Licență Nicu Loredana 2 Iunie [624139]
0
UNIVERSITATEA DIN CRAIOVA
FACULTATEA DE LITERE
SPECIALIZAREA ROM ÂNĂ – ITALIANĂ (ID)
LUCRARE DE LICEN ȚĂ
Conduc ător stiin țific,
Conf. univ. dr. NICOLETA CĂLINA
Absolvent: [anonimizat]
2020
1
UNIVERSITATEA DIN CRAIOVA
FACULTATEA DE LITERE
SPECIALIZAREA ROMÂNĂ – ITALIANĂ (ID)
Figure e riferimenti della mitologia nella ”Divina Commedia”
di Dante Alighieri
Conducător stiin țific,
Conf. univ. dr. Nicoleta CĂLINA
Absolvent: [anonimizat]
2020
2
SOMMARIO
Introduzione …………………………………………………………………………… . 3
I. RITRATTO DI DANTE ALIGHIERI …………………………………………… 6
1.1. La vita di Dante Alighieri
1.2. Struttura de lla “Divina C ommedia ”
1.3. La visione di Dio
II. PERSONAGGI MITOLOGICI DELL'OPERA "DIVINA COMMEDIA" …… 18
2.1. Ulisse
2.2. Anchise
2.3. Enea
2.4. Turno
2.5. Eurial o e Niso
2.6. Camilla
2.7. Eracle
2.8. Teseo
2.9. Lancillotto e Ginevra
2.10 Circe
III. LA MITOLOGIA NELLE PRIME IMITAZIONI DELLA DIVINA COMMEDIA
…………………………………………………………………………………………… 34
IV. CONCLUSIONI
3.1 Conclusioni sulle figure mitologi che nella “Divina Commedia ” ……………… .. 37
BIBLIOGRAFIA ……………………………………………………………………… . 38
3
INTROD UZIONE
Dante Alighieri , poeta e filosofo italiano, uno dei più grand i scrittor i europe i del
Medioevo , nacque a Firenze, nel 1265 . Con il suo capolavoro della Divina Commedia,
Dante , di media altezza, viso lungo, naso aquilino, occhi grandi, pelle castana, capelli neri
e pensiero sempre e melancolico, è il primo grande poeta della lingua italiana. La vita di
Dante finisce a Ravenna a settembre in 1321.
Il poeta esprime la concezione etico -religiosa della relazione necessaria tra peccato
e punizione. Un segno di ribellione è diretto solo contro il mondo, non dal suo creatore e
conferma la fede in esso, perché considera il male come un effetto della volontaria
disobbedienza dei suoi co mandamenti.
L'attualità della Divina Commedia risiede nei suoi elementi di cultura riguardo alle
relazioni secondarie tra uomo e società, non tra uomo e universo. Attraverso i l contenuto
della sua poesia, grazie al potere del suo mistico simbolismo cristi ano, Dante Alighieri ha
creato un ampio quadro delle passioni e dei sogni.
Un grande interesse per l'opera di Dante Alighieri ebbe Papa Paolo VI , che fu
deliziato d alla bellezza della poesia di Dante ; così dedicò al grande poeta una lettera
apostolica. Dante è considerato un poeta teologo, la cui poesia è "Divina Commedia", "il
moment o più rappresentativo nel Medioevo"1. La scienza si basa sulla rivelazione divina
per portare il mondo alla verità, abbracciare il cielo e la terra, l'eternità del tempo, il
mistero di Dio e gli affari dell'umanità.
Paolo IV analizza l'umanesimo rappresentato da Dante nella Divina Commedia e
sottolinea il carattere "ottimista", perché dopo gli insegnamenti di San Tommaso, afferma
che la grazia non distrugge la natura. La Divina Commedia è stampata dall'amore di Dante
per l'uomo e dal desiderio della sua salvezza eterna, perch é alla fine tutto è praticamente
restituito, trasformato e convertito. Questa realtà si propone solo di essere poeticamente
1 Emilio Pasquini e Antonio Quaglio, Introduzione al poema, commento e lettore , Garzanti,
Milano , 1992, p. 11
4
bella, buona morale, ma abbiamo scelto il cambiamento radicale dell'uomo e condotto alla
conoscenza, dal peccato alla santità, dalla sofferenza alla felicità, dalla terrificante
conoscenza dei luoghi infernali alla benedizione del Paradiso . Alla fine del viaggio
immaginario, l'uomo stesso sente la reincarnazione umana del divino. I personaggi biblici
erano modelli umani da cui si può i mparare, lezioni di vita vera, sia buone che cattive.
Dante ci trasmette l'eterna importanza delle valutazioni attuali, il valore in qualcosa
di superiore, trasmesso nella realtà, illuminato dalla luce divina.
In questo capolavoro letterario universale, lo scopo di Dante è fondamentale per
condurre l'umanità dalla lotta e dal dolore sul terreno alla pace, dal terreno celeste alla
purezza della luce divina, una visione insolita in cui Dio illumina e vive ovunque
attraverso i l contenuto della sua poesia, gr azie al potere del suo mistico simbolismo
cristiano2. Dante Alighieri ha creato un ampio quadro della passione e dei sogni nella sua
opera teatrale Divina Commedia . La scienza si basa sulla rivelazione divina per portare il
mondo alla verità, abbracciare il c ielo e la terra, l’eternità del tempo, il mistero di Dio e gli
affari dell’umanità. La Divina Commedia è creata dall’amor e di Dante per l’uomo e dal
desiderio della sua salvezza eterna, perché alla fine è praticamente restituito, trasformato e
convertito. Alla fine del viaggio immaginario, l’uomo stesso sente la reincarnazione umana
del divino. Alcuni personaggi erano modell i umani da cui si può imparare, lezioni da cui si
può imparare, lezione di vita vera, sia buone che cattive.
In questo capolavoro letterario universale, lo scopo di Dante è fondamentale per
condurre l’umanità dalla lotta e del dolore sul terreno alla pace, dal terreno alla purezza
della luce divina, una visione insolita in Dio che illumina e vive ovunque. Nella visione di
Dio attraverso la quale raggiunge la fine del paradiso, il viaggio oltre il mondo arriva ad
abbracciare e comprendere dentro di sé l’universo, la vita di tutt e le persone e la sua
esperienza individuale, l’esperienza intellettuale della sua stessa poesia.
La poesia di Dante pone fine al rapporto con il pubblico dei lettori, si ritrova
abbastan za personale, con la ricerca della verità, con il suo interesse ad intervenire
personalmente, a denunciare l’ingiustizia e la corrosione. L’esperienza imbattibile della
visione di Dio, sarà insistita anche nell’ultimo verso e nell’ultimo verso Paradiso, il resto
del cosmo ‘’amore muove il sole e le stelle’’.
2 M. Guglielminetti, Lineamenti di storia della letteratura italiana , Le Monnier, Firenze, 1980, p,
28
5
Capitolo I
RITRATTO DI DANTE ALIGHIERI
1.1 LA VITA DI DANTE ALIGHIERI
La vita di Dante Alighieri è strettamente legata agli eventi politici di Firenze. È
impegnato nella turbolenta vita politica di quel tempo, Dante viene escluso da qualsiasi
attività politica, è costretto a dedicarsi esclusivamente alla creazione poetica.
Durante questo periodo, Firen ze sta per diventare la più importante dell'Italia
centrale. I "Guelfi" sono in conflitto, l'autorità papale si fida e i "Ghibellini", i sostenitori
politici del re, diventano una guerra tr a i nobili borghesi. Dante, dopo lo sviluppo d ei
Guel fi a Firenze viene esiliato dalla città. I Guelfi, divisi tra due parti, i neri e i bianchi
sono sostenuti da Roma. Dante Alighieri è tra questi, esiliato, l’esilio apre la via della
creazione per le sue grandi opere.
Nella vit a di Dante ci sono due fasi principali: F irenze, accanto agli amici della
generazione, e l’esilio, il pellegrinaggio nelle città della Penisola. Proveniente da una
famiglia con radici profonde nel passato di Firenze, Dante è nato a Firenze, nella piccola
nobiltà, è fermato nella possibilità di affermazione, perché appartiene alla piccola nobiltà .
Il padre, Alighiero di Bellici , è morto quando Dante aveva 17 anni. L'evento più
sereno della sua giovinezza, è l’incontro nel 1274 di Beatrice, descritto ne "La vita nova",
che vede in tre occasioni, e sente l'opportunità di parlare. Beatrice more nel 1290, il poe ta
inchina a lei il suo c uore, un unico sentimento, non accettando un alt ro amore. Innamorato
di lei per adorazione, Beatrice è un simbolo angelico, grazia divina, che la esalta ne "La
Vita Nova" e piuttosto nella "Divina Commedia"3. Dopo due anni dalla morte di Beatrice,
Dante inizia scrivere “Vita nova”.
3 R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, F. Marchese, La scrittura e l’interpretazione, G.B. Palumbo
Editor e, 2004, p . 18
6
È stato impressionato della filosofia e della retorica d i Brunetto Latini che è una
figura importante nella “Divina Commedia”. Si sa che nel 1285 si trova a Bologna per
studiare nella università della città. All’età 20 ano sposa Gemma di Manetto Donati,
appartenente ad una grande famiglia nobile4.
Secondo alcuni storici letterari, nel 1307 inizia a scrivere l'epopea cristiana della
Divina Commedia ; un'opera da lle molteplici sfaccettature, come tale espressione di una
personalità di spicco, a sua volta rappresentativa per i suoi tempi. Il lavoro dell'età matura e
l'esperienza dell'esilio sono legati a eventi che hanno interessato l'intera Italia,
determinandone il modo di pensare. La poesia dante sca è una cronaca contemporanea e
una satira violenta, è una professione di fede poetica e concezione filosofica.
L'esperienza dell'esilio narrata di Dante, una somma di speranze : l'uomo può essere
salvato dalla fede, e l a Divina Commedia mostra solo la strada per questa felicità. Nat a da
un'esperienza dolorosa, a partire dall'indignazione e dalla rabbia verso il male che regna
nel mondo, la poesia di Dante non mostra alcuna visione tragica in qualsiasi momento,
perché il poeta ha pubblicato intatta la certezza di Dio che dà senso al mo ndo e alla vita
dell'uomo. 5
Per quanto riguarda il titolo del poema, ci viene presentata la poesia dell'epoca, le
spiegazioni di Dante nella tredicesima epistola, che si rivolge nell’Epistola per Can grande
della Scala, anziano di Verona. La commedia differisce dalla tragedia per il fatto che ha un
inizio difficile, ma la sua materia ha un "finale prospero".
La sua opera merita di essere chiamata Commedia, che parte da un inferno terribile
e ripugnante, e a lla fine è degno di essere desiderato e di rendere grazie, questa parte è il
Paradiso. L'anima è tristemente descritta come vagare nella "foresta oscura" verso il più
alto paradiso del vizio, il poeta descrive un percorso di gioia, così scrive una commedi a.
L'attributo divino verrà aggiunto da altri, probabilmente Boccaccio, il primo
commentatore. La Divina Commedia è composta da tre parti, Inferno, Purgatorio, Paradiso,
ognuna delle quali ha trentatré canzoni. “L’epiteto divina, che per tanti secoli ha
indebitamente accompagnato, e tuttora resiste, per la prima volta impegnato nella biografia
dantesca del Boccaccio a sottolinea rne la sublimità dell’opera, è stato aggiunto
4 Giulio Ferroni, Andrea Corte lessa, Italo Pantani, Silvia Tati, Storie e testi della letteratura
italiana 1300 -1380, Einaudi Scuola, p. 34
5 Otto secoli di poesia italiana , Introduzione al poema , commento e lettore, cura di Emilio Pasquini
e Antonio Quaglio, pag. XXXI, da S. Francesco d’Assisi a Pasolini, a cura di Giacinto Spagnolett i,
prima edizione: ottobre 1993 Newton Compton; pag.87
7
esplicitamente nel fronte spazio dell’edizione apprestata da Ludovico Dolce (Venezia,
Gabriele Giolitio, 1555)6.
Fra le opere minor i di Dante scritte in v olgare, sono Vita nova , raccolta di poesi e e
di prose che formano il romanzo giovanile dell’amore di Dante per Beatrice; Rime
(amorose, morali satiriche bizzarre ). Segue il Convivio , scritto tra il 1304 e 1307, di alta
divulgazione dottrinaria. Dante scrisse soltanto i primi quattro dei quindici trattati previsti,
dosando le canzoni sue più importanti.
Per quanto riguard a le opere in latino, il De Monarchi a, dove sono espresse l e sue
considerazioni politiche, in rapporto anche alla discesa dell’imperatore, si ricorderà il De
Vulgare Eloquenti a, e inoltre la Quaestio di acqua et terra, le Epistole, le Egloghe . La sua
opera maggiore, e al tempo stesso una delle sommità di poesia universale, e la Commedia,
chiamata poi Divina da Giovanni Boccaccio. 7
1.2 STRUTTURA DELLA DIVINA COMMEDIA
La Divina Commedia racconta la strada a ttraverso l'Inferno, il Purgatorio, il
Paradiso. La possibile immaginazione ebbe luogo nel 1300, l'anno del primo Giubileo,
istituito a Roma e l'inizio di un periodo della sua vita, il viaggio del poeta, che raffigura il
cammino dell'anima verso la conosce nza di Dio o della verità, verso la salvezza dei peccati
e la massima gioia, la comprensione inizia in pineta. Perso, raccolto e fermato da tre bestie:
la lince, il leone e il lupo, il poeta viene salvato da Virgilio, che gli mostra l'unica via
d'uscita da i tre regni che riesce a attraversare il fiume Acheronte , nel limbo. (Cerchio I:
bono non battezzati).
Accompagnato dal poeta latino Virgilio, vicino al mondo cristiano perché
profetizzava la nascita di Cristo, Dante scende lungo i dieci gradini, cerchi concentrici, che
formano i bordi dell'immenso imbuto e così via, passi dei peccati, sul fondo dell'inferno
dove morì Lucifero. Attraverso il poeta, tutti i condannati passano, l a cui colpa sta
nell'ignorare il bene più che nel commettere il male, fino a quelli che hanno commesso
coscientemente l'iniqui Le punizioni corrispondono simbolicamente ai peccati, dai più
6 Otto secoli di poesia italiana , da S. Francisco d’Assisi a Pasolini, a cura di Giacinto Spagnolett i,
prima edizione: ottobre 1993 Newton Compton , pp. 149 – 150
7 Otto secoli di poesia italiana , op. cit ., p. 87
8
leggeri, come la mancanza di compassione e le passioni a quelli gra dualmente più gravi,
come l'eresia, la violenza, l'inganno, il tradimento.
Dal fondo dell'Inferno, il poeta viene di nuovo alla luce sull'isola nel mezzo della
quale si trova la montagna del Purgatorio. Accompagnato da Virgilio, egli sale e incont ra
le anime di coloro che a loro volta salgono, ispezionando i loro peccati. L'angelo cancella
l'iniziale del simbolo del peccato, segna l'ascensione al perdono.
Al culmine di Dante e Virgilio si trova il paradiso terrestre, il prato fiorito che
immagina il mondo dei primi popoli, quindi Virgilio scompare essere pagano, non può
entrare in paradiso. Qui la guida del poeta è Beatrice, simbolicamente l'essere divino.
All'ultima salita, il poeta dimentica, attraverso l'azione magica delle acque del fiume Lete,
in cui ogni ricordo del peccato affonda e conserva solo le acque dell’Eunoe, rimane so lo il
ricordo del bene fatto. Beatrice lo accompagna ed entra nei circoli concentrici del paradiso,
gradualmente, lungo il loro viaggio verso l'Impero, le anime dei trop po felici in una
graduale immaterialità, fino a quando la loro confusione con la luminosità del mondo,
Dante viene lasciato da Virgilio.
Beatrice, che lascia il posto a San Bernardo, la cui preghiera va alla Vergine, chiede
al poeta il potere di conoscere Dio. All'ultima salita, il poeta si identifica con il motore
dell'universo, l'amore "che muove il sole e le altre stelle". Può essere considerato da
Benedetto Croc e, in questa parte narrativa, un poema teologico: i fatti raccontati sono
espressi nel mondo della teologia e l'evento straordinario di questo viaggio è, come
premessa, l'uomo nella sua generalità ed essenza, che viene sottoposto all'esperienza
cruciale della conoscenza. Il viaggio attraverso i tre mondi e un’allegoria, i suoi sensi sono
figurativ i.
La verità teologica primordiale che comunica il poeta è la mancanza di bene per
l'umanità, spiegando così la necessità della sua salvezza dal male. Le tre bestie che
circondano il poeta nei deserti della foresta e che appaiono con lo stesso valore alleg orico
in una profezia di Geremia, il poeta mostra che il mondo attuale, del suo tempo, è sotto
l'impero del male e che sarà salv ato quando il veltro (il copoi di Cosbuc) scaccerà il lupo,
quello tra le bestie significa avidità e avidità, la più per il bene dell’umanità.
Dalla verità teologica, elemento della struttura, il poeta discende così, al fatto
storico concreto in cui si manifesta, rivelando l'intero passato dell’umanità .
L'immagine del mondo attuale con le sue radici nel passato e con le sue prospettive
nel futuro. Il poeta acquisisce attraverso questo contenuto umano uno scopo etico
informativo. Il peccato stesso è definito forte nella misura in cui l'azione corrispon dente
9
diminuisce l'anima razionale dell'uomo, vale a dire l'intelletto e la volontà. Nella misura in
cui il peccato colpisce solo l'individuo, l'avidità dei beni è il peccato più grave. Firenze è
"un'oasi di dolore", l'Italia, persa nella rabbia, ha perso la sua dignità e il suo onore, in
attesa di essere salvata dal levriero che, allontanando il lupo, creerà un unico impero in
tutto il mondo8.
Il poeta condanna l'avidità e la violenza sul piano politico, in cui sono vivi e
presenti in altri peccati: la passione dell'amore, la paura della morte e il ritorno
all'animalità. Anche qui ci sono i sentimenti di una tentazione alla perfez ione, dal tragico
dolore di Piei dei Tolomeo, dalla sofferenza in rassegnazione alla morbidezza di Donata
Piccardela, alla salvezza ingiustamente ferita di Pier della Vigna, al coraggio di Farinata
degli Uberti fino alla perfezione dei santi, dal paradiso.
Enciclopedia teologica e tesoro di una visione preumanistica del mondo, il poe ma
di Dante è la prima opera di grande poesia nella cultura medievale e moderna. Scritta nel
dialetto fiorentino dell'epoca, la Divina Commedia stabilì l'egemonia linguistica d i Firenze
sulla Toscana e della Toscana sull'Italia. Dante crea qui la lingua letteraria italiana e la
fornisce come base del dialetto fiorentino contemporaneo.
L'adozione del genere della commedia consente all'autore tutta la libertà di
scegliere le parole. Nel complesso culturale di un secolo avanzato come è il XIV secolo. Il
Dolce stil nuovo e la memoria dei provenzali si integrano nello stile poetico proposto dalla
Commedia, che non possiamo più parlare della poetica del Dolce stil nuovo , ma della
poesia di Dante.9
La cosmologia dell’universo dantesco, creato da Dio per gli uomini e gli angeli,
proviene nell e sue linee fondamentali d alla letteratura biblica, patristica e scolastica, e
s’inquadra nella concezion e fisica della scienza medioevale .
La Commedia è anche una drammatizzazione della teologia cristiana medievale,
arricchita da una straordinaria creatività immaginativa.
La struttura testuale della Commedia coincide esattamente con la rappresentazione
cosmologica dell'immaginario medievale. Il viaggio all' Inferno e sul monte del Purgatorio
rappresentano infatti l'attraversamento dell'intero pianeta, concepito come una sfera , dalle
8 Emilio Pasquini e Antonio Quaglio, Introduzione al poema, commento e lettore , Garzanti,
Milano , 1992, p. 62
9 Otto secoli di poesia italiana , da S. Francisco d’Assisi a Pasolini, a cura di Giacinto Spagnoletta,
prima edizione: ottobre 1993 Newton Compton; pp.149 – 151
10
sue profondità alle regioni più elevate; mentre il Paradiso è una rappresentazione
simbolico -visuale del cosmo tolemaico .
L'Inferno era rappresentato all'epoca di Dante come una cavità di forma conica
interna alla Terra, allora concepita come divisa in due emisferi, uno di terre e l'altro di
acque. La caverna infernale era nata dal ritrar si delle terre inorridite al contatto con il corpo
maledetto di Lucifero e delle sue schiere, cadute dal cielo dopo la ribellione a Dio.
In cima al Purgatorio, che peraltro era una creazione recente dell'immaginario
cristiano legata alla necessità di gius tificare la dottrina delle indulgenze, Dante colloca il
Paradiso terrestre del racconto biblico, il luogo terrestre più vicino al cielo.
Il Paradiso è strutturato secondo la rappresentazione cosmologica nata all'epoca
ellenistica con gli scritti di Tolemeo , e risistemata dai teologi cristiani secondo le esigenze
della nuova religione. Nel suo rapimento celeste dietro l'anima di Beatrice, Dante
attraversa dunque i nove cieli del cosmo astronomico -teologico, al di sopra dei quali si
distende l’ Empireo .
Ai nov e cieli corrispondono nell'Empireo i nove cori angelici che, col loro
movimento circolare intorno all'immagine di Dio, provocano il relativo movimento
rotatorio del cielo a cui ciascuno di essi è preposto – questo secondo la dottrina dell' Atto
Puro o Primo Mobile desunta dalla Metafisica di Aristotele .
In particolare, la topografia dell'Inferno comprende i seguenti luoghi: un ampio
vestibolo o Antiferno, dove vengono puniti coloro che nessuno vuole, né Dio né il
demonio: gli ignavi.
Il fiume Acheronte, che separa il vestibolo dall'inferno vero e proprio.
Una prima sezione costituita dal Limbo, immerso in una tenebra perenne.
– Una serie di cerchi meno scoscesi in cui patiscono i peccatori incontinenti.
– La città infuocata di Dite, le cui mura circondano la voragine finale.
– Il cerchio dei violenti in cui scorre il fiume sanguigno del Flegetonte .
– Un burrone scosceso, che dà a ll'ottavo cerchio, chiamato Malebolge: il cerchio dei
fraudolenti.
– Il pozzo dei Giganti.
– Il lago ghiacciato di Cocito, dove sono immersi i traditori.
La topografia del Purgatorio è invece così strutturata: un Antipurgatorio, costituito
da una spiaggia su cui vengono traghettate le anime dall'angelo nocchiero che le preleva
alla foce del Tevere. Specularmente all'Inferno, in esso subiscono la loro purificazione i
negligenti, i tardi cioè a pentirsi.
11
Ai piedi del monte, ancora parte dell'Antipurgatorio, c ’è una valletta fiorita in cui
espiano i loro peccati i principi negligenti.
Il Purgatorio vero e proprio è un monte scosceso, formato da ampi dirupi e cerchi
rocciosi, a ciascuno dei quali è preposto un angelo guardiano.
Sulla cima del monte c’è il Paradi so terrestre, che ha l'aspetto di una foresta
rigogliosa, popolata di figure allegoriche.
I nove cieli del Paradiso sono i sette del sistema tolemaico – Luna , Mercurio ,
Venere , Sole, Marte , Giove , Saturno – più il cielo delle Stelle fisse e del primo mobile.
Il paragone è lo strumento con cui il poeta ritrae il reale mediante un intreccio di
notazioni varie e reali. La natura dante sca scaturisce sempre da un riferimento personale ed
è attratta nell'orbita drammatica della rappresentazione. Tutto in Dante ha un valore
soggettivo, il poema non è solo la storia dell'anima cristiana che si volge a Dio, ma anche
la vicenda personale di D ante, inestricabilmente intrecciata agli avvenimenti che narra.
Dante è sempre attore e giudice10.
Il carattere autobiografico prevale nella poesia rende Dante, la profezia religiosa e
politica, si sviluppa su un terreno di esperienze personali, dichiaratamente espresse, e di
aspirazioni precise. Dante sovrappone la profezia ai fatti concreti e non li dimentica, né
insegue sogni vaghi e irrealizzabili di rinnovamento come i profeti medievali, infatti il suo
vagheggiamento di un rinnovamento religioso, morale e politico ha obiettivi ben precisi:
una ritrovata moralità della Chiesa, la restaurazione dell'Impero, la fine delle lotte civili
nelle città.
L'allegoria è il fondamento del poema ed è il segno più scoperto del suo
medi evalismo; il mondo è raffigurato suddiviso: da un lato la realtà storica e concreta,
dall'altro il sopramondo, ossia il significato della realtà storica trasferita sul piano morale e
su quello ultraterreno. Il costante riferimento al sopramondo attesta, la subordinazione
medievale di ogni realtà a un fine morale e religioso.
Dante non si può scindere dalla tradizione poetica provenzale, come dalla poesia
provenzale non si può separare lo Stil Nuovo di cui Dante fu insigne rappr esentante. Stile e
linguaggio danteschi derivano da modi caratteristici della letteratura latina medievale: la
giustapposizione sintattica (brevi elementi successivi), uno stile che non conosce la fluidità
e il modo mediato e legato dei moderni. Dante ama l'espressione concentrata, il rilievo
visivo e rifugge dai legami logici, il suo linguaggio è essenziale , a differenza di Petrarca ,
10 Giulio Ferroni, op. cit ., p. 91
12
che utilizzava un linguaggio puro e semplice caratterizzato da un ristrettissimo numero di
parole, un unilinguismo.
1.3. LA VISIONE DI DIO
La visione di Dio è data da continue approssimazioni, affermando costantemente
l'impossibilità, ricordandola fino in fondo e raccontandola in parole: come nel misticismo,
l'immersione totale può avvenire solo scoprendo che la sua luce totale è equivalente con
una cecità, che è data da un potenziale potenziamento dei sensi che conduce a uno dei
sensi, e questo significa che il tutto non può essere sfruttato appieno. Tuttavia, nel tentativo
di rendere conto di questa esperienza, affermando costantemente l'insufficienza della
parola, Dante lo porta al lavoro, raggiunge come nessun'altra possibilità di dire
l'imprevisto: l'ascesa al Paradiso raggiunge il suo culmine, il p ossesso afferma la sua
vittoria, ai limiti del mondo, a caso, la mediocrità, la fragilità dell'esistenza.11
Dante descrive la rosa candida in cui si sentono benedetti ; dai versi XXXI ha uno
scambio di guide, non traumatico come nei versetti XXX del Purgatorio, perché Beatrice
sostituisce Bernardo . Hanno il ruolo di presentare Dante ad alcuni dei santi presenti, hanno
il ruolo di intervenire in favore di condurlo alla Madonna agli occhi di Dio. Raggiunge
questa visione attraverso una serie di meditazioni e passaggi: da Beatrice a San Bernardo ,
da loro alla Vergine Maria, la regina dei cieli, nei versi XXXII si chi udono con
l'affermazione di Bernardo della necessità di chiedere l'aiuto di Maria, cosa simboleggia
l'inizio, non la fine, la preghiera alla vergine con la quale inizia il seguente versetto: e
inizia questa santa preghiera .12
Bernardo, che apre i versi in XXIII, una sorta di proemio, ha una intonazione
retorica, ripristina una serie di ragioni tradizionali dovute: un'esperienza così eccezionale ci
mostra una rete di elementi conosciuti allo stesso modo. La preghiera indirizzata a Mari a
conduce Dante alla visione di Dio .13
11 Giulio Ferroni, Andrea Cortelessa, Italo Pantani, Silvia Tati, Storie e testi della letteratura
italiana 1300 -1380 , cura di, Torino, Einaudi Scuola, pag. 340
12 Storie e testi della letteratu ra italiana 1300 -1380 , a cura di Giulio Ferroni, Andrea Corte lessa,
Italo Pantani, Silvia Tati, E inaudi Scuola , pag. 340
13 Storie e testi d ella letteratura italiana 1300 -1380 , op. cit ., pag. 340-341
13
L'autore pellegrino, lo stesso poeta si r itrova intrappolato nell'universo, tornando
sotto l'esortazione dell'amore divino. Nessuna poesia ha saputo raggiungere, identificarsi
con tale energia, con il movimento del cosmo: se riescono a comprendere questi versetti,
ovviamente difficili, molto lont ani dalle nostre esperienze ordinarie, possiamo arrivare a
riconoscere la poesia di tutti i tempi.14 La poesia di Dante pone fine al rapporto con il
pubblico dei lettori, si ritrova abbastanza personale, con la ricerca della verità, con il suo
interesse ad intervenire personalmente, a denunciare l'ingiustizia e la corrosione. 15
Dante inizia il viaggio verso il paradiso, anticando alcuni dei temi e delle modalità
narrative più essenziali e descrivendo e svolgendosi durante il viaggio, realizziamo
immediatamente l'ambiente molto diverso dagli altri, più difficile e più ambizi oso: non
affrontiamo più la realtà fisica, le immagini e le forme dei due regni, riproducono solo il
mondo terrestre, qui si muovono fuori dalla terra, ripetono luci e colori diversi, suoni,
movimenti fuggitivi ed evasivi.
Questo inizio ha luogo nel nome di Dio e motto quello che stampa il mondo "la
gloria di chi muove tutto". Si riferisce immediatamente al punto finale del viaggio, la
poesia quando Dante è nell'Impero. L'esperienza imbattibile della visione di Dio, sarà
insistita anche nell'ultimo verso e nell'ultimo verso del Paradiso, il resto del momento
impregnato di Dio nel cosmo , l’ ”amore che muove il sole e le stelle. ”16
Il desiderio e l'intelletto umani non possono essere conservati dalla memoria. La
memoria ricorda ostinatamente il ricordo rigoroso, ma porta i limiti dell'intelletto umano.
L'inizio delle storie e il viaggio verso il paradiso presentano per la prima volta il paradiso
terrestre.17
Lo sguardo di Beatrice sul sole spinge Dante a guardare una stella incandescente, e
poi si verifica Beatrice in questo incrocio ; Beatrice quindi spiega al poeta che non sono più
sulla terra e un altro dubbio sboccia poi nella mente del poeta: la possibilità di volare,
attraverso la sfera dell'aria e sopra il fuoco18.
Beatrice è la prima in tutta questa serie di discorsi e dottrine teologiche che
caratterizzano il Paradiso, qui anticipat o: riguardo alla loro materia, sono animati da un
14 Storie e testi della letteratura italiana 1300 -1380 , a cura di Giulio Ferroni, Andrea Corte lessa,
Italo Pantani, Silvia Tati, Einaudi Scuola, pag. 340
15 idem
16 idem
17 idem
18 idem
14
respiro cosmico come una tensio ne delle parole, dei pensieri che definiscono il contenuto
dell'intero universo afferma il significa to del riconoscimento di verità .
Nel viaggio sono espressi da una serie di immagini vertiginose, metafore
lampeggianti, l'esperienza fisica del mondo terrestre, come una sfida costantemente
rinnovata, che sembra quasi "inventata". << Le terzina dantesca – scrive il FUBINI – non è
isolata ; il discorso si modella variamente, in una alternanza di gruppi più brevi di terzine
con gruppi più lunghi. La terzina dantesca tende di una parte a chiudere saldamente
l’immagine fra il primo e il terzo verso rimanti fra loro e, d’ altra parte, a prolung arsi>> .19
Di scelta: insieme a v ocaboli di tono illustre non dialettali, vi sono vocaboli plebei,
vari latinissimi e voci coniati direttamente dal poeta ( senza dire versi integramente in
latino, in massima citazione, e grupp i di versi in provenzale alla fine del canto XXVI del
Purgatorio). 20
Il titolo viene dato al poema da Giovanni Boccaccio (1313 -1375), che a Firenze,
comment ò pubblicamente i primi 17 canti dell’Inferno e compo se una biogra fia di Dante
(VII,22,32). Nel 1555 il titolo La Divina Commedia apparve nell’edizione veneziana a
stampa del Giolito. 21
Non esist ono codici autografi (manoscritti di Dante) della Divina Commedia , dallo
studio e del confronto di esse ; i filologi hanno tratto l’edizione critica (e ce n’e più d’una) .
La Divina Commedia è scritta nel fiorentino dai tempi di Dante, la maggior parte
dell’opera, usato dal poeta con ampia libertà .22
La conce zione della poetica e della vita
Il contesto storico
La concezione della vita di Dante si configur a come omologa rispetto alla
situazione politico -culturale della Firenze contemporanea, che va considerate come
esempio significativo della crisi delle due gra nde istituzioni altomedievali, e cioè l’Impero
e il Papato.
19 Giulio Ferroni, Andrea Cortelessa, Italo Pantani, Silvia Tati, Storie e testi della letteratura
italiana 1300 -1380 , cura di, Torino, Einaudi Scuola, p. 144
20 Giulio Ferroni, op. cit ., p. 147
21 idem
22 idem
15
La vita come viaggio, tra teologia e filosofia
Fondamentale nella concezione della vita di Dante è una visione religiosa della
realtà che in relazione alla sua formazione aristotelico -scolastica, concepisce la storia della
verità cristiana; considerate come anticipazione dell’evento fondamentale della storia del
mondo, l’incarnazione del Cristo e si tratta di un vero e proprio passaggio da un sistema
all’altro (transcodificazione), dall’universo s emiologico pre -cristiano a quello Cristiano.
La concezione politica
Da questa concezione politica e vista la crisi irreversibile delle due grandi
istituzioni che derivano due atteggiamenti tipici di Dante:
• la condanna, di stampo moralistico della società Borghese contemporanea , la Firenze
dei commerce e delle banche;
• lo slancio utopico, che si sostanzia i nuovi “miti”.
Il primo mito esprime una sua complessa e problematica ansia religiosa di Dante:
un suo ritorno alle origini evangeliche e una sua profonda riforma morale della Chiesa.
Il secondo mito dantesco e la insis tenza in gran parte della sua opera: instaurare uno
regimo politico incentrato sulla giustizia, rispettoso dei cittadini e promotore della loro
felicità terrena.
Terzo e ultimo mito è l’esaltazione della scienza che anima l’intellettuale, pronto a
diffonde re “il pan de li angeli”, la sapienza, a chi ne è sprovvisto .
La concezione poetica
E dunque inevitabile che proprio per trasferire in un a dimensione esemplare la sua
storia personale Dante si serva del realism o figurale, di un vero e proprio “statuto
semiologico” che da una parte si rivela molto aderente alla realtà contemporanea , dall’ altra
la trasferisce in una dimensione non più contingente ma metafisica: realtà, situazioni e
personaggi, pur rappresentati nella loro immediatezza drammatica.
16
Caratteri generali della Commedia
Struttura e sistemi fondamentali
Nella struttura della Commedia riflette nella sua perfezione, quella divina assume
un grande importanza la complessa simbologia numerica, fondata sul numero 3, che
rimanda certamente alla Trinità: 3 sono le cantiche, 33 i canti di ciascuna (l’Inferno ha un
canto che fa da proemio) e ogni canto è espresso in terzine.
A livello strutturale e composta di tre sistemi fondamentali: uno fisico, uno etico e
uno storico -politico.
• Il primo sistemo fondamentale e il fisico che consiste nella riproposizione della
conc ezione dell’universo nella forma da Tolomeo, ripresa dalla filosofia aristotelica e
legittimata dalla Scolastica.
• Il secondo grande sistem a è quello morale o etico che consiste in una definizione –
l’uom o ‘ l’unico essere dell’universo ad essere dotato d i libretto arbitrario: l’Inferno è
cosi il regno della pena eterna, il Purgatorio luogo di purificazione delle anime pentite
e il Paradiso il regno della salvezza eterna.
• Il terzo sistema è quello politico che consiste in una opinione di Dante: autonomia tra
potere politico e potere religioso , perché individua in essa la condizione indispensabile
per un rinnovamento reale dell’umanità.
Il tempo e lo spazio
Una prima caratteristica della Commedia sta nel singolare rapport fra tempo della
storia (trama) e tempo del racconto (intreccio).
Secondo la nota definizione di Michail Bachtin, il rapport spazio -temporale fa
emergere la tipologia dell’opera: in questo caso il tema del (viaggio).
Lo spazio narrative della Commedia , in ossequio al realism o figurale, è si quello
fisico, natural e ma, una volta trasferito sull’asse atemporale della divinità, è soprattutto
17
simbolico: lo spazio assume una funzione dichiaratamente simbolica che configura una sua
vera e propria semantica.
Il lessico, le strutture seriali, la metrica d ell’opera “Divina
Commedia”
Il lessico
Fondamentale nel lessico della Commedia è l’apporto del latino, sia nella forma
originale (“O sanguis meus”, “sub Iulo”) sia nei derivati (latinismi del tipo magno volume ,
sermo, cive, baiulo, noverca, pusillo, speculi ). Come notevole è l’ incidenza del sottratto
Greco ( periz oma, archimandrita ), dei francesismi (vengiata da venger , “vendicare”;
gibetto da gibet , “forca”; riviera da rivière , “fiume”). Notevole è la serie di neologismi:
immillarsi, inciela, transumanar .
Le strutture seriali
La poesia dantesca è caratterizzata anche dall’uso seriale di figure ricorrenti , che
mirano al perseguimento di effetti di calcolata architettura: gli appelli metanarrativi
(“Ascolta, lettor…”) , le invettive (“Ahi Pisa, vituperio delle genti”; “Ahi serva Italia…”),
la sentenza che chiude il discorso (“fatti non foste a viver come bruti” o anche “Oh vana
gloria delle umane posse”).
La metrica
Dante fa uso della terzina incatenat a che se de una parte realizza la struttura di
volontà divina, dall’altra parte esprime l’inventività del mondo poetico. Da una parte fa la
alternanza tra A -maiore (“Nel mezzo del cammin // di nostra vita”) e A -minore (“mi
ritrovai // per una selva oscura” ) e dall’altra parte accentua evidente dalla sinalefe (“Vedi
che non incresce a me, e ardo”, con la fusion, nonostante della – e di me con la successiva
coniugazione “e ardo”).
La terzina incatenata (ABA, BCB, CDC, DED) rappresenta una vera e propria
“unit à metric o-sintattica” e risulta quindi fondamentale nella scansione del canto.
18
CAPITOLO II
PERSONAG GI MITOLOGICI NELLA "DIVINA COMMEDIA"
L’Inferno dantesco è concepito come una gigantesca voragine, diviso in nove cerchi
concentrici che si r istringono fino al lago ghiacciato del Cocito, dove è conficcato
Lucifero.
Ogni cerchio è controllato da dei custodi: si tratta di personaggi della mitologia
pagana che Dante ricostruisce con incarnazioni demoniache, secondo la credenza cristiana
sull’esistenza di creature mostruose nel Regno del Male. Il custode nella Commedia
rappresenta il tramite unico e indispensabile per il superamento da un cerchio all’altro
dell’Inferno.
I personaggi mitologici che Dante incontra lungo il suo cammino nel primo Regno :
Caronte : è il primo dei personaggi mitologici introdotti da Dante nell’oltretomba
cristiano. Il demone raccoglie minaccioso le anime sulla sua barca e traghetta oltre il fiume
Acheronte.
Nel III canto i due si imbattono in Caronte , il primo delle varie figure mitologiche
classiche collocate dal poeta nell'Inferno come guardiani dei vari ce rchi e trasformati in
esseri demoniaci.
Figlio di Erebo e di Notte, è il traghettatore delle anime nell'Aldilà: vecchio
nocchiero canuto, dagli occhi di fuoco e le guance pelose, Caronte minaccia le anime dei
dannati e acquietato da Virgilio, che gli dice che il viaggio di Dante è voluto da Dio, fa
salire i due poeti e li trasporta al di là del fiume.
Minosse : giudice delle anime ha il compito di collocarle in un determinato girone,
ringhia e torce la coda per indicare la posizione del dannato nell’Inferno. Mitico re di
Creta, figlio di Giove ed Europa, è già in Omero e nella tradizione greca il giudice del
19
regno dei morti. In Dante Minosse ha un aspetto grottesco e mostruoso, con una lunga coda
con cui si cinge il numero di volte corrispondente al cerchio i n cui l’anim a del dannato
dovrà scontare in eterno le sue pene.
Nel V canto i due incontrano Minosse , mitico re di Creta, figlio di Zeus ed Europa,
giudice severo e capace legislatore che qui è un giudice orribile e ringhioso, ma anche
goffo ed irriverente; ha il compito di giudicare le anime e di condannarle, arrotolando la
coda attorno al suo corpo un numero di volte pari a quello d'ordine del cerchio cui
un'anima è destinata. Anche Minosse am monisce Dante dicendogli di non fidarsi di
nessuno, neanche di Virgilio. A queste parole Virgilio risponde come aveva in precedenza
risposto a Caronte. Nel VI canto i due poeti incontrano Cerbero, figlio di Echidna e Tifeo,
custode del terzo cerchio, quell o dei golosi, in quanto ritenuto il simbolo dell'ingordigia. È
un cane a tre (o più) teste, antropomorfo, bestia crudele e mostruosa, che latra
continuamente, ha occhi rossi, barba unta e nera, ventre largo e mani unghiate con cui
dilania i dannati. 23
Cerbero : cane mitologico con tre teste, demonio deforme che assorda i dannati;
Dante lo pone alla guardia del terzo cerchio e accentua nella sua rappresentazione alcuni
aspetti umani (barba unta e atra, ventre largo, mani unghiate e facce lorde) creandone una
figura mostruosa che potesse richiamare il Male e il demoniaco.
Quando Cerbero scorge i due, apre le bocche, mostrando i denti e tremando per
tutto il corpo dal desiderio di divorare; ma Virgilio, preso del fango a piene mani, lo getta
dentro le avide gole e il mostro si acquieta, lasciando passare i due poeti. All'inizio del VII
canto Dante e Virgilio si imbattono in Pluto, figlio di Iasione e Demetra, dio della
ricchezza e per questo a guardia del IV cerchio dove sono puniti gli avari e i prodighi, o,
seguen do altre fonti, potrebbe trattarsi di Plutone, figlio di saturno e fratello di Giove, re
dell'Averno, che Cicerone identifica con Dite per lo stesso significato del nome sia in greco
che in latino (ricco). Alla vista dei poeti Pluto, gonfio di rabbia, esce in una frase
minacciosa e oscura: “Pape Satàn, Pape Satàn Aleppe!”. Virgilio, rassicurato Dante, si
rivolge al demonio con parole simili a quelle usate per Caronte e Minosse, al che Pluto
cade a terra, fiaccato.
“Cerbero, fiera crudele e diversa, / con t re gole caninamente latra / sovra la gente
che quivi è sommersa”: l’incontro di Dante con il guardiano degli Inferi è descritto nel
canto VI dell’Inferno (vv.12 -14), quando Cerbero appare al Sommo Poeta, appena giunto
23 Mart ina Michelangeli, I custodi dell’Inferno (alla scoperta del viaggio dantesco) , 2017
20
nel III cerchio dei golosi. Secondo al cuni studiosi, la scena si svolge proprio tra il 25 ed il
26 marzo del 1300.
Pluto: dalle sembianze di un cane abbaia imprecazioni con la voce roca. Tenta di
ostacolare Dante assalendolo con grida oscure e blasfeme.
Flegiàs : il demone che deve trasportare le anime attraverso la palude Stige per
traghettarle verso la città di Dite.
Le Furie : sulle torri della città di Dite, graffiandosi il petto, invocano l’arrivo di
Medusa, graffiandosi e percuotendosi, per pietrificare i vi sitatori inopportuni. Sono
mostruose figure femminili che hanno serpenti al posto dei capelli.
Minotauro : simbolo della bestialità salta come un toro ferito e infuriato;
I Centauri : tre centauri con a capo Chirone, corrono armati simulando una caccia
in cu i i dannati sono le prede;
Le Arpie : si trovano sugli alberi nei quali sono rinchiuse le anime dei suicidi,
provando dolore ai dannati con i loro artigli. Mostruose creature con corpo di uccelli rapaci
e volto umano: sono mostri della mitologia classica: n ell’Eneide le Arpie assaltano Enea e i
suoi compagni nelle Strofadi insozzando le loro mense e predicendo loro future sventure.
Gerione : mostro con viso umano, busto di serpente, zampe pelose e grandi ali con
la coda da scorpione pronto per colpire a tradi mento i dannati;
Nembrot : uno dei giganti, di corporatura smisurata, produce suoni
incomprensibili. 24
I giganti (chiamati anche Ctoni) sono figure mitiche e leggendarie (dèi, demoni,
mostri, uomini primitivi) della mitologia greca, accomunate dalla caratteristica altezza.
I giganti sono personaggi mitologici che osarono scalare l'Olimpo sfidando la
divinità e pretendendo il suo potere. Dotati di intelligenza, volontà e di una corporatura
smisurata, stanno infissi dall'ombelico in giù ed emergono dal fondo del pozzo centrale
come torri immani. Sono costretti all'immobilità assoluta. Quest'ultima, unita al silenzio,
colpisce non solo l'immensa forza fisica, ma an che la superbia, che è una sorta di dismisura
spirituale.
24 Martina Michelangeli, I custodi dell’Inferno (alla scoperta del viaggio dantesco) , 2017
21
2.2. ULISSE
Ulisse, oppure Odisseo, è un personaggio della mitologia greca. Originario da Itaca
della terra sole, e uno degli eroi achei desciti enarrati da Omero nell’Iliade e nell’Odissea,
l’opera letteraria che la come protagonista e che da lui prende il nome.25
Personaggio della mitologia classica (Odyssèus in greco), figlio di Laerte e di
Anticlea, protagonista dei poemi omerici e in particolare dell' Odissea a lui dedicata. Dante
non conosceva il testo originale dei due poemi e ha quindi appreso la storia di Ulisse da
qualche tardo volgarizzamento o rimaneggiamento, da cui proviene l'episodio narrato dal
personaggio che è totalmente estraneo alla tradizione cl assica.
Dante lo colloca fra i consiglieri fraudolenti dell'VIII Bolgia dell' VIII
Cerchio dell'Inferno, dedicandogli buona parte del Canto XXVI . Il poeta nota che una delle
fiamme in cui sono avvolti i dannati ha due punte e ne chiede spiegazione a Virgili o.
La guida risponde che dentro di essa sono puniti Ulisse e Diomede, colpevoli di
aver escogitato l'inganno del cavallo di Troia, di aver smascherato Achille a Sciro, nonché
di aver compiuto il furto del Palladio. Dante manifesta il desiderio di parlare con Ulisse e
Virgilio acconsente, a condizione però che sia lui a rivolgersi a loro in quanto, essendo
greci, potrebbero essere restii a parlare col discepolo. Il poeta latino chiama i due dannati e
invita uno dei due a spiegare come e quando morì, quindi il maggior corno de la fiamma
antica inizia il suo racconto.
Ulisse narra che dopo aver lasciato la dimora di Circe non volle tornare coi suoi
compagni a Itaca, ma si mise in mare aperto affrontando un avventuroso viaggio. Giunto
con la sua nave allo stret to di Gibilterra, limite delle terre conosciute, aveva rivolto
ai compagni una orazione piccola per indurli a oltrepassare le colonne d' Ercole ed
esplorare il mondo senza gente. Il folle volo nell'emisfero australe, completamente invaso
dalle acque, era du rato circa cinque mesi, finché la nave era giunta in vista del monte del
Purgatorio. A quel punto si era levata una terribile tempesta, che aveva investito la nave di
Ulisse e l'aveva fatta colare a picco, causando la morte dell'eroe e di tutti i suoi
comp agni26.
25 Alexandru Mitru, Legendele Olimpului , Editura Vox, 2017
26 https://divinacommedia.weebly.com/ulisse.html , URL consultato il 24 marzo 2020
22
Incontro con Ulisse e Diomede
Dante ringrazia il maestro della spiegazione, anche se aveva già capito che ogni
fiamma nascondeva un peccatore, quindi gli chiede chi ci sia dentro il fuoco che si leva
con due punte, simile al rogo funebre di Eteocle e Polinice. Virgilio risponde che
all'interno ci sono Ulisse e Diomede, i due eroi greci che furono insieme nel peccato e ora
scontano insieme la pena.
I due sono dannati per l'inganno del cavallo di Troia, per il raggiro che sottrasse
Achille a Deidamia e per il furto della statua del Palla dio27. Dante chiede se i dannati
possono parlare dentro il fuoco e prega Virgilio di far avvicinare la duplice fiamma, tanto è
il desiderio che lui ha di parlare coi d annati all'interno. Virgilio risponde che la sua
domanda è degna di lode, tuttavia lo invita a tacere e a lasciare che sia lui a interpellare i
dannati, perché essendo greci sarebbero forse restii a parlare con Dante.
Rispuose a me: «Là dentro si mart ira
Ulisse e Diomede, e così insieme
a la vendetta vanno come a l’ira;
Inferno XXVI, 55-57
Il racconto di Ulisse: viaggio alle colonne d'Ercole
Quando la fiamma giunge abbastanza vicina ai due poeti, Virgilio si rivolge ai due
dannati all'interno e prega uno di loro di raccontare le circostanze della sua morte, in virtù
dei meriti che lui ha acquistato presso entrambi, in vita, quando scrisse gli alti versi. La
punta più alta della fiamma inizia a scuotersi, come se fosse colpita dal vento, quindi
emette una voce come una lingua che parla.
Ulisse racconta che dopo essersi separato da Circe, che l'aveva trattenuto più di un
anno a Gaeta, né la nostalgia per il figlio o il vecchio padre, né l'amore per la moglie
poterono vincere in lui il desiderio di esplorare il mondo. Si era quindi messo in viaggio in
alto mare, insieme ai compagni che non lo avevano lasciato neppure in questa occasione; si
erano spinti con la nave nel Mediterraneo verso ovest, costeggiando la Spagna, la
Sardegna, il Marocco, giungendo infine (quando lui e i compagni erano m olto anziani) fino
allo stretto di Gibilterra, dove Ercole pose le famose colonne. La nave era giunta allo
stretto, tra Siviglia e Ceuta.
27 M. Materazzi, G. Presutti, Letteratura Italiana Modulare, vol. 1, Editura Thema, p. 429
23
«O voi che siete due dentro ad un foco,
s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,
s’io meritai di voi assai o poco
Inferno XXVI, 79-81
Il racconto di Ulisse: viaggio nell'emisfero sud
Ulisse si era rivolto ai c ompagni, esortandoli a non negare alla loro esperienza,
giunti ormai alla fine della loro vita, l'esplorazione dell'emisfero australe della Terra
totalmente disabitato; dovevano pensare alla loro origine, essendo stati creati per seguire
virtù e conoscenza e non per vivere come bestie.
Il breve discorso li aveva talmente spronati a proseguire che Ulisse li avrebbe
trattenuti a stento: misero la poppa della nave a est e proseguirono verso ovest, passando le
colonne d'Ercole e dando inizio al loro folle viag gio. La notte mostrava ormai le
costellazioni del polo meridionale, mentre quello settentrionale era tanto basso che non
sorgeva più al di sopra dell'orizzonte.
Il plenilunio si era già ripetuto cinque volte (erano passati cinque mesi) dall'inizio
del via ggio, quando era apparsa loro una montagna (il Purgatorio), scura per la lontananza
e più alta di qualunque altra avessero mai visto. Ulisse e i compagni se ne rallegrarono, ma
presto l'allegria si tramutò in pianto: da quella nuova terra sorse una tempest a che investì la
prua della nave, facendola ruotare tre volte su sé stessa; la quarta volta la inabissò levando
la poppa in alto, finché il mare l'ebbe ricoperta tutta28.
Il Canto si svolge interamente nella VIII Bolgia dell' VIII Cerchio , dove sono puniti
i consiglieri fraudolenti, e il protagonista assoluto è Ulisse, attraverso il cui personaggio
Dante intende svolgere un importante d iscorso relativo alla conoscenza (analogo per certi
versi a quello affrontato nel Canto XX con gli indovini ).
Il colloquio con Ulisse è scandito da tre momenti, che corrispondono al discorso
che Virgilio rivolge ai due dannati, al racconto dell'eroe che culmina nel discorso fatto ai
compagni, alla descrizione del viaggio.
Dante arde dal desiderio di parlare con i peccatori avvolti dalla fiamma biforcuta,
per cui prega vivamente il maestro di chiamarli a sé (e lo fa con una certa finezza
retorica: assai ten priego / e ripriego, che 'l priego valga mille, con una replicazione simile
a quelle di Inf., XIII, 25, 67 -68). Altrettanto fine è l'allocuzione con cui Virgilio invita
28 R. Mercuri, La Commedia di Dante Alighieri, in Letteratura italiana , I, Einaudi, Torin o, 1992, p.
50
24
Ulisse a parlare: adducendo il pretesto che i due, essendo greci, sarebbero restii a parlare
con Dante (nel Medioevo era diceria diffusa che i Greci avesse ro un carattere scontroso), il
maestro si rivolge loro con una captatio benevolentiae che invoca presunti meriti acquisiti
in vita presso di loro, quando scrisse gli alti versi. Non è chiaro a cosa Virgilio si riferisca,
dal momento che nell' Eneide i due p ersonaggi sono citati solo di sfuggita, ma si è
ipotizzato che egli si spacci in realtà per Omero approfittando del fatto che non possono
vederlo, forse addirittura parlando greco, ingannandoli in modo simile a quanto Dante farà
con Guido nel Canto seguent e29.
Sta di fatto che il poeta latino chiede a Ulisse di raccontare le circostanze della sua
morte e l'eroe acconsente scuotendo la fiamma che lo avvolge come una lingua che parla
ed emette voce.
La narrazione del viaggio di Ulisse è estranea alla tradizione omerica e deriva
probabilmente a Dante da un rimaneggiamento tardo dell' Odissea , che il poeta non poteva
leggere nel testo originale. L'Ulisse dantesco è comunque simile a quello classico, dotato di
insaziab ile curiosità e abilità di linguaggio: giunto alle colonne d'Ercole, limite estremo
delle terre conosciute, l'eroe rivolge ai compagni una orazion piccola che è un piccolo
capolavoro retorico, una specie di suasoria con cui li esorta a non perdere l'occasi one di
esplorare l'emisfero australe totalmente invaso dalle acque, dove non abita nessun uomo
(il mondo sanza gente, come Ulisse lo definisce consapevole del fatto che è un luogo
deserto). Il che è ovviamente un inganno, dal momento che non è possibile seguir virtute e
canoscenza, né diventare esperti de li vizi umani e del valore esplorando un mondo
disabitato: Ulisse vuole solo soddisfare la propria curiosità fine a sé stessa, quindi trascina i
compagni in un folle volo che infrange i divieti divini e si concluderà con la morte di tutti
loro. Lungi dall'essere quindi un eroe positivo della conoscenza, Ulisse è per Dante
l'esempio negativo di chi usa l'ingegno e l'abilità retorica per scopi illeciti, dal momento
che superare le colonne d'Ercole equivale a oltrepassare il limite della conoscenza umana
fissato dai decreti divini, quindi il viaggio è folle in quanto non voluto da Dio e per questo
punito con il naufragio che travolge la nave nei pressi della montagna del Purgatorio30.
È chiaro allora che Dante si sente personalmente coinvolto nel peccato commesso
da Ulisse, perché anch'egli forse ha tentato un volo altrettanto folle cercando di a rrivare
alla piena conoscenza con la sola guida della ragione, senza l'aiuto della grazia: è il peccato
29 M. Materazzi, G. Presutti, op. cit., p. 445
30 R. Mercuri, La Commedia di Dante Alighieri, in Letteratura italiana , I, Einaudi, Torino, 1992, p.
56
25
di natura intellettuale che è all'origine dello smarrimento nella selva, e che va
probabilmente ricondotto a un allontanamento dalla teologia avvenuto i n seguito alla morte
di Beatrice , quando il poeta si era dato agli studi filosofici (frutto di questa fase del suo
pensiero e della sua opera era stato il Convivio). È arduo ipotizzare in cosa esattamente
consistesse il cosiddetto «traviamento» di Dante, m a in Purg atorio , XXX , 109 ss31.
Beatrice rimprovererà aspramente il poeta di essersi allontanato da lei dopo la sua
morte, discostandosi da ciò che era stato nella sua giovinezza, aiutato da benigni influssi
astrali e da larghezza di grazie divine.
Il viaggio di Ulisse nell'emisfero australe sembra allora m etafora del viaggio
altrettanto folle tentato da Dante negli anni precedenti e che aveva rischiato di concludersi
anche per lui in un naufragio, portandolo a smarrirsi nella selva da cui Virgilio, inviato da
Beatrice, lo aveva tratto fuori; nella prospetti va dell'uomo medievale alla conoscenza
umana c'è un limite invalicabile rappresentato dai decreti divini e chi tenta di valicarlo
confidando presuntuosamente nella sola ragione commette un peccato destinato a portarlo
alla dannazione.
In questo senso Ulis se non è affatto quell'eroe positivo quale fu descritto dai critici
ottocenteschi, né la sua esortazione a seguir virtute e canoscenza deve essere presa alla
lettera, dal momento che egli ha condotto sé stesso e i compagni non alla virtù ma alla
follia e a lla morte.32
Particolarmente potente, infine, la chiusa del Canto che è stata giustamente
accostata ad altri passi simili del poema: infin che 'l mar fu s ovra noi richiuso, un verso che
«sembra scritto su una lapide funeraria» (Momigliano) e che suggella in modo perentorio e
definitivo il discorso al centro dell'episodio: è un severo ammonimento all'uomo medievale
che non può oltrepassare i limiti imposti d a Dio alla sua condizione umana, se non vuole
perdere irrimediabilmente ogni speranza di raggiungere la salvezza e finire dannato come è
successo ad Ulisse, e come poteva succedere allo stesso Dante se non fosse stato soccorso
dalla grazia divina .33
31 Emilio Pasquini, Antonio Quaglio, Introduzione al poema, commento e lettore , Garzanti, Milano ,
1992, p. 88
32 R. Mercuri, La Commedia di Dante Alighieri, in Letteratura italiana , I, Einaudi, Torino, 1992, p.
58
33 Storie e testi della letteratura italiana 1300 -1380 , cura di Giulio Ferroni, Andrea Corte lessa,
Italo Pantani, Silvia Tati, E inaudi Scuola , pp. 276 -278
26
2.3. ANCHISE
Anchise è una figura della mitologia greca . Il nome significa ’’curvo’’, ’’storto’’, si
collega alla sua storia, nella quale Zeus lo rende zoppo .
Personaggio del mito classico, padre dell'eroe Enea protagonista dell'Iliade omerica
e dell'Eneide di Virgilio , dove ha un ruolo rilevante nei primi sei libri. Enea scende
nell'Ade (libro VI) per incontrare la sua ombra e Anchise gli rivelerà cosa lo attenda nel
Lazio e quale sarà il destino suo e della discendenza romana che da lui dovrà avere origine.
Dante lo ci ta in Inf., I, 74:
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia
poi che il superbo Ilïón fu combusto.
indicando Enea come figliuol d'Anchise e indirettamente in II, 13 ss., quando ricorda la
discesa agli Inferi dell'eroe che n ell'occasione intese cose che furon cagione / di sua vittoria
e del papale ammanto. Non sappiamo quale sia il suo destino ultraterreno, visto che non è
citato fra gli « spiriti magni » del castello del Limbo (Inf, Canto IV ).34
2.4. ENEA
Personaggio del mito classico e del ciclo troiano, figlio della dea Afrodite ( Venere )
e del mortale Anchise : secondo il mito classico ripreso da Virgilio nell'Eneide, l'eroe fuggì
da Troia dopo la sua distruzione ad opera degli Achei e insieme al figlio Iulo -Ascanio e a
molti compagni giunse dopo varie vicissitudini nel Lazio, dove combatté una guerra
contro Turno , re dei Rutuli, e sposò Lavinia, figlia del re Latino. In seguito Enea fondò la
città di Lavinio e i suoi discendenti quelle di Alba Longa e di Roma , dando inizio alla
stirpe dei Romani.
Enea è citato per la prima volta da Dante nell'Inferno, I, 73-74,
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d ’Anchise che venne di Troia
poi che il superbo Ilïón fu combusto .
quando Virgilio si presenta come il poeta che ha cantato del giusto / figliuol d'Anchise.
Dante lo nomina nuovamente in Inf., II, 13-27 con la perifrasi di Silvio il parente (il padre
34 www.treccani.it , URL consultato il 25 aprile 2020
27
di Si lvio, nato dalle nozze con Lavinia e succeduto al fratello Ascanio nel governo di Alba
Longa), in quanto Enea era stato protagonista come San Paolo di un viaggio
nell'Oltremondo, quello narrato da Virgilio stesso nel libro VI dell'Eneide.
Dante non si sen te all'altezza di compiere un viaggio simile e cita l'esempio di
Enea, scelto da Dio come fondatore de l'alma Roma e di suo impero. Enea viene poi
descritto tra gli « spiriti magni » del Limbo (Inf., IV, 122), accanto a Ettore, il più grande
eroe troiano, e a Cesare , primo imperatore romano.
Ulisse lo cita in Inf., XXVI , 90-93, quando allude alla città di Gaeta così battezzata
da Enea in onore della sua nutrice.
Giustiniano lo richiama in Paradiso VI, 1-3 come l'antico che Lavinia tolse (prese
in moglie), ovv ero colui che portò l'aquila imperiale da est a ovest (da Troia nel Lazio),
mentre Costantino l'avrebbe portata poi da ovest e est (da Roma a Bisanzio).
In Paradiso , XX, 73 ss. si dice che uno dei compagni di Enea, Rifeo , siede tra i beati a
dispetto del s uo essere pagano, per essere stato in vita sommamente giusto e per aver
creduto in Cristo venturo.
Enea è citato anche nel trattato sulla Monarchia, nonché nel IV trattato
del Convivio, dove si dice che la sua fuga da Troia è prova della volontà divina nella
creazione di Roma e del suo impero destinato a dominare tutto il mondo. Proprio per
questo Enea è un personaggio chiave nella visione politica di Dante, che riteneva l'impero
romano modell o di monarchia universale voluto da Dio per uniformare tutto il mondo alle
sue leggi e consentire la venuta di Cristo.
La monarchia universale fu poi ereditata dal Sacro Romano Impero, ed è il motivo
per cui Dante negli anni dell'esilio aderì a posizioni ghibelline e sperò in una restaurazione
del potere imperiale sull'Italia del Nord .35
2.5 TURNO
È il mitico re dei Rutuli, tra i principali nemici di Enea nel poema di Virgilio e
ucciso proprio da Enea nel finale del libro XII dell'Eneide. Virgilio lo cita in Inf., I, 108
accanto a Camilla , Eurialo e Niso quali eroi caduti combattendo per l'Italia 36.
Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
35 http//divinacomedia.weebly.com URL consultato il 5 maggio 2020
36 Alexandru Mitru, Legendele Olimpului , Ed. Vox, 2017, p. 56
28
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurìalo e Turno e Niso di ferute . .
2.6 EURIALO E NISO
Sono due guerrieri troiani, compagni di Enea dopo la fuga da Troia e al suo fianco
nella guerra contro Turno , re dei Rutuli. Nel libro IX dell'Eneide (177 ss.) è narrata la loro
morte eroica, avvenuta in seguito a un fallito tentativo di so rtita per portare un messaggio a
Enea; la loro vicenda celebra una straordinaria amicizia, suggellata dal sacrificio in
battaglia.
Virgilio li cita entrambi in Inf., I, 108,
Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurìalo e Turno e Niso di ferute.
accanto a Camilla e Turno quali esempi di personaggi caduti per l' Italia.37
2.7 CAMILLA
Camilla è la mitica regina dei Volsci e figlia di Metabo, che secondo il racconto
dell'Eneide combatté al fianco di Turno contro Enea e cadde in battaglia (la sua morte è
narrata nel libro XI, 758 ss.).
Virgilio stesso la cita in Inf., I 107 definendola vergine Cammilla, insieme ad altri
personaggi del suo poema che morirono per l'Italia. Più avanti è citata tra gli « spiriti
magni » del Limbo (Inf., IV, 123), accanto a Pentesilea, regina delle Amazzoni.
Di quella Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute .38
37 https://divinacomedie,weebly.com URL consultato il 25 marzo 2020
38 Alexandru Mitru, Legendele Olimpului , Ed. Vox, 2017, p. 76
29
2.8 ERC OLE
Personaggio della mitologia classic a (Eracle in greco), figlio di Zeus e Alcmena,
protagonista delle celebri dodici fatiche che lo opposero, fra l'altro, a vari mostri e animali
del mito. Secondo una nota leggenda, Ercole avrebbe posto le colonne che poi presero il
suo nome presso lo strett o di Gibilterra (in realtà le due rupi di Calpe e Abila), a indicare il
limite estremo delle terre emerse.
Dante lo cita varie volte nell'Inferno, spesso quale protagonista vittorioso di lotte
con creature mostruose: indirettamente in IX, 98-99, quando il messo celeste ricorda ai
demoni della città di Dite l'episodio in cui l'eroe aveva trascinato Cerbero fuori dagli Inferi;
in XXV , 28-33, alludendo all'uccisione di Caco ; in XXVI , 108, quando Ulisse racconta del
suo viaggio oltre Gibilterra; in XXXI , 132, ricordando la sua lotta col gigante Anteo .39
2.8. TESEO
Personaggio della mitologia classica, figlio di Egeo e di Etra, collegato al ciclo di
leggende minoiche: uccise il Minotauro grazie all'aiuto di Arianna, figlia di Minosse , che
gli fornì il filo per introdursi nel labirinto. È protagonista di una discesa a gli Inferi nel
tentativo, poi fallito, di rapire Proserpina .
Dante lo cita in Inf., IX, 54, quando le Furie si rammaricano di non aver respinto il
suo assalto in occasione della sua discesa agli Inferi, e in XII, 17, quando Virgilio allontana
il Minotauro ricordando che ad ucciderlo era stato il duca d'Atene. Lo cita anche
in Purg., XXIV , 121 -123 come l'eroe che combatté contro i centauri (è uno degli esempi di
gola punita).40
“Venga Medusa: si’l farem di smalto
dicevan tutterigoardo in giusto;
mal non vengiammo inTeseo l’’assalto. ”
“Volgiti ’ndietro e tien loviso chiuso;
chese ‘Gorgon si monstra e tu ‘lvedesi
nulla sarebbe di tornar mai suso. ”
“Lo savio mio inver’ lui gridò: "Forse
39 www.treccani it/enciclopedia, URL consultato il 10 aprile 2020
40 https//divinacomedia.weebly.com
30
tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,
che sù nel mondo la morte ti porse? ”
“Teseo e un personaggio del mitologi co re di Atene, figlio di Etra ed Egeo, o di
Poseidone ed Etra. Il suo nome ha la stesa radice di thesi s e tithenai, come Teti, la dea
Creatrice, la q uale, raccon ta Omero, si unì con l’Oceano per generare tutti gli Dei.”41
2.9. LANC ILOTTO E GINEVRA
Sono i protagonisti di un noto romanzo cortese del ciclo arturiano, citati da Dante
nel Canto V dell'Inferno. Lancillotto del Lago (Lancelot in lingua d'oïl) è un cavaliere della
Tavola Rotonda di re Artù e si innamora della regina Ginevra, moglie dello stesso Artù.
La relazione fra i due è favorita da Galeotto (Galehaut), siniscalco della regina, che
spinge quest'ultima a baciare il cavaliere che le sta davanti pallido ed esitante.
Dante con ogni probabilità non conosceva il testo originale, ma ne aveva letto un
volgarizzamento più tardo ( infatti nel poemetto francese è Ginevra a baciare Lancillotto,
non il contrario). La vicenda era l'esempio perfetto dell'amor cortese, ovvero l'amore
adulterino fra un nobile cavaliere e la moglie del suo signore, tema di tante liriche dei
trovatori proven zali.42
2.10 CIRCE
Circe è nominata due volte nella Divina Commedia . I singoli luoghi della Divina
Commedia in cui si allude a Circe hanno attratto l’atte nzione di molti studiosi e esegeti di
Dante; manca però, per quel che sappiamo, uno studio complessivo sul posto che essa
occupa nel poema. Abbracciata con lo sguardo la via percorsa di altri, riesaminate vecchie
e nuove posizione, intendiamo presentare in quest’articolo un‘esposizione comprensiva del
posto e del significato della maga odisseica nel poema dantesco43.
La prima menzione s i trova in quella parte del poema che felicemente e stata
chiama una “Odissea dantesca” (Inf., XXVI). Ulisse, mosso dalla calda preghiera di
Virgilio, espone la fine che gli toccò, iniziando la sua narrazione da quando si allontanò da
Circe, che lo
41 Alexandru Mitru, op. cit., p. 59
42 R. Mercuri, Roberto, op. cit., p. 19
43 Emmanuel S. Hatzantonis, La Circe nella Divina Commedia , in „ROMANCE PHILOLOGY”,
vol. XIII, No. 4, May, 1960, pp. 390 -398
31
…sottrasse
…più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea lo nomasse . 44
(Inf., XX VI, 91 -93)
Per bocca dell’invidioso Guido del Duca, nel secondo girone del Purgatorio, il
nome della maga odisseica torna ad essere menzionato. Dante, per indicare l’Arno, usa la
perifrasi
… Per mezza Toscana si spazia
un fiumicel che nasce Falterona,
e cento miglia di corso nol sazia
(Purg., XIV, 16 -18)
e Guido, stimando giusto che il Poeta eviti per ripugnanza o altra ragione di pronunciare il
nome del fiume, prorompe nella famosa invettiva contro i costumi della Valle d’Arno, i cui
abitanti
…hanno sì mutata loro natura …
Che par che Circe li avesse in pastura .
(Purg. XIV, 40 -42)
Segue la descrizione della trasmutazione o abbrutimento di questi:
Tra bruti porci, più degni di galle
che d’altro cibo fatto in uman uso,
dirizza prima il suo povero calle.
Botoli trova p oi, venendo giusto,
ringhiosi più che non chiede lor possa,
e da lor disdegnosa torce il muso.
Vassi caggendo; e quant’ella più ingrossa
tanto più trovo di can farsi lupi
la maladetta e sventurata fossa.
Discesa p oi per più pelaghi cupi,
trova le volpi si piene di froda,
che non temano ingegno che le occupi .
44 Citiamo, cui come altrove, da Opere di Dante, testo critico della “Società Dantesca Italiana”, a c.
di M. Barbi, E.G. Parodi…, Firenze, 1921.
32
(Purg., XIV, 43 -54)
Oltre a queste esplicite menzioni, vi sono nella Divina Commedia due altri luoghi
in cui si allude a Circe45.
Dante si riposa nel quarto girone della montagna del Purgatorio; all’appressarsi
della terza alba, gli viene in sogno
…una femmina balba ,
ne li occhi guercia, e sovra i più distorta,
con le man monche, e di colore scialba .
(Purg., XIX, 7 -9)
Il Poeta la “mira” ed il suo sguardo fa svanire la mostruosità di questa megera;
allora essa, con l’aspetto rinnovellato, si mette a cantare:
Io son…io sono dolce serena,
che i marinari in mezza mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena!
Io volsi Ulisse del suo cammino vago
Al canto mio; e quel meco ai ausa,
rado sen parte; si tutto l’appago!
(Purg., XIX, 19 -24)
Non ha ancora terminato ancora il suo canto, quando “una donna apparve santa e
presta”, la quale rimprovera Virgilio e lo stimola a scagliarsi sulla cantante allettatrice;
questa, denudata sul davanti, rivela il ventre donde esce un tale puzzo da far sveglia il
Poeta46.
45 Emmanuel S. Ha tzantonis, La Circe nella Divina Commedia , in „ROMANCE PHILOLOGY”,
vol. XIII, No. 4, May, 1960, pp. 39 0-398
46 un buon sommario delle varie interpretazioni e dei loro autori si può trovare nello Scartazzini
(Comm. alla D.C., vol. II dell’edizione Lips., p. 340), per cui l’ipotesi più accettabile è che “Dante
non distinse Circe delle Sirene ”. Nonostante la v oce autorevole di M. Barbi, che nella donna balba
– sirene vede Circe (Problemi di critica dantesca; Prima Serie, 1893 -1918, Firenze, 1934, pp.292 –
293), molti recenti studiosi e interpreti di Dante (Dante umaniste, Paris, 1952, p. 450); per P.
Ranucci, la Sirena e non Circe simboleggia la tentazione mortale di perché ” (Dante disciple et Jude
du monde greco -latino , Paris 1954, aver sviato Ulisse (Dante’s Other World , New York, 1957, p
187). Notevole per la sua originalità, anche se non del tutto convincente, l’articolo del Palgen, per
cui “Dante attribuisce alla sua Beatrice il personaggio di Circe, una Circe moralmente ’compresa, e
divine lui stesso il personaggio d i Galuco visitando Circe per domandar suo aiuto (Il mito di
Galuco nella Divina Commedia , in Conv ., XXV [1957,403).
33
Nella doppia figura di mostruosa bruttezza prima, e di risplendente beltà dal canto
allettatore poi, non tutti riconoscano Circe. Alcuni esegeti e commentatori antichi e
moderni hanno pensato a una delle Sirene dell’ Odissea ; altri che sia una Sirena che si
vanta falsamente di aver sviato Ulisse; altri ancora affermano che Dante abbia confuso i
due miti dell’Odissea, considerando Circe una d elle Sirene47.
Non può trattarsi di una Sirena per molte ragioni, ma specialmente perché alle
Sirene tradizionalmente non si attribuiva intera figura umana; nessun mortale si era mai
“ausato” con una di esse e nessun fu “appagato” del tutto, anzi tutti erano inesorabilmente
distrutti da essa; inoltre, e quest’è la più seria contradizione, Uli sse non fu sviato dal suo
cammino da una delle Sirene, essendo egli, come tutto sanno, sfuggito al loro fascino
seguendo gli ammaestramenti datigli da Circe stessa, cioè turando gli orecchi dei compagni
e facendosi legare all’albero della nave48.
Per risolvere quest’ultima contradizione, si è pensato allora che la Sirena si
vantasse falsamente di essere Circe, o almeno di aver sviato Ulisse della sua meta. Ma nei
versi danteschi non si racconta nemmeno una parola che possa indurci a pensare ad una
tale impersonificazione o menzogna; bisogna, quindi, rigettare tale interpretazione che ha
solamente un merito, quello di essere una ingegnosa ma insoste nibile trovata49.
Coloro che affermano che Dante abbia confuso Circe con una delle Sirene additano
principalmente questo brano del De finibus ciceroniano quale fonte della confusione
dantesca: “Mihi quidem Homerus huius modi quiddam uidisse in iis, quaede Sirenum
cantibus finxerit. Neque enim uocum suauitate uidentur aut nouitate quqdam et uarietate
47 Emmanuel S. Hatzantonis, op. cit., pp. 390 -398
48 Sulle Sire ne, v. gli articoli di Weicker e di Zwicker rispettivamente in Roscher, Lexicon, IV,
601-639 e Pauly -Wissowa, R.E., IIIA, 288 -308. Lo studioso troverà una trattazione dettagliata,
SULLE Sirene nel Medioevo nell’eruditissimo e ben documento articolo di E. F aral, “ La queue de
poissons des Sirene s” in Rom., LXXIV (1953), 433 -506. Dante forse ignorava odisseico per
scampare da essa (“ Monstra maris Sirenes erant …”, Ars Amatoria, III, 311 e sgg.) ma certamente
aveva letto questi versi della Metamorfosi ”(v.552 -553); “Vobis, Acheloides, unde / Pluma
pedesque auium cum virgine ora geratim? ”. Che al tempo di Dante si credeva che le Sirene non
avessero la figura umana ci è testimoniato da Bruneto Lantini: “ Serene …sont de iii. Manieres, ki
avoient samblance de ferme dou chief jusk’as quisses, mais de cel en aval avoient samblanset
poisson, avoient, et eles et onglas. par lor douschenns faisoient perir les nonschans ki par la
mer aloient .” (Li Livres dou Tresor, a c. di F. J Carmody, Berkeley -Los Angeles, 1948, CXXXVI).
49 Emmanuel S. Hatzantonis, La Circe nella Divina Commedia , in „ROMANCE PHILOLOGY”,
vol. XIII, No. 4, May, 1960, pp. 390 -398
34
cantandi reuocare eos solitae, qui practeruehebantur, sed quia multa se scire profitebantur,
ut hom ines ad earum saxa discendi eupiditale adhaerescerent. Ita enim inuitant Vlixem —
nam uerti, ut quaedam Homeri, sic istum ipsum locum –;
O decus Argolicum, quin puppim flectis, Vilxes,
Auribus ut nostros possis agnoscere cantus!
N-amnemo haec umquam est transuectus caerula cursu,
Post uariis audio satiates pectore musis,
Doctior ad patrias belli calademque tenemus,
Nos graus certamen belli clademque tenemus,
Graecis quam Troiae diuino numine uexit,
Omniaque e latis rerum uestigia terris.
35
Capitolo I II
La mitologia nelle prime imitazioni della Divina Commedia
Sono, in ordine di tempo, l’ Amorosa Visione del Boccaccio, scritta, col Ninfale
d’Ameto o Commedia delle ninfe fiorentine , dove però l’ imitazione dantesca è meno
appariscente, fra il 1341 e il 134250; il Dittamondo di Fazio degli U berti, di pochi anni
dopo (1346?); i Trionfi del Petrarca, incominciati, come comunemente si ammette, nel
1357, interrotti, e poi ripresi e continuati sino alla più tarda età; e il Quadriregio di
Federico Frezzi, in parte composto prima del 1394, e compiu to tra il 1400 e il 140351.
Sono tutte imitazioni, del loro modello, in generale; e anche per ciò che riguarda la
mitologia in par ticolare, rimangono molto al di sotto delle rappresentazioni dantesche52.
50 Secondo il CARDUCCI, Dante, Petrarca e il Boccaccio in Prose MDCCLIX -MCMII (edizione
definitiva, Bologna, 1933, XI) p.199, “l’ Amorosa Visione [fu]composta nel 1343 (vedi la n.1 a p.
206) e, s e non la prima, [è] certamente la meno indegna tra le prime imitazioni del poema,”
[dantesco]. Non è improbabile che ci siano state imitazioni anteriori; ma io tengo contro soltanto di
quella a stampa, che sono le cinque indicate quassù. —E noto che Cecco d ’Ascolti (Francescani
Stabili) si dà il vanto nella sua Acerba , IV XIII, di non aver imitato la Divina Commedia e suo
verso: “Le favole mi fur (nell’edizione di Venezia, 1516, che ho sott’occhio: son) sempre nemiche”
(vede Carducci, Dante e l’età che fu s ua in op. cit., pp.163 -174) ; ciò non toglie — l’osservazione è
nostra – che egli invochi Apollo (IV IX : “O buon Apollo fa miei sensi ingordi / E tolime lo ben
dell’intelletto / Nanzi ch’io parli con questi animi sordi“), che pure era una favola, come tut ti gli
altri “dei falsi e dei bugiardi’ ’e che presti cieca fede alle panzane intorno alla salamandra, al
camaleonte, al pesce alche (alche in acqua [sic] et in terra talpa“), e celebri la virtù della fenice (III
VII e II).
51 Domenico Bassi, La mitologia nelle prime imitazioni della “Divina Commedia” , in “Aevum”,
Anno XI, Fasc. ½ 1937, pp. 203 -235
52 Domenico Bassi, op. cit ., p. 208
36
Nel poema di Dante, il quale non poté attingere, giova ricordare, direttamente ad
Omero53, e a ben poco gli saranno o gli sarebbero serviti (e dubbio se egli si sia degnato
pur di consultarli) gli spari saggi di versione54 e alcune parafrasi latine medievali, le
reminiscenze, numerosissime di vario genere, dell’età mitologica della Grecia hanno un
rilevo che è all’altezza di tutte le altre concezioni. Basti pensare alle figure di Capaneo, di
Caprone, di Fregia, di Minos, alle scene di scene di figure di Cerbero, di Gerone, del
Minotauro, e alla Aripe , ai Centauri, alle “feroci Erine”, ai Giganti. Miti e i maggior
numero leggende, propriamente dette, ora con cenni quanto mai sostanziali ed espressivi55,
ore, più di rado, c ome è naturale, con una certa ampiezza, rivivono per l’arte somma del
poeta, attraverso Virgilio, Ovidio, Lucano, Stazio, Seneca e alte fonti, di nova vita,
rinnovellati di novella fronda’56.
53 Il testo di poemi omerici fu mandato in dono al Petrarca nel 1353 da Niccolò Sigeros e venne
allora conosciuto per la prima volta in Italia. L’acquisto di un esemplare greco, fatto dallo stesso
Petrarca a Padova, e posteriore, come pure la tradizione lati na di Leonzio Pilato, commessagli dal
Boccaccio (vedi Vigot, Il risorgimento dell’antichità classica …, traduzione del VALBUSA,
[Firenze, 1888], pp. 7 sg., 14). La traduzione, del Pilato del 1 canto dei due poemi fu pubblicata
dall’ HORTIS, op., più avanti pp.543 -576.
54 Di uno però si valse, cioè dell a visione di Cicerone, in De finibus …, V 18, 49, di un passo
dell’Odissea , XII 184-191, il solo che Dante conobbe di questa poema; vedi le note dei
commentatori della Divina Commedia (cito lo SCARTAZZINI e il PASSARINI, che ho
sott’occhio) a Purg., XIX 22.
55 Alcuni esempli, come nella nota seguente, Miti: Rea, Inf., XIV 100 -102 Latona, Putg., XX 130 –
132. Apo llo Dafne, Par., 1 31 -33; e Marsia, 20 – 21. Diana ed Elice (Callisto), Purg., XXV 130 –
133.Prosepina e Cerere, Purg. XXVIII 49 -51. Glauco, Par., I 68 -69.Le Piche, Purg, I 10 -12.Eco,
Par., XII 14 -15.—Leggende: Anfione, Inf. XXXII 11 Niobe, Purg., XII 37 -39. Almeone, Purg., XII
50-51, Par. IV 103 – 105. Glacastro, Purg., XXii 56. Eteocle e Polinice, Inf., XXVI 53 -54. Ismena,
Purg., XXII 111.Europa, Par., XXVII 84. Pasifae, Inf., XII 13, Purg., XXVi 41 -42, 86 -87. Dedalo
Icaro, Inf., XVII 62: (e Polissena), Inf., V 65 -66. Circe, Putg., XIV 42. Ercole Iole, Par., IX 101 –
102. Nesso e Deianera, Inf., XII 67 -69. Meleagro, Purg., XXV 22 -23. Demofoonte e Fillide, Par.,
IX 10 -0-101.Mirra, Inf., XXX 37 -39. Leda, Par., XXVII 98. Semele, Par., XXI 6. Inf., XXX 16 -21,
Ulisse , Inf., XXVI 90 – 142—Non ho tenuto conto né in questa, né nella nota precedente dei miti
romani ricalcanti sui greci; di leggende eroiche romane non si può parlare: quella di Enea e in parte
greca e foggiata sulla leggenda di Ulisse.
56 Domenico Bassi, La mitologia nelle prime imitazioni della “Divina Commedia” , in “Aevum”,
Anno XI, Fasc. ½ 1937, pp. 203 -235
37
Altrettanto non si può certamente dire degli imitatori di Dante, e non solo,
l’avvertenza e superflua, di Fabia e del Ferzi, poeti minorum gentium , ma anche del
Petrarca e del Boccaccio. Nel l’Amorosa Visione abbandono le enumerazioni, quasi sempre
aride, di nomi di eroi ed eroine, spesso frammisti per giunta a quali di personaggi storici, e
di simili enumerazioni c’è un vero abuso nei Trionfi .
Per tal mondo le figure e le favole mitologiche ricordate ed esposte dal quattro poeti
sono naturalmente assai più numerosi che nella Divina Commedia , ma e il caso proprio a
dire che la quantità va a la scapito della qualità. Alcune narrazioni, che riguardano sia gli
dei [miti] sia gli eroi [leggende le ], sono diluite in tal mare di parole, che più molto
difficilmente potrebbero essere. Ci si obietterà che le scarne enumerazioni e i prolissi
racconti concernano al postutto soltanto la forma: sta bene; pero non se capisce davvero
perché, per esempio, la leggenda di Perso venga esposta minutamente in quasi tutti i suoi
momenti e quella di Meleagro sia appena accennata: di poche delle fatiche di Ercole si
faccia, d’ordinario, menzione confondendosi inoltre i ‘parerga’ cogli’ athla‘, e delle
imprese di T eseo se ne ricordano anche meno.
S’intendano come gli amori di Giove, in quanto dio supremo, siano narrati con gran
lusso di particolari, mentre, eccettuato Apollo, si tocca appena di quelli di altri dei, che in
libertinaggio (sia pure allegorico o simbo liche per significato, non pero nel mito in sé) non
la cedettero a lui. E bensì vero che i quattro poeti (adoperano la parola in largo senso) non
sono trattati di mitologia, e con pari diritto c’entrano la storia, la geografia più altre
scienze; ma e anche vero che più di una volta nella enumerazione di nomi di persona,
quindi appariscano dove meno si aspetterebbero; e che non mancano, come noterò a loro
luogo, strane confusioni: ciò che in nessuna delle molte reminiscenze mitologiche nella
Divina Commedia non avviene mai57.
57 Domenico Bassi, La mitologia nelle prime imitazioni della “Divina Commedia” , in “Aevum”,
Anno XI, Fasc. ½ 1937, pp. 203 -235
38
IV. CONCLUSION I
La primaria ispirazione dantesca ai miti antichi, alle metamorfosi ovidiane, ai
bestiari medioevali, alla demonologia viene di gran lunga superata dalla fantasia poetica:
agli elementi naturali devastatori, nelle loro forme esacerbate (il vento quale bufer a, il
freddo quale ghiaccio, la pioggia quale tempesta, i morbi in manifestazioni mutilanti).
Lo studio dell’anima umana nelle condizioni storico -politico del medioevo ha
condotto a nuovi ed interessanti tratti della opera di Dante: l’individualità energic a, la
personalità quasi titanica nelle sue convinzioni inflessibili, temprata negli uri con un’epoca
di crudeltà e allo stesso tempo la complessità spiritual imposta da un sottile processo di
dibattito intellettuale.
Un’ulteriore considerazione va fatta su l duplice ruolo svolto da Dante nel poema,
essendo al tempo stesso protagonista del viaggio da lui narrato (e che lui descrive come
realmente e fisicamente avvenuto in un tempo storico ben preciso) e poeta chiamato a
raccontare in versi l’esperienza affron tata. Dante chiarisce in più di un passo del poema
che a lui è toccato un privilegio eccezionale, quello di visitare da vivo i tre regni
dell’Oltretomba e di tornare sulla Terra per riferire con esattezza tutto quello che ha visto:
è una missione straordin aria, cui lui è chiamato in virtù dei suoi meriti di letterato e poeta,
rendendolo simile ad Enea e san Paolo già protagonisti di esperienze analoghe.
A questo proposito è importante ciò che lo stesso Dante sottolinea a più riprese nel
corso del viaggio, n on solo cioè l’assoluta veridicità delle cose viste e narrate, ma anche
l’oggettiva difficoltà di spiegare con parole umane quel che di non umano e di ultraterreno
ha visto. Per fare questo, Dante avrà bisogno dell’assistenza e dell’aiuto di Dio, perciò la
Commedia è un libro «ispirato», scritto materialmente da Dante ma sotto la «dettatura»
della grazia divina che lo ha incaricato di questo compito straordinario.
La Commedia diventa quindi una sorta di nuova Bibbia, ed è Dante stesso a
definirla poema sacro, sacrato poema, al quale hanno collaborato e cielo e terra: in questo
senso l’autore può ben aspettarsi la fama eterna, anche per l’assoluta novità della materia
da lui tra ttata (nessuno prima di lui aveva toccato tali argomenti in modo così innovativo) .
39
BIBLIOGRAFIA
*** Enciclopedia dantesca , Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1970 -1978
*** L’Ottimo commento della Divina Commedia . Testo inedito di un
contemporaneo di Dante, citato dagli Accademici della Crusca, a cura di A. Torri, Pisa,
1827 -1829
Alighieri, Dante, Divina Comedie, în românește de Giuseppe Cifarelli, ediție
îngrijită de Titus Pîr vulescu și prefațată de Alexandru Ciorănescu, Editura Europa,
Craiova, 1993, cu ilustrații de Marcel Chirnoagă (reed. 1998, Editura Dacia, Cluj -Napoca)
Alighieri, Dante, Divina Comedie, traducere în versuri de Ion A. Țundrea, prefață
de N. Iorga, Editura M edicală, București, 1999
Alighieri, Dante, Divina Comedie. [I.] Infernul ,traducțiune de Maria P. Chițiu,
Craiova, 1883 (traducere nerimată)
Alighieri, Dante, Divina Comedie. II. Purgatoriul, traducțiune de Maria P. Chițiu,
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Alighieri, Dante, Divina Comedie. Infernul , Humanitas, 2012, trad. de Marian
Papahagi, ed îngrijită de Mira Mocan și Irina Papahagi
Alighieri, Dante, Divina Comedie. Infernul , text bilingv,cu versiune românească,
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București, 2006
Alighieri, Dante, La Divina Commedia commentata da Attilio Momigliano, G. C.
Sansoni, Firenze, 1948
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