora, quindi i familiari che
devono lottare con tensioni emozionali e conflitti che la persona in burnout non riesce a superare.
Se non opportunamente trattati i soggetti affetti da Burnout cominciano a sviluppare un lento
processo di "logoramento" o "decadenza" psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità
per sostenere e scaricare lo stress accumulato (il termine burnout in inglese significa proprio
"bruciarsi"). In tali condizioni può anche succedere che queste persone si facciano un carico
31
eccessivo delle problematiche delle persone a cui badano, non riuscendo così più a discernere tra la
propria vita e la loro.
L’infermiere emotivamente esausto è sempre teso, sconvolto, stanco fisicamente. Avendo perso le
energie emozionali diventa sempre meno capace e disposto a dare agli altri; quindi oltre a
danneggiare la vita lavorativa il burnout va a danneggiare anche la vita privata. L'effetto del burnout
non cessa con il termine della giornata lavorativa, ma può danneggiare anche i rapporti con la
propria famiglia. Gli operatori affetti da burnout rappresentano un rischio ,e un problema non solo
per se stessi ,ma anche per gli utenti con cui si confrontano ,per i colleghi e l'equipe di lavoro ,per la
rette sociale ,per l organizzazione e per la comunità allargata.
3.5Burnout malattia professionale: normative a supporto del lavoratore
Negli Stati Uniti esistono degli articoli che disciplinano i cosiddetti “danni emozionali”, cosa che
fino a non molto tempo fa non accadeva in Italia. Alcuni accenni sono inseriti all’interno della
Costituzione e nel Codice Civile in cui vengono esposti gli obblighi del datore di lavoro, il quale
deve assicurare livelli organizzativi adeguati e garantire la tutela psicofisica del prestatore d’opera.
Altri organi e in primis l’ INAIL16 – possono inviare ispettori presso le aziende e chiedere
l’intervento di esperti per la codifica delle condizioni lavorative, esaminare e valutare le
responsabilità dell’azienda e le patologie evidenziate dal dipendente.17
L’INAIL offre ai lavoratori che hanno subito un infortunio o abbiano contratto una malattia
professionale un’indennità. Inoltre l’INAIL nel 2001 ha rivalutato il burnout come malattia
professionale inserendolo nel “Malattie psichiche e psicosomatiche da stress e disagio lavorativo”.
Non esistono però veri e propri interventi istituzionali per prevenire ed intervenire direttamente sui
fenomeni di stress emozionale, in quanto questi ultimi risultano essere poco frequenti e non vi è una
diretta correlazione che possa far supporre che siano dovuti, come fattore di rischio principale, ad
eventi stressogeni presenti sui luoghi di lavoro. Inoltre a questo sia accompagna la mancanza di
denuncia di questa “malattia”da parte degli operatori, sia per ignoranza e quindi mancato
riconoscimento della stessa, sia per paura del giudizio.
16 INAIL, Direzione Generale, Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di
malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche. Circolare 71 del17/12/2003
17 F. Pellegrino: “Il burn-out come malattia professionale”, 2004, 45 (2): p.93-98
32
Con la legge 626/94 e il servizio di Prevenzione e Protezione insieme all’ Unità Operativa di
Medicina Preventiva e Sorveglianza Sanitaria, si sta cercando di aumentare il benessere nei luoghi
di lavoro e di eliminare i fattori di rischio.
Questa attenzione nel caso del personale infermieristico è soprattutto legata a danni derivanti dalla
gestione dei pazienti, che per quanto sia importante per il benessere fisico è irrilevante per il
benessere psicologico e non è l’unico fattore di rischio professionale.
L’approccio al burn-out comincia a trovare la sua giusta collocazione, nell’ambito delle patologie
psicosociali connesse all’organizzazione del lavoro solo nel 2008, divenendo così malattia
professionale emergente.
L’Articolo 28 del Testo Unico 2008 pone l’attenzione anche ai rischi riguardanti lo stress
lavorocorrelato. In riferimento a questo argomento, l’Articolo 28 cita esplicitamente l’Accordo
Europeo dell’8 ottobre 2004, siglato a Bruxelles tra Confindustria Europea (UNICE), Associazione
Europea Artigianato e PMI (UEAPME), Associazione Europea delle Imprese partecipate dal
pubblico e di interesse economico generale (CEEP) e Sindacato Europeo (CES).
Detto accordo ha riconosciuto quanto lo stress possa interessare qualsiasi lavoratore in qualunque
luogo di lavoro, indipendentemente dal settore di attività lavorativa, dalla tipologia del rapporto di
lavoro instaurato, dalla dimensione dell’azienda lavorativa; lo stress può manifestarsi sotto forma di
malessere, di disfunzioni fisiche, sociali e psicologiche, e la sua manifestazione può scaturire da
diversi elementi, che possono essere inerenti alla tipologia del lavoro eseguito, la sua
organizzazione, l’ambiente di lavoro e la presenza di una scarsa comunicazione al suo interno.
Questo fattore di rischio, lo stress , avrà bisogno di un’analisi specifica, dettagliata ed approfondita,
che riguarderà gli elementi inerenti al lavoro sopra citati; al di là delle responsabilità, derivanti
dall’inosservanza di dette misure di prevenzione, le conseguenze più gravi riguarderanno comunque
in prima persona il lavoratore stesso, che dovrà successivamente essere messo in condizione di
superare l’eventuale disagio subìto.
Con il Testo Unico 2008, inoltre, le aziende in Italia sono tenute a valutare l’eventuale presenza del
Rischio Psicosociale, definito pure con il termine di stress lavoro-correlato, e definiti in letteratura
come “quegli aspetti relativi alla progettazione, organizzazione e gestione del lavoro, nonché ai
rispettivi contesti ambientali e sociali che dispongono del potenziale per dar luogo a danni di tipo
fisico, sociale e psicologico”.
Diverse situazioni cosiddette stressogene possono rappresentare, per i lavoratori, un concreto
rischio per la loro sicurezza sia fisica che legata al loro malessere psico-sociale ed emozionale.
33
Grazie all’introduzione legislativa del Rischio Psicosociale si è quindi delineata una prospettiva
nella quale si riesce ad individuare una forte correlazione tra la Qualità del lavoro, la Prevenzione e
la Sicurezza all’interno delle attività lavorative; grazie ad alcuni riferimenti legislativi citati nel
Testo Unico 2008, la salute viene sempre di più considerata e trattata sia da un punto di vista
biologico, che sociale, che psichico, che emozionale.
Giuridicamente, la Legge afferma che tutti i Datori di lavoro debbano avere l’obbligo di individuare
e controllare lo stress legato a qualsivoglia attività lavorativa, al pari di qualsiasi altra tipologia di
rischio, sia per la salute che per la sicurezza, oltre ad effettuare con regolarità delle
Valutazioni dei rischi sui luoghi di lavoro”.
Un ulteriore segnale di cambiamento si ha con l’uscita nel Decreto Legislativo 9 Aprile 2008, n. 81.
“Attuazione del' articolo 1 della legge 3 Agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro” in cui si precisa che anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e
delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro,
deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli
riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress
lavoro corelato, secondo i contenuti dell’accordo europeo del’8 ottobre 2004. 19
Tali mutamenti legislativi sono un chiaro segnale di un aumentata sensibilità verso simili problemi e
di una rinnovata consapevolezza della loro reale esistenza.
19D.lgs.9 aprile 2008 ,n.81 testo coordinato con il D.3 agosto 2009 ,n.106
34
CAPITOLO QUARTO:
Coordinatore infermieristico e Burnout
4.1 Responsabilità del Coordinatore nella diagnosi di Burno ut
L’infermiere coordinatore ricopre un ruolo fondamentale nella prevenzione dello stress attraverso
una precoce rilevazione degli stati emotivi degli infermieri da lui coordinati. La posizione ricoperta
dal coordinatore infermieristico diviene punto ideale per l’osservazione dei comportamenti e delle
movenze interne all’ unità operativa.
L’ imparzialità ed il differente registro ne rendono possibile una visione a trecentosessanta gradi .
Esso in qualità di coordinatore potrebbe divenire il comunicatore per eccellenza (in quanto dotato
di autorità
Un programma che il coordinatore deve promulgare è sicuramente la rilevazione della diffusione
del fenomeno, dei suoi effetti nel breve, nel medio e nel lungo termine ma anche valutare i costi nei
tre livelli ossia quello delle persone considerate, della struttura di lavoro e quello della collettività.
Il coordinatore dovrebbe svolgere indagini programmate con cadenza regolare e analizzare il
fenomeno secondo precisi standard condivisi, al fine di adottare i conseguenti provvedimenti per la
salute degli operatori interessati e rendere pubblici i risultati onde stimolare lo studio e facilitare la
ricerca di soluzioni.
La prevenzione dello stress si realizza, per molti casi, anche apportando semplici cambiamenti privi
di costo e comunque a costi contenuti, agli assetti organizzative/o al contenuto del lavoro. Alcuni
mezzi di prevenzione sono rappresentate da innovazioni partecipative tendenti a:- Aumentare la sua
partecipazione nelle decisioni in merito all’organizzazione del lavoro al quale è adibito.
-Assicurarsi che i compiti a lui affidati siano compatibili con le sue motivazioni e le sue effettive
capacità
-Chiarire ove possibile, gli obiettivi perseguiti dalla struttura e/o dall’organizzazione e i valori cui
essi sono rivolti.
35
-Esplicitare agli operatori il ruolo di ciascuno di essi rimarcandone il rilievo nell’intero processo
grazie anche alle motivazioni individuali.
Intuitivamente si può ipotizzare che cio no solo inciderebbe positivamente sull’efficacia delle
prestazioni, ma conferendo un esplicito apprezzamento PREVENTIVO all’attività svolta dal’
operatore renderebbe l’attività stessa stimolante e gratificante.
Il coordinatore quindi potrebbe.
-Divulgare gli obiettivi scelti
-Contenere gli adempimenti burocratici e routinari a carico dell’operatore.
-Coinvolgere l’operatore nell’attività della struttura anche attraverso incontri periodici.
-Eliminare dall’ambiente di lavoro i fattori di rischio per la salute degli operatori.
-introdurre incentivi e gratificazioni di natura diversa.
-Formazione permanente degli operatori
-Istituire attività di sostegno/consulenza a favore degli operatori.
-Somministrare periodicamente questionari che analizzino il fenomeno dello stress nella propria
U.O. come strumento di prevenzione
In ambito sanitario, si indica come "prevenzione" l'azione tecnico-professionale o l'attività di policy
che mira a ridurre la mortalità, la morbilità o gli effetti dovuti a determinati fattori di rischio o ad
una certa patologia, promuovendo la salute ed il benessere individuale e collettivo Le attività di
prevenzione, essendo parte della più ampia attività di "tutela della salute", sono parte delle
competenze professionali tipiche delle professioni sanitarie, nei loro diversi ambiti applicativi
(medico, infermieristico, ostetrico, psicologico…).
Esistono tre livelli di prevenzione, che si riferiscono ad atti e fasi diverse:
Prevenzione Primaria: è la forma classica e principale di prevenzione, focalizzata sull'adozione di
interventi e comportamenti in grado di evitare o ridurre l'insorgenza e lo sviluppo di una malattia o
di un evento sfavorevole. La maggior parte delle attività di promozione della salute verso la
popolazione sono, ad esempio, misure di prevenzione primaria, in quanto mirano a ridurre i fattori
di rischio da cui potrebbe derivare un aumento dell'incidenza di quella patologia. Frequentemente la
prevenzione primaria si basa su azioni a livello comportamentale o psicosociale (educazione
sanitaria, interventi psicologici e psico educativi di modifica dei comportamenti, degli atteggiamenti
36
o delle rappresentazioni). Un esempio di prevenzione primaria è rappresentato dalle campagne
antifumo promosse dai governi.
Prevenzione Secondaria: si tratta di una definizione tecnica che si riferisce alla diagnosi precoce di
una patologia, permettendo così di intervenire precocemente sulla stessa, ma non evitando o
riducendone la comparsa. La precocità di intervento aumenta le opportunità terapeutiche,
migliorandone la progressione e riducendo gli effetti negativi.
Prevenzione Terziaria: è un termine tecnico relativo non tanto alla prevenzione della malattia in sé,
quanto dei suoi esiti più complessi. La prevenzione in questo caso è quella delle complicanze, delle
probabilità di recidive e della morte (anche se, in tale caso, tutti i trattamenti terapeutici sarebbero in
un certo senso, paradossalmente, "prevenzione"). Con prevenzione terziaria si intende anche la
gestione dei deficit e delle disabilità funzionali consequenziali ad uno stato patologico o
disfunzionale.
4.2 Ruolo e funzioni del coordinatore infermieristico nella prevenzione dello
stress
Maslach (2011) ha elaborato e proposto una serie di linee guida concernenti possibili interventi sul
burnout: in primo luogo egli sostiene l’importanza della prevenzione del fenomeno e di una
minimizzazione dei rischi che potrebbero causarlo; in secondo luogo, dichiara essenziale il forte
engagement delle persone al proprio lavoro, ossia favorire un saldo senso di appartenenza e
coinvolgimento con i propri compiti, obiettivi e il proprio ambiente lavorativo, con il fine di poter
eventualmente affrontare al meglio le sfide che si presenteranno; infine, un intervento a livello di
organizzazione appare più produttivo di un intervento a livello individuale poiché ciascun soggetto,
all’interno di un’azienda, è parte di un gruppo che influenza e da cui è reciprocamente influenzato:
l’interazione sociale può contribuire a fornire supporto ma allo stesso tempo può rivelarsi un fattore
cruciale per lo sviluppo di un clima ostile, così come l’orario lavorativo (Perlow & Porter, 2009)
può contribuire, parimenti, al rischio di burnout.
Nel corso degli anni sono state proposte una serie di “soluzioni” al problema del burnout, strategie
o tecniche spesso prive di fondamento empirico e mutuate da studi sullo stress o il coping; soluzioni
che in relazione alla visione dualista tra persona e luogo di lavoro si sono concentrate su interventi
rivolti esclusivamente all’una o all’altro.
Tra le principali proposte indirizzate alla persona si ricordano:
37
•condurre uno stile di vita sano (sport, dieta, ecc.), cui sembrerebbe collegata una maggiore
resilienza nel fronteggiare qualsiasi tipo di esperienza stressante;
•ricorrere a una serie di tecniche di rilassamento (meditazione, biofeedback) per ridurre il
grado di attivazione;
•accrescere il grado di autoconsapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza, con il
fine di migliorarsi, attraverso una serie di tecniche quali la Mindfulness, il counseling o la
terapia;
•rafforzare le abilità di coping , con il fine di fronteggiare in maniera più efficace le situazioni
stressanti, ricorrendo ad esempio a tecniche quali il time management, la gestione costruttiva
del conflitto e, in generale, a una ristrutturazione cognitiva; infine,
•accrescere il supporto sociale , non solo di colleghi e amici ma anche dei familiari, cercando
di bilanciare al meglio il rapporto vita lavorativa-vita privata.
In relazione agli interventi rivolti al luogo di lavoro, invece, vi sono pochi studi connessi alla
possibilità di intervenire su fattori predisponenti ambientali: tuttavia programmi destinati all’intera
organizzazione e progettati per un periodo di tempo considerevole sembrano essere associati a esiti
positivi 20
La gestione del personale è una variabile fondamentale della funzione organizzativa. Nel ruolo di
leader rientra la capacità di influenzare e non di “manipolare” il comportamento delle persone.
Il coordinatore non è solo leader, egli dovrà essere leader positivo e il principale attore nel
prevenire lo STRESS all’interno dell’area da lui coordinata.
La variabile umana, le persone ed il loro vissuto son il terreno su cui il coordinatore deve lavorare.
Le persone come già ampiamente detto sono fatte di emozioni e la cultura delle organizzazioni
influenza ed è costantemente influenzata dalle emozioni.
La presa di visione di questi aspetti comporta una gestione migliore delle conflittualità e delle
resistenze che ne derivano. Il capo deve saper trasferire positività e coinvolgimento orientando e
valorizzando i collaboratori. A tale proposito inseriamo due nuovi concetti legati all’aspetto
manageriale del coordinatore: la membership che consiste nel sentirsi parte del gruppo, e la
groupship che consiste nel riconoscere il gruppo come un'entità che a sua volta ha dei bisogni che
trovano soddisfazione tramite i suoi membri.
La leadership assume appunto una funzione equilibratrice tra membership e groupship garantendo
che sia consentito a ogni singolo di soddisfare i propri bisogni all'interno del gruppo, e al gruppo di
soddisfare i propri bisogni.
20 Leiter & Maslach, 2014
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Infatti il gruppo tende a concentrarsi sull'esecuzione del compito, trascurando sia la pianificazione
che la gestione della relazione tra i membri e tra il gruppo e l'organizzazione ed è qui che si
inserisce la figura di coordinatore come leader efficace. Solo sviluppando capacità di ascolto,
assecondando “l’intelligenza emotiva” i coordinatori infermieristici potranno affrontare con
successo le complessità del presente e le incertezze del futuro, motivando ed ispirando il proprio
gruppo di lavoro.
Il coordinatore infermieristico è a mio parere, il perno intorno al quale ruota un universo fatto di
relazioni, di rapporti umani interni ed esterni all’organizzazione stessa.
Per svolgere a pieno il proprio ruolo dovrà essere per questi ultimi la guida, la bussola che indica la
direzione, dovrà essere “ leader”. .
Il coordinatore per diventare leader positivo elemento trascinante e spinta motivazionale dovrà
sviluppare questi tre atteggiamenti, dovrà dunque essere:
• Empatico
• Socievole e teso all’aiuto
• Comunicativo (comunicare in maniera efficace)
Questi tre momenti sono interdipendenti poiché l’atteggiamento empatico ci permette di riconoscere
prontamente le emozioni assumendo il punto di vista dell’altro, il riconoscimento delle emozioni ci
permette di prevenire o fronteggiare i conflitti e fronteggiare i conflitti ci permette di raggiungere
gli obiettivi attesi e creare un clima di collaborazione.
Il coordinatore infermieristico potrà prevenire l’insorgere delle emozioni negative adottando un
atteggiamento di socievolezza e una volta individuate possono essere gestite adottando un
atteggiamento di aiuto, attraverso l’ascolto attivo, le consolazioni, il sostegno fornito alle persone in
fase di stress.
La socievolezza
Comprende comportamenti mirati all’espressione di emozioni positive (felicità, orgoglio, amore)
da parte del coordinatore-leader al fine di ottenere coesione e solidarietà in un contesto gruppale. In
buona sostanza ad ogni emozione negativa dobbiamo far corrisponde una visione positiva, possibile
dunque reale e migliore di quella presente.
39
La visione del coordinatore deve essere
• esplicitata (cioè condivisa )
• “venduta” cioè presentata nei suoi aspetti migliori e vantaggiosi per il dipendente
Un esempio concreto ci aiuterà a comprendere meglio come “vendere” nel migliore dei modi la
propria visione per ottenere consenso e collaborazione. Es. introduzione di una nuova scheda di
valutazione infermieristica in un periodo in cui si avverte malcontento per mancanza di risorse
umane e materiali.
In questo precisa situazione il coordinatore potrebbe riconoscere il clima di disagio in cui gli
operatori sono costretti a muoversi (accetta la situazione attuale come è realmente, quindi è
credibile), tuttavia l’inserimento di una nuova scheda potrebbe essere un momento di rivalsa
professionale (propone situazioni positive e a vantaggio del dipendente).
Il concetto fondamentale è che il coordinatore infermieristico deve essere capace di trasmettere una
visione trascinante, perché crede nella possibilità di un miglioramento e nelle capacità dei propri
collaboratori.
L’ascolto attivo
È opinione diffusa che un buon coordinatore ascolti in maniera attiva parli cioè per il 20% e ascolti
per 80%.
L’ascolto presuppone una massima attenzione delle componenti non verbali del discorso: postura,
gestualità, sguardo, espressione del viso, tono della voce.
Vale la pena di ricordare che l’Ascolto Attivo e la presenza sono veri e propri interventi
infermieristici che fanno parte della classificazione della NIC (Nursing Intervetions Classification),
molto apprezzate a livello internazionale.
Si può affermare di ascoltare una persona nel momento in cui ci distacchiamo dai nostri schemi di
pensiero e dalle nostre preoccupazioni per entrare completamente nel mondo dell’altra persona.
Per facilitare l’ascolto potrà avvalersi di strumenti come il colloquio, o la riunione creando un
ambiente adeguato e consono alla comunicazione. L’ufficio del coordinatore è luogo di confronto e
non di conflitto.
Affinchè l’ascolto sia attivo dovrà assicurare la privacy, ( chiudendo la porta, isolando per quanto
40
possibile la linea telefonica), eliminare o utilizzare le barriere architettoniche (scrivanie), ricevere i
dipendenti possibilmente fuori orario di servizio e con regolare appuntamento, utilizzare un tono
adeguato alla situazione e alla persona con il quale si confronta.
La comunicazione gioca un ruolo fondamentale nella gestione dei conflitti.
Esistono tre livelli di comunicazione:
• verbale : coincide con l’aspetto verbale cioè le parole
• non verbale: coincide con l’aspetto vocale cioè volume tono ritmo della conversazione
• para verbale : coincide con i movimenti del corpo, espressioni facciali
I messaggi del corpo sono senz’altro quelli che hanno maggiore impatto sul nostro interlocutore.
Assumere una postura piuttosto che un’altra, toccarsi continuamente i capelli, abbassare lo
sguardo,possono essere segnali che involontariamente lanciano un messaggio al nostro
interlocutore.
A tale proposito saranno senz’altro utili al coordinatore i moderni concetti della NPL
( neuropsicologia linguistica).
Riconoscere la sindrome da stress non è così facile, spesso si tende a ricondurre il tutto come un
problema dell’individuo e non del contesto lavorativo nel suo insieme.
Le organizzazioni quasi sempre ignorano questo problema e questo rappresenta un errore molto
pericoloso, in quanto lo stress può incidere pesantemente sull’economia dell’intera organizzazione.
La risoluzione del fenomeno dovrebbe essere affrontata sia a livello organizzativo che a livello
individuale.Un’organizzazione che agisce a sostegno dell’impegno nel lavoro è un’organizzazione
forte. L’aiuto maggiormente efficace per la singola persona è sicuramente un intervento da parte di
un professionista competente in materia che possa fornire strumenti cognitivi, favorire una
maggiore comprensione/consapevolezza del problema, aiutare a comprendere le relazioni esistenti
tra il comportamento personale, il proprio vissuto ed il contesto di vita e lavorativo, modificare il
proprio comportamento e i propri atteggiamenti in coerenza con quanto acquisito.Ma tali interventi
sul singolo non sono semplici: il singolo può avere difficoltà a rivolgersi ad una figura di
riferimento quale lo psicologo per farsi aiutare, ciò a causa sia di pregiudizi verso la categoria di
professionisti che si occupa di tali problematiche, sia perché spesso non è in grado di chiedere aiuto
e/o si imbatte in altre categorie di professionisti non competenti in tali materie. Purtroppo ancor
oggi molti preferiscono pensare di avere un problema organico invece di accettare l’idea di poter
avere un problema psicologico anche se causato da fattori esterni.
41
E’ per questo motivo che viene ritenuto fondamentale raccogliere esperienze ed opinioni in maniera
individuale partire proprio da quel singolo, che spesso per timidezza orgoglio o altri fattori emotivi
personale tende a manifestare atteggiamenti controversi di chiusura personale e rabbia.
La prevenzione dello stress rappresenta per la collettività un grosso risparmio in termini di risorse
ma soprattutto dal risvolto sociale ed economico. .
Poche azioni hanno conseguenze importantissime, quali minor assenteismo (e quindi maggior
possibilità di seguire una turistica regolare) maggior serenità in equip, alte prestazioni dal punto di
vista assistenziali, maggior disponibilità di risorse intellettuali, maggiore disponibilità di esperienze
lavorative e quindi garanzia di assistenza ad alto livello. Minor carico fisico, maggiore possibilità di
confronto e condivisione.
42
CONCLUSIONI
La capacità di gestire lo stress sul posto di lavoro può non solo migliorare la salute fisica ed
emotiva, ma anche fare la differenza tra il successo o il fallimento. Le emozioni sono contagiose e
lo stress ha un impatto fondamentale sulla qualità della vita e delle interazioni con gli altri. Un
infermiere sottoposto a stress sul posto di lavoro, senza un adeguato supporto psicologico e senza
un adeguato confronto con gli altri rischia giorno per giorno di imbattersi nel fantomatico ma non
meno reale bornout . La corretta gestione dello stress invece influenza positivamente coloro che ci
circondano dando spazio al confronto e migliorando nettamente la qualità non solo della vita
personale ma anche professionale.
L’obiettivo della mia tesi mira a riconoscere precocemente lo stress in modo da evitare che questo
possa crescere e sostituirsi al benessere emotivo dell’ infermiere
. La gestione del personale è una variabile fondamentale della funzione organizzativa. Nel ruolo di
leader rientra la capacità di influenzare e non di “manipolare” il comportamento delle persone.
Il coordinatore non è solo leader, egli dovrà essere leader positivo e il principale attore nel prevenire
lo STRESS all’interno dell’area da lui coordinata.
Le persone come già ampiamente detto sono fatte di emozioni e la cultura delle organizzazioni
influenza ed è costantemente influenzata dalle emozioni.
La presa di visione di questi aspetti comporta una gestione migliore delle conflittualità e delle
resistenze che ne derivano.
Diverse indagini sulla salute del lavoratore definiscono lo stress come il risultato di stanchezza
emotiva, mancanza di controllo in situazioni di lavoro altamente esigenti, sensazioni di sforzo,
fatica.
Stress sul lavoro in ambito sanitario è associato a situazioni specifiche, come ad esempio problemi
con i colleghi, l'ambiguità e conflitti di funzione, rientri frequenti, la pressione da parte di superiori
in base alla percezione dell'individuo e trasformazioni subite nel contesto dell'occupazione. Queste
situazioni possono essere importanti fonti di stress.
43
Tra questi, l'infermiere non è esente dalle conseguenze dello stress sul lavoro, mostrando problemi
quali l'insoddisfazione lavorativa, la sindrome di burnout, e l'assenteismo.
La parola stress oggi si ascolta più volte nell’arco della giornata. Indistintamente dal ruolo, dalla
professione, dall’età, ogni essere umano mette in moto una risposta psicofisica come reazione a
compiti che dall’individuo sono ritenuti eccessivi.
Tra le professioni maggiormente soggette a insorgenza di stress, come già ribadito, ritroviamo
proprio quella dell’Infermiere. In questo caso non solo facciamo riferimento a stress fisico ma
soprattutto stress emotivo. L’infermiere è costantemente chiamato ad un compito molto complesso,
un ruolo chiaramente impegnativo all’interno di uno scenario psicologico derivante da una
complessa relazione d’aiuto con il malato e la sua famiglia che mette a dura prova l’emotività del
professionista sanitario.
Pesare in modo scientifico i fattori stressogeni nelle strutture sanitarie quindi risulta buona cosa, in
modo da valorizzare non solo le risorse a propria disposizione, ma anche migliorare la qualità delle
prestazioni che vengono erogate, ricordando che molti studi hanno evidenziato che lo stress non
solo influisce sugli operatori sanitari ma aumenta anche la probabilità di errore, di conseguenza gli
assistiti ricevono difficilmente cure adeguate. L'assenza d'interventi preventivi precoci rischia di
ridurre la possibilità di una gestione adeguata della risorsa umana e delle problematiche relative allo
stress occupazionale, quali perdita di giornate lavorative, diminuzione di efficienza, maggiori
probabilità di errori.
È necessario quindi iniziare ad investigare su quelli che sono i possibili eventi stressogeni in modo
tale da prevenire l’insorgenza di questo fenomeno e ridurre le conseguenze. Molti sono gli ospedali
che hanno adottato o quantomeno iniziato a parlare di formazione del personale in modo tale da
avere un operatore sanitario maggiormente preparato ad affrontare lo scenario in cui
quotidianamente è catapultato
Oltre alla formazione però, bisognerebbe istituire, e non solo in alcuni ospedali, dei veri e propri
corsi di rilassamento e di autocontrollo che hanno l’obiettivo di scaricare lo stress correlato al
lavoro e ascoltare le proprie emozioni, in modo da liberare la mente dalle ansie e dalle paure e
affrontare la giornata lavorativa più serenamente possibile.
Sono convinto però che ad oggi, anche grazie al fatto che gli Infermieri debbano seguire un
percorso di formazione più ampio, con una buona organizzazione del lavoro, con una chiara
distinzione dei ruoli e con un supporto psicologico continuo da parte del datore di lavoro, si possano
44
ridurre al minimo gli episodi di malasanità e continuare ad amare la professione come se fosse il
primo giorno.
NON E DIFICILE DIVENTARE UN COORDINATORE ,QUELLO CHE PIU è DIFICILE è
ESSERE RICONOSCIUTO DAL GRUPPO COME UN BUON COORDINATORE
45
Bibliografia:
”Quando ogni passione è spenta -la sindrome del burnout nelle professioni sanitarie “Massimo
Santinello Adriana Negrisolo
“Le funzioni di coordinamento delle professioni sanitarie” Felice Marra
”Le competenze e la valorizzazione del patrimonio umano in sanità”Tiziana Gandini
Costituzione italiana, art. 32
Codice Deontologico
Professioni Infermieristiche: Aspetti Psico-sociali del Burn-out; 2005
Saunders (2004)
INAIL, Direzione Generale, Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio
tutelato e diagnosi di malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche. Circolare 71
del17/12/2003
F. Pellegrino: “Il burn-out come malattia professionale”, 2004, 45 (2): p.9398
Accordo Europeo sullo stress sul lavoro (Bruxelles, 8 ottobre 2004) ACCORDO QUADRO
EUROPEO SULLO STRESS NEI LUOGHI DI LAVORO
Novara F., Sarchielli G. Fondamenti di psicologia del lavoro. Il Mulino, Bologna, p. 303 – 304
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d’aiuto. Una ricerca sul burn-out femminile” Torino, Borla, 1993, p. 4
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Work-related stress — Safety and Health at Work – EUOSHA
46
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http://www.psychiatryonline.it/node/4516
http://wikipedia.org/wiki/Infermierie
http://www.medicinalive.com
http://www.gazzettaufficiale.it.
https://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_M%C3%BCnchhausen
http://www.viveremeglio.org.
http://www.psicologiadellavoro.com
http://www.psicolab.net.
http://www.psicoterapie.org
http://www.centrostudidipsicologiaeletteratura.org.
https://www.nolo.com/legal-encyclopedia/nursing-malpractice-30076.html
http://www.yogadellarisata.it/
https://it.wikipedia.org/wiki/Yoga_della_risata
http://www.vitanaturale.it/coccoloterapia/index.php?cat=11&fam=2
http://www.italy-news.net.
http://www.viveremeglio.org.
http://www.psicologiadellavoro.com.
http://www.centrostudidipsicologiaeletteratura.org.
47
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Acest articol: Tesi 1 Muntean Ioan Sorin [623462] (ID: 623462)
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