INTRODUZIONE AL CRISTIANESIMO Joseph Ratzinger [616740]
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INTRODUZIONE AL CRISTIANESIMO – Joseph Ratzinger
Prefazione alla prima edizione
Il libro si propone di aiutare a far comprendere in maniera nuova la fede, quale possibilità di umanità a u-
tentica nel mondo odierno. (Il testo raccoglie le lezioni tenute a Tubinga nel 196 ).
1. Credere, nel mondo attuale (pag. 31)
1. Dubbio e fede: la situazione dell’uomo di fronte al problema di Dio (p. 31)
Chi tenti di parlare della fede cristiana a persone che non ne hanno familiarità , è come il clown
dell’apologo di Kier kegaard , ripreso da Cox. Nel clown si vede l’immagine del teologo , paludato dei suoi
abiti da pagliaccio tramandatigli dal medioevo: non viene mai preso sul serio. È imprigionato nel suo ru o-
lo, si sa già di che cosa parli, è fuori della realtà.
È la realtà in cui si dibattono oggi la teologia e il linguaggio teologico, impossibilitati a rompere gli
schemi delle abitudini mentali e linguistiche per presentare la teologia come caso serio della vicenda u-
mana. Ma non basta che il clown cambi il costume e si rip ulisca la faccia.
Non è sufficiente intraprendere l’aggiornamento del linguaggio. Non si tratta soltanto di una questione di
forma, di una crisi del vestiario in cui si dibatte la teologia. Chi prende sul serio il suo impegno constaterà
non solo la d ifficoltà presentata dall’interpretazione ma anche condizione di insicurezza in cui versa la
propria fede , la potenza dell’incredulità che si oppone alla buona volontà di credere . Chi cerchi oggi o-
nestamente di render conto a se stesso e ad altri della fede cri stiana, dovrà comprendere che la sua situa-
zione non si distingue da quella degli altri in maniera radicale. In entrambi i gruppi, credenti e non
credenti, sono presenti le stesse forze sia pure con modalità differenti.
Sul credente pesa la minaccia dell’ incertezza. Due esempi:
1 Teresa di Lisieux , apparentemente inattaccabile nella sua fede, che ha lasciato nelle ultime settimane
della sua passione delle impressionanti confessioni. Si tratta veramente del tutto: tutto o nulla. Non si
scorge altro che il b uio baratro del nulla .
2 La scarpina di raso di Paul Claudel . Il destino di Rodrigo, credente, e di suo fratello non credente
(leggere) . Se il credente può vivere la sua fede unicamente e sempre librandosi sull’ oceano del nulla, de l-
la tentazione e del dubb io, nemmeno l’incredulo è immune dal processo dialettico, come una persona
semplicemente priva di fede. Come il credente ha la consapevolezza di essere continuamente minacciato
dall’incredulità , che subisce come perenne tentazione , anche per l’incredulo la fede resta una continua
minaccia e tentazione ; per lui esiste sempre il dubbio sulla sua incredulità, e sarà sempre assillato
dall’interrogativo se la fede non sia davvero la realtà. Non si sfugge al dilemma dell’essere uomini.
(Leggere il Racconto di Mar tin Buber : “chissà, forse è proprio vero”).
C’è un tremendo “ forse . Nessuno è i n grado di porgere agli altri Dio il suo regno , nemmeno il credente a
se stesso. Il “forse” è l’ineluttabile tentazione alla quale nessun uomo può sottrarsi. Tanto il credente
quanto l’incredulo, ognuno a suo modo, condividono dubbio e fede. Nessuno può sfuggire complet a-
mente al buio, ma nemmeno alla fede . C’è e terna rivalità fra dubbio e fede, tentazione e certezza. Chi
sa mai che proprio il dubbio non divenga il luogo della co municazione , portando il credente a romp e-
re il ghiaccio con il dubbioso e il dubbioso ad aprirsi con il credente : per il primo rappresenta una partec i-
pazione al destino dell’incredulo, per il secondo una provocazione permanente.
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2. Il salto della fede: te ntativo provvisorio di una definizione essenziale della fede (p. 40)
Il problema fondamentale di una introduzione al Cristinesimo – che deve spiegare il significato delle p a-
role “io credo” – si pone con una carica temporale ben determinata: quale signific ato e quale portata ha
la professione di fede cristiana “io credo” oggi .
Testo -guida : Il Simbolo Apostolico : iniziazione al Cristianesimo e sintesi dei contenuti essenziali.
Sia il contesto contenutistico che quello liturgico caratterizzano questa formula: “Io credo”. Analizziamo
quale atteggiamento si venga ad assumere quanto l’esistenza cristiana si esprime in primo luogo nel verbo
‘credo’ definendo il nucleo centrale del cristianesimo – cosa non ovvia – come una fede .
Noi diamo alla legger a per presuppo sto che ‘ religione’ e ‘fede’ siano la stessa cosa, sicché ogni religione
possa venire designata come ‘fede’. Lo è solo in misura limitata. Le altre religioni si denominano spesso
diversamente e pongono altri centri di gravità.
Antico Testamento : si è pres entato non sotto il concetto di “fede”, ma di “legge”: ordinamento di vita,
nell’ambito del quale però l’atto di fede va acquistando maggiore importanza.
Religiosità romana : religio , osservanza di determinate forme e danze rituali. L’atto di fede nel sop ranna-
turale può addirittura mancare; è un sistema di riti, osservanza di cerimonie.
Così se si esamina l’intera storia delle religioni.
Non è quindi ovvio e scontato che l’essere cristiani si manifesti centralmente nella parola “credo”.
Ma quale impegno è inteso con questa parola? Come mai il coinvolgimento del nostro “io” personale in
questo “Io credo” ci risulta tanto difficile? Come mai ci appare quasi impossibile trasferire il nostro “io”
attuale d istinto da quello degli altri, n ell’identificazione con quello dell’«Io credo» plasmato dalle gener a-
zioni passate ?
Inserirci in quell’Io della formula del Credo, trasformare lo schematico Io della formula nell’”io” pers o-
nale è sempre stata un’impresa quasi impossibile, nel realizzare la quale invece di riempir e lo schema con
l’”io” in carne e ossa, si è non di rado tramutato l’Io in uno sc hema. E quando udiamo come nel Medioe-
vo da noi tutti fossero credenti, occorre gettare uno sguardo dietro le quinte. La ricerca storica insegna
come allora esistesse già la gr ande schiera dei trascinati, e il piccolo stuolo dei veri inseriti nel movimento
autentico del credere. La fede era un sistema precostituito di forme esteriori di vita e l’avventura pr o-
spettata dalla parola ‘credo’ era tanto nascosta quanto aperta; tra Dio e l’uomo si spalanca un abisso inf i-
nito; l’uomo è creato in modo tale che i suoi occhi possono vedere unicamente ciò che Dio non è , per
cui Dio sarà sempre l’essenzialmente Invisibile , fuori dal suo campo visivo. L’affermazione “Dio è inv i-
sibile” contrapp osta alla visibilità degli dei, è un’affermazione sull’uomo. Dio non compare né comparirà
mai, per quanto il raggio esistenziale dell ’uomo si possa allargare.
Nell’A ntico Testamento questa affermazione assume un valore di principio: Dio è colui che sta fuori del
nostro campo visivo per essenza.
Abbiamo un primo abbozzo dell’atteggiamento sotteso alla paroletta “credo”: l’uomo non considera il v e-
dere, l’udire e il toccare come la totalità delle cose che lo riguardano, non ritiene fissati i limiti del suo
mondo da quanto può vedere e toccare, ma cerca una seconda forma di accesso alla realtà, alla quale
dà il nome di fede , trovando addirittura in essa l’apertura più decisiva della sua visuale. Quindi la parola
“credo” indica un’opzione fondamentale nei conf ronti della realtà, un modo fondamentale di rapportarsi
all’essere, all’esistenza, alla propria persona e all’intero complesso della realtà. Designa che ciò che non
può esser visto non è l’irreale ma è l’autentica realtà , quella che sorregge e rende possib ile ogni altra
realtà. Ciò implica che ciò che rende possibile la realtà nel suo complesso sia anche ciò che accorda
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all’uomo un’esistenza veramente uman a, dandogli la possibilità di esistere in quanto uomo e umaname n-
te. Credere vuol dire aver deciso che n el cuore dell’esistenza umana c’è un punto che non può essere a-
limentato e sostenuto da ciò che è visibile e percettibile, ma dove si incontra l’invisibile, che gli diviene
quasi tangibile, rivelandosi come una necessità inerente alla sua esistenza stessa.
Ma tale atteggiamento si acquisisce solo tramite il “ cambiamento di mentalità ”, la “ conversione ”. La
forza di gravità naturale spinge l’uomo verso il visibile, che può afferrare, facendolo suo. Egli deve quindi
invertire interiormente la rotta , svoltare d ecisamente se vuole riconoscere quanto sia cieco allorché
confida solo in ciò che i suoi occhi vedono ; senza tale conversione di rotta dell’esistenza non esiste fede.
La fede è questa conversione . Per questo la fede non è dimostrabile: è una svolta dell’es sere, solo chi
la compie riesce a concepirla. Siccome la forza di gravità in noi si spinge in un’altra direzione, la fede in
quanto svolta rimane un fatto da rinnovare ogni giorno; solo mediante una conversione continua po s-
siamo comprendere che cosa signif ichi dire «Io credo».
La fede comporta da sempre un salto su un abisso infinito, fuori dal mondo afferrabile che si presenta
all’uomo. La fede esprime in ogni tempo il rischio di accettare un valore invisibile, accogliendolo
come reale e basilare. La fede non è mai stata semplicemente adattamento spontaneo all’inclinazione
dell’esistenza umana, bensì una decisione che chiama in causa il nucleo più profondo dell’esistenza ,
che ha sempre richiesto all’uomo una conversione ottenibile solo tramite una risoluta determinazione .
3. Il dilemma della fede nel mondo odierno (p. 45)
C’è una seconda riflessione da cui emerge la difficoltà che proviamo nel credere : al fossato tra “visib i-
le” e “invisibile” si aggiunge quello fra “ieri” e “oggi” . Il paradosso è che la fede ci si presenta nelle v e-
sti di un tempo, sembra incarnare il passato . I tentativi di aggiornamento fanno capire sino a qual punto
ciò in cui ci imbattiamo sia ‘di ieri’. La fede non sembra più soltanto l’audace salto dal mondo visibile
all’apparente nu lla dell’invisibile, ma ci sembra ancora la pretesa di vincolarci oggi all’impostazione
di ieri, come fosse un valore perenne . Ma chi vuole questo in un tempo nel quale al posto del pensiero
della tradizione è subentrato quello del progresso? Un tempo il c oncetto di tradizione appariva una
solida struttura protettiva a cui potersi affidare. Oggi predomina il sentimento contrario : la tradizione
appare come ciò che è superato dagli eventi, mentre il progresso è l’autentica promessa per l’uomo.
Lo scandalo pri mario della fede, il divario fra visibile e invisibile, viene occultato dallo scandalo s e-
condario costituito dal contrasto fra ieri e oggi, tradizione e progresso.
Qui si manifesta in modo tangibile la peculiarità dello scandalo cristiano , quel tratto che potremmo
chiamare positivismo cristiano , la positività dell’essere -cristiano. La fede cristiana non ha a che fare so l-
tanto con l’eternità, ma ha invece a che fare con Dio nella storia , con Dio fattosi uomo . Nel momento in
cui la fede sembra colmare il foss ato fra eterno e temporale, visibile e invisibile, facendoci incontrare
l’Eterno sotto l’aspetto di ciò che è legato al tempo (Dio in veste d’uomo), essa sa di essere rivelazione .
Tale pretesa si basa sul fatto che essa ha introdotto l’Eterno nel nostro mo ndo: «Nessuno ha mai ved u-
to Dio … L’Unigenito Figlio … ce l’ha fatto conoscere» (Gv 1,18). Gesù ci ha veramente di-spiegato Dio
facendolo uscire da se stesso, dandocelo da vedere e da toccare.
Sembra il massimo della rivelazione, dello svelamento di Dio; b asterebbe fare quattro passi verso Gesù
per incontrare Dio. Però le cose mostrano una duplice peculiarità: ciò che sembrerebbe la più radicale r i-
velazione, rappresenta il sommo nascondimento . Ciò che a prima vista sembrerebbe la più radicale riv e-
lazione, la rivelazione per eccellenza, rappresenta il sommo occultamento e nascondiment o. Ciò che a
prima vista sembra avvicinarc i Dio tanto da poterlo sfiorare come fratello, ha finito per trasformarsi nella
più terribile premessa per la “ morte di Dio ”. Dio si è tanto avvicinato a noi da permetter ci di ucciderlo
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cessando apparentemente di essere per noi realmente Dio. Ci chiediamo se non sarebbe stato più facile
credere nell’Eterno avvolto nel mistero, confidando in lui; se non sarebbe stato meglio che Dio ci avess e
lasciati a una distanza infinita, invece di abbandonarsi al positivismo della fede collocando così la salve z-
za dell’uomo e del mondo come sulla punta d’ un ago di quest’unico punto. Questo Dio, ristretto a un un i-
co punto, non deve forse morire definitivam ente nell’immagine di un mondo che ridimensiona l’uomo
e la sua storia a un infinitesimale granello di polvere dell’universo?
Solo scorgendo come dietro lo scandalo apparentemente secondario dell’antitesi “ieri -oggi" stia quello a s-
sai più profo ndo del " positivismo" cristi ano – il restringimento di Dio a un unico punto della storia –
siamo arrivati a cogliere la profondità del problema della fede cristiana , come oggi va affrontato. Si a-
mo ancora in grado di credere? Il cristiano di oggi deve porsi queste dom ande ; non può contentarsi di
constatare come si possa trovare ancora un’interpretazione del cristianesimo che non urti nessuno . Non si
dimostra una pericolosa disonestà quando si reputa sostenibile anche al giorno d’oggi il cristianesimo r i-
correndo ad arti fizi interpretativi? Oppure non dobbiamo ammettere di essere proprio alla fine? Allora
non siamo forse obbligati a dissipare la nebbia ponendoci con franchezza di fronte alla realtà che perm a-
ne? Un cristianesimo scaduto a vuota interpretazione denota una m ancanza di sincerità verso gli interr o-
gativi dei cristiani, il cui “forse non è vero” ci deve assillare tanto seriamente quanto noi desideriamo che
assilli loro il “forse è vero” dei cristiani.
Quando tentiamo di far nostre le domande altrui constateremo c ome qui insorga una contro -domanda .
Oggi tendiamo a considerare reale solo ciò che ha un’esistenza tangibile, che è dimostrabile . Ma è l e-
cito fare così? Che cosa è “il reale”? È solo il constatato e constatabile, oppure l’azione stessa del const a-
tare non è solo una maniera determinata di comportarsi di fronte alla realtà, una modalità che non è in
grado di comprendere tutto e che può persino condurre alla falsificazione della verità e dell’essenza stessa
dell’uomo? Vediamo qui ricondotti al dilemma “ieri -oggi”, anzi veniamo posti di fronte la problematica
specifica del nostro oggi.
4. I limiti della moderna concezione della realtà e il posto della fede (p. 50)
Nei diversi periodi evolutivi dello spirito umano abbiamo differenti forme di porsi di fronte all a re-
altà: l’orientamento a sfondo magico , o metafisico , o scientifico come oggi. Ognuna di queste imp o-
stazioni ha a che fare con la fede e ognuna finisce per ostacolarla . Nessuna si identifica con essa, ma
nessuna è neutrale nei suoi confronti. Agli effett i della nostra mentalità scientifica è sintomatica la lim i-
tazione ai “fenomeni”, a ciò che appare e si può afferrare. Abbiamo rinunciato a cercare l’essenza nasc o-
sta delle cose, la sostanza dell’essere, che ci pare irraggiun gibile. Ci basta limitarci al visibile, al contro l-
labile. Per cui nel pensiero moderno è andato affermandosi un nuovo concetto di verità e di realtà.
Si vede chiaramente l’indispensabile funzione del pensiero non legato alle scienze naturali nel pensare ciò
che da esse non viene pensato e nel portare a cosc ienza la problematica umana di tale orientamento.
a) Primo stadio: la nascita dello storicismo . Per tentare di conoscere come si sia arrivati
all’impostazione mentale di cui sopra, possiamo rilevare due stadi di mutamento spirituale . Il primo,
preparato da Descartes , riceve la sua forma in Kant e prima ancora in Giambattista Vico (1688 -1744),
che formula per primo un’idea completamente nuova di verità e di conoscenza, preconizzando quella tip i-
ca dello spirito moderno. All’equivalenza sc olastica “ verum est ens ” (il vero è l’essere) contrappone “ve-
rum quia factum” (è vero ciò che noi abbiamo fatto). Mi pare che questa formula segni la fine dell’antica
metafisica e l’inizio dello spirito moderno.
Per l’Antichità e il Medioevo è l’essere che è vero e conoscibile quanto fatto da Dio, l’Intelletto per ecce l-
lenza: egli l’ha fatto in quanto l ’ha pensato. Nello Spirito creatore , pensare e fare costituiscono
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un’inscindibile unità: il suo pensare è un creare . Le cose esistono perché sono da lui pens ate. Ogni ess e-
re è un essere pensato, un pensiero dello Spirito assoluto. Ciò comporta se ogni essere è pensiero, ogni e s-
sere è pure senso, logos , verità (ciò vale solo per il pensiero cristiano).
L’opera dell’uomo invece, secondo il punto di vista dell’Antichità e del Medioevo , appare come un mero
accessorio effimero. L’essere è pensiero, e quindi pensabile, oggetto del pensiero e della scienza, la quale
tende alla sapienza. Per contro l’opera dell’uomo è una miscela fatta di logos e illogicità, destinata col
tempo ad affondare nel passato. Non è suscettibile di perfetta comprensione, perché le manca la presenza,
che è la premessa per la visione. Il lavoro scientifico antico e medievale riteneva che la conoscenza delle
cose umane fosse solo téchne , abilità artigiana, che non sarebbe mai stata una reale conoscenza e nemm e-
no reale scienza. Si trova mantenuto questo punto di vista in Descartes , all’inizio dell’Evo moderno,
quando egli contesta il carattere scientifico della storia. Cento anni dopo Vico rovescer à il canone della
verità sostenuto nel Medioevo ponendo in atto la svolta fondamentale dello spirito moderno. Comincia a
delinearsi la mentalità suscitata dall’era “scientifica”, nel cui raggio di sviluppo siamo tuttora coinvolti.
Agli occhi di Descartes si presenta come reale certezza unicamente quella meramente formale della ra-
gione , depurata da ogni incertezza inerente ai fatti . Si delinea comunque già la svolta verso l’età moderna
quando intende questa certezza razionale ispirandosi al modello della certezza matematica , elevandola
anzi a forma basilare di ogni pensiero razionale. Ma mentre qui i fatti devono venir esclusi per avere la
certezza, Vico enuncia la tesi diametralmente opposta . Rifacendosi ad Aristotele , dichiara che la vera
conoscenza è una c onoscenza delle cause . Ma da queste idee antiche si trae una conseguenza del tutto
nuova: se nella vera scienza rientra la conoscenza delle cause, allora noi siamo veramente in grado di
conoscere soltanto ciò che noi stessi abbiamo fatto , perché noi conosc iamo unicamente noi stessi.
Al posto dell’antica equivalenza “verità = essere ” subentra la nuova “verità = attualità” : conoscibile
è soltanto ciò che noi abbiamo fatto. Compito e possibilità dello spirito umano non è riflettere sull’essere
bensì sul factum perché solo questo noi siamo veramente in grado di comprendere. Una conoscenza co m-
pleta, dimostrabile, gli risulta conseguibile unicamente nell’ambito delle funzioni matematiche e nel ca m-
po della storia, ambito di ciò che è operato dall’uomo stesso e quin di di ciò che egli può sapere.
A tale processo risulta collegato il sovvertimento di tutti i valori che trasforma la storia susseguente in
un’era realmente “nuova” rispetto a quella precedente. La storia sopravvive come unica vera scienza
accanto alla mat ematica . La riflessione sul senso dell’essere, che prima sembrava l’unica cosa degna
dello spirito libero, appare senza sbocco. Matematica e storia divengono le discipline predominanti. Per
opera di Hegel e Comte la filosofia si tramuta in un problema di s toria dove l’essere va concepito come
processo storico. In Baur pure la teologia diviene storia . Per opera di Marx l’economia viene ripensata
storicamente. In Darwin il sistema degli organismi viventi viene concepito come una storia della vita.
Il mondo finisce per non apparire più come la stabile sede dell’essere, bensì come un processo la cui i n-
cessante espansione costituisce il moto dell’essere stesso . Il mondo risulta conoscibile solo in quanto
fabbricato dall’uomo. L’uomo non è più in grado di guardare al di sopra di se stesso . Nel momento in
cui si afferma un radicale antropocentrismo, l’uomo deve limitarsi a riconoscere solo la propria opera ,
costretto al contempo a considerarsi un prodotto dell’evoluzione meramente casuale . È come se gli
venisse stra ppato il cielo da cui sembrava provenire e gli venisse lasciata in mano soltanto la terra dei fatti
in cui egli cerca, con la sua vanga, di decifrare la faticosa vicenda del suo divenire.
b) Secondo stadio: la svolta verso il pensiero tecnico . “Verum quia factum”: questo programma che a d-
dita all’uomo la storia come luogo della verità, non poteva bastare. Esso giunse alla sua piena efficienza
non appena venne a collegarsi a un secondo motivo, formulato 100 anni dopo da Marx col suo classico
principio: “fino ra i filosofi hanno soltanto diversamente contemplato il mondo, si tratta ora di trasforma r-
lo”. Subentra il nuovo programma “ verum quia faciendum ”: la verità d’ora in poi è la fattibilità . La ve-
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rità con cui l’uomo ha a che fare non è n é la verità dell’esse re né quella delle azioni da lui compiute ma
quella del cambiamento del mondo , una verità proiettata nel futuro e relativa all’azione.
Dalla metà del 19ș secolo in poi la signoria del factum viene soppiantata da quella del faciendum , del fa t-
tibile e da far si, la signoria della storia viene scacciata da quella della tecnica. Al principio del 20ș secolo
la storia cade in crisi e lo storicismo diventa sempre più discutibile.
Va affermandosi la convinzione che risulti davvero conoscibile all’uomo solo ciò che è ripetibile, quello
che egli è in grado di riproporsi mediante gli esperimenti . Il metodo delle scienze naturali che risulta
dall’associazione tra matematica e attenzione ai fatti reali, nella forma dell’esperimento ripetibile, appare
come l’unico vero app ortatore di un ’affidabile certezza. Si giunge al primato del fattibile sul già fatto .
Come era capitato alla storia, anche la tecnica termina ora di rappresentare uno stadio subordinato dello
sviluppo spirituale dell’uomo. Dal punto di vista della situazio ne spirituale complessiva, la situazione r i-
sulta radicalmente cambiata: la tecnica non viene più confinata nei sotterranei delle scienze ma diventa
un vero potere e dovere dell’uomo . Si inverte ancora una volta la prospettiva: mentre nell’età antica e
nel Medioevo l’uomo si era mantenuto sempre rivolto verso l’Eterno, ora la fattibilità lo proietta nel fut u-
ro di ciò che lui stesso è all’altezza di fare. Assai più importante della teoria sull’origine della specie, che
ci sta alle spalle come qualcosa di ovvi o, ci appare oggi la cibernetica , la pianificabilità dell’uomo da r i-
creare; anche dal punto di vista teologico la manipolabilità dell’uomo , attraverso il suo stesso pianific a-
re, comincia a rappresentare un problema più importante della questione del passat o umano.
c) La questione del posto della fede . Con questo secondo passo fatto dalla mentalità moderna ha finito
per andare a vuoto un primo tentativo della teologia di dare una risposta alle nuove situazioni. La teol o-
gia aveva tentato di ovviare alla pro blematica dello storicismo articolando la fede stessa come st o-
ria. In fin dei conti, la fede cristiana è essenzialmente riferita alla storia: le affermazioni della Bibbia riv e-
stono un carattere non metafisico, bensì concreto. La teologia poteva essere d’ac cordo sul fatto che l’ora
della metafisica fosse scaduta e venisse sostituita da quella della storia.
Ma la graduale detronizzazione della storia da parte della tecnica ha fatto rapidamente sfumare le nuove
speranze. Va sempre più affiorando un altro pensi ero: si prova la tentazione di collocare la fede non più
sul piano del factum , bensì su quello del faciendum , interpretandola, mediante una “teologia politica” c o-
me un mezzo per cambiare il mondo . Io penso che nella situazione attuale non si faccia altro c he ripet e-
re il tentativo unilaterale compiuto dal pensiero incentrato sulla storia della salvezza al tempo dello stor i-
cismo. Si rileva come il mondo odierno sia concentrato sulla prospettiva del fattibile , e vi si risponde tra-
sponendo la fede sullo stesso piano . Io non scarterei del tutto queste due tentativi, ma direi che, tanto
nell’uno quanto nell’altro vengono in luce dei tratti essenziali della fede più o meno trascurati nelle altre
costellazioni. La fede cristiana ha realmente qualcosa da spartire col factum : è inserita in maniera specif i-
ca nella storia , tant’è vero che storicismo e storia sono nati e cresciuti proprio in un ambiente saturo di
fede cristiana. E la fede ha indubbiamente a che fare anche con il cambiamento del mondo , con la prot e-
sta cont ro la pigrizia delle istituzioni umane e di coloro che le sfruttano . È difficile che l’idea del mondo
come fattibilità sia nata e cresciuta solo per caso in un ambiente imbevuto di tradizione ebraico -cristiano,
e che sia stata pensata e formulata proprio d a Marx traendo ispirazione da essa, anche se in antitesi rispe t-
to a essa. Viene alla ribalta qualcosa del patrimonio ideale della fede cristiana rimasto nel passato troppo
in ombra. La fede cristiana ha un nesso decisivo con le forze propulsive da cui è an imata l’era contemp o-
ranea. Rappresenta l’occasione più propizia, offertaci dalla nostra ora storica, di concepire a partire da e s-
sa in maniera del tutto nuovo la struttura della fede. È compito della teologia accogliere questo appello
e questa possibilità, individuando i punti morti e colmando le lacune dei periodi passati.
Occorre però guardarsi da cortocircuiti. Qualora i due tentativi diventino esclusivi e situino la fede total-
mente sul piano del factum o del faciendum , finiscono per nascondere il genuin o significato di ciò che
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una persona intende quando dice “Credo”. Esprimendosi così né progetta in primo luogo un cambiamento
del mondo, né si aggancia semplicemente a una catena di eventi storici. Il processo della fede non rientra
nella categoria del rap porto sapere -fare, tipica del pensiero incentrato sul fattibile, ma si esprime nel ra p-
porto completamente diverso sussistente fra star-saldi -comprendere .
5. La fede vista come ‘star saldi e comprendere’ (p. 62)
“Se non credete (se non vi mantenete fedeli a Jahwè) , non avrete alcuna stabilità” (Is 7,9). L’unica radic a-
le fonetica qui usata ‘mn (amen) abbraccia una vasta gamma di significati . Include l’idea di verità, di st a-
bilità, di fondamento sicuro, di terreno solido, di fedeltà, di confidenza, di aver f iducia, di attenersi a
qualcosa, di credere in qualche cosa. La fede in Dio assume l’aspetto di mantenersi uniti a Dio , tramite il
quale l’uomo acquista un solido appoggio per la sua vita.
La fede è descritt a come un fiducioso piantarsi nel terreno della p arola di Dio. La versione greca
dell’antico testamento ( Septuaginta ) trasposta in ambiente greco dice: “Se voi non credete, non riuscite
nemmeno a comprendere”. In questa traduzione è in atto il tipico processo di ellenizzazione,
l’allontanamento dall’orig inario pensiero biblico. La fede sarebbe qui intellettualizzata; anziché esprimere
lo stare sul solido terreno della parola di Dio, verrebbe messa in relazione con l’intelletto e il comprend e-
re. Ma in complesso l’indicazione decisiva è stata conservata. Lo stare saldi (in ebraico il contenuto
della fede) ha senz’altro a che fare col comprendere.
La fede esprime un piano completamente diverso da quello del fare e del fattibile. Consiste essenzialme n-
te nell’abbandonarsi al non -fatto e mai -fattibile da noi . La fede non potrà mai darsi sul piano della
scienza del fattibile . L’inquietante “forse” con cui la fede assilla da sempre l’uomo, non rimanda a
un’incertezza nell’ambito della scienza del fattibile, ma costituisce proprio la rimessa in discussione , la
relativizzazione del carattere assoluto di questo settore, che è solo un piano dell’essere umano e
dell’essere in genere, che può avere unicamente il carattere di penultimo. Esistono due forme basilari di
atteggiamento umano di fronte alla realtà, delle quali u na non può essere semplicemente ricondotta
all’altra, in quanto si muovono su due piani completamente diversi.
Martin Heidegger parla di una dualità di pensiero calcolante e pensiero riflettente , ambedue legittime e
necessarie, ma appunto per questo nessun a delle due può essere risolta nell’altra , devono sussistere e n-
trambe : il pensiero calcolante , ordinato al fattibile, e il pensiero riflettente , che medita sul senso delle
cose. Pensando unicamente al fattibile, l’uomo corre il rischio di dimenticare di ri flettere su se stesso, sul
senso del suo essere.
La fede, intesa nel senso voluto dal Credo, non è una forma incompleta di conoscenza, che si potrebbe
tradurre poi in scienza del fattibile; è una forma sostanzialmente diversa di atteggiamento spirituale, che
si colloca accanto all’altro sapere come qualcosa di autonomo e di specifico, senza essere né riducibile ad
esso né deducibile da esso. La fede non appartiene all’ambito del fatto o del fattibile , pur essendo in
rapporto con ambedue, ma all’ambito dell e decisioni fondamentali , di cui l’uomo deve assumersi la r e-
sponsabilità, e per sua stessa essenza deve concretizzarsi solo in una forma, che chiamiamo fede. Ogni
essere umano deve prendere posizione rispetto all’ambito delle decisioni fondamentali, e ness uno è in
grado di farlo se non nella forma della fede . Esiste una zona che non permette altra risposta fuorché quella
di una fede, e nessun o può sottrarvisi del tutto . Ogni essere umano deve in qualche modo “credere”.
Il tentativo massimo di subordinare l’ atteggiamento “fede” a quell o della scienza del fattibile, lo si ha del
marxismo . In esso il faciendum (il futuro da creare per nostra iniziativa) rappresenta pure il senso dato a l-
la vita dell’uomo : il senso che di per sé viene dato e accolto nella fede ap pare ora trasposto sul piano di
ciò che è da fare. Con ciò si è raggiunta la estrema conseguenza del pensiero moderno : trasfondere
completamente il senso della vita umana nel fattibile. Ma il marxismo non è in grado di far conoscere il
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fattibile come senso , che può solo promettere e quindi presentare come decisione da prendere per fede.
Ma cos’è propriamente la fede? È la forma, non riducibile a scienza e incommensurabile suoi param e-
tri, con cui l’uomo coglie in modo stabile il tutto della realtà , è il dar senso senza il quale la totalità
dell’uomo rimarrebbe utopia; senso che precede il calcolo dell’azione dell’uomo, senza il quale egli non
potrebbe né calcolare né agire, perché lo si può unicamente nell’ambito di un senso che lo sostiene. La
persona non v ive del solo fattibile, ma vive da essere umano , di parola, di amore, di senso della realtà . Il
senso è il pane di cui l’uomo vive nel più profondo del suo essere . Senza la parola , senza il senso ,
senza l’amore l’uomo perviene alla condizione di non -poter -più-vivere. Quante volte può determinarsi la
situazione del “non ne posso più”? Ma il senso non si può dedurre dalla scienza. Sarebbe come il tentativo
del barone di Munchhausen di volersi tirar fuori dalla palude tirandosi per i capelli. Dal pantano
dell’incertezza nessuno è in grado di tirarsi fuori da sé. Il senso, il terreno su cui la nostra esistenza ne l-
la sua interezza può star salda e vivere, non può essere fatto, ma solo ricevuto .
Da un’analisi generale dell’atteggiamento fondamentale che è la fede, siamo giunti alla modalità cristi a-
na di fede. Credere cristianamente è abbandonarsi con fiducia al senso che sostiene il mondo, accoglierlo
come il solido fondamento cui posso stare senza timore. Nel linguaggio della tradizione, potremmo dire:
credere cri stianamente significa comprendere la nostra esistenza come risposta alla Parola, al Logos che
sostiene e mantiene in essere tutte le cose ; dare il proprio assenso a quel “senso” che non siamo in grado
di fabbricar ci da noi, ma so lo di ricevere come un dono , accoglierlo e abbandonarci ad esso. La fede cr i-
stiana è l’opzione a favore di un ricevere che precede il fare, senza che il fare venga sminuito di valore o
dichiarato superfluo. Solo perché abbiamo ricevuto, siamo in condizione di “fare” .
La fede cristia na comporta l’opzione per cui l’invisibile è più reale del visibile . È il riconoscimento del
primato dell’invisibile come l’autentico reale che ci sostiene e ci dà la possibilità di affrontare il v i-
sibile , responsabili verso l’Invisibile quale vero fondame nto di tutte le cose. La fede cristiana costitu i-
sce un affronto all’atteggiamento a cui sembra spingerci l’attuale situazione del mondo. La mentalità di
oggi sotto forma di positivismo e fenomenologismo ci invita a limitarsi al “visibile”, al “fenomenico”, a
estendere l’atteggiamento metodico di fondo alla totalità dei nostri rapporti con la realtà, ad abbandonarci
al fattibile e ad attenderci da esso il terreno solido che ci sostiene. Il primato dell’invisibile sul visibile e
del ricevere sul fare contrast a con tale impostazione di fondo. È la causa per cui lo slancio dell’abbandono
fiducioso al non -visibile ci risulta così difficile . Eppure la libertà del fare e quella di servirsi del visibile
tramite la ricerca metodica, è resa possibile soltanto dalla pr ovvisorietà in cui la fede cristiana colloca
queste due attività, nonché dalla posizione di superiorità da ess a accordata all’uomo.
6. La ragione del credere (p. 67)
Constatiamo lo strettissimo nesso tra la prima e l’ultima parola del Credo : “credo” e “a men” che a b-
bracciano l’insieme delle singole affermazioni, creando l’ambiente spirituale per situare tutto ciò che vi
sta in mezzo. Si rende così evidente il senso del tutto, il movimento spirituale in gioco. La parola “amen”
ha in ebraico la stessa radica le da cui deriva la parola “fede”. “ Amen ” ripete ciò che la fede significa: nel
fiducioso poggiare su un fondamento che sostiene, non perché l’abbia fatto e controllato io, bensì proprio
perché io non l’ho fatto né sono in grado di controllarlo . Esprime l’ abbandonarsi al fondamento, quale
senso che mi dischiude innanzitutto la libertà del fare.
Ciò non è affatto un cieco buttarsi in braccio all’irrazionale. È un accedere al Logos , alla ratio , al senso e
quindi alla stessa Verità, poiché il fondamento su cui l’uomo si pone non può né deve essere altro che
la verità che si schiude a noi . La scienza del fattibile deve essere positivista, limitarsi al dato assodato e
misurabile. Essa non si pone l’interrogativo della verità, ai suoi scopi rinunciando alla questi one della v e-
rità e attenendosi unicamente all’esattezza, alla perfetta concordanza del sistema. Non si chiede come le
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cose sono di per sé e in sé , ma unicamente qual è la loro funzionalità nei nostri confronti . La svolta verso
la scienza del fattibile è st ata ottenuta proprio non considerando più l’essere com’è in se stesso, ma un i-
camente in funzione del nostro operare. Lo stesso concetto di verità si è essenzialmente alterato. Al posto
della verità dell’essere in sé è subentrata l’utilizzabilità delle cose a beneficio nostro, che trova la sua
convalida dell’esattezza dei risultati.
L’atteggiamento della fede cristiana si esprime nella paro la “amen ”, in cui si intrecciano i significati: f i-
ducia, abbandono, fedeltà, stabilità, fondamento sicuro, star -saldi, v erità. Ciò su cui l’essere umano può
reggersi e in cui trova senso deve essere unicamente la verità stessa , che sola costituisce il fondamento
adeguato allo stare saldo dell’uomo. L’atto di fede cristiana include la convinzione che il fondamento s i-
gnificat ivo, il logos (il termine greco logos presenta una corrispondenza con la radicale ebraica ‘mn ( a-
men) denotando anch’esso una vasta rosa di significati: parola senso ragione verità) sul quale ci coll o-
chiamo, proprio in quanto senso è anche la verità. Un sen so che non fosse anche verità, sarebbe un
non-senso . L’inseparabilità di senso , fondamento , verità che si esprime tanto nel termine ebraico “ a-
men” quanto in quello greco logos , annuncia tutta un’immagine del mondo. Nell’inscindibilità di senso,
fondamento e verità implicata da queste parole, emerge l’intera rete di coordinate nella quale la fede cr i-
stiana considera il mondo e prende posizione di fronte a esso. Quindi anche la fede non è un cieco aff a-
stellamento di paradossi incomprensibili. È sbagliato addu rre a pretesto il mistero di fronte alla mancanza
di comprensione. Quando la teologia va nell’assurdo richiamandosi al mistero , è un abuso della vera idea
di “mistero” il cui senso non è la distruzione dell’intelletto, ma di rendere possibile la fede in qu anto
comprendere: la fede non è un sapere nel senso della scienza del fattibile. Il pragmatismo calcolatore è
per sua essenza limitato al fenomenico e non può rappresentare la via per trovare la verità. La forma in
cui l’uomo è tenuto ad affrontare la veri tà dell’essere non è il sapere , ma il comprendere . Solo nello
“star -saldi” si apre la via al “comprendere”. Comprendere signifi ca afferrare e concepire proprio in
quanto senso , ciò che si è accettato come fondamento. Il significato dell’idea che ci facciam o del co m-
prendere è che noi impariamo a cogliere il fondamento su cui ci siamo posti come senso e verità ; che
impariamo a riconoscere che il fondamento rappresenta il senso .
Quindi il comprendere non costituisce una contraddizione rispetto alla fede, ma ne rappresenta la più g e-
nuina attività. Il sapere tendente a rendere funzionale il mondo non trasmette alcuna vera comprensione
del mondo e dell’essere. Il comprendere proviene solo dal credere . La teologia , intesa come discorso
comprendente, logico (= razio nale, intellettivo -razionale) su Dio, sarà sempre un compito originario e
precipuo della fede cristiana. Non a caso il messaggio cristiano, nella sua fase di formazione, è penetr a-
to in primo luogo nel mondo greco , fondendosi con la questione del comprende re, con la ricerca della v e-
rità (cfr. At 16,6 -10). Fede e comprensione vanno insieme, come credere e stare saldi, poiché star –
saldi e comprendere sono inseparabili. La versione greca del famoso passo di Isaia rivela, col suo “cr e-
dere e sta -saldi” una dimens ione indispensabile allo stesso pensiero biblico, se non lo si vuole spingere
nel fanatismo o nel settarismo.
È tipico del comprendere continuare a superare il nostro concepire nel riconoscere di essere a nostra vo l-
ta compresi. Se comprendere è un cogliere il nostro essere compresi, noi non lo possiamo afferrare; esso
conserva per noi un senso proprio in quanto comprende noi. È in questo senso che parliamo di “ mi-
stero ”, in quanto fondamento che ci precede e perennemente ci trascende, fondamento da noi mai afferra-
bile o superabile . Nel nostro essere afferrati dall’assolutamente inafferrabile si concretizza la responsabil i-
tà del comprendere.
7. «Io credo in te» (p. 71)
Ma vi è un più profondo tratto essenziale della fede cristiana : il suo carattere personale. Essa è più di
un’opzione per un fondamento spirituale del mondo; la sua formula non dice «io credo qualcosa», ma «io
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credo in te». È l’incontro con l’uomo -Gesù; in tale incontro percepisce il senso del mondo come pers o-
na. Gesù non è sol o il testimone del Padre, ma è la presenza dell’ Eterno stesso in questo mondo . Nella
sua vita si rende presente il senso del mondo , che si mostra a noi come amore : amore che ama anche
me e rende la vita degna di essere vissuta. Il senso del mondo è il “tu ”, ma solo il “tu” che non è lui
stesso un problema aperto , ma il fondamento del tutto che non ha bisogno di alcun altro fondamento .
La fede è trovare un “tu” che mi sostiene e che, nell’incompiutezza e nell’inappagabilità di ogni amore
umano, mi accorda la promessa di un amo re indistruttibile , che non sono aspira all’eternità, ma ce la
dona. La fede cristiana vive del fatto che non solo esiste un senso, ma che questo S enso mi conosce e
mi ama, sicché io posso affidarmi a lui con l’atteggiamento del bambino che sa che tutte le sue domande
trovano sicurezza nel ‘tu’ della madre . Fede, fiducia e amore formano un tutto unico e tutti i contenuti,
attorno a cui la fede ruota, sono unicamente concretizzazion i di quella svolta che sostiene tutto, dell’’io
credo in te’, della scoperta di Dio guardando il volto dell’uomo Gesù di Nazaret.
Ciò non elimina la domanda: sei davvero tu? Questa domanda l’ha posta in un’ora cupa Giovanni il Bat-
tista, che inviato i discepoli dal giovane Rabbi di Nazaret, riconoscendolo come il più grande. Sei dav ve-
ro tu? Il credente sperimenterà sempre l’oscura tenebra in cui lo avvolge la contraddizione
dell’incredulità, e l’indifferenza del mondo che prosegue imperterrito come se nulla fosse successo, con
aria beffarda. Sei davvero tu? Questo interrogativo ce lo dobbiamo porre per onestà nei confronti del
pensiero e per senso di responsabilità verso la ragione , ma anche per ossequio all’intima legge
dell’amore , che desidera conoscere sempre più e meglio colui al quale ha detto il suo “sì”, per poter lo
amare più intensamente.
Sei davvero tu? Le riflessioni di questo libro sono incentrate su questo interrogativo e ruotano attorno a l-
la formulazione fondamentale della nostra professione di fede: io credo in te, Gesù di Nazaret , quale
senso ( logos ) del mondo e della m ia vita.
2. La forma ecclesiale della fede (pag. 74)
1. Avvertenza preliminare sulla storia e sulla struttura del Simbolo apostolico (p. 74)
Finora ci siamo limitati ad appurare che cosa sia la fede e dove, nel pensiero moderno, possa trovare un
punto di aggancio. Sono aperti i problemi riguardanti il suo contenuto. Ora analizziamo la forma co n-
creta della fede cristiana considerando il Simbolo apostolico .
La forma fondamentale della nostra professione di fede si è andata configurando nel corso del II e III se-
colo; in stretto rapporto con la liturgia battesimale è un testo proveniente dalla città di Roma ; l’ambiente
spirituale di origine è però la liturgia , precisamente il battesimo . La liturgia si ispirava nella sua forma
fondamentale alle parole di Gesù risorto: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli
nel nome del Padre e del Figlio e de llo Spirito Santo.” (Mt 28,19). Al battezzando vengono poi rivolte tre
domande: “Credi in Dio, Padre onnipotente? Credi in Gesù Cristo, figlio d i Dio? Credi nello Spirito Sa n-
to?” Il battezzando risponde: “ credo ” e viene ogni volta immerso nell’acqua. La più antica forma di pr o-
fessione di fede si articola in un triplice dialogo , ed è direttamente inserita nella celebrazione battesim a-
le.. Probabilme nte già nel II e ancor più nel III secolo la triplice domanda che ricalca Mt 28 , è stata a m-
pliata nella domanda centrale concernente Cristo . Si inserì una piccola summa di ciò che Cristo sign ifica
per il cristiano; venne inoltre sviluppata la terza domanda riguardante lo Spirito Santo . Nel IV secolo i n-
contriamo un testo senza interruzioni; il fatto che sia redatto in lingua greca fa supporre che r isalga ancora
al III secolo, perché nel IV, a Roma, anche la liturgia passa definitivamente al latino. Nel IV se colo ne
appare già subito anche una versione latina. Per la posizione privilegiata goduta dalla Chiesa di Roma, la
professione di fede battesimale dell’urbe ( Symbolum ) si affermò rapidamente del mondo di li ngua latina ;
finché Carlo Magno fece riconoscere p er tutto l’impero una forma testuale che – sulla base dell’antico t e-
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sto romano – aveva ricevuto la forma definitiva nelle Gallie; tale testo unitario venne accolto nel IX sec o-
lo anche nella città di Roma. Dal V secolo, forse già nel IV, nasce la leggenda d ell’origine apostolica di
tale testo, concretizzatasi nell’ammissione che ognuno dei 12 articoli, in cui già allora risultava diviso, r i-
salisse a uno dei 12 apostoli .
In Oriente questo Simbolo romano rimase sconosciuto; per i rappresentanti di Roma fu una sorpresa a p-
prendere dai Greci nel concilio di Firenze del XV secolo che il Simbolo pres umibilm ente derivante d agli
apostoli non veniva da loro pregato. L’Oriente non ha mai elaborato un Simbolo unitario del genere pe r-
ché là nessuna chiesa particolare ha ma i assunto una posizione paragonabile a quella di Roma in Occide n-
te, quale unica “sede apostolica” dell’area occidentale. Per l’oriente è sempre rimasta caratteristica la pl u-
ralità dei Simboli, che differiscono dal Simbolo romano anche nella tipologia teolo gica. Il Credo r omano
(quindi quello occidentale in genere) ha una più accentuata impronta storico -salvifica e cristologica. Si
ferma insistentemente sul nucleo centrale della storia cristiana : il fatto che Dio si è fatto uomo per la n o-
stra salvezza, e non tenta di scavare dietro questa storia. L’Oriente, invece, ha sempre cercato di cogli ere
la fede cristiana in una prospettiva cosmico -metafisica, cristologia e fede nella creazione veng ono poste in
stretta relazione fra loro facendo risaltare l’unicità di quella storia e la dimensione perenne, universale,
della creazione.
2. Limiti e importanza del testo (p. 77)
Nella formazione del Simbolo si riflette l’intera tensione della storia della Chiesa del primo millennio.
Ciò tocca la sostanza della fede cristia na, mettendone in luce la fisionomia spirituale.
Il Simbolo esprime il fondamento comune della fede in Dio uno e trino. È la risposta all’appello di Ge-
sù “fate miei discepoli tutti i popoli ”. È una professione di fede quale vicinanza di Dio, e futuro
dell’uomo. Ma esprime anche l’inizio del la divisione fra Oriente e Occidente; emergono sia la peculiare
posizione che spetta a Roma come centro della tradizione apostolica, sia la tensione che da questo der ivò
per la chiesa universale. Tale testo, nella forma o dierna, esprime pure la tendenza uniformatrice, di der i-
vazione politica, propria della Chiesa d’Occidente, il destino di estraniamento politico cui la fede va i n-
contro, la sua utilizzazione come strumento di unità dell’impero. Nell’usare questo testo, affe rmato si co-
me “romano”, che impone Roma dall’esterno, vi troviamo anche la necessità della fede a dover affe rmarsi
attraverso la rete dei fini politici. Nelle vicende del testo è riflessa la sorte del messaggio evangelico ; la
risposta all’appello di Gesù, d al momento in cui entra nella storia, si mescola con le debolezze dell’uomo:
interessi particolari, estraniazione dei chiamati alla unione, intrighi delle potenze del mondo.
Ciò rientra nella realtà della fede nel mondo : l’audace balzo verso l’infinito ch e essa significa si realizza
solo tra le piccinerie umane. Emerge che la fede ha e deve aver a che fare col perdono ; che l’uomo deve
riconoscere di essere la creatura capace di ritrovare se stessa solo nel ricevere e nell’accordare il perdono.
Ci si può ch iedere se sia davvero lecito legare un’introduzione ai contenuti fondamentali della fede cr i-
stiana a tale testo. Ma si potrà constatare come questa professione di fede, nonostante le confuse vicende
della sua storia, rappresenti la genuina eco della fede d ella Chiesa antica , fede che nel suo nucleo ce n-
trale è eco fedele del messaggio del N uovo Testamento. Le differenze fra Oriente e Occidente sono dive r-
sità di accent uazione teologica, non intaccano la sostanza della professione di fede.
3. Professione di fede e dogma (p. 79)
Occupandoci di un testo originariamente ambientato nella liturgia battesimale, ci imbattiamo nel signif i-
cato iniziale di “dottrina” e di “professione di fede” nel cristianesimo, quindi anche nel significato di ciò
che si chiamerà “dogm a”.
Il Credo viene proclamato nella cornice dell’evento battesimale sotto forma di triplice risposta alla tr i-
plice domanda : “credi in Dio -in Cristo -nello spirito Santo?”. La risposta è il contrappunto a: “rinuncio al
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demonio, al suo servizio e alle sue ope re”. La fede ha quindi il suo posto nell’atto di conversione , la
svolta dell’essere dall’adorazione del visibile e fattibile al fiducioso abbandono dell’invisibile. “Cr edo” si
potrebbe tradurre con: “io mi abbandono a… , dò il mio assenso a…”. La fede non è una recita di do ttrine,
un’accettazione di teorie concernenti cose di cui non si conosce nulla. Nella triplice rinuncia e triplice a f-
fermazione collegata alla triplice morte e resurrezione simbolica per immersione, la fede viene prefigurata
per quello che in realtà è: una conversione, una svolta d i tutto l’uomo che struttura stabilmente
l’esistenza , un cambiamento dell’essere. In questo processo, l’io e il noi, l’io e il tu , si intrecciano in m o-
do da esprimere tutta un’immagine dell’uomo. È un processo est remamente personale, è la mia esistenza
che deve attuare una svolta e trasformarsi. Un secondo elemento è il fatto che la decisione dell’io si e-
strinseca sotto forma di risposta a una domanda: “Credi tu?”. Questa forma originaria del simbolo sembra
esprime re la struttura della fede in modo più esatto della più tardiva semplificazione con la forma collett i-
va. Dietro il tardivo testo dottrinale sta questa prima forma dialogica, più appropriata , e più risponde nte al
contenuto rispetto alla professione di fede basata sul “noi”, che si è andata formando prima nell’Africa
cristiana e poi nei grandi concili dell’Oriente . In questi ultimi si inaugura un nuovo tipo di professione di
fede che non ha più le radici nel contesto sacramentale dell’evento di conversione, d unque in un atto e c-
clesiale, nella compiu ta svolta dell’essere, quindi dell’autentico luogo di origine della fede, ma nasce da l-
la lotta dei vescovi radunati a concilio per la vera dottrina, divenendo così il primo passo della futura
forma del dogma. In que i concili non vengono ancora formulate proposizioni dottrinali, ma le dispute ci r-
ca la retta dottrina si esprimono solo e sempre sotto forma di polemiche dirette a perfezionare la profe s-
sione di fede ecclesiale, quindi come una lotta intorno alla vera moda lità di quella conversione.
Un esempio: la lotta accesa attorno al problema “Chi è, chi è stato Cristo?”, c he scosse la chiesa nel IV e
V secolo . Non erano in gioco speculazioni metafisiche, ma la questione: che cosa accade quando io mi
faccio cristiano, r iconoscendo Cristo come l’uomo modello? Quale profondità raggiunge questo proce s-
so? Quale valutazione complessiva della realtà ne scaturisce?
4. Il Simbolo come espressione della struttura della fede (p. 82)
Facciamo ancora due rilievi.
a) Fede e Parola . Il Credo è una formula rimastaci dall’originario dialogo: “Credi tu? -Io credo” che r i-
chiama il “Noi crediamo”, in cui l’io trova suo posto. Nella forma originaria della professione di fede è
presente l’intera forma antropologica della fede. È evidente com e la fede non sia il risultato di una eluc u-
brazione solitaria, ma la risultante di un dialogo, espressione di un ascoltare, accogliere e rispondere.
“La sede nasce dall’ascolto” ( Rm 10,17). Qui ci viene data una definizione strutturale permanente di ciò
che qui accade. Appare evidente la distinzione tra fede e filosofia ; che tutta via non impedisce all a fede
di mettere in azione al suo interno la ricerca filosofica della verità . Si potrebbe dire che la fede proviene
dall’udire e non dal riflettere , come la filosofia . La sua essenza non consiste in un’elucubrazione del pe n-
sabile messa a disposizione come risultato del mio pensiero; è sua peculiare caratteristica provenire
dall’aver udito , essere la ricezione di qualcosa che non ho pensato di mia iniziativa, si cché nella fede il
pensiero è sempre un ripensare quanto si è udito e ricevuto in precedenza.
Nella fede si ha una precedenza della parola su un pensiero. Nella filosofia il pensiero precede la parola; è
un prodotto della riflessione, che poi si cerca di r endere a parole, che rimangono sempre un fattore seco n-
dario rispetto al pensiero. La fede invece giunge all’uomo dall’esterno , non è un pensato da me, bensì è
ciò che mi viene detto, che mi interpella e mi impegna . Le è essenziale la forma dialogica dell’e ssere
interpellati dall’esterno e del rispondere a tale appello. È normale dover confessare: non sono giunto
alla fede attraverso una mia ricerca della verità, ma attraverso un ricercare che mi ha prevenuto. La
fede non può e non deve essere un mero prodot to della riflessione. L’idea che la fede la troviamo per
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la via di una ricerca privata della verità, è espressione di una mentalità che misconosce la peculiare esse n-
za della fede, la quale sta proprio nell’essere ricezione responsabile dell’impensabile, do ve ciò che è a c-
colto non diventerà mai mia proprietà, quantunque debba prefiggermi di assimilarlo sempre meglio, a b-
bandona ndomi a esso come ciò che è più grande.
Stando così le cose la parola della fede non è per me disponibile e scambiabile a piacere , ma mi è
sempre preordinata, precede sempre il mio pensiero. La positività di ciò che mi giunge contraddistingue la
forma del processo del credere , per cui non è il pensiero che si crea le sue parole, bensì la parola prees i-
stente che i ndica la via al pensiero che la comprende.
Da questo primato della parola e dalla positività della fede che in essa si manifesta dipende anche il
carattere sociale della fede , che la differenzia nuovamente rispetto alla struttura individualistica del pe n-
siero f ilosofico. L’ambito in cui si sviluppa il pensiero è l’ambito interno dello spirito, e rimane in primo
luogo limitato al soggetto pensante. Solo in secondo luogo diventa comunicabile, quando si concretizza
nella parola che lo rende accessibile all’altro.
Per la fede invece è primaria la parola annunciata . Mentre il pensiero è un fatto interiore, spirituale, la
parola rappresenta ciò che unisce . È la modalità in cui, nell’ambito spirituale, nasce la comunicazione ,
la forma sotto cui lo spirito si rende umano, corporeo e sociale . Questo primato della parola dice che la
fede è preordinata alla comunione spirituale in maniera completamente diversa rispetto al pensiero f i-
losofico. Nella filosofia all’inizio sta la ricerca privata della verità, che solo in un secondo tempo si c o-
munic a. Viceversa la fede è già in partenza un appello alla comunione, all’unità dello spirito attraverso
l’unità della parola. Ha quindi un significato eminentemente sociale . Solo secondariamente schiuderà al
singolo la via verso l’avventura personale della ve rità.
Nella struttura dialogica della fede, viene a delinearsi un’immagine dell’uomo , ma in essa appare anche
un’immagine di Dio . All’uomo è dato di avere rapporto con Dio quando gli è dato di avere rapporti con i
fratelli. La fede è essenzialmente preordi nata al “tu” e a “noi”, e attraverso questo duplice legame essa
collega l’uomo a Dio. Rapporto con Dio e fraternità umana, a partire dall’intima struttura della fede, risu l-
tano inseparabili tra loro; Dio vuole giungere all’uomo solo tramite l’uomo ; non cer ca l’uomo in altro
modo che nella sua fraternità con gli altri uomini.
La fenomenologia della religione costata come anche nella religione, come succede in tutti gli altri a m-
biti dello spirito umano, esista una gradazione di talenti . Anche qui si incontran o individui religiosame n-
te “dotati” e altri “non dotati”; sono pochissimi coloro i quali risulta possibile un’esperienza religiosa d i-
retta. Il “mediatore” o il “fondatore”, il testimone, il profeta, tutte quelle persone capaci di entrare in dire t-
to contatt o col divino sono l’eccezione; c’è poi l’immensa folla di coloro che possiedono capacità religi o-
se solo ricettive, a cui l’esperienza immediata del sacro è preclusa pur non essendo essi così sordi da risu l-
tare incapaci di accogliere la possibilità di incon trarlo per la mediazione di una persona cui tale esperie n-
za è stata accordata.
Ma le cose non dovrebbero andare in modo che ogni persona abbia diretto accesso a Dio , se ognuno è
egualmente interpellato da Dio? Non dovrebbe esserci una perfetta uguaglianza di op portunità? Q uesto
interrogativo gira a vuoto: il dialogo di Dio con l’uomo si svolge unicamente tramite il dialogo degli
uomini fra loro. Il diverso livello di doti religiose costringe gli uomini a essere gli uni per gli altri. C’è
religione, non nel ritiro solitario del mistico, ma solo nella comunità di chi annuncia e chi ascolta . Col-
loquio dell’uomo con Dio e colloquio degli uomini fra loro si promuovono e si condizionano a vicenda. Il
mistero di Dio costituisce la più stringente provocazione dell’u omo al dia -logo, che per quanto chiuso e
distorto possa essere, lascia pur sempre echeggiare il Logos, l’autentica Parola da cui tutte le parole der i-
vano e che tutte le parole cercano di esprimere.
Il vero dialogo non si instaura automaticamente non appena gli uomini discorrono qualcosa. Il colloquio
degli uomini perviene alla sua vera natura soltanto quando essi non cercano di esporre qualcosa, ma te n-
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tano di dire se stessi ; è quando il dialogo diventa comunicazione che ivi si parla in certo qual modo a n-
che di Dio, che è il vero e proprio tema delle dispute degli uomini fra loro fin dall’inizio. Quando
l’uomo comincia a parlare di sé, assieme al logos dell’essere umano subentra, nelle parole del discorso
umano, anche il Logos di tutto l’essere. La difficoltà che oggi troviamo parlare di Dio proviene forse dal
fatto che il nostro linguaggio tende sempre più a trasformarsi in puro calcolo, in comunicazione tecnica.
b) La fede come “Simbolo”. Nella promessa battesimale, siamo di fronte alla forma originaria del la do t-
trina cristiana, quindi anche alla forma primordiale di ciò che oggi chiamiamo “ dogma ”.
In origine non esiste una serie di asserti dottrinali che si possono enumerare e catalogare. Un’idea del g e-
nere andrebbe qualificata come un misconoscimento sosta nziale della promessa cristiana di fedeltà a Dio,
rivelatosi a noi in Cristo. Il contenuto della fede cristiana ha il suo posto inalienabile nel contesto della
professione di fede, la quale, in quanto rinuncia e promessa, è diventata con -versione, svolta d ell’essere
umano verso un nuovo orientamento di vita. La dottrina cristiana esiste ora non in forma di asserti
dottr inali bensì nell’unità del Simbolo, come la Chiesa antica che amava la professione battesimale.
“Simbolo ” viene dal verbo greco symballein , che significa “mettere insieme, riunire insieme”. In
un’antica usanza due parti componibili di un anello, di un bastone eccetera fungevano da segno di ricon o-
scimento per gli ospiti, i messaggeri, i contraenti. Il possesso del pezzo integrativo autorizzava a ricevere
una data cosa, o a ottenere ospitalità. Il ‘ simbolo ” è quindi il pezzo che rimanda all’integrazione media nte
un altro pezzo, creando un’unità e un mutuo segno di riconoscimento . È espressione dell’unità.
La designazione della professione di f ede come simbolo è una profonda spiegazione della sua vera nat u-
ra. È questo il senso originario della formulazione dogmatica nella chiesa: rendere possibile la comune
professione di fede in Dio, l’adorazione comune. Nella qualità di sim -bolo la professione d i fede rimanda
all’altro, all’unità creata dallo Spirito nell’unica parola. Il dogma (e il Simbolo) costituisce sempre anche
una regolazione del linguaggio , il quale tende a riunire nella comunione della parola con cui si professa
la fede. Esso non costituisce una dottrina isolata, ma la forma della nostra liturgia , e della n ostra con-
versione , che non è solo un volgerci a Dio, ma anche un raccoglierci assieme nella comune gl orificazione
di Dio. Solo in questo contesto di comunione trova la sua vera collocazione la dottrina cristi ana.
Altra conseguenza: ogni persona ha tra le mani la fede solo come symbolon , pezzo imperfetto e monco
che trova la sua unità solo nella ricongiunzione con gli altri . Solo nel ricongiungersi con gli altri, può
verificarsi il congiungersi con Dio . La fede richiede l’unità, il compagno di fede: per sua natura dice r e-
lazione alla chiesa . La Chiesa quindi non è affatto un’organizzazione successiva di idee, ma parte nece s-
saria di una fede il cui senso è un intreccio di professio ne e adorazione comune. Anche la Chiesa a sua
volta ha tra le mani la fede sempre e solo come symbolon , come metà spezzata, che annuncia la verità so l-
tanto rinviando perennemente oltre se stesso, al totalmente Altro. Unicamente attraverso l’infinito essere
spezzato del Simbolo, la fede agisce come perenne auto superamento dell’uomo verso il suo Dio.
Agostino narra nelle Confessioni come per il suo cammino fosse diventato stato decisivo apprendere che
il no to filosofo Mario Vittorino si era convertito al c ristianesimo ; il grande platonico aveva compreso
che la chiesa era ben più e qualcosa di diverso di un’istituzionalizzazione di un’organizzazione esteriore
di idee. Aveva capito che il cristianesimo non è un sistema di nozioni bensì una via . Se il platonism o
dà una idea della verità , la fede cristiana offre invece la verità come via ; solo diventando via è divenuta
verità dell’uomo .
Alla fede appartengono quindi essenzialmente la professione , la parola e l’unità creata dalla parola ;
inoltre l’inserirsi nella liturgia della comunità e quell’essere insieme che chiamiamo chiesa . La fede cr i-
stiana non è idea, ma vita; non è mistica dell’auto -identificazione dello spirito con Dio, ma obbedienza e
servizio, auto superamento, liberazione dell’io tramite la dimension e del porsi al servizio.
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Acest articol: INTRODUZIONE AL CRISTIANESIMO Joseph Ratzinger [616740] (ID: 616740)
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