Università degli Studi di Cagliari [601450]

Università degli Studi di Cagliari

DOTTORATO DI RICERCA
IN INGEGNERIA DEL TERRITORIO
Ciclo XXIII

TITOLO TESI
VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA E
GOVERNANCE TERRITORIALE: METODOLOGIE E
PROCEDURE

Settori scientifico disciplinari di afferenza
TECNICA E PIANIFICAZIONE URNBANISTICA (ICAR 20)
URBANISTICA (ICAR 21)

Presentata da: Cheti Pira

Coordinatore Dottorato Giorgio Querzoli

Tutor/Relatore Corrado Zoppi

Esame finale anno accademico 2010 – 2011

1

Indice
Introduzione ……………………………….. …………………………………………… ……………………………….. 5
Parte Prima: Teoria sui concetti di sostenibilità, sviluppo sostenibile e governance ……. 10
Capitolo Primo ……………………………… …………………………………………… …………………………… 11
Sostenibilità e sviluppo sostenibile: chimera o nuo vo paradigma del governo del
territorio? ………………………………… …………………………………………… ……………………………….. 11
Premessa …………………………………… …………………………………………… ……………………………….. 11
1.1 I concetti di sviluppo sostenibile e di sosteni bilità …………………………………….. …………….. 12
1.2 Il rapporto tra sostenibilità e politiche dell’ ambiente e del territorio ……………………. …….. 14
1.3 Coevoluzione programmata tra sviluppo economico , territorio e risorse ambientali.
Elementi chiave …………………………….. …………………………………………… ……………………………. 16
1.3.1 Integrazione e valutazione come supporto ai p rocessi decisionali …………………………. … 17
1.3.2 La partecipazione di tutti gli attori territo riali ……………………………………… ……………….. 20
Capitolo Secondo ……………………………. …………………………………………… …………………………. 23
Il tema della governance territoriale in Italia … …………………………………………… ……………. 23
Premessa …………………………………… …………………………………………… ……………………………….. 23
2.1 Il concetto di governance ………………… …………………………………………… ……………………… 23
2.2 Definizioni di “governo” del territorio e di go vernance territoriale ……………………….. …… 26
2.3 L’evoluzione del modello italiano della governa nce territoriale a partire dagli anni
Novanta ……………………………………. …………………………………………… ……………………………….. 27
2.4 Evoluzione in senso ambientale della governance territoriale ………………………………. …… 31
2.5 Il rapporto tra i diversi livelli di piano nell a governance territoriale ……………………. …….. 34

2
2.6 Alcuni riferimenti fondativi per una buona gove rnance territoriale …………………………. … 36
Capitolo Terzo ……………………………… …………………………………………… …………………………… 39
I riflessi della Direttiva 2001/42/CE sulle politic he territoriali …………………………….. ……. 39
Premessa …………………………………… …………………………………………… ……………………………….. 39
3.1 Verso la Direttiva 2001/42/CE …………….. …………………………………………… ………………….. 39
3.2 Livello comunitario, nazionale e regionale: qua dro normativo ………………………………. …. 43
3.2.1 Livello comunitario. Elementi nodali della Di rettiva e sua applicazione tra gli Stati
membri …………………………………….. …………………………………………… ……………………………….. 43
3.2.2 Livello nazionale ……………………… …………………………………………… …………………………. 48
3.2.3 Livello regionale ……………………… …………………………………………… …………………………. 51
3.3 Opportunità e punti di forza nell’applicazione della VAS ………………………………….. …….. 60
Parte Seconda: Identificazione dell’ambito territor iale di approfondimento. Un
protocollo procedimentale per la VAS nella governan ce territoriale ………………………….. 62
Capitolo Quarto …………………………….. …………………………………………… ………………………….. 63
La governance territoriale in Sardegna: studio ai l ivelli regionale e provinciale ………… 63
Premessa …………………………………… …………………………………………… ……………………………….. 63
4.1 La pianificazione costiera e paesaggistica in S ardegna. Dai PTP al PPR …………………….. 64
4.2 Il concetto di sviluppo sostenibile nella prima stesura del PPR ……………………………. ……. 68
4.3 Analisi del contesto istituzionale e dei proces si di governance territoriale nella prima
stesura e nella fase di revisione del PPR ……… …………………………………………… …………………. 70
4.3.1 Scala regionale ……………………….. …………………………………………… ………………………….. 70
4.3.2 Scala provinciale ……………………… …………………………………………… …………………………. 76

3
4.4 Alcune proposte per una corretta integrazione t ra governance territoriale e pianificazione
del paesaggio ………………………………. …………………………………………… ……………………………… 83
Capitolo Quinto …………………………….. …………………………………………… ………………………….. 89
La governance territoriale in Sardegna a livello co munale. La VAS nell’adeguamento
dei PUC al PPR. Aspetti metodologici ed esperienze …………………………………………… ……. 89
Premessa …………………………………… …………………………………………… ……………………………….. 89
5.1 Integrazione tra VAS e processo di formazione d el piano …………………………………… ……. 90
5.2 Fase di orientamento (scoping) ……………. …………………………………………… ………………….. 91
5.2.1 La partecipazione durante lo scoping …….. …………………………………………… ………………. 92
5.2.2 La ripercorribilità del processo di formazion e del piano nello scoping ……………………. . 95
5.3 La redazione del rapporto ambientale ………. …………………………………………… ………………. 99
5.3.1 La ripercorribilità del processo di formazion e del piano nel rapporto ambientale ……. 100
5.3.2 La partecipazione durante la redazione del ra pporto ambientale …………………………… . 114
Capitolo Sesto ……………………………… …………………………………………… ………………………….. 118
Un protocollo procedimentale per la VAS nella gover nance territoriale ………………….. 118
Premessa …………………………………… …………………………………………… ……………………………… 118
6.1 Le dimensioni dell’integrazione tra VAS e piano ………………………………………….. ………. 119
6.2 Presupposti per la costruzione del Protocollo . …………………………………………… ………….. 120
6.3 Metodi per un processo di partecipazione integr ato ……………………………………….. ………. 122
6.4 L’avvio del procedimento e lo scoping ……… …………………………………………… ……………. 127
6.4.1 Formulazione degli obiettivi generali di pian o ………………………………………….. ……….. 131
6.4.2 Formulazione degli obiettivi specifici e dell e principali linee d’azione ………………….. 132
6.5 La redazione del rapporto ambientale ………. …………………………………………… …………….. 138

4
6.5.1 Costruzione delle alternative di piano …… …………………………………………… ……………… 139
Conclusioni ………………………………… …………………………………………… ……………………………. 150
Riferimenti bibliografici ……………………. …………………………………………… …………………….. 153

5

Introduzione
I concetti di governance e sviluppo sostenibile, su i quali la tesi 1 si sviluppa, sono presenti in
letteratura con diverse accezioni e spesso sono usa ti impropriamente nel linguaggio comune,
tanto da essere considerati da molti come parole pi ene di retorica, ambigue, prive di contenuti
reali, usate per dire tutto e niente. Probabilmente la causa di questo uso improprio risiede nel
fatto che sono concetti riferiti a sistemi e proces si molto complessi, in termini di
problematiche e d’implicazioni, con una varietà dei soggetti coinvolti, a diverso titolo, che si
è andata ampliando nel tempo.
La ricerca analizza i meccanismi di governance terr itoriale, intesa come il processo che
comprende la formazione delle decisioni e l’impleme ntazione (o la non implementazione)
delle stesse (UNESCAP, 2007). Lo studio è mirato al l’analisi delle interrelazioni esistenti fra i
diversi portatori d’interesse e le istituzioni di g overno, con l’obiettivo di definire in che
termini, con riferimento alla governance territoria le, si possano trasportare, nei processi di
pianificazione, i principi teorici dello sviluppo s ostenibile in termini di gestione del rapporto
fra capitale naturale e sviluppo economico.
La dimensione territoriale è lo snodo in cui si art icolano i processi di governance sia in senso
verticale (rapporti tra livelli di governo e istitu zioni) sia in senso orizzontale (rapporto fra
portatori d’interesse e componenti dei sistemi isti tuzionali). Il concetto di governance fa,
infatti, riferimento a modelli d’interazione in cui la coerenza e l'efficacia del governo dei
processi territoriali non dipendono dalla sola atti vità politico-amministrativa, ma, anche e
soprattutto, dal coordinamento orizzontale e vertic ale tra più attori, istituzionali e sociali, e
dalla loro capacita di condividere obiettivi, negoz iare accordi, cooperare per raggiungerli
(Governa, 2004).
L’analisi riferita al rapporto tra i livelli di gov erno evidenzia come, a seguito della riforma
costituzionale, 2 è stato da un lato rafforzato il ruolo legislativo e programmatorio delle
Regioni (art. 117 della Costituzione), dall’altro, si è spostata, a livello provinciale (art. 118

1 Il lavoro di tesi rientra nelle attività di ricerc a svolte e sostenute dalla Regione Autonoma della Sa rdegna attraverso una
Borsa di Ricerca co-finanziata con fondi a valere sul Programma Operativo Regionale della Sardegna relati vo al Fondo
Sociale Europeo 2007-2013 in attuazione della Legge Regionale 7/2007 “Promozione della ricerca scientif ica e
dell’innovazione tecnologica in Sardegna”.
2 Riforma del Titolo Quinto della Costituzione, attuat a con le Leggi Costituzionali n. 1/99 e 3/2001.

6
della Costituzione), gran parte delle funzioni ammi nistrative ora assegnate (impropriamente)
al livello regionale. Se dal punto di vista normati vo c’è un riconoscimento nelle funzioni
provinciali come funzioni nel governo dell’area vas ta, nelle pratiche di governance territoriale
le Regioni hanno però confermato il loro centralism o, mentre le Province, pur avendo
rinforzato le loro cariche istituzionali, stentano a trovare una loro funzione.
La definizione di governance, intesa come modello d i formulazione e gestione delle politiche,
prevede che l'assunzione delle decisioni sia frutto della partecipazione quanto più ampia
possibile di tutti i soggetti coinvolti, direttamen te o indirettamente. Il “capitale sociale”
attraverso la struttura relazionale e gli interessi dei vari stakeholder o portatori d’interesse
che , con le loro conoscenze e i loro conflitti potrebber o dare un importante contributo nel
definire le strategie, poco influisce, nella pratic a, sul governo del territorio (Mazzuccato,
2009).
Il principio di sussidiarietà secondo cui l’interve nto degli Enti pubblici territoriali (Regioni,
Aree Metropolitane, Province e Comuni), sia nei con fronti dei cittadini sia degli enti e
suddivisioni amministrative a esso sottostanti deve essere attuato esclusivamente come
sussidio, nel caso in cui il cittadino o l’entità s ottostante sia impossibilitata ad agire per conto
proprio, non è applicato con coerenza nella pratica .
La governance territoriale è condizionata dalle pol itiche ambientali, sviluppandosi in
connessione con le pratiche orientate allo sviluppo sostenibile e con le politiche territoriali
che devono tenere conto dell'esigenza, da parte del la comunità, di salvaguardare l'ambiente in
cui s’insedia.
Un importante strumento di governance, utile nell’o rientare le scelte di piano al paradigma
dello sviluppo sostenibile, è la Valutazione ambien tale strategica (VAS). Rispetto al suo
rapporto con la governance, si potrebbe definire la VAS come un insieme di rego le, principi,
tecniche e strumenti con la funzione di supportare, continuamente, il processo decisionale con
lo scopo di generare consenso attorno alle azioni d a compiere e, soprattutto, di far sì che tale
consenso duri nel tempo e si trasformi in una rete di relazioni stabili in grado di garantire
continuità e coerenza al processo di pianificazione .
La Direttiva 2001/42/CE ha introdotto un cambiament o di prospettiva nell’approccio alla
pianificazione territoriale, che vede nella VAS uno strumento flessibile, trasparente,
partecipato e sistemico nella costruzione di conosc enza. Endoprocedimentalità rispetto al

7
processo di formazione di piani e programmi, partec ipazione, condivisione, consenso e
considerazione della dimensione ambientale, sono gl i aspetti che dovrebbero caratterizzare la
VAS, ma che, come si vedrà nei capitoli successivi, nella pratica spesso sono carenti o poco
efficaci. La causa si individua essenzialmente, nel la scarsa cultura della valutazione
ambientale, intesa più come un ulteriore appesantim ento dei processi decisionali, piuttosto
che quale essenziale strumento per la costruzione d i piani e programmi. Il suo ampio utilizzo
in diversi Paesi da molti più anni che in Italia do vrebbe far riflettere sulle potenzialità di
questo strumento.
Le criticità riscontrate nelle applicazioni della V AS sono sia di natura metodologica che di
governance. Queste ultime riguardano gli attori coi nvolti, il loro ruolo, le loro competenze e
tutti gli aspetti rappresentati nell’ottagono della good governance (UNESCAP, 2007), i quali
costituiscono parti importanti della riflessione su lla teoria e prassi della pianificazione
territoriale contemporanea (Zoppi, 2007).
Partendo da queste considerazioni, l’obiettivo dell a tesi è evidenziare, in termini di
problematiche, la questione del rapporto tra govern ance, pianificazione, valutazione, e, in
particolare, definire indicazioni metodologiche e p rocedurali per una VAS completamente
inserita nel processo di formazione di piani urbani stici e territoriali di diversa scala.
La tesi è strutturata in due parti: la prima è di i nquadramento generale e tratta agli aspetti
teorici e normativi connessi ai concetti di sosteni bilità e governance; la seconda parte è
dedicata all’approfondimento delle problematiche de lla governance e della VAS con
particolare riferimento all’ambito territoriale del la Regione Sardegna che, dal 2006, anno di
approvazione del suo Piano paesaggistico regionale (PPR), 3 sta attraversando una nuova
stagione di governance territoriale, caratterizzata da un nuovo modo di intendere il concetto di
risorsa ambientale e anche da un diverso approccio, in termini relazionali, tra gli enti di
governo del territorio, e tra essi e le comunità lo cali.
Il primo capitolo ragiona sui concetti di sviluppo sostenibile, di ambiente e di territorio, e
sugli elementi chiave relativi ad una loro efficace integrazione nella governance territoriale.

3 La Giunta Regionale ha approvato, con Delibera n. 3 6/7 del 05/09/2006, il PPR- Primo Ambito Omogeneo. La normativa
disciplina ventisette Ambiti di Paesaggio che costi tuiscono il Primo Ambito Omogeneo, corrispondente a l territorio costiero.

8
Il secondo capitolo analizza l’evoluzione della gov ernance territoriale in Italia rispetto alla
modifica del Titolo Quinto della Costituzione e al peso, sempre maggiore, dato all’ambiente
nelle leggi e nei piani di governo del territorio.
Il terzo capitolo ripercorre il percorso teorico ch e ha portato, nel 2001, alla Direttiva
42/2001/CE e, successivamente, al suo recepimento n egli Stati dell’Unione Europea e in
Italia, a livello nazionale e regionale.
Il quarto capitolo analizza in che termini il conce tto di sviluppo sostenibile ha influenzato i
contenuti del PPR ed i meccanismi di governance att ivati in fase di formazione e revisione
dello stesso, con particolare riferimento alla scal a regionale e provinciale. In particolare, il
capitolo si sofferma sul processo partecipativo e d i collaborazione a livello istituzionale che
ha condotto alla definizione dell’impianto normativ o della prima stesura del PPR e della sua
attuale revisione. A livello provinciale, si analiz zano ruolo e posizione dell’ente Provincia
nelle dinamiche decisionali riguardanti la pianific azione territoriale e il punto di vista, a tal
proposito, delle Amministrazioni Comunali. Il capit olo si conclude con alcune riflessioni
relative ad un corretto coordinamento tra piani a l ivello provinciale e regionale, che si
dovrebbe attuare attraverso un’integrazione tra gov ernance territoriale e pianificazione del
paesaggio.
Il quinto capitolo si sofferma sulla pianificazione a scala comunale e analizza i processi di
VAS attivati nell’ambito dell’adeguamento dei Piani urbanistici comunali (PUC) al PPR; in
particolare, pone in luce alcuni importanti problem i metodologici aperti nell’applicazione
della VAS. Si analizzano, attraverso una serie di c asi studio, le fasi e i passi tipici della VAS,
utilizzando una chiave di lettura che prevede, per ciascuna fase del processo, un esame della
definizione e delle modalità di svolgimento indicat e dalle “Linee Guida per la Valutazione
ambientale strategica dei Piani urbanistici comunal i” redatte dalla Regione Sardegna, per
sostenere le amministrazioni comunali nell’adeguame nto dei loro piani urbanistici. L’analisi
permette di trarre considerazioni e, di evidenziare delle criticità emergenti, per le quali, nel
successivo capitolo, si propongono possibili soluzi oni.
Il sesto capitolo presenta un protocollo procedimen tale (da qui in poi “Protocollo”), mirato
alla definizione di indirizzi per lo sviluppo delle singole attività del processo valutativo

9
riferito ai piani urbanistici e territoriali, che c ontemplano differenti scale di processi di
formazione delle decisioni.
Gli step pratici e gli orientamenti da seguire nell'elabora zione e nell’attuazione di un processo
di VAS costituiscono uno schema operativo in cui si integrano contributi originali e contributi
di varie esperienze applicative analizzate nell’amb ito della ricerca. Si ritiene che questi
possano contribuire ad un efficace definizione di u n processo decisionale trasparente e
inclusivo.
Le caratteristiche essenziali del Protocollo sono l a sua esportabilità e la sua utilizzabilità da
parte di pianificatori, valutatori ed amministrator i.
Le conclusioni oltre a ripercorrere alcune delle ri flessioni delineate nella tesi, definiscono
alcune questioni che si prestano all’approfondiment o e allo sviluppo futuro della ricerca.

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Parte Prima: Teoria sui concetti di sostenibilità, sviluppo sostenibile e
governance

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Capitolo Primo
Sostenibilità e sviluppo sostenibile: chimera o nuo vo paradigma del governo
del territorio?
Premessa
Documenti internazionali e nazionali fanno continua mente riferimento alla sostenibilità e allo
sviluppo sostenibile. I decisori pubblici si affati cano nell’elaborare strategie a essi ispirate e i
politici li richiamano per sostenere le proprie tes i, ci si appellano quasi si trattasse di dogmi
non criticabili (Fracchia, 2009).
“Chi non crede alle rivoluzioni catartiche, rigetta la parola “sostenibilità” e le vuote retoriche
che essa è andata alimentando, anche grazie all’ele vato grado di astrazione del termine,
definito parola valigia, pronta per tutti gli usi” (Mininni e Migliaccio, 2011), secondo altri,
invece, il termine sostenibilità non è desueto, ma solo poco legato alla pratica.
L’associazione dei termini sostenibilità e sviluppo fa pensare spesso solo alla dimensione
ambientale della sostenibilità e alla sua attuazion e in termini di compatibilizzazione delle
diverse azioni umane con l’ambiente. Si attribuisce così al termine “tutela” dell’ambiente un
significato ristretto, quello della conservazione d ei suoi aspetti significativi e caratteristici: la
sostenibilità in questo modo è intesa come giustapp osizione ad azioni produttive e insediative.
Nei processi decisionali che riguardano il governo e la pianificazione del territorio, si sta
sempre più cercando di superare questa giustapposiz ione, tramite innovative forme di
progettazione spaziale del territorio e dell’ambien te.
Il presente capitolo è dedicato all’analisi del con cetto di sviluppo sostenibile e sostenibilità da
diversi punti di vista: rispetto ad alcune interpre tazioni rinvenibili in letteratura (paragrafo
primo), alla loro relazione con i concetti di terri torio e ambiente (paragrafo secondo),
all’individuazione degli elementi chiave per una co evoluzione programmata tra sviluppo
economico, territorio e risorse ambientali (paragra fo terzo). L’intento è capire se sostenibilità
e sviluppo sostenibile sono pura utopia, oppure se è possibile misurarne in qualche modo la
loro misurazione e quantificazione.

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1.1 I concetti di sviluppo sostenibile e di sosteni bilità
L’introduzione dei concetti di sviluppo sostenibile e di sostenibilità (Rapporto Brundtland,
1987), 4 come obiettivi principali delle politiche di gesti one del territorio, ha portato alla
ribalta interessanti questioni su quale potesse ess ere un percorso operativo che ne consentisse
il loro conseguimento, al fine di evitare che riman essero solo idee promettenti ma non
realizzabili. La genericità dei concetti, “usati” n egli appelli dei politici, alimenta, infatti, dubbi
circa la loro effettiva utilità; si avverte in tal senso il rischio che gruppi d’interesse molto
diversi tra di loro possano candidarsi a interpreta rne la vera natura per perseguire i propri
scopi (Fracchia, 2009).
Il consesso, in cui i paradigmi dello sviluppo sost enibile e della sostenibilità si sono affermati
a scala mondiale, è stato l’ United Nations Conference on Environment and Develo pment
(UNCED), tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, con l’ obiettivo di elaborare strategie e misure
per fermare lo stato del degrado ambientale del nos tro pianeta.
Sul concetto di sviluppo sostenibile si contano in letteratura oggi più di trecento definizioni,
proposte da studiosi e organismi nazionali e intern azionali. Tra queste, una è quella fornita dal
governo inglese per il quale lo sviluppo sostenibil e è quello che "assicura una migliore qualità
della vita di ognuno, ora, e per le generazioni a v enire." Secondo la definizione proposta, la
concezione della sostenibilità, nel governo del ter ritorio, va oltre la semplice tutela
dell’ambiente in quanto oltre la dimensione ambient ale include quella economica e sociale. In
tal senso si evidenzia la necessità di rendere comp atibili le esigenze dell’economia con le
ragioni dell’ambiente (dimensione ambientale della sostenibilità), non piegando le esigenze
dello sviluppo alla tutela ambientale ma perseguend o un contemporaneo ed equilibrato
progresso sociale (dimensione sociale della sosteni bilità) e il mantenimento di alti e stabili
livelli di crescita economica (dimensione economica della sostenibilità). Per sostenibilità
ambientale si intende la capacità di preservare nel tempo le tre funzioni dell’ambiente: la
funzione di fornitore di risorse, funzione di ricet tore di rifiuti e la funzione di fonte diretta di
utilità; la sostenibilità economica può essere defi nita come la capacità di un sistema
economico di generare una crescita duratura degli i ndicatori economici, in particolare, la
capacità di generare reddito e lavoro per il sosten tamento delle popolazioni; la sostenibilità

4 Il rapporto Brundtland (conosciuto anche come Our Common Future ) è un documento rilasciato nel 1987 dalla
Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo (WCE D) in cui, per la prima volta, viene introdotto il concetto di
sviluppo sostenibile.

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sociale può essere definita come la capacità di gar antire condizioni di benessere umano
(sicurezza, salute, istruzione) equamente distribui te per classi e per genere.
Pertanto, agire secondo criteri di sostenibilità no n deve indurre a pensare che le scelte e le
azioni individuate siano stabilite in modo definiti vo, andando a definire uno scenario futuro
immutabile nel tempo; in modo più corretto è opport uno considerare lo sviluppo sostenibile
come un processo, continuamente verificato, capace non solo di realizzare uno scenario
previsto per il futuro, ma anche di mantenerlo semp re aggiornato (Cordini, 1997).
Lo sviluppo sostenibile non è uno stato di equilibr io prestabilito ma, in sostanza, un concetto
basato sul “valore,” mentre il suo raggiungimento è una questione di scelte condotte da
individui, gruppi, comunità, organizzazioni e gover ni (Hardy e Zdan, 1997; Devuyst et al. ,
2001). In tal senso, il conseguimento della sosteni bilità non consiste nel raggiungimento di
una situazione di equilibrio stabile, piuttosto si configura come un processo dinamico in cui,
di volta in volta, sono definiti mezzi e strategie per rendere compatibile l’uso delle risorse con
i bisogni attuali e futuri.
Sulla natura del rapporto economia e ambiente, gli studi sulla sostenibilità forniscono una
serie di interpretazioni, che essenzialmente si pos sono classificare in due filoni.
Il primo fa riferimento alla teoria della “moderniz zazione ecologica” secondo la quale
economia e ambiente non sono in conflitto anzi il b enessere economico, è ritenuto essenziale
per garantire buoni risultati ambientali; in questo senso le misure di mitigazione e
compensazione aiutano a gestire tale opposizione. D a questa visione ne deriva un concetto di
sostenibilità di tipo utilitaristico e di ambiente come stock di beni quantificabili, dotati di
prezzo (esplicito o implicito) e commercializzabili in termini quasi monetari.
Secondo un secondo filone di pensiero, denominato q uello della “società del rischio” (Beck et
al ., 1994), esiste un conflitto irriducibile tra modi di produzione, consumo e istanze
ecologiche (Davoudi, 1999). In questo senso il conc etto di sostenibilità assume connotati più
radicali e morali. La protezione dell’ambiente assu me la priorità rispetto ad altre istanze,
vincolando l’attività umana alla capacità di carico degli ecosistemi.
Un riferimento a livello comunitario molto importan te nella pianificazione e nella
programmazione tra sviluppo economico, territorio e ambiente è la Convenzione europea del

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paesaggio 5 con la quale si è aperta una sempre più stretta int errelazione tra azioni di sviluppo
socio-economico e valorizzazione delle risorse del territorio, a scala vasta e locale, oltre che
una comune ricerca d’integrazione tra le politiche, la cui efficacia è riconducibile alla
tradizione culturale di ciascun contesto nazionale. In questo caso una risorsa ambientale e
territoriale, quale il paesaggio, è identificata es plicitamente come risorsa che favorisce il
dispiegarsi delle attività economiche nell’ottica s viluppo sostenibile.
Il paesaggio, nella Convenzione non è definito solo in conformità a criteri visivi, ma in
conformità a una percezione complessa di elementi n aturali e umani stratificati, che
definiscono l’identità culturale dei diversi luoghi . Se un ambito territoriale è rappresentato dal
suo paesaggio, non si può che rimanere nell’ambito di studio dei paesaggi tutte le volte che si
prevedono la programmazione e l’organizzazione dei processi di trasformazione territoriale
(Imperio, 2007).
L’innovazione principale della Convenzione è stata quella di fondare il proprio dettato
normativo sull’idea che il paesaggio, rappresenti u n “bene,” indipendentemente dal valore
concretamente attribuitogli. In questo senso sfata l’equivoco del considerare solo la
dimensione ambientale della sostenibilità a discapi to di quella economica; la pianificazione
territoriale, è vista non solo come strumento di di fesa passiva o di tutela ma, dove possibile,
anche di progetto. L’approccio non è diretto a bloc care i processi di sviluppo sociale ed
economico, ma tenta di armonizzare le trasformazion i integrando il paesaggio “nelle politiche
di pianificazione del territorio e in quelle di car attere culturale, ambientale, agricolo, sociale
ed economico” (articolo 5 della Convenzione).
1.2 Il rapporto tra sostenibilità e politiche dell’ ambiente e del territorio
Il concetto di sostenibilità nei processi di governance territoriale si intreccia e interagisce con
quello di ambiente e con quello di territorio, le c ui definizioni a seconda delle interpretazioni
coincidono.
Il concetto di ambiente è soggetto a varie interpre tazioni, la più ampia tende a considerare
accanto alle componenti naturali, anche i processi sociali e culturali derivanti dal rapporto
dell’uomo con il sistema fisico. L’ambiente si conf igura come un complesso attivo di
elementi che si muovono in un contesto comune influ enzandosi reciprocamente. Esso non è

5 Firmata a Firenze il 20 Ottobre del 2000 dagli Sta ti membri del Consiglio d’Europa.

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solo l’insieme degli elementi che lo compongono, ma anche il luogo degli atti e delle
dinamiche che intercorrono tra gli elementi (Iovino , 2004).
Secondo questa interpretazione l’ambiente “comprend e” il territorio ma ontologicamente lo
supera e ne prescinde perché opera su una dimension e più vasta e generale, “Le problematiche
ambientali si intrecciano con quelle territoriali, e sono al tempo stesso locali e globali,
territoriali e de territorializzate” (Endrici, 2005 ).
Un'altra interpretazione, che negli ultimi anni ha trovato spazio in un certo numero di leggi
recenti, 6 fa corrispondere alla definizione di ambiente quell a di territorio. Il concetto di
ambiente e di territorio interagiscono nei processi di governo del territorio; le problematiche
ambientali devono necessariamente essere affrontate “territorializzando” le politiche di
intervento vale a dire confrontandosi con le necess ità e le opportunità di governo delle
concrete realtà territoriali. L’importanza dei proc essi di “territorializzazione” a fronte dei
rischi impliciti della crescente globalizzazione de lle dinamiche economiche, sociali, culturali
ha indotto e induce a declinare le strategie di svi luppo sostenibile in chiave di sviluppo locale,
endogeno e autogestito (Gambino, 2005).
L’approccio territorialista, sviluppato nell’ambito dell’omonima scuola, 7 evidenzia come i
problemi della sostenibilità dello sviluppo mettano in primo piano la valorizzazione del
patrimonio territoriale, nelle sue componenti ambie ntali, urbanistiche, culturali e sociali, come
elemento fondamentale per la produzione durevole di ricchezza.
In questo approccio la società e l’ambiente non han no un nesso causale predefinito. Società e
ambiente si intersecano continuamente, l’uno includ e l’altro e viceversa. Il territorio sostiene
entrambi e assume le forme di uno spazio attraversa to da scambi di flussi di ogni genere. La
“territorialità” è definita da Sack “come il tentat ivo di un individuo o di un gruppo di
influenzare o controllare le persone, i fenomeni e le relazioni delimitando e esercitando un
controllo sopra un’area geografica, definita territ orio” (Sack, 1986).
Del tutto differente è la posizione di Raffestin, c he definisce la territorialità come un “insieme
di relazioni che nascono in un sistema tridimension ale società-spazio-tempo in vista di

6 Si veda l’articolo 5, comma 1 lett. c), del Decret o Legislativo del 16 gennaio 2008 n.4., “Ulteriori disposizioni correttive ed
integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale," che a ssieme alla Direttiva
85/337/CEE sono le uniche norme che forniscono una d efinizione giuridica di ambiente.
7 La scuola territorialista è nata all’inizio degli anni ’90 in Italia per opera di alcuni docenti e ri cercatori di urbanistica e di
sociologia che hanno deciso di coordinare la loro a ttività di ricerca in ambito universitario e CNR: A. Magnaghi (Università
di Firenze), G. Ferraresi (Politecnico di Milano), A. Peano (Politecnico di Torino), E. Trevisiol (IUA V), A. Tarozzi
(Università di Bologna), E. Scandurra (Università di Roma ‘La Sapienza’), A. Giangrande (Università Roma Tre), D. Borri
(Università di Bari) e B. Rossi Doria (Università di Palermo).

16
raggiungere la più grande autonomia possibile, comp atibile con le risorse del sistema”
(Raffestin, 1981). In questo caso, la territorialit à non è quindi il risultato del comportamento
umano sul territorio, ma il processo di “costruzion e” di tale comportamento.
In riferimento al territorio, le tre dimensioni del la sostenibilità sono intese nel seguente modo:
per sostenibilità ambientale si intende la capacità di valorizzare l’ambiente in quanto
“elemento distintivo” del territorio, garantendo al contempo la tutela e il rinnovamento delle
risorse naturali e del patrimonio; per sostenibilit à economica, la capacità di produrre e
mantenere all’interno del territorio il massimo del valore aggiunto combinando efficacemente
le risorse, al fine di valorizzare la specificità d ei prodotti e dei servizi territoriali; all’interno di
un sistema territoriale per sostenibilità sociale s i intende la capacità dei soggetti di intervenire
insieme, efficacemente, in base ad una stessa conce zione del progetto, incoraggiata da una
concertazione fra i vari livelli istituzionali
A fronte di una crescente rilevanza della tematica ambientale, e assumendo come punto di
vista i territori, si tratta dunque di riflettere s ul loro ruolo, non solo nei tradizionali termini di
allocazione delle competenze ma anche di governance (Endrici, 2005).
Gli enti territoriali sono i primi ad essere chiama ti a rispondere alle problematiche ambientali
mostrando maggiore capacità innovativa dei governi centrali (Bobbio, 2000). I sistemi locali
in particolare assumono un primo piano nell’elabora zione e nella gestione di forme più
sostenibili e durature di sviluppo. “Tuttavia la va lorizzazione degli attori locali e il loro ruolo
nei processi di sviluppo dipende dalla reale conver genza delle politiche di governo a tutti i
livelli” (Gambino, 2005).
In questo senso il territorio ha un ruolo essenzial e nel definire un rapporto di equilibrio tra la
sostenibilità sociale, ambientale ed economica (Fus co Girard e Nijkamp, 1997).
1.3 Coevoluzione programmata tra sviluppo economico , territorio e risorse ambientali.
Elementi chiave
Riflettere sull’integrazione dei paradigmi della so stenibilità nei processi di pianificazione e di
governance territoriale significa pensare che, ai d iversi livelli di governo, sia necessario un
gradiente d’innovazione capace di affermare nuove l ogiche e soprattutto una radicata
convinzione che la sostenibilità non sia solo un te rmine “plastico” e stereotipato, in questo
senso fare i conti con la sua misurazione e quantif icazione diventa assolutamente necessario.

17
Se, infatti, il concetto di sostenibilità come obie ttivo assoluto è utopia, possono non esserlo le
azioni che vanno nella direzione della sostenibilit à e dello sviluppo sostenibile.
Affinché si crei sviluppo e che questo sia sostenib ile è necessario, dunque, che ci sia una
coevoluzione “programmata” tra sviluppo economico, territorio e risorse ambientali, che
hanno nei processi decisionali un elemento chiave. Le pratiche valutative possono essere un
valido supporto fin dalle fasi preliminari, tramite un approccio integrato e multisciplinare ai
problemi ambientali sociali ed economici.
La valutazione della sostenibilità dello sviluppo è stata ampiamente affrontata in letteratura,
talvolta come strumento ed altre volte come approcc io metodologico (Devuyst et al ., 2001).
Qualunque siano le caratteristiche o il nome assegn ato allo specifico strumento di valutazione,
occorre rilevare che la valutazione della sostenibi lità può acquistare significato soltanto
all’interno di una struttura valutativa che stabili sca gli indicatori e i valori in grado di
esprimere un trend , positivo o negativo, di perseguimento dello svilu ppo sostenibile. Questo
implica anche che lo sviluppo sostenibile, quale ob iettivo di lungo periodo, se supportato da
una struttura di valori e scelte, e da responsabili tà politiche, può essere utilizzato come
contesto di riferimento per la valutazione delle de cisioni strategiche (Partidário, 1996-2000).
Il momento di costruzione dei piani e i programmi c he andranno a organizzare un territorio è
quello in cui si possono raccordare le varie propos te; per questa ragione diventa fondamentale
un approccio consapevole e partecipato alla pianifi cazione che riconosca le diverse
componenti e le loro interrelazioni. Il campo princ ipe per il perseguimento dello sviluppo
sostenibile è la pianificazione e la valutazione co me attività principale di quest’ultima
(Pallone, 2004).
1.3.1 Integrazione e valutazione come supporto ai p rocessi decisionali
All’approccio integrato di cui si parlava è necessa rio che si conformino tutti gli attori
coinvolti nel processo decisionale. La questione am bientale, si offre oggi, come arena
privilegiata per la sperimentazione di nuove forme di discussione pubblica ed elaborazione di
nuovi strumenti decisionali. L’importanza di questi ultimi è evidenziata anche dal legislatore
nazionale che definisce “l’ambiente, come sistema d i relazioni fra diversi fattori in

18
conseguenza dell'attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi
della loro realizzazione, gestione e dismissione.” 8
Nella pianificazione territoriale, la settorialità e strumentalità con cui viene affrontata la
questione ambientale ha difficoltà a superare la di cotomia tra i due paradigmi sviluppo e
sostenibilità. In riferimento ai diversi livelli di piano, il rispetto del principio della
sostenibilità può concretizzarsi attraverso una ser ia di azioni coordinate e complementari
fondate sul presupposto che la tutela dell’ambiente , dell’integrità fisica del territorio e della
sua identità culturale debbono costituire il punto di partenza per ogni trasformazione
territoriale e urbanistica. I piani di settore e i vincoli di tutela (dell’ambiente, dei beni
culturali, della difesa del suolo, del rischio sism ico), debbono essere recepiti e armonizzati
all’interno dalla pianificazione territoriale e urb anistica.
La sostenibilità necessità di una interpretazione a ttraverso delle valutazioni di tipo
quantitativo, capace di simulare scenari pianificat ori anche alternativi tra loro. In letteratura è
possibile riscontrare alcuni casi di modelli ambien tali applicati a diverse fasi di elaborazione
di piani territoriali, che hanno affrontato sia gli aspetti analitici sia quelli valutativi. Le
tradizionali metodologie valutative di analisi cost i benefici, all’interno dei processi di
pianificazione territoriale, risultano essere caren ti in quanto non sono in grado di fornire
strumenti interpretativi delle trasformazioni compl essive ambientali.
Il percorso compiuto dalla cultura della sostenibil ità, può rappresentare un utile chiave di
lettura per comprendere le evoluzioni disciplinari nel campo specifico della valutazione
ambientale.
Il Rapporto Brundtland fu ispiratore della filosofi a della valutazione ambientale sia di impatto
che soprattutto strategica in quanto individuava un a serie di principi e di strumenti per
perseguire l’obiettivo dello sviluppo sostenibile. Il principio di prevenzione è chiaramente un
principio chiave nella valutazione ambientale, in q uanto la previsione degli effetti di un certo
strumento di sviluppo, sia esso un progetto o uno s trumento di programmazione, è finalizzata
a scegliere la soluzione ottimale tenendo in consid erazione anche la componente ambientale.
La Conferenza di Rio ha in seguito rafforzato quest o concetto evidenziando come non sia

8 Art. 5, c. 1 lett. c), del D.lgs. 4/2008.

19
possibile prescindere dalle tematiche ambientali ne ll’indirizzare le azioni umane verso il
raggiungimento di forme di sviluppo.
Gli strumenti più efficaci al fine di perseguire so luzioni che rispondano all’obiettivo della
sostenibilità sono quegli strumenti che si ispirano al principio di integrazione, il quale a sua
volta implica che l’obiettivo della tutela ambienta le sia considerato nel momento in cui è
adottata ogni decisione, di qualsiasi carattere, su scettibile di produrre conseguenze
sull’ambiente, in ogni sua forma e che questa consi derazione avvenga su una posizione di
parità con le altre variabili (economiche, sociali o quant’altro) che costituiscono oggetto della
decisione.
Elemento essenziale di questa operazione è il confr onto e a volte il bilanciamento, persino il
compromesso tra diversi obiettivi e priorità. Garan tire la scelta della opzione migliore risulta
così, specialmente nelle scelte maggiormente rileva nti, molto difficile, in particolare laddove
il margine di incertezza circa la prevedibilità del le conseguenze di determinate opzioni di
sviluppo è molto elevato. E’ opportuno garantire, i n questi casi, che la scelta venga adottata in
maniera razionale, cioè divenga quella migliore sul la base di presupposti. Quali che siano,
essi devono essere utilizzati pertanto per definire uno schema procedurale che assicuri che la
scelta sia adottata tenendo in considerazione tutto ciò che è possibile tenere in considerazione.
Così, laddove gli effetti o impatti non possono ess ere previsti, è necessario però che la scelta
sia adottata rispettando una serie di disposizioni di carattere procedurale ottenute sulla base di
quelle che erano le conoscenze a disposizione nel m omento in cui la decisione è stata presa.
Ovviamente, questo implica la necessità di un proce sso continuo di aggiornamento in
considerazione della possibilità che le conoscenze a disposizione cambino nel tempo. In altre
parole è possibile che determinate regole di princi pio debbano cedere il passo di fronte ad
altre inizialmente non conosciute.
Altro principio introdotto dal Rapporto Brundtland è il principio della condivisione di
responsabilità tra i diversi attori del panorama ec onomico, inclusi i privati cittadini che
presuppone la partecipazione e l’informazione dei p rivati alle scelte sia a livello di singole
opere, che al livello più alto di strumenti di pian ificazione e persino di politiche.
Il tentativo di esplicitare le valutazioni in modo che possano essere oggetto di confronto e
dibattito oltre che costituire il fondamento di sce lte strategiche realmente condivise,

20
rappresenta l’innovazione più significativa introdo tta in questo campo in anni recenti. Il
dibattito disciplinare ha fatto registrare notevoli passi in avanti in questa direzione ed è
auspicabile che si verifichino ulteriori e rapide e voluzioni in grado di configurare un sistema
di valutazione che fornisca condizioni e criteri ch e debbono costituire nient’altro che
l’esplicitazione degli obiettivi politici emersi ne l dibattito locale e rappresentare precisi
riferimenti per valutare se e in quale misura gli i nterventi proposti rispondano agli obiettivi di
sviluppo delle comunità interessate (Minucci, 2005) .
La VAS se applicata in maniera corretta, può garant ire l’adozione di una decisione adeguata
in termini di sostenibilità. Ciò comporta che accan to alla considerazione degli impatti di una
decisione, si collochi il rispetto di alcuni parame tri procedurali, previamente definiti, quali la
definizione di un aperto dialogo con il pubblico, o ancora il coinvolgimento di autorità
tecniche capaci di fornire dati appropriati per inc rementare il patrimonio conoscitivo a
disposizione del decisore, lasciando aperta la poss ibilità di modificare la decisione e gli stessi
parametri procedurali nel momento in cui ulteriori fattori di valutazione si rendono
disponibili.
Si può concludere che l’integrazione delle valutazi oni ambientali nelle decisioni strategiche è
un prerequisito fondamentale per promuovere lo svil uppo sostenibile, superando l'idea
tradizionale di considerare le politiche ambientali come un'area specifica e separata dalle
altre.
Un ruolo strategico è assolto dagli enti di governo del territorio ai quali sono richiesti nuove
modalità di funzionamento fondate sulla ponderazion e dei diversi interessi generali e
particolari.
1.3.2 La partecipazione di tutti gli attori territo riali
Durante la Conferenza di Rio la partecipazione è id entificata come un elemento vitale per lo
sviluppo sostenibile. Nel documento di Agenda 21 9 si sostiene, infatti, che lo sviluppo
sostenibile potrà essere raggiunto solo attraverso un processo democratico, partecipativo e
pianificato e una pianificazione attiva a tutti i l ivelli scalari da quello internazionale a quello
locale.

9 Documento contenente principi, obiettivi e azioni a cui devono orientarsi le politiche a livello glob ale, nazionale e locale,
per la promozione di uno sviluppo più equilibrato p er il Ventunesimo secolo, sottoscritto durante il Summit delle Nazioni
Unite su Ambiente e Sviluppo svoltosi a Rio de Janei ro nel 1992.

21
Il diritto della partecipazione dei cittadini alle sce lte pubbliche in materia ambientale, deve
trovare applicazione in occasione delle fasi attrav erso cui si articola il processo di assunzione
delle decisioni.
Il coinvolgimento dei cittadini si realizza innanzi tutto mediante la conoscenza delle scelte che
devono essere compiute e degli elementi di valutazi one delle stesse in termini del loro impatto
e in secondo luogo mediante la possibilità di inter venire attivamente nel processo decisionale,
con una partecipazione “informata.”
Con la Convenzione di Aarhus 10 si è assistito a un progresso significativo in cam po normativo
nella previsione della partecipazione necessaria ne lla definizione delle politiche pubbliche. Si
è stabilito così che il coinvolgimento delle comuni tà locali può toccare diversi livelli, ognuno
capace di aumentare la capacità del cittadino di in fluire sulle politiche e sugli usi di vista
secondo specifici obiettivi di condivisione. Si par te da un primo livello in cui si punta a un
maggiore attivismo civico attraverso la comunicazio ne e l’informazione (partecipazione
informata) e si passa a un successivo stadio quando ci si preoccupa di raccogliere in modo
sistematico e rappresentativo il punto di vista del la cittadinanza su problemi e su proposte e
progetti che l’autorità locale promuove (partecipaz ione consultiva). Il coinvolgimento diventa
ancora più impegnativo quando rispetto a un certo t ema ci si propone di costruire in modo
condiviso progetti, deliberazioni o scelte ricercan do l’approccio costruttivo di molti soggetti,
punti di vista e interessi (progettazione condivisa ).
Un nuovo modo di intendere la gestione, la pianific azione e programmazione territoriale in
grado di assicurare la tutela e la valorizzazione s ostenibile del territorio è stato introdotto nel
2000 dalla Convenzione Europea del Paesaggio. In es sa, oltre a dare una nuova definizione di
paesaggio,11 si pone l’accento sull’esigenza di una nuova pianificazione territoriale, integrata
e basata sullo sviluppo locale sostenibile; si sott olinea l’importanza delle procedure di
partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti coinvolti
nella definizione e nella realizzazione delle polit iche territoriali; si riconosce l’importante sul
ruolo delle percezioni e delle attese dei cittadini nell’attribuzione del valore alle risorse, da cui
consegue che la partecipazione è molto legata all’a mbito locale.

10 La Convenzione è stata sottoscritta sotto l’egida d ell’UN/ECE ( United Nations Economic Commission for Europe ) ad
Aarhus in Danimarca nel 1998 ed è entrata in vigore il 30 ottobre del 2001. L’Italia ha ratificato la Convenzione con la Legge
108/2001.
11 Nella Convenzione il paesaggio viene definito come “parte del territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui
carattere deriva dall’azione di fattori e/o umani e dalle loro reciproche interrelazioni.”

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La Convenzione sottolinea la multiscalarità dell’approccio che lega il locale co n le strategie
globali.“ Il paesaggio in qualità di elemento essen ziale del benessere individuale e sociale è
elemento importante della qualità di vita delle pop olazioni, [….] contribuisce allo sviluppo
degli esseri umani e al consolidamento dell’identit à europea” (Dejeant – Pons, 2001).
Appare ancora poco maturo il dibattito su come rend ere concretamente possibile il nuovo
ruolo che i cittadini devono assumere nella costruz ione condivisa delle politiche sul territorio
e nella definizione-attuazione partecipata degli ob iettivi alla base dei piani di governo del
territorio.
Dare spazio alla partecipazione richiede un approcc io sistematico che non è senz’altro
riducibile alle tradizionali procedure consultive d elle osservazioni ai piani regolatori e
nemmeno a quelle dei procedimenti di valutazione am bientale, ancora giocate quasi
esclusivamente sul rapporto amministratori-esperti. Nei processi decisionali, si ritiene
fondamentale, il coinvolgimento di testimoni qualif icati (Del Zotto, 1988) o testimoni chiave,
o di un “campione sociologico” (Mongardini, 1984) d a chiamare in causa in quanto detentori
di informazioni su argomenti rilevanti ai fini dell a decisione.

23
Capitolo Secondo
Il tema della governance territoriale in Italia
Premessa
Il quadro che emerge sul concetto di sviluppo soste nibile, applicato al governo del territorio, è
di grande complessità e articolazione e trova rifer imento nei problemi che investono lo spazio
e la società nei suoi modelli di sviluppo, nelle ma trici culturali e tecniche della disciplina,
negli strumenti di conoscenza, nella valutazione e progetto, negli attori in gioco, nel ruolo
delle informazioni. Il termine governance comprende diversi questioni che il presente capitolo
si propone di indagare: in particolare sono due gli aspetti di maggiore interesse.
Il primo riguarda tutti i rapporti che intercorrono nella governance territoriale multilivello, 12
nella quale si possono individuare due dimensioni p arallele, compresenti e policentriche, che
fanno della governance un modo per gestire le trasf ormazioni sul territorio, una dimensione
verticale che riguarda i rapporti istituzionali tra i livelli di governo e un’altra orizzontale che
comprende tutte le procedure partecipative dirette a coinvolgere le comunità locali.
Il secondo è l’attenzione al tema ambientale nella governance che progressivamente influenza
i contenuti tecnici dei piani di governo del territ orio che ha portato a un evoluzione in senso
ambientale delle leggi del governo del territorio d ell’ultima generazione.
Il capitolo è strutturato in un primo paragrafo che analizza le definizioni generali, rinvenibili
in letteratura, di governance intesa come modalità di governo, in particolar, quella espressa
dalla Comunità Europea; il paragrafo secondo analiz za più nello specifico il passaggio dal
concetto di governo del territorio a quello di gove rnance territoriale, nel paragrafo terzo si
analizza l’evoluzione del modello italiano di gover nance territoriale, mentre nel paragrafo
quarto e quinto, è analizzata in termini di rapport i tra i diversi livelli di pianificazione; il
paragrafo quinto sintetizza alcuni riferimenti fond ativi per una buona governance territoriale.
2.1 Il concetto di governance
Privo di un sostantivo corrispondente nella lingua italiana, il termine anglosassone
“governance” negli ultimi venti anni è diventato po polare nel dibattito politico e accademico .

12 La governance multilivello è definita nel Libro Bia nco del comitato delle regioni, Unione Europea, 80a sessione plenaria
17 e 18 giugno 2009. È intesa come una modalità di governo che implica la responsabilità condivisa dei diversi livelli di
potere interessati, basata su tutte le fonti della legittimità democratica e sulla rappresentatività d ei diversi attori coinvolti.

24
La stessa definizione del concetto ha subito cambia menti e integrazioni, seppure in generale si
può sostenere che economisti, politologi ed esperti di relazioni internazionali, lo hanno usato,
innanzitutto, per marcare una distinzione e una con trapposizione con il government inteso
quale istituzione, apparato e organizzazione; la go vernance è intesa invece come “governo
politico” che ricomprende le strutture pubbliche e i soggetti che interagiscono con lo Stato
(imprese e comunità).
Nella governance confluiscono dunque le politics e le policy , intese le prime come i contenuti
e gli effetti dell’intervento pubblico delle politi che e dei fenomeni che riguardano la conquista
e l’esercizio del potere, le seconde intese come le scelte, le linee di condotta, che il governo
scelga di fare o non fare nei differenti settori. 13
Secondo alcuni, il concetto di governance nasce con la civilizzazione dell’uomo, in quanto
intesa semplicemente come il processo che porta all a formazione delle decisioni e come
queste sono o non sono implementate (UNESCAP, 2007) .
Ad oggi, manca una definizione condivisa, in quanto si usa il termine governance a volte con
significati differenti o con sfumature diverse; il concetto va spesso a sostituirsi ad altri
termini, ma senza favorire una comprensione chiara dei meccanismi di interazione e
regolamentazione considerati e quindi senza dar con to della specificità, analitica e
significativa, del concetto stesso (Vedelago, 2002) . In tal senso, il concetto di governance
usato in economia, non può essere lo stesso di quel lo usato nelle scienze politiche ed è ancora
altro se riferito alla pubblica amministrazione; no nostante si tratti di concetti estremamente
connessi, il significato è profondamente influenzat o dal contesto cui si riferiscono. Tuttavia è
possibile rintracciare un nucleo comune di signific ato, trasversale a tutti i contesti.
Tra le definizioni più comuni, la governance è inte sa come “processo di coordinamento di
attori, di gruppi sociali, di istituzioni per raggi ungere degli obiettivi propri discussi e definiti
collettivamente all’interno di contesti frammentati , incerti” (Bagnasco Le Galès, 1997) o
anche “l’esercizio dell’autorità politica, economic a e amministrativa nella gestione degli affari
di un Paese ad ogni livello.” 14 Nella scienza politica, viene definita come l’azio ne comune e

13 L'analisi delle policy è un campo di studi multidisciplinare sviluppatosi all'interno della scienza politica e fortemente
contaminato da altre discipline come l'economia, la sociologia, la statistica. Ciò che la distingue dal la scienza politica intesa
in senso classico è il focus dell'analisi, che vien e spostato dallo studio del potere e delle istituzi oni (approccio istituzionalista)
allo studio dei comportamenti dei soggetti operanti nell'arena pubblica (approccio comportamentale). I primi studi sulle
policy si sono sviluppati negli Stati Uniti traendo spunt o dal fallimento delle politiche riformatrici varat e negli anni Sessanta
dalle amministrazioni democratiche
14 Definizione data da United Nations Development Program (UNDP).

25
sinergica di tutte le componenti che determinano l’ equilibrio complessivo di un dato sistema
politico in un momento dato.
L’analisi dei processi di governance comporta la ri costruzione dei comportamenti dei vari
attori che in tali processi agiscono. Tornando alla lettura che vede la governance contrapposta
con il government , la governance è un sistema di regole che funziona solo se accettato dalla
maggioranza e se le intenzionalità sono condivise, mentre il government può funzionare anche
di fronte a una vasta opposizione delle sue politic he (Minucci, 2005).
La mancanza di democrazia, in un sistema che necess ita di più trasparenza nei confronti dei
cittadini e l’assenza di un formale coinvolgimento delle istanze della società civile, tenute al
di fuori del sistema pubblico, hanno spinto la Comu nità Europea a definire un proprio
modello di governance . Un modello fondato su profonde riforme dei processi decisionali in
termini di controllo democratico, di migliore coord inamento e di una più ampia leggibilità
dell’intero processo decisionale al fine di meglio rispondere alle aspirazioni dei cittadini,
facendoli partecipare realmente alla vita pubblica dell’Europa. Partendo da questi presupposti
la Comunità Europea dedica all’argomento, il “Libro Bianco” (Commissione delle Comunità
Europee, 2001), con il quale propone un processo de cisionale più aperto e trasparente, con
l’obiettivo di garantire una maggiore partecipazion e dei cittadini e delle loro rappresentanze e
contemporaneamente, una maggiore responsabilizzazio ne dell’insieme dei soggetti interessati
alla decisione. Individua cinque principi sui quali si deve fondare una buona governance:
apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia , coerenza. Ogni istituzione in questo senso
deve operare in modo aperto adoperandosi per spiega re, con un linguaggio accessibile e
comprensibile ai cittadini, i suoi obiettivi e le s ue strategie, un principio fondamentale per
l’accrescimento della fiducia dei cittadini sulle i stituzioni. Queste ultime devono garantire
maggiore semplicità e accessibilità alle procedure decisionali attraverso una migliore
informazione sull’attività delle istituzioni stesse e, soprattutto, una nuova metodologia di
lavoro. Ogni istituzione, in ragione del proprio ru olo, deve assumersi le proprie responsabilità
nell’elaborazione e attuazione delle politiche, che devono essere efficaci e tempestive
producendo i risultati richiesti in base a obiettiv i chiari, alla valutazione del loro impatto
futuro e quando possibile, delle esperienze acquisi te in passato. In tal senso, le politiche per
garantire più elevati livelli di efficacia, devono essere attuate secondo decisioni adottate al
livello più opportuno.

26
L’efficacia di questa forma di governo non dipende dalla sola attività politico amministrativa,
ma anche e soprattutto al coordinamento orizzontale e verticale tra più attori istituzionali e
sociali e dalla loro capacità di condividere obiett ivi, negoziare accordi e cooperare per
raggiungerli. Questo presuppone che i sistemi di go verno di tipo gerarchico, a cui corrisponde
una ben definita e riconosciuta gerarchia di intere ssi, risultino obsoleti .
2.2 Definizioni di “governo” del territorio e di go vernance territoriale
La Carta Europea dell’Assetto del Territorio, sotto scritta a Terremolinos, nel 1983, 15 definisce
in maniera duplice il concetto di governo del terri torio; esso è inteso come un’espressione
riferita alla variabile spaziale delle politiche ec onomiche, sociali, culturali ed ecologiche di
tutta la società e come una vera e propria discipli na scientifica basata su un approccio
interdisciplinare. Secondo tale definizione il gove rno del territorio persegue uno sviluppo
socioeconomico adeguato delle Regioni, una migliore qualità della vita, una gestione
consapevole delle risorse naturali, la protezione d ell’ambiente e un uso razionale del
territorio. La stessa definizione presuppone l’inte rvento di diversi ambiti disciplinari quali:
quelli legislativi, che hanno il compito di individ uare gli obiettivi da perseguire e i principali
strumenti di pianificazione da utilizzare, quelli p ianificatori, che provvedono all’elaborazione
ed all’approvazione dei piani e quelli esecutivi, c he si occupano della concreta attuazione
delle trasformazioni sul territorio.
In letteratura si fa riferimento principalmente a t re teorie che mettono in relazione il concetto
di territorio con quello di urbanistica.
Una teoria “evoluzionistica,” secondo la quale il g overno del territorio coincide con
l’urbanistica nella sua accezione più moderna, inte sa come disciplina dell’intero territorio.
Una teoria “separazionista” in cui l’urbanistica è da intendersi come disciplina che riguarda in
senso stretto l’assetto delle città, dei centri abi tati, mentre il governo del territorio disciplina l o
spazio circostante. In questa visione l’urbanistica è assai poco orientata alla soluzione dei
problemi, oltre che poco attenta alla condivisione sociale delle scelte che avalla e che
propone.
Infine, una teoria ”incorporazionista” che vede nel governo del territorio qualcosa di ulteriore
e in parte diverso rispetto all’urbanistica, non ri ducendosi al potere di conformare la proprietà
privata per indirizzarla a finalità sociali, ma inc ludendo altresì tutti i tipi di piani e programmi

15 Firmata dai Ministri Europei.

27
a qualsiasi titolo riguardanti il territorio. In al tri termini, secondo questa visione l’urbanistica
è la disciplina dell’assetto dello sviluppo dei cen tri abitati, mentre il governo del territorio
attiene a una serie di interessi che limitano in pa rte l’urbanistica e in parte se ne differenziano,
interessi che riguardano la politica delle grandi i nfrastrutture, la politica dello sviluppo
economico, le politiche dell’ambiente poiché hanno a oggetto il territorio come luogo
generale di vita di una comunità nella quale si ese rcita e si realizza la vita in comune.
In Italia il tema del governo del territorio negli ultimi anni si è evoluto notevolmente in
particolare in seguito alle innovazioni introdotte dalla legislazione statale e regionale, che ha
portato il governo del territorio a interagire con i processi di governance territoriale. Il termine
governo sembrerebbe addirittura non più appropriato per definire il modo in cui le
popolazioni e i territori sono organizzati e ammini strati, mentre il termine governance pare
definire meglio il processo attraverso cui colletti vamente si risolvono i problemi e si risponde
ai bisogni della società. In tal senso le relazioni e le interazioni all’interno dei processi
assumono grande importanza.
Alcuni dei temi più dibattuti sono stati i contenut i e gli effetti dei piani ai diversi livelli, il
rapporto tra disciplina autoritativa del piano e mo dalità consensuali di fissazione delle
prescrizioni attraverso le quali vengono soddisfatt e le esigenze sul territorio di infrastrutture e
servizi in funzione dell’assetto dei luoghi.
2.3 L’evoluzione del modello italiano della governa nce territoriale a partire dagli anni
Novanta
In Italia si comincia a parlare di governance negli anni Novanta quando ci fu una sistematica
innovazione del processo decisionale, e in particol are della programmazione e della
pianificazione territoriale, degli strumenti e dell e strutture tecniche preposte.
Il primo segnale della volontà di misurarsi con que sti aspetti è dato dall’emanazione di due
leggi, entrambe del 1990, la riforma “dell’Ordiname nto degli Enti Locali,” Legge 8 giugno
1990, n. 142 e le “Nuove norme in materia di proced imento amministrativo di diritto di
accesso ai documenti amministrativi ,” Legge 7 agosto 1990, n. 241.
La riforma dell’ordinamento delle autonomie locali, pone al centro del nuovo assetto dei
poteri i principi della concertazione e della compl ementarietà. I nuovi principi ordinamentali
tendono a semplificare i livelli di governo e a fis sare in modo chiaro le competenze e le

28
relazioni tra i diversi livelli. Con riferimento al governo del territorio, la definizione di nuovi
criteri per l’azione dei decisori ha consentito il superamento, almeno in teoria, dei tradizionali
rapporti di tipo gerarchico introducendo assieme al principio della concertazione principi di
complementarietà, sussidiarietà, e partenariato.
La Legge 142 conferisce a Comuni e Province, un aut onoma potestà statuaria oltre a
rafforzarne quella regolamentare per disciplinare l e attività esercitate e a prevedere nuove
opportunità per migliorare il rendimento dei govern i locali, a cominciare dalle varie forme di
cooperazione e integrazione previste per Comuni di piccole dimensioni (opportunità, oggi
scarsamente utilizzate) per raggiungere adeguate ec onomie di scala e maggiore efficienza
nella produzione di servizi .
La Legge sull’accesso alle informazioni istituisce il principio della trasparenza, facendo
obbligo a tutto l’apparato statale di rendere acces sibili, in tempi brevi e in modo chiaro gli atti
amministrativi. I due provvedimenti di legge, danno luogo a una duplice rivoluzione. Da un
processo decisionale lineare fortemente gerarchico si perviene, almeno in linea di principio, a
una configurazione di poteri di pianificazione nell a quale molti decisori elaborano istanze,
obiettivi e vincoli specifici che dovranno combinar si in un sistema unitario di piani (principio
della complementarietà). Da un apparato chiuso e sc arsamente accessibile ai cittadini si
perviene, sempre in linea di principio, a un appara to che può comunicare con chiarezza le
proprie scelte rendendo accessibili ai cittadini gl i atti amministrativi.
L’applicazione delle due leggi si rivela difficile. Il livello di coordinamento tra i diversi settori
e livelli di governo risulta inadeguato 16 con scelte di pianificazione e programmazione
territoriale che tendono a svolgersi in un ambito p revalentemente settoriale. Inoltre la cultura
amministrativa e gli apparati tecnico burocratici s i sono mostrati inadeguati rispetto alle
novità introdotte dai provvedimenti.
Il superamento di tali separatezze costituisce una condizione preliminare, a livello regionale
come a livello nazionale, per poter svolgere un eff icace coordinamento e per assicurare una
reale concertazione tra i diversi soggetti.
Nell’assetto dei poteri di pianificazione territori ale, consolidatosi a partire dagli anni Settanta
con l’avvento delle Regioni, non era prevista ad es empio, nessuna sede di confronto e

16 Problema con il quale si sono misurate le leggi ur banistiche regionali di seconda generazione.

29
concertazione delle scelte durante la loro formazio ne; il raccordo tra i diversi livelli e settori
del governo del territorio si è attuato prevalentem ente in termini negativi: verificando solo a
posteriori, se un piano, un programma o un progetto contrastava con altri piani, con altri
programmi e con altri progetti. Questo stato di cos e ha generato una situazione di tendenziale
diffidenza delle amministrazioni locali e delle com unità locali nei confronti dei programmi di
infrastrutturazione e della pianificazione a livell o superiore, diffidenza che, a sua volta, è
all’origine di un elevata conflittualità che tende ancora oggi a ritardare sistematicamente sia
l’approvazione dei piani e sia la progettazione e l ’attuazione degli interventi di tutela
ambientale e di infrastrutturazione di livello nazi onale e locale.
Nonostante questi limiti, le leggi di riforma degli anni Novanta, dando maggiore snellezza e
operatività alla pubblica amministrazione, hanno co nsentito alla pianificazione territoriale
anche in assenza di una legge nazionale di riforma, di trovare nell’evoluzione del quadro
normativo in campo amministrativo, una significativ a spinta all’innovazione a livello
regionale. In particolare, le riforma amministrativ e varate nella seconda metà degli anni
Novanta (le così dette Bassanini, Leggi n. 59/97 e 127/97), 17 tendevano a garantire maggiori
livelli di autonomia e di flessibilità del governo locale per consentirgli di partecipare ai diversi
livelli di negoziazione con modalità variabili da c ontesto a contesto garantendo adeguati
livelli di coordinamento sociale e di regolazione p er il conseguimento degli obiettivi di
sviluppo assunti. Nel complesso, i citati provvedim enti legislativi hanno garantito maggiore
efficacia ed efficienza ai processi decisionali e a ttuativi andando a modificare profondamente,
sia le strutture dello Stato centrale, sia i rappor ti tra Stato, Regioni e poteri locali e sia la
distribuzione delle funzioni e dei compiti amminist rativi ai diversi livelli di governo. Sotto
quest’ultimo profilo l’azione di riforma è stata pa rticolarmente incisiva dando luogo al
processo di “decentramento amministrativo.”
Con il processo riformatore, consolidatosi con la r iforma del Titolo Quinto della Parte
Seconda della Costituzione, viene affermato il prin cipio della sussidiarietà, intesa come il
principio che tende a dislocare l’esercizio dell’am ministrazione al livello di governo più
prossimo agli amministrati, privilegiando l’eserciz io dell’amministrazione a livello locale e in
particolare di quello comunale. Vengono poi afferma ti i principi di differenziazione e

17 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la rifor ma della Pubblica
Amministrazione e per la semplificazione amministra tiva”, Legge del 15 marzo 1997 e la “Legge per la s emplificazione del
procedimento amministrativo”, la così detta Bassanin i bis.

30
adeguatezza, che completano quello di sussidiarietà , imponendo di tener conto delle
dimensioni e della capacità di governo dei singoli enti come condizioni per il conferimento a
essi delle nuove funzioni e dei nuovi compiti ammin istrativi.
La modifica del Titolo Quinto, prende atto di come sia riduttivo parlare di urbanistica,
espressione sostituita con quella di governo del te rritorio, proprio perché una serie di vicende
che attengono appunto al governo del territorio,18 avvengono sostanzialmente fuori e in
deroga all’urbanistica. La locuzione di “governo de l territorio” come abbiamo visto, ha dato
origine a molteplici interpretazioni, in particolar e quella più condivisa intende che la
disciplina della materia ha sempre al centro il ter ritorio, sotto l’aspetto degli usi più diversi
ma ai fini della loro governabilità. Se si coniuga tale espressione con i nuovi concetti della
riforma costituzionale (sussidiarietà, pluralismo, autonomia), ne vien fuori una pari dignità
costituzionale di tutti gli Enti che costituiscono la Repubblica e una riconosciuta centralità
delle Amministrazioni locali per quanto riguarda l’ esercizio delle funzioni amministrative
(art. 118 della Costituzione).
Gli anni Novanta furono caratterizzati oltre che da lla formulazione di importanti leggi
nazionali, anche da una nuova generazione di leggi regionali in materia di governo del
territorio, che hanno subito l’influenza delle nuov e tendenze dettate dalla governance. I
mutamenti più significativi hanno riguardato i proc essi decisionali (tempi, modalità e
strumenti) e i rapporti tra i diversi livelli di go verno.
Le parole chiave all’interno delle nuove leggi regi onali sono, con riferimento alle modalità di
governo, partecipazione, semplificazione, trasparen za, informazione, autodeterminazione,
concertazione e perequazione; con riferimento ai ra pporti tra i diversi livelli: sussidiarietà,
condivisione, cooperazione; mentre con riferimento agli obiettivi e ai contenuti dei piani:
sviluppo sostenibile, tutela dell’identità fisica e culturale del territorio e tutela delle risorse.
Le nuove leggi urbanistiche mettono in evidenza una diversa concezione del ruolo della
pianificazione territoriale rispetto al passato. Un a diversità riconducibile al significato molto
ampio attribuito al termine governo del territorio che sembra riprendere sia l’insieme delle
materie che hanno per oggetto le risorse del territ orio, sia l’insieme degli strumenti di
programmazione e pianificazione dell’uso di tali ri sorse, oltre alla garanzia delle necessarie

18 I contratti d’area, i patti d’area, la localizzazi one degli impianti produttivi, ecc.

31
coerenze tra le diverse politiche e piani di settor e. Un aspetto molto importante che è andato
imponendosi nel tempo, è un approccio negoziale – c onsensuale che ha portato alla
consapevolezza che per pianificare occorre risolver e i conflitti, stante la natura
intrinsecamente conflittuale della maggior parte de i problemi che la pianificazione deve
affrontare.
2.4 Evoluzione in senso ambientale della governance territoriale
Le politiche ambientali costituiscono un cruciale b anco di prova per l’avvio di buone pratiche
di governance (Governa, 2004). A partire dagli anni Ottanta la pianificazione territoriale
comincia a confrontarsi con questioni di tipo ambie ntale, è del 1985 la Direttiva comunitaria
sulla Valutazione di impatto ambientale, 19 che si applicava a determinate categorie di proget ti
pubblici e privati che potevano avere un impatto am bientale importante.
In Italia, con notevoli ritardi e incertezze, si è sentita l’esigenza di superare i limiti imposti da
un quadro legislativo ispirato a una concezione tra dizionale secondo cui i beni ambientali,
proprio per il fatto di essere patrimonio di tutti, erano privi di tutela giuridica. La concezione
di ambiente è intesa come bene collettivo, degno di essere tutelato dalla legge, non in quanto
appartenente a uno specifico proprietario, ma perch é caratterizzato dalla possibilità di essere
fruito pubblicamente.
“Se si accetta l’idea che il compito della pianific azione del territorio sia guidare le
trasformazioni del territorio verso obiettivi di “q ualità” complessiva dando significato
concreto e localmente verificabile alla “sostenibil ità dello sviluppo” la conservazione […] del
patrimonio di valori incorporati nel territorio, ra ppresenta la sua base insostituibile
d’appoggio. Sono nel patrimonio le radici del futur o (De Varine, 2002).“ Questa convinzione
pervade un gran numero di dichiarazioni, accordi e convenzioni internazionali ed ispira
sempre più le politiche territoriali e urbanistiche .
Oggi la tutela dell’ambiente e il governo del terri torio sono attuati attraverso un insieme di
strumenti normativi, programmatici, pianificatori e conoscitivi elaborati ai diversi livelli
(comunitari, nazionali, regionali e locali) e che s i esplicano nel quadro delle competenze
istituzionali, nelle diverse materie ambientali e t erritoriali.

19 Direttiva del Consiglio del 27 giugno 1985 n.337, a rt. 1, c. 1.

32
Con le norme generali e di settore, si stabiliscono obiettivi e relativi criteri, generali e
specifici, per il conseguimento degli obiettivi e l ’attuazione delle politiche ambientali. Dalle
norme discendono i piani e i programmi che rapprese ntano gli strumenti operativi mediante i
quali sono pianificate e programmate le azioni da p orre in essere per il raggiungimento degli
obiettivi individuati nell’ambito delle norme.
Parallelamente a tale ambito si esplica, in forma s trettamente correlata e funzionale
all’espletamento delle azioni di governo del territ orio e di tutela dell’ambiente, l’attività
conoscitiva, effettuata anch’essa a diversi livelli in funzione delle specifiche competenze
istituzionali.
La ripartizione delle competenze: ambiente e territ orio, viene fatto dall’ art. 117 della
Costituzione (modificato dalla Legge Costituzionale 18.10.2001 n. 3) che riserva allo Stato la
legislazione esclusiva in materia di “tutela dell'a mbiente, dell'ecosistema e dei beni culturali”,
attribuisce alle Regioni, nell’ambito della legisla zione concorrente e nel rispetto dei principi
fondamentali fissati nella legislazione statale, la disciplina concernente la “tutela della salute,
il governo del territorio, la valorizzazione dei be ni culturali e ambientali e la promozione e
organizzazione di attività culturali”. La potestà r egolamentare spetta allo Stato nelle materie
di legislazione esclusiva, salvo delega alle Region i, la potestà regolamentare spetta alle
Regioni in ogni altra materia; i Comuni, le Provinc e e le città metropolitane hanno potestà
regolamentare in ordine alla disciplina dell'organi zzazione e dello svolgimento delle funzioni
loro attribuite.
Il riconoscimento del diritto soggettivo di ogni in dividuo ad un ambiente sano ed
ecologicamente equilibrato (presente nell’ordinamen to di molti Paesi è alla base dei più
recenti orientamenti dell’Unione Europea) non è tut tavia contemplato dalla Carta
Costituzionale. La Costituzione Italiana infatti, n on contiene un riferimento esplicito
all’ambiente; le norme costituzionali in qualche mo do significative per la problematica
ambientale sono l’art. 9, che tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico e l’art. 32,
che riconosce il diritto alla salute come fondament ale diritto dell’individuo e della collettività.
L’espressione “bene ambientale”, compare per la pri ma volta in una Legge ordinaria dello
Stato nel 1975, con l’istituzione dei Beni Cultural i e ambientali (Legge 29 gennaio 1975) in
riferimento al trasferimento alle Regioni di import anti funzioni. Paradossalmente, nelle prime
leggi di settore non compare una nozione complessiv a di bene ambientale. Nonostante

33
l’intervento legislativo sia specificatamente orien tato alla regolazione dei comportamenti
potenziali in grado di provocare danni all’ambiente nel suo complesso, si preferisce parlare a
seconda dei casi di paesaggio, assetto del territor io, oppure genericamente di “interessi
generici.” Per ritrovare richiami alla tutela dell’ ambiente come bene collettivo degno di tutela
in sé, si devono attendere alcuni provvedimenti naz ionali “di seconda generazione” più o
meno direttamente influenzati dalle Direttive comun itarie. Possiamo quindi far risalire la
nascita della politica ambientale in Italia con la Legge del 1986 n. 349 che istituisce il
Ministero dell’Ambiente. La sensibilizzazione del legislatore ai temi della protezione della
natura e alla salvaguardia delle risorse, sulla spi nta di un opinione pubblica sempre più
consapevole della necessità di commisurare lo svilu ppo socioeconomico al mantenimento
degli equilibri essenziali dell’ambiente, ha favori to la reciproca compenetrazione della
dimensione urbanistica e territoriale con quella am bientale creando i presupposti per un
inquadramento unitario.
Anche in sede giurisprudenziale 20 si è giunti ad affermare che i processi di pianifi cazione
territoriale “trovano necessariamente radice e para metro di riferimento nell’apprezzamento
della situazione ambientale” e che, di conseguenza la tutela dell’ambiente “deve comunque
trovare considerazione come fattore condizionante l e scelte inerenti alla gestione del
territorio”. Quest’aspetto ha portato negli ultimi vent’anni a dare avvio a una riforma in senso
ambientale, del governo del territorio, con l’istit uzione di numerosi strumenti di piano
settoriali. 21
Negli anni Novanta seguirono una serie di norme che arricchirono, ma allo stesso tempo
complicarono, la legislazione del governo territori ale. Arricchirono poiché definirono nuovi
piani e cercarono di riordinare e omogeneizzare le diverse competenze riguardo alla
pianificazione ambientale; complicarono, poiché det erminando un gran numero di
competenze tra i diversi Ministeri, Regioni e organ i politici di diversa natura, resero difficili
le formulazioni degli indirizzi programmatici, dei criteri attuativi e delle risorse da destinare
alle politiche ambientali.

20 TAR Lazio, Sezione I, 3 dicembre 1993, n. 1714 “Rivi sta giuridica dell’Ambiente” 1994 p. 916.
21 Piani di smaltimento dei rifiuti, Piani regionali d elle attività estrattive, Piano generale di difesa del mare e delle coste
(Legge 979/92), Piano di risanamento delle aree ad elevato rischio ambientale(Leggi 49/86 e 305/88) Pi ano energetico
nazionale(Legge 10/91), Piano di Bacino (Legge 183/8 9), Piano delle aree naturali protette (Legge 349/9 1), Legge Galli per
la gestione delle acque (Legge 36/92), la Legge Gal asso (Legge 431/85) che esplicitamente integra l’am biente nella
pianificazione paesistica.

34
L’emergere delle problematiche ambientali e la nece ssità di orientare le politiche di sviluppo
territoriale verso profili di sostenibilità hanno richiesto innovazioni importanti nella natura ,
nella strumentazione della pianificazione urbanisti ca e territoriale.
In questo senso la seconda generazione delle leggi del governo del territorio hanno messo in
evidenza una matrice ambientale della pianificazion e urbanistica e di governo del territorio.
L’impegno di considerare, nella pianificazione terr itoriale e urbanistica, le valenze paesistiche
ambientali si è tradotto con alcune leggi, in una t endenziale unificazione dei piani che, oltre a
farsi carico della regolamentazione degli usi dei s uoli, ha regolamentato le risorse ambientali
e paesaggistiche.
Mentre le leggi urbanistiche di prima generazione e rano essenzialmente volte al controllo
della crescita urbana e al contenimento dello svilu ppo, quelle di ultima generazione hanno tra
gli obiettivi creare occasioni di sviluppo compatib ili con le risorse di cui un territorio dispone,
nell’ottica dell’ormai immancabile concetto dello s viluppo sostenibile. I nuovi principi di
azione si fondano sull’assunto che tale concetto de bba conformare il governo del territorio
come contenuto irrinunciabile di ogni atto di piani ficazione.
In questo logica anche l’approccio alla conoscenza del territorio è radicalmente mutato, le
analisi delle realtà che vengono prefigurate dai nu ovi quadri normativi non sono più di tipo
analitico ma sistemico, non più statiche ma storici zzate, arricchendo il significato degli
strumenti di pianificazione e modificandone le moda lità di rappresentazione.
Le leggi che sono state emanate dalle varie Regioni risultano molto variegate, sia dal punto di
vista strutturale, sia per le problematiche caratte ristiche di ogni singolo territorio. La prima
generazione delle leggi prevedeva quasi sempre un p rimo elaborato nella predisposizione di
un piano, generalmente costituito da un analisi del la realtà di tipo giustificativo (dinamica
demografica, dinamica occupazionale, popolazione pe r classi di età, situazione di servizi,
qualche dato sulla dinamica edilizia e poco altro, il tutto generalmente su base decennale).
Uno stato di fatto, sintetizzato in poche pagine, a l solo scopo di supportare, a priori, le
previsioni della parte progettuale del piano, il cu i fine ultimo era, in fin dei conti, quello di
ricercare soluzioni alla domanda di crescita spazia le degli agglomerati urbani.
2.5 Il rapporto tra i diversi livelli di piano nell a governance territoriale

35
L’assunzione del principio di sussidiarietà e la de -gerarchizzazione tra i diversi livelli di piano
ha fatto venire meno l’esigenza di prescrizioni rig ide del piano di livello superiore rispetto a
quello del livello più basso a favore di indicazion i programmatiche, norme di coerenza e
criteri di valutazione di sostenibilità. In questa logica, gli enti proponenti approvano il loro
piano mentre all’ente sovraordinato spetta l’emissi one di un parere di conformità rispetto al
proprio piano, in sede di conferenza di pianificazi one e quindi, all’interno di un processo
decisionale fondato sulla co-decisione.
Sarebbe sbagliato riflettere e lavorare sui livelli di pianificazione, pensando solamente di
aggiungere piani di livello superiore a un quadro d i pianificazione a livello comunale, ma
ancor più sbagliato sarebbe costruire i piani di li vello superiore semplicemente come
estensione dei criteri, indirizzi e tecniche dei pi ani comunali; significherebbe unicamente,
estendere i limiti riconosciuti dei piani regolator i comunali, anzi, accentuarli, trasmettendoli
all'intera catena degli atti pianificatori (Salzano , 2008). Il problema secondo Salzano è
ritrovare un’unitarietà di metodi, criteri, indiriz zi, per tutto il processo di pianificazione,
un’unica "forma piano." Lo sforzo in questo senso è uscire dai confini amministrativi, dalle
competenze dei livelli di governo e dalle forme can onizzate dei livelli di pianificazione. Utile
sarebbe invece capire i requisiti che un piano deve possedere, quale sia l'estensione di
territorio che deve governare o l'ente che ha la re sponsabilità di governo. Requisiti che
devono caratterizzare ogni piano, non un piano di u n determinato livello. Fondamentale in
questa visione è garantire il coinvolgimento e la c ollaborazione procedimentale degli enti di
governo competenti ai diversi livelli.
Sempre secondo Salzano è fondamentale un chiariment o delle competenze e quali sono gli
elementi territoriali di competenza di ciascun live llo di governo (e di piano). Da questo
chiarimento dipende da un lato, la possibilità di d efinire in modo convincente il contenuto dei
piani ai differenti livelli e dall'altro il potere che ciascuno dei livelli di governo esercitare
quindi le procedure.
Nella realtà dei fatti il rapporto tra i livelli di pianificazione è spesso frammentato sia nelle
competenze sia nei centri decisionali, con un livel lo intermedio, quello provinciale, che stenta
a trovare una sua collocazione.

36
Se da un lato è maturata sempre più la consapevolez za che le scelte di pianificazione
territoriale compiute a livello locale, possono per ò produrre impatti (positivi o negativi) sui
sistemi territoriali ambientali, insediativi ed inf rastrutturali di rango ed estensione
sovracomunale. Dall’altro si evidenzia la mancanza, in genere, di un quadro di assetto
generale ad ampia scala e quindi la difficoltà di c ostruire scenari coerenti e condivisi di tutela
e sviluppo del territorio. Mancando efficaci indiri zzi di assetto territoriale a scala regionale e
provinciale, tutto il sistema di governo del territ orio permane incentrato su una scala
comunale di pianificazione fatta da piani superdime nsionati e spesso snaturati da centinaia di
accordi di variante. Ne deriva che i principi di au tonomia locale e di sussidiarietà, nel campo
della pianificazione, devono essere adeguati all’es istenza di sistemi territoriali che necessitano
di essere governati al livello della loro reale est ensione e rilevanza territoriale. Con questo
scopo il principio di gerarchia fra i soggetti isti tuzionali e i loro strumenti è stato sostituito
con il principio di concertazione e cooperazione is tituzionale fra enti, rafforzando ed
estendendo la convinzione che l’efficacia delle sce lte operate dai soggetti istituzionali dipenda
principalmente dalla loro condivisione.
Alcune leggi regionali 22 individuano precise forme procedurali e amministra tive per la
concreta attuazione della concertazione istituziona le tra enti nella fase di formazione dei piani
(per esempio le conferenze e gli accordi di pianifi cazione).
2.6 Alcuni riferimenti fondativi per una buona gove rnance territoriale
Una governance è buona se si crea una circuitazione reciproca (Zoppi, 2008) fra tutti gli
aspetti che in essa hanno un ruolo importante.
Dall’analisi fatta nel presente capitolo e rispetto a quanto indicato dalla Comunità Europea,
riassumendo, si può affermare che processi di gover nance possono funzionare se
sufficientemente inclusivi, ossia se tutti gli inte ressi e tutti i punti di vista degli attori
coinvolti, hanno realmente un ruolo di importanza a ll’interno del processo.
Le trasformazioni sul territorio esigono un process o di interpretazione, progettazione,
decisione da attuarsi a livello della singola realt à, che nasca dalla sua specificità, dalle sue
tradizioni, dai valori espressi dalla collettività locale, che trovano massima espressione nella

22 Per esempio le leggi urbanistiche della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia Romagna.

37
cooperazione interistituzionale e nell’interazione negoziale tra i diversi soggetti (pubblici e
privati) portatori di interessi.
Con riferimento alla sua dimensione verticale, un a spetto importante è il coordinamento tra i
livelli di governo e di piano e una non rigida gera rchizzazione delle competenze. Per cogliere
in modo adeguato i fenomeni ambientali, paesaggisti ci, insediativi e naturali è sempre più
opportuno assumere come campo di osservazione l’are a vasta. Limitando l’angolo visuale ai
confini amministrativi comunali, infatti, è impossi bile sia individuare reali dimensioni e
connessioni che intercorrono tra risorse ambientali e paesaggistiche, sia comprendere il
funzionamento dei cicli naturali, e infine cogliere i nessi che uniscono questi alle dinamiche
socio-economiche, insediative e di mobilità. Tali t ematiche indubbiamente, per rilievo ed
ampiezza, si comprendono meglio ad un livello terri toriale più ampio, piuttosto che a quello
comunale; per il governo dei relativi processi è au spicabile, in tal senso, l’integrazione e
l’interazione della dimensione di area vasta con qu ella comunale.
Rispetto alla dimensione orizzontale della governan ce, il governo del territorio che si delinea
è fondato sulla concertazione e sulla promozione de lla massima partecipazione della
collettività ai processi di pianificazione territor iale. In questo rientra lo stile di comunicazione,
che riguarda le pratiche di coinvolgimento del “dis corso comune,” la preparazione
dell’ambiente fisico del dibattito, lo sviluppo del la discussione delle problematiche in gioco,
le modalità con cui si traggono le conclusioni e si sintetizzano i risultati. Importante è
l’attenzione dedicata al singolo partecipante a man o a mano che il processo partecipativo si
sviluppa, in quanto dalla percezione della propria utilità nel processo, dipende la qualità del
contributo che egli può dare nella definizione dell e scelte di piano e nella loro attuazione
(Forester, 1998). In tal senso, rappresentano un ca mpo di sperimentazione le esperienze di
community visioning , basate sul processo di riconoscimento e costruzio ne di un sistema di
aspettative e obiettivi delle comunità locali.
La considerazione del territorio come risorsa, non solo spaziale, ma ambientale, sociale,
culturale ed economica, potenziale matrice di organ izzazione di sviluppo locale può riuscire a
coniugare integrità ecologica, equità sociale ed ef ficienza economica.
L’integrazione delle pianificazioni settoriali, che seppur in maniera diversificata,
interferiscono con l’assetto del territorio. è un a ltro elemento importante. In tal senso potrebbe

38
essere fondamentale un osservatorio a scala regiona le sulle trasformazioni territoriali, che
potrebbe contribuire a portare a unità la frammenta zione di diversi interventi, in quanto in
grado di cogliere elementi innovativi di un comples so disegno regionale e fare da supporto,
per specifiche modifiche ai piani. In tal senso l’o sservatorio può cogliere e interpretare le
trasformazioni e, quindi, costituire l’elemento che garantisce l’attualità dello strumento di
piano. 23
Non ultimo, in ordine di importanza, come elemento fondante per una buona governance
territoriale è una corretta integrazione della valu tazione della sostenibilità ambientale delle
scelte nei processi di pianificazione. Nella pratic a risulta evidente l’esigenza di avvalersi di
approcci integrati che considerino tecniche e strum enti multidimensionali in grado di
promuovere il dialogo e l’interazione tra saperi di fferenti (Thérivel, 2008), tra le valutazioni
di carattere tecnico e quelle di carattere politico .

23 Si veda il caso dell’Osservatorio Regionale del Pie monte sulle Trasformazioni Territoriali che già in base alla L.r. 56/77,
ha avviato una specifica ricerca sulle pianificazio ni separate.

39
Capitolo Terzo
I riflessi della Direttiva 2001/42/CE sulle politic he territoriali
Premessa
Si è detto nei capitoli precedenti del fondamentale ruolo che riveste la valutazione nei
processi di governance e pianificazione territorial e. A tal proposito il presente capitolo
analizza la dottrina sul concetto di VAS e i riferi menti normativi a livello comunitario,
nazionale e regionale.
La Direttiva 2001/42/CE (d’ora in avanti chiamata D irettiva) rappresenta un importante passo
verso la garanzia dello sviluppo sostenibile nei Pa esi della Comunità Europea (CE). Essa
introduce l’obbligo della valutazione preventiva de gli impatti di determinati piani o
programmi, con l’intento di garantire che le azioni di trasformazione territoriale che si intende
implementare siano correlate al raggiungimento di u n livello accettabile di sostenibilità
(Brunetta, 2002), identificando e definendo “in man iera precoce” nel processo decisionale i
problemi ed i bersagli ambientali valutandoli in mo do interattivo ed ampio.
Le grandi differenze fra i contesti culturali e soc io economici di applicazione della Direttiva
hanno portato allo sviluppo di molteplici sue inter pretazioni conducendo alla composizione di
un quadro molto variegato di approcci, strumenti e metodi di applicazione della VAS.
Il paragrafo primo esamina le origini della valutaz ione ambientale e il percorso teorico che ha
portato alla Direttiva; il paragrafo secondo il qua dro normativo a livello comunitario,
nazionale e regionale; il paragrafo terzo definisce opportunità e punti di forza
nell’applicazione della VAS e i suoi riflessi nelle politiche territoriali.
3.1 Verso la Direttiva 2001/42/CE
Le origini dell’Environmental Assessment
La considerazione della componente ambientale nel p rocesso di valutazione degli effetti
causati dall’implementazione di una determinata man ifestazione di “sviluppo,” sia in forma di
opera singola, che, in quella più complessa di uno strumento di pianificazione, o addirittura di
una politica è un fenomeno che ha cominciato a conc retizzarsi soltanto nel momento in cui

40
l’opinione pubblica e il mondo politico sono stati costretti a prendere atto delle gravi
condizioni dell’ambiente e a fronteggiare la minacc ia dell’esaurimento delle risorse naturali.
Il diritto ambientale ha cominciato a svilupparsi, come branca a se stante del diritto, dagli anni
Sessanta sebbene diversi paesi industrializzati int rodussero controlli ambientali fin
dall’Ottocento. In Nord America ed Europa le prime norme sull'ambiente tendevano a seguire
il tradizionale approccio command and control , una forma di regolamentazione detta anche
top-down (dall'alto al basso) basata su una visione della p rotezione ambientale centralizzata
sullo Stato. Secondo questo orientamento il governo stabilisce livelli e standard e persegue
penalmente o civilmente chi non li rispetta. Anche se l'approccio command and control è
necessario ha dei limiti intrinseci e da solo non b asta a risolvere le problematiche ambientali,
in quanto non permette la gestione dei sistemi comp lessi. Leggi e politiche incoraggianti
l'autoregolamentazione, per questa ragione, hanno r accolto via via maggiori consensi (Heinelt
et al. , 2001).
Sono essenzialmente tre le motivazioni che spiegano la nascita della valutazione ambientale:
in primo luogo le maggiori conoscenze scientifiche e la pubblicità che hanno consentito una
larga diffusione tra il pubblico delle notizie rela tive ai danni ambientali prodotti
dall’incremento dello sviluppo e delle attività tec nologiche; effetto della conoscenza, la
seconda motivazione è riconducibile nel diffondersi delle attività dei gruppi di pressione
sull’opinione pubblica e sulle forze di governo, pr ima di tutto negli USA e nel Regno Unito
grazie anche ai media che hanno portato alla luce m olte problematiche ambientali; una terza
motivazione è stata il massiccio incremento del con sumo delle risorse e previsione di scenari
preoccupanti relativamente alla ridotta capacità di riproduzione delle stesse (O’Riordan e
Turner, 1983).
La nascita della valutazione ambientale 24 viene tradizionalmente indicata con l’adozione del
National Environmental Policy Act (NEPA) nel dicembre 1969. Tale documento obbligava le
amministrazioni federali a prendere in considerazio ne per le loro attività di pianificazione e

24 Già nel 1548, in Gran Bretagna, venne costituita un a Commissione per esaminare gli effetti che la costr uzione di fornaci
nel Sussex e nel Kent avrebbe avuto sull’economia d ella regione. In questo caso, parametro di valutazi one non erano i valori
e gli interessi di tutela ambientale (che solo negl i ultimi decenni del Novencento hanno acquisito un peso rilevante nella
definizione degli obiettivi di politica), quanto i costi e i vantaggi più specificamente economici e s ociali (es. costo del
materiale, prezzo del ferro, incremento dei posti d i lavoro). Ciononostante, già in quella circostanza le modalità con cui la
Commissione si trovò ad operare erano molto simili a quelle odierne, infatti la natura essenzialmente t ecnica della
Commissione, il coinvolgimento del pubblico in forma associata, la previsione di misure volte a contras tare gli effetti
negativi che l’implementazione delle fornaci avrebb e causato, sono esempi di principi già allora ricon osciuti fondamentali
(Fortlage, 1990).

41
decisione tutte le conoscenze disponibili per verif icarne le ripercussioni sull’ambiente con
l’obiettivo di introdurre nei momenti decisionali i valori ambientali accanto agli aspetti tecnici
ed economici: 25 veniva così formulato il principio della obbligato rietà della valutazione
preventiva degli effetti sull'ambiente di un determ inato progetto. Le direttive emanate,
incentrate sulla procedura che le agenzie federali dovevano adottare, hanno consentito di
sviluppare una metodologia sulla valutazione ambien tale che ha largamente influenzato i
Paesi Europei che si sono affacciati a questo istit uto successivamente.
La categoria major Federal actions del NEPA può essere considerato il punto di parten za
della VAS, in quanto contiene riferimenti a progett i piani, programmi, politiche e proposte
regolamentari, metodi ad essa collegabili. Diversi autori hanno ripercorso la cronistoria e
l’evoluzione del termine VAS a partire da allora. S adler (2001) ad esempio distingue tre fasi
principali: lo stadio formativo (1970-1989) nel qua le si individuano i presupposti politici e
normativi della VAS la cui applicazione fu però lim itata; lo stadio di formalizzazione (1989-
2001) durante il quale si istituiscono varie forme di VAS da diversi Stati e agenzie
internazionali; lo stadio di espansione (dal 2001 i n avanti) nel quale gli sviluppi normativi e
politici portano a una più ampia adozione della VAS , in particolare in Europa (Sadler, 2001).
Il percorso della VAS a livello comunitario prima d ella Direttiva
Il percorso della Comunità Europea verso la VAS ini zia nel 1980, quando emerge la necessità
di valutare gli impatti sull’ambiente di certi prog etti nei settori dell’energia, del trasporto della
gestione idrica ecc. La proposta di direttiva del 1 980 si è conclusa con la Direttiva sulla
Valutazione di impatto ambientale (VIA) del 337/85/ CEE modificata dalla 97/11/CE, che
introduce nell'ordinamento comunitario il principio della partecipazione del pubblico, in
forma strutturata, alle decisioni autorizzative rel ative a progetti pubblici e privati che possono
avere un forte impatto sull'ambiente fisico e umano . Tale direttiva introduce sostanzialmente
una procedura di verifica, a valle della progettazi one, sulla scelta tecnica tra quelle che
minimizzano l’impatto ambientale. L’applicazione de lla stessa ai piani e programmi si
dimostra inadeguata, in quanto appare chiaro che un controllo su decisioni già prese in
maniera esoprocedimentale non può incidere sulla de finizione delle scelte.

25 L'istituto giuridico del NEPA divenne operativo ne l 1970 con l’istituzione del Council for Environmental Quality (CEQ) e
dell' Environmental Protection Agency (EPA con un ruolo amministrativo di controllo). Il CEQ è un organo di consulenza e
coordinamento con il compito di emanare direttive a lle agenzie federali.

42
Sulla base di tali considerazioni e sulla scia degl i indirizzi del Rapporto Brundtland, che come
visto definisce gli elementi principali dello svilu ppo sostenibile, la Comunità Europea si
orientò prioritariamente all’ integrazione dei proc essi valutativi nel processo decisionale e alla
promozione di processi partecipativi i più ampi pos sibile per la definizione di una base di
consenso molto estesa in merito agli obiettivi ambi entali da perseguire attraverso politiche,
piani e programmi (Pallone, 2004), elaborando nei p rimi anni Novanta, una bozza di direttiva
sulla valutazione ambientale di piani e programmi, i cui i concetti principali furono riportati
nel V Programma Quadro per l’ambiente del 1992. 26
Il percorso di formulazione e approvazione della Di rettiva è durato più di un decennio, ma nel
frattempo terreno di sperimentazione della VAS, è s tata l’applicazione della stessa ai
programmi finanziati dai fondi strutturali, i quali richiedono una valutazione preventiva dei
possibili effetti ambientali determinati dalla loro realizzazione.
Nello stesso periodo è acceso il dibattito scientif ico sul concetto di VAS. Già nel 1992
Thérivel definisce in maniera esaustiva la VAS come un “formale, sistematico e comprensivo
processo di valutazione degli impatti ambientali di una politica, di un piano o programma e
delle sue alternative, che include la preparazione di un report scritto, i cui risultati devono
essere resi pubblici e integrati nel processo decis ionale (Thérivel et al. , 1992).
Sadler e Verheem, nel definire la VAS, non parlano di impatti ma di conseguenze ambientali
delle politiche, dei piani e dei programmi aggiunge ndo che queste devono essere considerate
già dalle primissime fasi del processo decisionale assieme alle considerazioni di natura
economica e sociale (Sadler e Verheem, 1996).
La dottrina più recente, pone l’accento sul fatto c he, la VAS deve andare oltre la semplice
analisi degli effetti ambientali di una decisione ( Brown e Thérivel, 2000; Kørnøv e Thissen,
2000) incentrandosi maggiormente sul processo decis ionale e sulla sua dimensione strategica.
L’oggetto della valutazione non è la decisione, che è solo il risultato da conseguire bensì, il
processo che porta a essa (Kørnøv e Thissen, 2000).
Il testo su cui alla fine si raggiunge un compromes so e che sarà trasformato in direttiva il 27
giugno del 2001, assume un carattere essenzialmente procedurale analogo per molti aspetti a

26 Programma, che, definisce la strategia comunitaria per l’ambiente per il periodo 1992-2000; sottoline a la necessità di un
approccio integrato alla protezione e alla gestione dell’ambiente.

43
quello della direttiva sulla VIA, ma che incorpora molti degli aspetti peculiari della VAS così
come emerso del dibattito scientifico negli anni pr ecedenti.
3.2 Livello comunitario, nazionale e regionale: qua dro normativo
Nel presente paragrafo si analizzando i contenuti d ella Direttiva comunitaria e il suo
recepimento a livello comunitario, nazionale e regi onale.
3.2.1 Livello comunitario. Elementi nodali della Di rettiva e sua applicazione tra gli Stati
membri
I principi ispiratori della VAS, sono quelli defini ti dal Trattato della Comunità Europea 27 che
rappresenta la sua base giuridica. In particolare l ’art. 6 del Trattato prevede che: “le esigenze
connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione delle politiche e
delle azioni comunitarie.” L'articolo 174 del Tratt ato, ripreso nel preambolo della Direttiva,
stabilisce che la politica della Comunità in materi a ambientale contribuisce, tra l'altro, a
perseguire gli obiettivi della salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente,
della protezione della salute umana e dell'utilizza zione accorta e razionale delle risorse
naturali e che deve essere fondata sul principio de lla precauzione (Cecchetti, 2009).
L’obiettivo della Direttiva (art. 1) è fornire un e levato livello di protezione ambientale,
assicurando che per i piani o programmi sia effettu ata una valutazione ambientale e, che, i
risultati di questa valutazione siano considerati n ella preparazione ed adozione di tali piani e
programmi. Si sottolinea, in questo senso, la diffe renza con la VIA che invece si concentra su
problemi specifici in relazione al progetto propost o e quindi su una valutazione più puntuale a
livello progettuale.
Per piani e programmi s'intendono i piani e i progr ammi, che sono elaborati e/o adottati da
un'autorità a livello nazionale, regionale o locale oppure predisposti da un'autorità per essere
approvati, mediante una procedura legislativa, dal parlamento o dal governo e che sono
previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative (art. 2 lettera a).
Per valutazione ambientale si intende l'elaborazion e di un rapporto di impatto ambientale, lo
svolgimento di consultazioni, la valutazione del ra pporto ambientale e dei risultati delle

27 Trattato Istitutivo dell’Unione Europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992.

44
consultazioni nell'iter decisionale e la messa a di sposizione delle informazioni sulla decisione
(art. 2 lettera b).
L’ambito di applicazione della VAS (art. 6) è essen zialmente costituito dai piani e programmi
che sono elaborati per i settori agricolo, forestal e, della pesca, energetico, industriale, dei
trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque , delle telecomunicazioni, turistico, della
pianificazione territoriale o della destinazione de i suoli, e che definiscono il quadro di
riferimento per l'autorizzazione dei progetti elenc ati negli allegati I e II della Direttiva
85/337/CEE, o per i quali, in considerazione dei po ssibili effetti sui siti, si ritiene necessaria
una valutazione ai sensi degli articoli 6 e 7 della Direttiva 92/43/CEE. 28
La Direttiva stabilisce requisiti limitati per quan to riguarda l'ambito di applicazione, pertanto i
vari Stati dell’Unione Europea (Stati membri) utili zzano metodi diversi sia per la definizione
dell'ambito e sia per la consultazione della autori tà interessate. La maggior parte di essi
afferma di essersi basati su un approccio misto, av valendosi di elenchi di piani e programmi
da sottoporre a valutazione ma anche valutando caso per caso la necessità di un'eventuale
valutazione. 29
Le procedure di definizione dell'ambito sono in gen ere definite caso per caso, poiché la
maggior parte non impone metodi specifici. In alcun i casi la procedura di definizione
dell'ambito di applicazione prevede la consultazion e del pubblico, che non è tuttavia
obbligatoria ai sensi della Direttiva.
Per rapporto ambientale s’intende la parte di docum entazione del piano o del programma in
cui siano individuati, descritti e valutati gli eff etti significativi che l'attuazione del piano o del
programma potrebbe avere sull'ambiente nonché le ra gionevoli alternative alla luce degli
obiettivi e dell'ambito territoriale del piano o de l programma (art. 5 c. 1 della Direttiva).
Tutte le normative nazionali di recepimento esigono formalmente all’interno del rapporto
ambientale la descrizione della situazione di parte nza. Secondo quanto comunicato dagli Stati
membri, la difficoltà principale consiste nell'indi viduare l'ampiezza e il grado di dettagliatezza

28 Direttiva relativa alla conservazione degli habita t naturali e seminaturali e della flora e della fau na selvatiche (G.U.C.E. n.
Legge 206 del 22 luglio 1992).
29 Si veda la Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Socia le Europeo e
al Comitato delle Regioni sull'applicazione e l'effic acia della Direttiva sulla VAS del 2009 (COM/2009/46 9).

45
della valutazione. 30 Causano difficoltà anche la mancanza di informazio ni affidabili, il tempo
richiesto dalla raccolta dei dati, la mancanza di c riteri omogenei per definire l'ambito e il
contenuto dell'analisi iniziale e la mancanza di cr iteri tipo in materia di ambiente e
sostenibilità per valutare i piani e programmi.
Una delle difficoltà incontrate dagli Stati nella r edazione dei rapporti ambientali è stata
l'individuazione e valutazione delle “ragionevoli” alternative al piano . A tale fine alcuni
hanno messo a punto degli orientamenti esaustivi pe r offrire sostegno nelle singole procedure,
ma la maggior parte di essi non ha stabilito alcuna modalità per questa fase del processo.31
La maggior parte delle normative nazionali non defi nisce in maniera specifica il concetto di
alternativa “ragionevole," (art. 5, c. 1) né stabil isce quante alternative debbano essere valutate;
la scelta di esse avviene a seguito della valutazio ne di ogni singolo caso e della decisione
presa successivamente. Tutti gli Stati membri hanno comunicato che tra le alternative da
inserire nel rapporto ambientale deve obbligatoriam ente comparire come alternativa
l'inazione, ossia la cosiddetta alternativa zero.
Le autorità con specifiche competenze ambientali de vono essere consultate al momento della
decisione sulla portata delle informazioni da inclu dere nel rapporto ambientale (art. 5 c. 4 e
art. 6 c. 3). La proposta di piano o di programma e d il rapporto ambientale devono essere
messi a disposizione delle autorità di cui sopra e del pubblico e devono disporre
tempestivamente di un'effettiva opportunità di espr imere, in termini congrui, il proprio parere
sulla proposta di piano o di programma e sul rappor to ambientale che lo accompagna, prima
dell'adozione del piano o del programma o dell'avvi o della relativa procedura legislativa (art.
6 c. 2).
I risultati delle consultazioni devono essere valut ati nel processo decisionale (art. 2 lettera b).
È necessario, dunque, individuare fin dalle prime f asi, i soggetti da consultare, cioè il
“pubblico,” costituito (art. 2 lettera d) da tutte le persone, fisiche o giuridiche che,
potenzialmente, sono interessate dal piani e progra mmi per il quale si sta sviluppando la VAS.
Si tratta di una definizione molto larga, in linea con quella della Convenzione di Aarhus. La
definizione di pubblico viene, dunque, lasciata vol utamente vaga, in vista di una sua
identificazione rigorosa “secondo la normativa e la prassi nazionale” (art. 2, lettera d) come,

30 Ibid.
31 Ibid.

46
anche alla legislazione nazionale è lasciata la def inizione delle procedure attraverso cui le
consultazioni si attuano.
Una precondizione fondamentale delle consultazioni è la pubblicità della proposta di piani e
programmi per il quale si sta sviluppando la VAS e del rapporto ambientale. Anche a riguardo
a questa problematica la Direttiva lascia piena lib ertà agli Stati membri di definire le
procedure che si ritengano opportune e adeguate ai contesti nazionali. Va perseguito tuttavia,
in modo efficace, l’obiettivo di consentire al pubb lico, che va identificato in maniera precisa
secondo quanto già messo in evidenza, di esprimere, nelle (successive) consultazioni il
proprio parere “in termini congrui”(art. 6, c. 2).
Poiché la Direttiva non specifica in maniera dettag liata le procedure da seguire per la
consultazione pubblica, sono utilizzati svariati me todi tra gli Stati membri: annunci pubblici,
pubblicazione in Gazzette ufficiali o sulla stampa, incontri pubblici, sondaggi e questionari
via internet; solo alcuni hanno fissato dei termini precisi per quanto riguarda la durata della
consultazione del pubblico; la maggior parte preved e almeno un mese per la consultazione,
mentre altri decidono in maniera differente volta p er volta. 32
In generale, l'esperienza mostra che la consultazio ne del pubblico, in particolare quando
avviene nelle fasi iniziali della programmazione ed è concepita come processo, facilita
l'accettazione del piani e programmi e di conseguen za, contribuisce ad identificare e risolvere
tempestivamente i possibili conflitti. 33
Non è chiaro all’interno della Direttiva quale sia l’autorità a cui spetta decidere i risultati della
procedura. Nell’ordinamento dei vari Stati membri s pesso si tratta dell'autorità incaricata della
pianificazione, previa consultazione dell'autorità competente in materia ambientale; in altri
casi, si tratta di quest'ultima.
Rispetto al monitoraggio gli Stati membri dovrebber o controllare gli effetti ambientali
significativi dell'attuazione dei piani e programmi al fine di individuare tempestivamente gli
effetti negativi imprevisti e adottare le misure co rrettive che ritengono opportune (art. 10).

32 Ibid.
33 Ibid.

47
Pochissimi hanno comunicato di avere definito delle modalità di controllo o di avere redatto
orientamenti nazionali su come definire i relativi indicatori. 34
La Direttiva è strettamente correlata con la Dirett iva 92/43/CEE, del Consiglio del 21 maggio
1992 relativa alla conservazione degli habitat natu rali e seminaturali e della flora e della fauna
selvatiche (Direttiva Habitat), la Direttiva sulla VIA e ad altre direttive ( sulle acque, nitrati,
rifiuti, rumore e qualità dell'aria), che fissano r equisiti per l'istituzione e la valutazione di
piani e programmi in settori che rientrano nella VA S.
Gli Stati membri possono prevedere procedure coordi nate o comuni nei casi in cui l'obbligo di
effettuare una valutazione dell'impatto ambientale risulti contemporaneamente dalla Direttiva
VAS e da altre normative comunitarie (art. 11). Poc hi hanno comunicato di avere messo a
punto orientamenti per il coordinamento di procedur e comuni per soddisfare le prescrizioni in
materia di valutazione di altre direttive. 35
Ciascuno Stato membro era tenuto a recepire la Dire ttiva nel proprio ordinamento entro il 2
luglio 2004 ma questo è successo solo entro il 2009 , dopo numerosi procedimenti per
infrazione o non corretto recepimento. Questo sta a significare quanto tortuoso sia stato il
percorso da parte dei diversi Stati nel recepire un a norma che fa propri dei concetti, che come
visto non sono nati nel 2001 ma ben molto prima. Tu ttavia, la maggior parte degli Stati
membri ha riferito solo benefici dall’applicazione della VAS derivanti dall'elaborazione di
piani e programmi più ecologici e dalla cooperazion e tra le varie autorità grazie ai momenti
partecipativi che essa attiva.
Approcci e modelli di applicazione della VAS nei di versi Stati
La VAS comporta notevoli differenze laddove la pian ificazione spaziale, dell’uso del suolo o
di tipo settoriale, ha trascurato di incorporare in maniera sistematica le questioni ambientali e
di sostenibilità nel processo di piano, oppure nei casi in cui la politica e la pianificazione non
hanno identificato e comparato alternative fattibil i, utilizzando un ampio numero di criteri,
integrati ed affidabili (Partidário, 2001).
Nella letteratura internazionale sono identificati due approcci generali di applicazione della
VAS, in relazione ai diversi contesti politici, ist ituzionali e di pianificazione, a seconda che

34 Ibid.
35 Ibid.

48
questi presentino elementi procedurali e metodologi ci derivanti dalla prativa della VIA
(approccio bottom-up ) o dalla valutazione dei piani e delle politiche ( approccio top down )
(Partidario, 1996; Partidario, 2000; Dalal-Clayton e Sadler, 2005).
L’approccio bottom up : è quello utilizzato più frequentemente e si confi gura come
un’estensione della VIA ai piani e programmi, appli candone gli stessi steps procedurali e
normativi nonché, spesso, le stesse metodologie; ne ll’approccio top down, in questo caso i
principi della valutazione ambientale sono incorpor ati all’interno dei processi stessi di
formulazioni di piani e politiche, attraverso l’ide ntificazione di bisogni e delle opzioni di
sviluppo, nell’ottica dello sviluppo sostenibile.
Il primo caratterizza quei sistemi dove forte e con solidata, tanto in termini normativi quanto
metodologici, è la prassi della VIA dei progetti, a d esempio gli Stati Uniti e l’Olanda; il
secondo invece dovrebbe prevalere nei contesti conn otati da una lunga tradizione di
pianificazione territoriale, nei quali i principi d i sostenibilità sono introdotti fin dai più alti
livelli gerarchici della pianificazione e costruzio ne di politiche e poi si diffondono a cascata ai
livelli più bassi, fino ad arrivare allo stadio pro gettuale, come per esempio il Regno Unito.
Tuttavia in molti riconoscono che almeno nelle prim e fasi, la VAS si sia plasmata all’interno
della pratica della VIA e anche gli aspetti normati vi e procedurali siano stati influenzati di
conseguenza. I due approcci generali sopra delineat i danno luogo negli specifici contesti
nazionali a diversi modelli implementativi e proced urali in funzione dei rispettivi sistemi
pianificatori e istituzionali.
In letteratura sono definiti dei modelli procedural i di VAS (Sadler e Verheem, 1996):
“modello standard” (o modello VIA), il “modello equ ivalente” (stima ambientale) ed il
“modello integrato” (gestione ambientale). Negli an ni tale classificazione è stata ampliata
includendo i “modelli istituzionali” della VAS, che dovrebbero includere, secondo Sadler, la
VIA, la valutazione regionale (cioè, dello stato de ll’ambiente a livello regionale), la stima
ambientale, l’approccio duale, la gestione integrat a delle risorse ed i modelli di analisi della
sostenibilità (Sadler, 2001).
3.2.2 Livello nazionale
L’affermazione della VAS a livello nazionale, come nel contesto internazionale, è avvenuta
con non poche difficoltà. In Italia la Direttiva è stata recepita con la parte seconda del Decreto

49
Legislativo del 3 aprile 2006, n. 152 ”Norme in mat eria ambientale,” modificata e integrata
dal Decreto Legislativo del 16 gennaio 2008, n. 4 ” Ulteriori disposizioni correttive ed
integrative del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recan te norme in materia ambientale,” entrato in
vigore il 13 marzo 2008 (di seguito D.lgs. 152/2006 ss.mm.ii.), in notevole ritardo rispetto ai
tempi prescritti dall’Unione Europea, ragione del p rocedimento europeo di infrazione che ha
portato successivamente ad una condanna della Corte di Giustizia Europea, per la “mancata
trasposizione della Direttiva nell’ordinamento nazi onale entro il termine prescritto.” La
conseguenza di ciò è che, ad oggi, la VAS, pur esse ndo stata introdotta nell’ordinamento
comunitario da oltre dieci anni, ancora ha difficol tà ad imporsi come vero strumento di
supporto alle decisioni.
Secondo le disposizioni del D.lgs. 152/2006 e ss.mm .ii. l’intero processo valutativo ruota
attorno a tre differenti autorità:
− autorità competente, che adotta il parere di asso ggettabilità 36 sui piani e programmi, sceglie
con l’autorità procedente i soggetti aventi compete nze ambientali da consultare, ed esprime un
parere motivato sulla proposta di piano o di progra mma, sul rapporto ambientale, sul piano di
monitoraggio e sulla sussistenza delle risorse fina nziarie disponibili, tenendo conto delle
osservazioni emerse in seguito alle consultazioni;
− autorità procedente, che è la pubblica amministra zione che redige il piano o il programma
oppure, se è un altro soggetto pubblico o privato a redigere il piano o il programma, è
l’autorità che recepisce, adotta o approva il piano o programma sottoposto a VAS;
− autorità proponente ossia il soggetto pubblico o privato che elabora il piano o il programma.
Uno dei punti critici del D.lgs. del 152 nella sua prima stesura, è individuabile nell’ambito di
applicazione della VAS, costituito da “piani e prog rammi, statali, regionali sovra comunali,”
dove per piani e programmi si specifica “atti appro vati o adottati da autorità statali, regionali e
locali” senza specificare il significato del termin e “locale.” Il Decreto sembra escludere
implicitamente i piani comunali dall’applicazione d ella valutazione, violando così la norma
comunitaria che invece li annovera tra gli strument i da sottoporre a VAS (INU, 2006).

36 La Verifica di assoggettabilità (conosciuta come f ase di screening) è una procedura di verifica attiv ata allo scopo di
valutare se un piano o programma può avere effetti significativi sull’ambiente e, quindi, se lo stesso debba essere sottoposto o
meno a VAS. Come previsto dalla Direttiva 2001/42/CE, il D.lgs. 152/2006 (art. 12) e ss.mm.ii, stabilisc e, infatti, che in
alcuni casi l’obbligatorietà di sottoporre un piano o programma a VAS sia subordinata ad un esame prel iminare, da condursi
caso per caso, finalizzato a verificare se l’attuaz ione del piano potrà determinare effetti significat ivi sull’ambiente.

50
Non è chiara, rispetto alle indicazioni della norma , neanche la tempistica di attivazione della
procedura di VAS, che a volte è inserita durante l’ elaborazione, altre volte durante la fase di
l’adozione. Riguardo all’aspetto partecipativo il t esto della norma prevede la possibilità di
consultazione del rapporto ambientale e della sinte si non tecnica, presso gli uffici
amministrativi, escludendo le partecipazione delle comunità locali alle attività preliminari di
formazione dei piani, impedendo, sia ai singoli cit tadini, sia alle associazioni rappresentative
di interessi diffusi, una reale e attiva partecipaz ione alla formazione degli strumenti,
attraverso la formulazione di suggerimenti e propos te.
Con l’elaborazione del D.lgs. n. 4/2008 sono state abrogate alcune discordanze del D.lgs. del
2006, ulteriormente modificato dal Decreto Legislat ivo del 29 giugno 2010, n. 128. Una delle
modifiche (introduzione dell’art. 5 lettera m-ter) precisa la natura del parere motivato,
attribuendogli un esplicito valore provvedimentale e decisionale; esso è dunque un
provvedimento obbligatorio che conclude la fase di valutazione di VAS con eventuali
osservazioni e condizioni, espresso dall'autorità c ompetente sulla base dell'istruttoria svolta e
degli esiti delle consultazioni (Brambilla, 2011).
La modifiche di cui all’art. 6, c. 3 e ss. relative all’ambito di applicazione della VAS per i
piani e i programmi che determinano l'uso di piccol e aree a livello locale e per le modifiche
minori degli stessi, porta a delle criticità nell’i nterpretazione; la VAS risulterebbe necessaria
qualora l'autorità competente valuti la produzione di significativi impatti sull'ambiente
(secondo le disposizioni di cui all'art.12); a pres cindere dalla rilevanza dell’impatto e dalla
sensibilità delle aree, però la VAS dovrebbe essere funzionale a decidere se un azione di
piano è sostenibile, per cui parlare di restrizioni all’ambito di applicazione esula dalla
possibilità di incidere sulle decisioni concernenti lo sviluppo del territorio. Tuttavia, per
contro, lo spirito dell’art. 6 discende da una logi ca che considera le problematiche e gli
ulteriori costi che le amministrazioni devono suppo rtare nell’attivazione delle VAS.
All’art. 13 si precisa l’importanza del rapporto am bientale, affermando come esso debba
effettivamente essere un documento in progress, sottoposto a osservazioni e integrazioni nel
quale si devono dettagliare le tappe e le procedure adottate dal punto di vista partecipativo.
Si ritiene che ne la Direttiva comunitaria ne la no rmativa nazionale evidenziano il valore della
logica partecipativa e negoziale all’interno del pr ocesso di VAS; non emerge infatti nella

51
normativa il ruolo che tale pratica può avere nella costruzione del consenso e delle azioni di
piano. Anche in relazione all’integrazione del proc esso pianificatorio con quello valutativo, in
particolare nella normativa nazionale, si perde del tutto lo spirito strategico della VAS, la cui
importanza si riduce all’oggetto della decisione no n più al processo che porta ad essa.
3.2.3 Livello regionale
I principi dello sviluppo sostenibile, come visto n el capitolo secondo, sono stati integrati nelle
leggi urbanistiche regionali dell’ultima generazion e, influenzando in senso ambientale la
pianificazione territoriale.
Diversi livelli di sensibilità alle tematiche ambie ntali hanno portato in riferimento alla VAS, a
contesti normativi regionali piuttosto eterogenei.
Ancora prima dell’entrata in vigore del D.lgs. 152/ 06 alcune Regioni hanno approvato ed
emanato disposizioni sulla VAS, altre invece, hanno fatto confluire gli aspetti riguardanti la
valutazione ambientale strategica di piani e progra mmi nell’ambito della legislazione sulla
VIA, oppure nell’ambito della legislazione urbanist ica e di pianificazione territoriale
regionale; ad oggi la quasi totalità delle Regioni italiane ha prodotto atti normativi in materia
di VAS: alcune hanno una legge regionale sulla VAS adeguata al D.lgs. 4/2008 (Valle
D’Aosta); alcune disciplinano la procedura di VAS m ediante atti normativi per
l’adeguamento alle disposizioni del D.lgs. 152/2006 così come modificato dal D.lgs. 4/2008
(Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Provin cia di Bolzano, Marche, Abruzzo,
Molise, Puglia, Calabria, Sardegna); alcune non han no ancora recepito con propri atti
normativi la legge nazionale, per cui la normativa di riferimento è rappresentata dal D.lgs.
152/2006 così come modificato dal D.lgs. 4/2008 (Li guria, Provincia Autonoma di Trento,
Umbria, Lazio, Basilicata e Sicilia); ci sono Regio ni che hanno recepito con propria
normativa il D.lgs. 152/2006 e che sono in fase di predisposizione del recepimento del D.lgs.
4/2008 (Toscana, Emilia Romagna) (Flori, 2010).
La Regione Emilia Romagna, in largo anticipo sulle altre Regioni, ma anche rispetto alla
Direttiva con la Legge regionale del 23 marzo 2000 n. 20 “Disciplina generale sulla tutela e

52
uso del territorio” 37 pone la sostenibilità ambientale come uno degli ob iettivi primari della
pianificazione.
La Legge, all’art. 5, introduce lo strumento della Valutazione della sostenibilità ambientale e
territoriale (VALSAT), volto a dimostrare la sosten ibilità ambientale e territoriale delle
previsioni di piano, in termini di coerenza con le caratteristiche del territorio e di
compatibilità degli effetti (impatti) ambientali e infrastrutturali.
La VALSAT si pone quindi come anticipazione della D irettiva comunitaria sulla VAS,
secondo il meccanismo della valutazione ambientale del piano come un processo che è parte
dell’iter approvativo; una valutazione che accompag na l’elaborazione e approvazione con la
partecipazione di tutti i soggetti che svolgono com piti ambientali. Sino all'entrata in vigore
della legge regionale di recepimento delle disposiz ioni nazionali in materia di VAS, la
valutazione ambientale per i piani territoriali ed urbanistici previsti dalla L.r. n. 20 del 2000 è
costituita dalla VALSAT, integrata dagli adempiment i e fasi procedimentali previsti dal
Decreto non contemplati dalla legge regionale.
Integrazione e multidimensionalità sono i riferimen ti principali per la VALSAT: la
valutazione è lo strumento attraverso il quale la p ianificazione garantisce “un equilibrato
rapporto fra sviluppo e salvaguardia del territorio ”, che la legge esprime con la nozione di
sostenibilità territoriale e ambientale dei piani.
Nonostante la Regione Emilia Romagna sia quella che ha avuto una precoce
“consapevolezza” sulla valutazione ambientale dei p iani, attualmente non è dotata di una
normativa organica in materia di VAS bensì di un si stema di disposizioni derivanti dalla legge
sua urbanistica.
La Regione Toscana, dopo la Direttiva comunitaria m a in anticipo rispetto al suo recepimento
nella normativa nazionale con la Legge regionale de l 3 gennaio 2005 n. 1, “Norme per il
governo del territorio,” aveva introdotto la valuta zione integrata di piani e programmi
all’interno del proprio processo programmatorio. La valutazione si definisce integrata in
quanto, da un lato, comprende al suo interno la val utazione degli effetti delle scelte
strategiche in relazione ai profili ambientali, ter ritoriali, sociali e economici e degli effetti

37 La Legge e le sue successive modifiche (in partico lare la Legge regionale 6/2009) ha introdotto una f orte innovazione di
obiettivi, regole e strumenti nell’assetto istituzi onale e nel rapporto con i cittadini incentrata sui sulla sussidiarietà,
concertazione istituzionale, semplificazione ammini strativa.

53
sulla salute umana. Dall’altro lato, la valutazione mette in relazione i diversi piani e
programmi verificandone i raccordi di complementari tà e conflittualità rispetto ad un insieme
di indicatori predefiniti.
La nuova Legge regionale del 12 febbraio 2010 n. 10 , “Norme in materia di Valutazione
Ambientale Strategica, Valutazione di impatto ambie ntale e Valutazione di incidenza,”
sottolinea la necessità di una stretta integrazione tra le diverse valutazioni anche in parte
sovrapponibili e parallele. La valutazione integrat a ha come finalità garantire la compatibilità
degli strumenti di pianificazione territoriale in u n disegno fortemente orientato alla
sussidiarietà e alla autonomia come ispira la Legge regionale. Le valutazione integrate
sviluppate ad oggi si caratterizzano principalmente come strumenti per la verifica di coerenza
interna tra azioni e obiettivi di piano ed esterna tra obiettivi di piano e obiettivi degli altri
piani territoriali e di settore. Da segnalare che l a Legge Regionale, già dal 2005, prevede la
figura del Garante della Comunicazione, nominato da ll’ente che approva il piano oggetto
della valutazione e che affianca il responsabile de l procedimento per garantire la
partecipazione e la trasparenza dello stesso.
Nella Legge provinciale del 4 marzo 2008 n. 1, “Pia nificazione urbanistica e governo del
territorio della Provincia Autonoma di Trento,” si parla all’art. 6 di “autovalutazione” per
quanto concerne gli strumenti della pianificazione territoriale a valenza strategica e
“rendicontazione urbanistica” per quanto riguarda i Piani regolatori generali. Quest’ultima è
finalizzata alla verifica di esplicitazione alla sc ala locale delle coerenze con l’autovalutazione
dei piani sovraordinati. Il termine rendicontazion e urbanistica appare poco felice, in quanto si
presta ad una interpretazione riduttiva della VAS, rispetto a quelle che sono le sue
potenzialità, nel contribuire alla costruzione di u na visione strategica del territorio per i piani
di livello locale.
Singolare l’adeguamento alla normativa nazionale de lla Regione Sicilia; la Regione ha fissato
al 13 Febbraio 2009 (un anno dalla pubblicazione de l D.lgs. 4/2008) e non al 31 luglio 2007
la data dell’entrata in vigore dell’obbligatorietà della VAS per i piani e programmi che hanno
effetti significativi sull’ambiente. In più ha cons iderato in maniera rigida quanto disposto dal
D.lgs. 152/2006 escludendo la pianificazione comuna le dalla stessa procedura. In questo
modo, per lungo tempo, sono stati elaborati dei pia ni regolatori generali senza sottoporli alla
valutazione ambientale e anche quando questa interp retazione è stata eliminata dal D.lgs.

54
4/2008, Si è resa ancora possibile la conclusione o ltre la data ultima stabilita di procedure di
adozione di piani e di varianti privi della prescri tta valutazione (Trombino, 2009).
Linee guida e modelli procedurali
Ad oggi alcune Regioni hanno deliberato dei regolam enti specifici sulla VAS (Campania e
Calabria), altre ancora hanno elaborato delle linee guida e dei modelli procedurali (Sardegna,
Piemonte, Lombardia, Lazio, Marche, Veneto e Sicili a).
Con particolare riferimento alle linee guida metodo logiche e procedurali, si è fatto,
nell’ambito della ricerca, un analisi comparativa p er capire come sono stati affrontati, in esse,
dalle diverse Regioni due aspetti ritenuti fondamen tali per la VAS: l’integrazione tra processo
di piano e processo di valutazione e i momenti part ecipativi. Altri elementi di confronto sono
stati il tipo di piano a cui tali linee guida/indic azioni metodologiche si riferiscono e se
contengono o meno a indicazioni operative per la re dazione del rapporto ambientale oltre alle
indicazioni fornite della normativa nazionale.
Quello che emerge dall’analisi comparative è che fa tta eccezione per la Sardegna e le Marche,
le altre Regioni propongono più che altro delle seq uenze procedurali.
Le Linee guida che la Regione Sardegna 38 ha prodotto con l’intenzione di fornire un support o
ai Comuni nell’adeguamento dei propri strumenti urb anistici al PPR hanno cercato di
integrare il processo di piano stabilito dalla Legg e Regionale del 22 Dicembre 1989, n. 45,
“Norme per l’uso e la tutela del territorio”, con l a procedura di VAS disposta dalla parte
seconda del D.lgs. n. 152/2006 e ss.mm.ii. L’integr azione nelle Linee Guida sarde è, come si
vedrà meglio nel capitolo quinto, solo formale; tut tavia presenta uno schema introduttivo,
riportato in figura 3.2.3_a, dove è evidente che la formazione del piano ha al suo interno la
procedura di VAS ( Regione Sardegna, 2010, pp. 11-1 2).

38 Assessorato della Difesa dell’Ambiente di concerto con Assessorato Enti Locali, Finanze e Urbanistica . La prima versione
del 2007 è stata più volte modificata e integrata f ino all’ultima versione, approvata con Delibera ass essoriale n. 44/51 del
14.12.2010. Le suddette Linee Guida sono state disc usse e condivise nell’ambito di una apposito tavolo tecnico attivato con
le Province, cui spettano le funzioni amministrativ e relative alla VAS di piani e programmi di livello comunale e provinciale .

55

Figura 3.2.3_a. Integrazione tra processo di formaz ione di piano e di VAS. Fonte Linee guida per la Va lutazione
Ambientale strategica dei Piani Urbanistici Comunal i della Regione Sardegna, p. 11.

56
La stessa integrazione, almeno formale, non è rinve nibile in altre linee guida procedurali dove
si descrive o solo la procedura di VAS, oppure la p rocedura di VAS separata dalla procedura
di piano, come nei modelli metodologici – procedura li,39 definiti dalla Regione Lombardia di
cui si riporta, in figura 3.2.3_b lo schema della p rocedura generale (a parte un modello
generale, sono definiti dei modelli diversi per i v ari piani generali e settoriali di livello
comunale, provinciale e regionale).
Anche rispetto agli aspetti partecipativi le Linee guida della Sardegna hanno un
approfondimento maggiore rispetto a quelle delle al tre Regioni. Come si vedrà con maggiore
dettaglio nel capitolo quinto esse illustrano le mo dalità con cui condurre il processo di
partecipazione che accompagna tutto il percorso di VAS (Regione Sardegna 2010, Allegato
C). In particolare individuano per ogni fase sogget ti coinvolti, modalità di partecipazione e, a
seconda della dimensione del Comune, numero di inco ntri suggeriti.
Le Linee guida della Lombardia, per la partecipazio ne, si avvalgono della Conferenza di
Verifica e/o di Valutazione. La prima, di tipo intr oduttivo è conclusiva della fase di
orientamento (figura 3.2.3_b) è volta a raccogliere contributi ed osservazioni in merito al
documento conclusivo di tale fase (documento di sco ping); la seconda è finalizzata a valutare
la proposta di piano e di rapporto ambientale, esam inare le osservazioni ed i pareri pervenuti,
prendere atto degli eventuali pareri obbligatori pr evisti.
Sulla redazione e sui contenuti del rapporto ambien tale, mentre in linea generale le diverse
regioni si limitano a elencare i contenuti indicati nell’Allegato Sesto del D.lgs. 4/2008, la
Sardegna e le Marche 40 forniscono degli indirizzi ulteriori.
Le Linee Guida della Sardegna danno indicazione dei contenuti aggiuntivi che devono essere
inseriti nel rapporto ambientale o, nel caso di ver ifica di assoggettabilità, nel rapporto
preliminare, qualora il territorio comunale o parte di esso sia interessato dalla perimetrazione
di aree classificate come Siti di Interesse Comunit ario e/o Zone di Protezione Speciale e,
pertanto, il piano debba essere sottoposto anche a Valutazione di incidenza ai sensi dell’art. 5
del D.P.R. 357/1997. Il processo di VAS in questo c aso è integrato con il processo di

39 La deliberazione della Giunta Regionale della Lomb ardia n. 9/761 del 10 Novembre 2010 ha approvato i nuovi modelli
metodologici – procedurali e organizzativi della va lutazione ambientale di piani e programmi – VAS (Al legati da 1 a 1s),
confermando gli Allegati 2 e 4 approvati con DGR n. 8/6420 del 27/12/07 e gli Allegati 3 e 5 approvati con DGR n. 8/10971
del 30/12/09.
40 Si veda la Delibera della Giunta Regionale 1813/201 0 "Aggiornamento delle linee guida regionali per la Valutazione
Ambientale Strategica di cui alla DGR 1400/2008 e ad eguamento al D. Lgs 152/2006 così come modificato d al D. Lgs
128/2010."

57
valutazione di incidenza. Le Lombardia e le Marche invece, indicano l’integrazione solo
procedurale della VAS con la VINCA.

Figura 3.2.3_b. Attività del processi di formazione di piano e di VAS. Fonte: Modelli metodologici pro cedurali per la VAS
della Regione Lombardia.

58

Individuazione dell’Autorità competente ed endoproc edimentalità della procedura di VAS
nella procedura di formazione di un piano
La Direttiva ha lasciato agli Stati membri la facol tà di scegliere se affidare alle stesse autorità
competenti dell’approvazione del piano, anche la co mpetenza sulla valutazione ovvero farne
un modulo procedimentale ad hoc, a fianco dell’iter pianificatorio tradizionale, quindi con
diversa autorità competente e diverso procedimento.
Il D.lgs. 152/06 e ss.mm.ii. ha optato per un siste ma, in cui sono distinte autorità procedente e
autorità competente, in cui la pianificazione deve confrontarsi con un rapporto ambientale, ed
essere sottoposta ad un vaglio ad opera di un parer e motivato che si esprime sulla proposta di
piano e di programma e sul rapporto ambientale, sul l'adeguatezza del piano di monitoraggio e
sulla dotazione delle risorse finanziarie (Brambill a, 2011).
Secondo la Sentenza del T.A.R. Lombardia 17 maggio 2010, n. 1526 l’autorità competente
deve offrire idonee garanzie non solo di competenza tecnica e di specializzazione in materia
di tutela ambientale, ma anche di imparzialità e di indipendenza rispetto all’autorità
procedente, allo scopo di assolvere la funzione di valutazione ambientale nella maniera più
obiettiva possibile, senza condizionamenti, anche i ndiretti, da parte dell’autorità procedente.
Nell’individuazione dell’autorità competente, le Re gioni assumono degli atteggiamenti
differenti ma si possono raggruppare in due approcc i principali: ì) approccio
endoprocedimentale o integrazionista, (es. Regione Lombardia) nel quale si incarica della
valutazione lo stesso soggetto competente all’appro vazione dello strumento di pianificazione ;
ii) approccio sub procedimentale o separazionista, (es. Regione Sardegna, Lazio, Valle
D’Aosta, Marche, Veneto) nel quale si incarica per la valutazione un soggetto diverso,
chiamato ad occuparsene nel contesto di un apposito sub-procedimento che si inscrive nella
procedura pianificatoria.
Rispetto a questo secondo approccio, alcune Regioni individuano per tutti i piani l’autorità
competente nella struttura regionale dell’assessora to competente in materia di ambiente (es.
Lazio, Valle D’Aosta, Veneto). Altre individuano ne lla Provincia l’autorità competente per la
valutazione di piani e programmi di livello comunal e e sub-provinciale e nella Regioni le
funzioni amministrative non ritenute di livello naz ionale relative alla valutazione di piani e

59
programmi di livello regionale o provinciale (es. S ardegna, Emilia Romagna). Altre ancora la
individuano in un organismo terzo idoneo a garantir e le necessarie competenze tecniche ed a
favorire un approccio integrato e di supporto tecni co e istruttorio (Toscana). Il coordinamento
tecnico dei processi di valutazione integrata in To scana per esempio è affidato al Nucleo
unificato di valutazione e verifica degli investime nti pubblici (NURV) istituito in Regione
Toscana ai sensi della Legge 144/99. Tale organismo ricopre, nel nuovo modello di
valutazione integrata, il ruolo di assistenza nei r iguardi dei responsabili dei piani e programmi
durante la fase di elaborazione di un atto di progr ammazione, soprattutto in relazione alle
tecniche valutative adottate, e quello di “validato re” finale dell’intero processo di valutazione
integrata svolto sull’atto stesso.
Alla luce di una recente Sentenza del Consiglio di Stato 41 appare interessante valutare se la
piena integrazione con la pianificazione sia garant ita o meno dall’approccio
endoprocedimentale o integrazionista rispetto al so ggetto incaricato dalla valutazione. Tale
sentenza, ha ritenuto assolutamente legittimo indiv iduare, per la valutazione di un piano
urbanistico comunale, l’autorità competente nella s tessa amministrazione procedente
avvalorando la posizione di chi ritiene l’applicazi one corretta della VAS non come
procedimento o sub procedimento autonomo rispetto a lla procedura di pianificazione, ma
come un passaggio endoprocedimentale di esso, che s i concretizza nell’espressione di un
“parere”
La Sentenza del Consiglio di Stato sembra dar ragio ne a coloro che sostengono che, nel
garantire autonomia e indipendenza del giudizio del l’autorità competente, come prevede la
Direttiva, alle volte si rischia di portare a un ec cessivo distacco l’autorità competente rispetto
all’elaborazione e all’approvazione del piano con c onseguente scarsa capacità di incidere in
modo appropriato nel processo decisionale. 42

41 Sentenza n. 133/2011. La vicenda giudiziaria che h a avuto come protagonisti prima il TAR Lombardia e s uccessivamente,
in appello, il Consiglio di Stato.
42 In tal senso, un caso di farraginosa prassi amminis trativa è quello della Regione Sardegna dove la pian ificazione
urbanistica comunale è caratterizzata da una framme ntazione delle competenze: la Provincia è l’autorit à competente che
rilascia il parere motivato per la VAS, la Regione ( Servizio Natura dell’Assessorato Regionale difesa de ll’Ambiente) rilascia
il parere motivato sulla VINCA (qualora siano presen ti nel territorio comunale dei Siti di Interesse Com unitario o delle Zone
di protezione speciale), il Comune approva il piano previa verifica di coerenza da parte della Regione ( Assessorato Regionale
Enti Locali Finanze e Urbanistica.

60
3.3 Opportunità e punti di forza nell’applicazione della VAS
Pur essendo la VAS ormai diventata una pratica ordi naria della pianificazione non è ancora
entrata nelle logiche concettuali dettate dalla Dir ettiva: le Regioni si muovono in ordine
sparso, in generale perdendo del tutto nelle loro n ormative il valore della VAS in termini di
logiche partecipative e di potenzialità strategiche nei processi decisionali e alcune addirittura
non hanno ancora una normativa propria in materia ( es. Liguria e Basilicata).
La criticità più evidente, rispetto al recepimento della Direttiva, è la mancata integrazione tra
processo di VAS e processo di piano, anche per quan to concerne la tempistica dei due
processi, che tendono ad essere più che altro dei p rocedimenti amministrativi. Nel testo
normativo nazionale, si perde del tutto lo spirito strategico della VAS, la cui importanza si
riduce all’oggetto della decisione non più al proce sso che porta ad essa.
Di certo la VAS deve essere parte integrante del pr ocesso di piano che deve seguire un iter
unitario di elaborazione, adozione ed approvazione sia nei tempi che nei ruoli dei diversi
soggetti istituzionali che intervengono nelle diver se fasi del processo di pianificazione. Ma
questo non basta a garantire che la VAS sia un vero supporto alle decisioni.
Al di là dell’aspetto normativo, senz’altro importa nte, un aspetto fondamentale è la
maturazione della consapevolezza sull’uso e sul val ore aggiunto che la VAS può dare al
processo decisionale. La valutazione così come conc epita dalla Direttiva non può configurarsi
come una operazione puramente amministrativa, per c aratterizzarsi invece come una
riflessione critica a sollecitazione e supporto di un dibattito più ampio fondato su di un
confronto serio e documentato tra le diverse posizi oni in conflitto, diventando in questo modo
più un processo di governance che un procedimento a mministrativo.
Il rischio che si corre nell’enfatizzare il ruolo d egli organismi di controllo esterni alla
processo di formazione del piano è che gli aspetti burocratici finiscano per sovrastare le
ragioni stesse della VAS di costituire un valido su pporto durante il momento decisionale,
quale strumento interattivo, da condurre in paralle lo all’elaborazione del piano per individuare
preventivamente limiti, opportunità, alternative e per precisare i criteri e le opzioni possibili di
trasformazione territoriale (Brunetta, 2002).
Come visto, la normativa (soprattutto quella nazion ale e regionale) sulla VAS non sottolinea
il ruolo che la partecipazione può avere nella cost ruzione del consenso e delle azioni di piano.

61
La partecipazione è elemento essenziale per una mag giore efficacia dell’applicazione della
Direttiva ed è necessario definire in maniera rigor osa come essa si struttura e si sviluppa; in
secondo luogo è fondamentale che il pubblico veda r iconosciuto il proprio contributo e ne
sperimenti l’efficacia. “Chiarezza e trasparenza ra ppresentano due rilevanti prerequisiti per
sviluppare fiducia e relazioni di lunga durata” (Da voudi, 2003). La VAS “deve prevedere
momenti in cui le comunità si esprimono, fasi di si stematizzazione ed interpretazione delle
istanze espresse, ed una loro esplicita integrazion e nelle decisioni sulle politiche di piano”
(Zoppi, 2009). Soltanto in questo modo la procedura di VAS può realmente considerarsi
inclusiva.
La definizione e la strutturazione di un processo p artecipativo, che non si riduca
esclusivamente a delle osservazioni alla proposta d i piano in fase di adozione, è di particolare
interesse per la ricerca oggetto della presente tes i.
È quindi auspicabile, a garanzia dell’oggettività e della trasparenza del processo integrato di
pianificazione e valutazione, un’ampia partecipazio ne del pubblico che non si risolva in
procedure puramente consultative ma in vero dibatti to e confronto delle scelte e in seguito,
sull’esito della valutazione e sulla definizione de lle priorità e degli obiettivi specifici.
Decisioni più vantaggiose per tutti gli attori coin volti presuppongono che gli interessi forti e i
conflitti di interesse siano da subito messi in gio co, piuttosto che espressi dietro le quinte.
In quest’ottica il ruolo della VAS diventa centrale e completamente inserito nel processo di
piano.

62
Parte Seconda: Identificazione dell’ambito territor iale di approfondimento.
Un protocollo procedimentale per la VAS nella gover nance territoriale

63

Capitolo Quarto
La governance territoriale in Sardegna: studio ai l ivelli regionale e provinciale
Premessa
Dopo aver analizzato nel capitolo secondo lo stato di fatto della governance territoriale in
Italia, nel presente capitolo, ci si concentra sull ’ambito territoriale della Regione Sardegna. In
particolare si sceglie di analizzare i meccanismi d i governance che hanno portato alla
formazione della prima versione del PPR e quelli re lativi alla sua attuale attuazione 43 e
revisione,44 in quanto paradigmatici dei processi della nuova s tagione pianificatoria e del
governo del territorio in Sardegna.
Il PPR, infatti, è stato il primo piano in Italia a proporre una nuova modalità di interpretazione
del territorio regionale attraverso un innovativo p rocesso di conoscenza, riprogettazione e
gestione delle risorse strategiche presenti, ha ino ltre rappresentato una novità in termini di
approccio operativo alle trasformazioni urbanistich e e territoriali.
Approvato nel 2006, quale strumento, di regia dello sviluppo sostenibile della Regione si è
invece scontrato con una serie di problematiche di natura politica e culturale che hanno
portato, già nel 2009, in seguito all’avvicendament o politico, a intraprendere una revisione
dello stesso. Nel contempo amministrazioni comunali e provinciali stanno adeguando i propri
strumenti urbanistici relativamente alle indicazion i del PPR.
La governance multilivello risulta essere tema pressoché ignorato nel disegno generativo e
attuativo della prima stesura del PPR in quanto il suo dettato normativo manca di un
approfondimento sulle questioni legate alla pianifi cazione di area vasta.
All’interno dell’impalcato normativo del PPR l’Ente Provincia riveste un ruolo privo di una
effettiva capacità di agire in funzione di coordina mento e guida ai processi decisionali di scala
sovracomunale.

43 Dal 2006 a oggi i Comuni e le Province stanno adegu ando i propri strumenti urbanistici al PPR.
44 A partire dal giugno 2010 è stato avviato processo di revisione del PPR.

64
Il capitolo analizza nel paragrafo primo le recenti vicende della pianificazione paesaggistica
in Sardegna prima dell’approvazione del PPR; nel pa ragrafo secondo lo studio del concetto di
sviluppo sostenibile nel PPR e nel paragrafo terzo un’analisi, alle scale di governo regionale e
provinciale del contesto istituzionale e dei proces si di governance territoriale nella prima
stesura e nella fase di attuazione e revisione del PPR, attraverso delle esperienze sul campo
svolte durante il dottorato di ricerca. È stata effettuata , relativamente ad ogni scala di governo
(regionale e provinciale), una diagnosi volta ad in dividuare i punti di criticità e di possibile
miglioramento definendo i valori obiettivo e una se rie di possibili soluzioni.
Nel paragrafo quarto si fanno alcune riflessioni pe r una corretta integrazione tra governance
territoriale e pianificazione del paesaggio.
4.1 La pianificazione costiera e paesaggistica in S ardegna. Dai PTP al PPR
La Legge urbanistica regionale n. 45/89 “Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale,”
attribuisce ai Piani territoriali paesistici (PTP) la funzione di coordinamento e orientamento
delle scelte nell’organizzazione dell’intero territ orio regionale.
A partire dagli anni Novanta la pianificazione cost iera rientra all’interno della pianificazione
paesaggistica, la Regione Sardegna elabora infatti, sulla base delle Legge Galasso, 45 i PTP, i
quali, contrariamente alla loro funzione iniziale d i riferimento generale di coordinamento e
orientamento del territorio, si riducono con il tem po a normare la sola fascia di territorio
relativa ai due chilometri dalla linea di costa. Pe r tale area le norme si limitarono
all’imposizione di un vincolo deterministicamente r igido di “integrale conservazione dei
singoli caratteri naturalistici, storico-morfologic i e dei rispettivi insiemi” (art. 10 bis, c. 1, L.r .
45/89). Questa condizione creò profondo disorientam ento, con ricadute pesanti e poco
controllabili, fu ulteriormente accentuata dall’ann ullamento, con sentenza del TAR, 46 degli
stessi PTP (ad eccezione di quello del Sinis); altr e problematiche e questioni aperte hanno
avuto una grande importante nelle politiche territo riali successive.
La prima problematica fu riscontrabile nel grave ri tardo con cui i Comuni e Province (solo
una parte minoritaria lo fece) adeguarono i loro pi ani urbanistici ai PTP; le Province, in

45 Legge 431/85 che impone un vincolo paesaggistico s ui territori costieri compresi in una fascia di 300 metri dalla linea di
battigia.
46 La pianificazione paesaggistica in Sardegna si è r ealizzata con i 14 Piani territoriali paesistici re gionali tredici dei quali
(con l’esclusione del solo Piano del Sinis) sono st ati annullati per effetto dei decreti del President e della Repubblica del 29
luglio 1998 e 20 Ottobre 1998 e a seguito delle sen tenza del T.A.R Sardegna dal n.1203 al n.1208.

65
particolare, elaborarono i propri piani urbanistici dopo oltre 10 anni dall’emanazione della L.r.
45/89 che, secondo quanto stabilito dalla stessa Le gge, risultano subordinati agli atti di
pianificazione regionale e non hanno corso in assen za di essi. Dando per assodato che la
definizione dell’assetto del territorio avesse orma i esaurito la sua attività con i PTP quello
della pianificazione provinciale avrebbe potuto ess ere (ma così non fu) una grande occasione
per dar vita ad una stagione nuova e innovativa del la pianificazione paesistica (Ercolini et al .,
2010), anche in riferimento alle ampie competenze a ssegnate alle stesse Province dal “Testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti local i” (D.lgs. 267/2000). 47
In seconda battuta, si evidenziò la mancanza di una direttiva strategica per la pianificazione
comunale delle aree urbane che, va sottolineato, an cora oggi ha come unico riferimento il
“vecchio” Decreto n. 2266/U/1983, “Disciplina dei l imiti e dei rapporti relativi alla
formazione di nuovi strumenti urbanistici ed alla r evisione di quelli esistenti nei Comuni della
Sardegna” (conosciuto come Decreto “Floris”).
Anche i successivi tentativi di “voltare pagina,” m uovendosi verso nuove proposte di
definizione dei PTP, costruite sulla base di quadri territoriali fondati sulle Unità Paesaggistico
– Ambientali (UPA), sono stati con il tempo depoten ziati, sviliti e travisati. Il risultato fu,
ancora una volta, la riduzione degli stessi piani a strumenti sostanzialmente vincolistici e
limitati ad una stretta fascia del territorio costi ero.
Le ragioni di questo fallimento sono da ricondursi al fatto che il processo di definizione delle
proposte, e di costruzione dei quadri ambientali, s i é fermato prima ancora che i contesti locali
ne divenissero assoggettati.
I governi regionali succedutesi, che hanno percepit o il sostanziale rifiuto da parte delle
amministrazioni locali verso le scelte imposte dai PTP, hanno cercato, di rendere meno
invasivo l’impatto territoriale della pianificazion e paesistica, annullandone la notevole
efficacia potenziale (Caledda et al., 2006).
La pianificazione basata sui PTP, culminò nel loro annullamento pressoché totale. Seguì un
quinquennio (1999-2004), di vacatio legis fino alla Deliberazione della Giunta Regionale n.

47 L’art. 20, c. 2, stabilisce che l’amministrazione provinciale adotta il Piano territoriale di coordin amento che, in quanto tale,
non può essere considerato subordinato a quello ter ritoriale paesistico, come indica la Legge regional e 45/89, bensì, al più,
dello stesso livello gerarchico, se non sovraordina to. Non si poneva comunque il problema poiché i PTP erano riferiti solo ad
una piccola porzione costiera del territorio provin ciale.

66
33/1 del 10 agosto del 2004, che si tradusse, qualc he mese dopo, nella Legge regionale
8/2004, "Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la
tutela del territorio regionale", che immediatament e venne ribattezzata come “Legge
Salvacoste. ”
Questa Legge stabiliva misure di salvaguardia estre mamente restrittive per i territori costieri
(identificati con la fascia di due chilometri dalla linea di battigia) che sarebbero rimaste in
vigore fino all’approvazione del PPR, il cui proces so di definizione, adozione e approvazione
la stessa Legge Salvacoste definisce in maniera est remamente rigorosa.
L'art. 1 della L.r. n. 8/2004 , recependo quanto st abilito dal Decreto Legislativo del 22
gennaio 2004 n. 42, "Codice dei beni culturali e de l paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della
legge 6 luglio 2002, n. 137," introduce il PPR qual e principale strumento della pianificazione
territoriale regionale, disponendo che esso assuma i contenuti di cui all’art. 143 del D.lgs.
42/2004 e stabilendone la procedura di approvazione . Le previsioni del PPR sono cogenti per
gli strumenti urbanistici dei Comuni e delle Provin ce e sono immediatamente prevalenti sulle
disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici; per quanto attiene
alla tutela del paesaggio, le disposizioni in esso contenute sono comunque prevalenti sulle
disposizioni degli altri atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative
di settore, comprese quelle degli enti gestori dell ’aree protette, qualora siano più restrittive. 48
Comuni, Province e gli enti gestori delle aree prot ette hanno l’obbligo di adeguare i rispettivi
strumenti di pianificazione e programmazione alle p revisioni del PPR, specificandone ed
integrandone i contenuti 49 .
L’impianto normativo del PPR è costruito in adeguam ento alla legislazione sovraordinata, con
particolare attenzione all’evoluzione legislativa c he ha condotto dalla Legge 431/1985 50 al
D.lgs. 42/2004, alla Giurisprudenza costituzionale che si è susseguita in materia a partire dalle
sentenze 55 e 56 del 1968, nonché alla Convenzione europea del paesaggio, al Protocollo
MAP ( Mediterranean Action Plan ) per le zone costiere. Esso si basa nella sostanza sulla
distinzione di due strati normativi: 51

48 Piano paesaggistico regionale della Sardegna, Norm e tecniche di attuazione, art. 4 c. 1 e 2.
49 Piano paesaggistico regionale della Sardegna, Norm e tecniche di attuazione, artt. 105, 106, 107.
50 Decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito d alla legge 8 agosto 1985, n. 431, “Disposizioni urg enti per la tutela delle
zone di particolare interesse ambientale”. Integraz ioni dell'art. 82 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
51 Piano paesaggistico regionale della Sardegna, Relaz ione tecnica generale, p. 3.

67
– il primo strato normativo, è riferito sia ai sing oli elementi territoriali per i quali è necessaria
e possibile la tutela ex artt. 142 e 143 del D.lgs. 42/2004 (beni appartenenti a determinate
categorie a cui è possibile ricondurre i singoli el ementi con criteri oggettivi, in jure “vincoli
ricognitivi”), sia alle componenti che, pur non ess endo dei beni devono essere tenute sotto
controllo per evitare danni al paesaggio o per favo rirne la riqualificazione;
– il secondo strato normativo è riferito ad ambiti territoriali per la definizione dei quali i
caratteri paesaggistici ed ecologici sono determina nti, e che saranno la sede per definire
indirizzi, direttive e prescrizioni anche di tipo u rbanistico, da rendere operativi mediante
successivi momenti di pianificazione; in particolar e per precisare, la definizione degli
obiettivi di qualità paesistica, gli indirizzi di t utela e le indicazioni di carattere “relazionale”
volte a preservare o ricreare gli specifici sistemi di relazioni tra le diverse componenti
compresenti.
Tra gli elementi relativi alla prima categoria assu me particolare rilevanza il bene costituito
dalla fascia costiera nel suo insieme. Questa, pur essendo composta da elementi appartenenti a
diverse specifiche categorie di beni (le dune, le f alesie, gli stagni, i promontori ecc.)
costituisce nel suo insieme una risorsa paesaggisti ca di rilevantissimo valore: non solo per il
pregio delle sue singole parti, ma per la superiore , eccezionale qualità che la loro
composizione determina. 52 In particolare, la fascia di tutela di due chilome tri garantita
transitoriamente dalla L.r. 8/2004, diventa una fas cia a profondità variabile, definita “bene
paesaggistico d’insieme” sulla base delle caratteri stiche strutturali e morfologiche del
territorio.
La normativa disciplina ventisette Ambiti di paesag gio 53 che costituiscono il primo ambito
omogeneo, ovvero il territorio costiero. Lo scopo e ra proteggere una parte dell’isola
considerata strategica dal punto di vista economico ed allo stesso tempo sostenibile dal punto
di vista ambientale. Attraverso questa suddivisione , basata su dei (poco chiari) criteri di
coerenza interna, il PPR propone di salvaguardare i l paesaggio costiero elaborando indirizzi
specifici volti ad orientare la pianificazione sott o-ordinata (in particolare quella comunale e
intercomunale) al raggiungimento di determinate fin alità e alla promozione di determinate

52 Piano paesaggistico regionale della Sardegna, Relaz ione tecnica Generale, p. 27.
53 L’Ambito di paesaggio è definito nel PPR come un “dispositivo spaziale di pianificazione del paesagg io attraverso il quale
s’intende indirizzare, sull’idea di un progetto spe cifico, le azioni di conservazione, ricostruzione o trasformazione.” Ogni
Ambito ha un “nome e cognome” riferito alla toponomastica dei luoghi o della memoria, che lo identifica. Sono caratterizza ti
dalla presenza di specifici beni paesaggistici individuali e d’insiem e.

68
azioni: per ciascun Ambito prescrive specifici indi rizzi volti alla promozione di determinate
azioni, specificati in una serie di schede tecniche , costituente parte integrante delle norme.
Gli Ambiti di paesaggio furono creati per essere un a importante cerniera tra la pianificazione
paesaggistica e la pianificazione urbanistica a liv ello locale. 54
Il Piano impone a tutti i Comuni l’obbligo di dotar si del PUC, quale strumento di regole e
diritti, in armonia con le disposizioni legislative di carattere generale. Dentro l’obiettivo di
approvazione dei PUC, i Comuni recuperano competenz e fino ad ora non in capo agli Enti
locali, come quelle nella gestione del Demanio mari ttimo, attraverso l’approvazione
contestuale del Piano di utilizzo dei litorali, e d i intesa con le Province, la programmazione
dello sviluppo urbanistico industriale.
4.2 Il concetto di sviluppo sostenibile nella prima stesura del PPR
Il PPR è basato su una serie di orientamenti deriva nti dalle Direttive europee e dal D.lgs.
42/2004, volti a dare un’impronta molto tutelativa sul paesaggio; fa riferimento a politiche di
sistema (non identificabili nel piano) e a un proge tto di paesaggio costiero diretto a un
disegno efficace e integrato di “turismo sostenibil e,” che punta sulla tutela del paesaggio della
costa più che su una crescita edilizia. 55
Il PPR ha orientato indirizzi e prescrizioni sulla tutela, ponendo una serie di vincoli su una
serie di trasformazioni, contro la “corsa alla priv atizzazione e dissipazione del territorio e
delle sue risorse.” Quest’approccio si è scontrato con il modello di sviluppo e di crescita
economica diffuso sulle coste sarde basato invece s u una “cultura del mattone” che vede
nell’attività edilizia un elemento trainante. In pa rticolare, è promossa dal PPR la cosiddetta
“salvaguardia dell’intatto,” ovvero la sostanziale inedificabilità delle aree ancora salve dalla
pervasiva espansione dell’edilizia costiera.
Una criticità del PPR, secondo molti, è stata propr io imperniare la struttura normativa sul
cosiddetto “controllo preventivo” delle attività um ane in rapporto alla tutela del valore
paesaggistico. Un approccio esclusivamente vincolis tico non ha mostrato grandi possibilità di
successo poiché ha svuotato il Piano di una sua att uabilità; è lasciata vacante una
determinazione sulle tipologie degli interventi di trasformazione o semplicemente d’uso

54 Piano paesaggistico regionale della Sardegna, Relaz ione tecnica generale, p. 5.
55 Piano paesaggistico regionale della Sardegna, Relaz ione del Comitato Scientifico in Relazione tecnica g enerale del PPR p.
157.

69
ammissibile per il bene oggetto d’intervento. 56 In altre parole, si è data molta rilevanza alla
dimensione ambientale della sostenibilità, in parti colare alla tutela ma non sono state date
chiare regole e istruzioni per guidare i processi d i trasformazione.
Il PPR definisce (solo teoricamente) l’intervento s ul paesaggio, come strumento di azione
progettuale, tanto nel senso della trasformazione c ondivisa che nella salvaguardia attiva, in
modo da rappresentare un’opportunità per la realizz azione dello sviluppo sostenibile, 57 non
sono però chiare, nella descrizione generale del Pi ano, quali siano le sue modalità di
attuazione. Per quanto riguarda la sostenibilità ec onomica, sono assenti nel Piano questioni e
problemi economici del territorio e in particolare dei singoli ambiti. Eppure, in teoria, il PPR
si pone come tentativo di conciliare la pianificazi one paesaggistica con gli strumenti di
governo del territorio e di settore, nonché con i p iani, programmi e progetti nazionali e
regionali di sviluppo economico (art. 145 del D.lgs . 42/2004). La mancanza di coordinamento
tra il PPR e altri piani regionali (dei trasporti, delle infrastrutture, dei rifiuti, del turismo) con
la conseguente assenza di valutazione degli impatti delle principali attività economiche che
ruotano intorno alle aree costiere e che ne rappres entano anche i principali detrattori
ambientali, costituisce una grave manchevolezza del Piano. Questo denota uno scarso
sviluppo in termini operativi del concetto di soste nibilità, limitandosi alla definizione in
termini di vincolo dei vari sistemi ambientali che compongono il paesaggio in Sardegna.
Il caso sardo pone in evidenza come spesso si possa no costruire dei piani su importanti ed
innovativi principi e obiettivi strategici, come pe r esempio fondare i termini qualitativi dello
sviluppo del territorio basandosi sulla sua identit à, 58 senza che però a questi corrispondano
adeguati strumenti o risorse per la loro attuazione . Esiste una concreta difficoltà,
semplificando il concetto, che riguarda il delicato passaggio dalla “teoria alla pratica,” nel fare
rifluire obiettivi e contenuti della pianificazione paesaggistica in quella di livello comunale e

56 Rischi e limiti di una riduzione del concetto di vi ncolo ben espressi nel seguente contributo: “Il vincolo non stabilisce
preventivamente e concretamente la portata della li mitazione che esso stesso comporta né è accompagnat o da modalità
prefissate di approfondimento conoscitivo e di espl orazione progettuale volta a conciliare conservazio ne e valorizzazione.
Corollario di ciò è che il vincolo, […], nel momento in cui viene apposto, è generico, non si gradua ri spetto alla rilevanza
assoluta e contestuale dell’elemento vincolato; è u n vincolo cieco e muto, che nulla dice rispetto al modo migliore per attuare
la tutela, o, se parla, dice le cose più comode per una gestione piattamente burocratica della tutela basata sulla conservazione
più o meno assoluta, trascurando le questioni della valorizzazione del bene e cioè della sua incarnazi one nel ciclo vitale del
territorio e, in ultima analisi, della sua stessa sopravvivenza. In sostanza la necessità di una indi viduazione organica delle
componenti paesaggistiche del territorio appartenen ti al sistema naturale e/o a quello antropico e del le loro relazioni visibili
ed invisibili, nonché la necessità di inserire beni e “segni” nei processi di vita delle comunità, sup erando la banale
equivalenza tra vincolo ed immutabilità del bene, s pingono alla ricerca di un più stretto rapporto tra politiche di vincolo e
politiche di piano” (Nigro, 2000).
57 Piano paesaggistico regionale della Sardegna, Relaz ione tecnica generale del PPR a p. 9.
58 Piano paesaggistico regionale della Sardegna, Relaz ione tecnica generale del PPR p. 1.

70
di settore, e quindi una difficoltà attuativa del P iano stesso che, vanificando la sua stessa
natura, ne mortifica le ambizioni di strumento di g overnance territoriale.
4.3 Analisi del contesto istituzionale e dei proces si di governance territoriale nella prima
stesura e nella fase di revisione del PPR
La pianificazione nella Regione Sardegna ha, relati vamente a quanto affermato
precedentemente, attraversato e attraversa tuttora, una fase di straordinaria rilevanza,
caratterizzata dal processo di adeguamento di tutti gli strumenti di pianificazione, ai diversi
livelli e nei diversi settori; si tratta di un proc esso di grande complessità perché interessa
diversi campi di attività umane sul territorio e al trettanto numerosi settori economici ed assetti
sociali e culturali. Con l’approvazione dello strum ento di pianificazione a scala regionale, può
dirsi iniziata in Sardegna, quantomeno per i comuni costieri, la prima basilare fase di un
processo di riforma che ha visto, con l’adeguamento della pianificazione comunale e
provinciale agli indirizzi e alle prescrizioni del PPR, la coniugazione della norma
paesaggistica con la complessità delle situazioni d i fatto e di diritto che permeano le realtà
locali (Bitti , 2008).
La Regione Sardegna non è dotata di un piano di coo rdinamento per cui, i piani comunali,
hanno dovuto affrontare il passaggio di cui si dice va senza il supporto di un quadro
pianificatorio adeguato a livello regionale e provi nciale.
Nelle sezioni successive si analizzano alle scale d i governo regionale e provinciale, le attuali
situazioni di work in progress con tutte le inevitabili implicazioni di incertezz a e
sperimentalità, che caratterizzano l’attuale govern ance territoriale della Regione Sardegna.
4.3.1 Scala regionale
Nell’analisi dei meccanismi di governance che hanno portato alla formazione della prima
versione del PPR e quelli relativi alla sua attuale attuazione e revisione sono stati preziosi due
elementi: la presenza ai diversi momenti partecipat ivi che hanno accompagnato entrambe le
fasi e una esperienza formativa, 59 svolta negli uffici regionali, dove si sono riscon trate le

59 Durante il periodo del dottorato una delle esperie nze sul campo è stata un tirocinio formativo presso il Servizio Governo
del Territorio e Tutela paesaggistica per le provin ce di Cagliari e di Carbonia – Iglesias, Assessorato Enti Locali, Finanze e
Urbanistica della Regione Autonoma della Sardegna. L e attività svolte durante il tirocinio erano legate alle procedure
disciplinate dalla normativa in materia di tutela p aesaggistica di rilascio di autorizzazioni su proge tti in aree
paesaggisticamente vincolate. In particolare, si so no svolte istruttorie di pratiche, incontri con il pubblico e partecipato a
conferenze di servizi avente ad oggetto particolari piani progetti di rilevante interesse paesaggistic o.

71
principali problematiche di applicazione del Piano da parte di privati, amministrazioni
comunali e provinciali.
Le criticità rilevate nella prima stesura del PPR s ono diverse, a partire dalla non condivisione
della politica di sviluppo “imposta” dal Piano, tro ppo basata a detta di molti sulla tutela, alla
non applicazione della VAS allo strumento che dovev a conciliare la pianificazione
paesaggistica con gli strumenti di governo del terr itorio e di settore, nonché con i piani,
programmi e progetti nazionali e regionali di svilu ppo economico. 60
Il processo partecipativo che ha condotto alla defi nizione dell’impianto normativo della prima
stesura del PPR è stato caratterizzato da scelte no n condivise dai sistemi locali e da una non
adeguata collaborazione a livello istituzionale: la Regione Sardegna ha indetto delle
conferenze territoriali (Conferenze di pianificazio ne del 2006) con Comuni e Province, più
che altro per presentare un piano già redatto a rid osso della sua adozione.
La governance multilivello risulta essere tema pressoché ignorato nel disegno generativo e
attuativo della prima stesura del PPR in quanto il suo dettato normativo manca di un
approfondimento sulle questioni legate alla pianifi cazione di area vasta. Nella attuazione del
piano gli Ambiti di paesaggio non hanno effettivame nte rappresentato un raccordo tra la
pianificazione paesaggistica e quella urbanistica d i livello locale. Si consideri che su centodue
comuni costieri che avrebbero dovuto adeguare i pro pri strumenti urbanistici, solo quattro
hanno concluso l’iter di adeguamento e otto hanno o ttenuto il parere motivato da parte della
Provincia per la VAS. 61 È evidente che ci sono grosse difficoltà da parte delle
amministrazioni locali nel tradurre prescrizioni e indirizzi del PPR e di conciliarle con le loro
ridotte disponibilità finanziarie e conoscitive.
Attualmente è in atto un processo partecipativo di revisione del PPR denominato “Sardegna
Nuove Idee” 62 che persegue l’obiettivo di costruire scenari cond ivisi e relative linee
strategiche di intervento attraverso una pianificaz ione del territorio concordata e partecipata.
Il tentativo portato avanti dall’Amministrazione regionale è garantire una “lea le”

60 Si veda art. 145 del D.lgs. n. 42 del 22 gennaio d el 2004 sul coordinamento della pianificazione paes aggistica con altri
strumenti di pianificazione.
61 La VAS è obbligatoria nell’adeguamento dei piani ur banistici comunali e provinciali al PPR. In Sardegna è la Provincia
l’autorità competente nelle procedure di VAS relati ve ai piani di rilevanza comunale. Le procedure di VAS attive dei piani
comunali sono consultabili su Internet all’indirizz o http://www.sardegnaambiente.it/documenti/18_269_2 0110203130155.pdf
[ultimo accesso: 01 marzo 2012]
62 I materiali sono disponibili su Internet all’indir izzo http://www.sardegnaterritorio.it/paesaggio/sar degnanuoveidee.html.
[Ultimo accesso: 01 marzo 2012].

72
collaborazione tra i diversi livelli di governo e una cooperazione nei rapporti istituziona li,
assenti durante le Conferenze di pianificazione del 2006, durante le quali si presentò un piano
già elaborato e non condiviso.
Il processo di revisione è partito nel giugno del 2 009; l’Amministrazione regionale, con un
approccio molto diverso da quella utilizzato per la prima stesura del Piano, ha organizzato una
serie di incontri con sede provinciale, recandosi d irettamente nei territori per ascoltare quali
fossero le criticità incontrate nella fase di prima applicazione del PPR. 63
Oltre a una maggiore partecipazione (almeno formale ) la revisione del Piano è stata sottoposta
al processo di VAS, il cui avvio della procedura è datato 27 luglio 2010, quasi un mese dopo
dall’avvio ufficiale della fase di revisione. L’Ass essorato Enti Locali e Urbanistica, autorità
procedente per la VAS del PPR, in questo senso non ha rispettato l’avvio contestuale del
processo valutativo rispetto a quello di revisione del piano.
Il processo partecipativo “Sardegna Nuove Idee” è s tato articolato in Laboratori territoriali,
articolati in tre distinti Tavoli, ognuno caratteri zzato da attività e modalità differenti in
funzione del tema affrontato e degli attori parteci panti. La Regione Sardegna con l’istituzione
dei Laboratori ha applicato, quanto affermato dalla Convenzione Europea del Paesaggio, per
la quale i paesaggi devono essere tutelati, gestiti e valutati tenendo conto dei valori specifici
che sono attribuiti loro dai soggetti e dalla popol azioni interessate. 64
Il “Tavolo 1,” denominato “Struttura dei paesaggi,” si è svolto da giugno a luglio 2010 su
tutto il territorio regionale sardo e ha coinvolto solo gli Ambiti di paesaggio costieri suddivisi
in quatordici Laboratori accorpati in funzione dell e specificità e affinità di ciascuno; hanno
partecipato rappresentanti dell’Assessorato Regiona le Enti Locali e Urbanistica i Comuni, le
Province e altri enti territorialmente interessati. L’obiettivo di questo primo Tavolo è stato
“evidenziare valori e criticità in atto per consent ire una prima mappa di conoscenza del
territorio.”

63 I materiali degli incontri sono disponibili sul In ternet all’indirizzo:
http://www.sardegnaterritorio.it/j/v/1123?&s=6&v=9& c=8682&na=1&n=10 [ultimo accesso: 01 marzo 2012].
64 Convenzione Europea del Paesaggio art. 6.

73
L’obiettivo era far emergere le idee e le proposte articolate in obiettivi e azioni, cercando di
trovare i rapporti causali tra i concetti individua ti tramite l’utilizzo di mappe cognitive. 65
Dalle mappe dei temi di tutti i Laboratori del “Tav olo 1” sono emerse alcune frequenti
aspettative da parte dei partecipanti che possono e ssere sintetizzate nelle seguenti: la necessità
di agire all'interno di un quadro normativo certo e duraturo;” 66 una maggiore regolazione dei
rapporti tra la disciplina urbanistica e quella pae saggistica; 67 un maggior coinvolgimento della
Provincia nel governo del territorio; 68 la pianificazione in forma associata su alcuni temi (per
esempio infrastrutture e attività produttive); 69 una più rilevante concertazione istituzionale; 70
l’integrazione tra la pianificazione paesaggistica e di settore. 71
Dagli esiti del “Tavolo 1” è emersa chiaramente la necessità di una nuova legge regionale in
materia urbanistica, all’interno della quale le pro blematiche connesse alla pianificazione del
paesaggio trovino compiuta regolamentazione nella p ossibilità di armonizzare contenuti e
procedure, propri del disegno di tutela dei beni, p er la formazione degli strumenti di
pianificazione territoriale e urbanistica alle dive rse scale di governo. Una legge urbanistica
regionale inoltre, potrebbe, realisticamente, dare concretezza alle azioni promosse dallo
strumento normativo sul paesaggio, permettendo, di inquadrare correttamente il senso della
dimensione regolativa che la pianificazione paesagg istica, nell’intento di tutelare i beni
paesaggistici, interpreta con grande difficoltà. Ta le vuoto normativo ha posto in evidenza la
reale debolezza dell’impalcato concettuale del PPR le cui linee strategiche sono state minate
profondamente dalla produzione normativa sul Piano Casa 72 che ha contribuito ad insidiarne i
principi fondativi favorendo l’erigersi di un ulter iore ostacolo che ha accresciuto la distanza
tra urbanistica e paesaggio.
Sebbene risulti fondamentale dotare il governo del territorio di una esplicitazione normativa
di tipo urbanistico, la questione tuttavia non può essere esaurita in soluzioni precostituite
poiché se, da un lato la pianificazione del paesagg io necessità di un apporto regolativo capace

65 Le mappe cognitive sono uno strumento grafico per rappresentare informazione e conoscenza, teorizzato da Joseph Novak,
negli anni Settanta. Servono per rappresentare in u n grafico conoscenze intorno ad un argomento second o un principio
cognitivo di tipo costruttivista, per cui ciascuno è autore del proprio percorso conoscitivo all'inter no di un contesto.
66 Tema emerso in tutti i Laboratori.
67 Tema emerso nei Laboratori: 1, 2, 4, 5, 7, 9,10, 1 1, 12, 13, 14.
68 Tema emerso nei Laboratori: 2, 5, 7, 9, 12, 13.
69 Tema emerso nei Laboratori: 1 , 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9,10, 11, 12, 13, 14.
70 Tema emerso nei Laboratori: 1, 2, 3, 5, 7, 8, 9,10 , 11, 12, 13, 14.
71 Tema emerso nei Laboratori: 1, 2, 4, 5, 6, 7, 8, 10 , 11, 12, 13, 14.
72 Legge regionale 23 ottobre 2009, n.4, “Disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia median te il rilancio del
settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo.”

74
di giungere fino a dotarsi di adeguati strumenti at tuativi, dall’altro permane la difficoltà di
indicare strumenti che non contrastino con i valori imprescindibili garanzia di un’impronta
unitaria a fondamento della pianificazione paesaggi stica.
In tal senso una riforma urbanistica andrebbe ad in cidere sulla valutazione degli effetti del
PPR sul paesaggio, nel tentativo di mitigare la vet ustà dell’approccio dualistico tra i metodi
dell’urbanistica e quelli propri della pianificazio ne del paesaggio, ambiguità che caratterizza
la fase di adeguamento normativo in corso.
Un altro aspetto che è chiaramente emerso dai Labor atori territoriali è la scarsa conoscenza,
da parte delle amministrazioni comunali del process o di VAS, argomento emerso solo in due
Laboratori su quattordici complessivi 73 . Rispetto al tema della VAS, è possibile affermare che
essa non è riconosciuta quale strumento fondamental e nei processi formazione del Piano; a tal
proposito è emblematica l’esperienza del Comune di Palau che ha visto bloccare dalla
Provincia (nota n. 9474 del 12 aprile 2011) il suo PUC perché adottato (deliberazione
Consiglio comunale n. 37 del 22 dicembre 2010) senz a attivare il processo obbligatorio di
VAS. 74
Il “Tavolo 2,” denominato “Nuove idee del paesaggio ”, svoltosi a Cagliari il 13 dicembre
2010, ha interessato anche i comuni non costieri, è stato organizzato con l’obiettivo di
specificare i caratteri dei contesti locali attrave rso una “lettura corale del territorio e la
condivisione dei criteri di qualità paesaggistica”. Alcune delle informazioni e delle riflessioni
emerse dal “Tavolo 1,” unitamente alla progettualit à emerse nel “Tavolo 2” hanno permesso
di dare luogo a proposte di individuazione di nuovi Ambiti di paesaggio.
Il 18 febbraio 2011, si è svolto a Cagliari il “Tav olo 3,” denominato il “Progetto dei
Paesaggi,” nel quale c’è stata un ulteriore condivi sione dei criteri di qualità paesaggistica
attraverso quattro Laboratori, suddivisi in “paesag gio naturale”, “paesaggio insediativo,”
“paesaggio socio-culturale e percettivo” e “paesagg io produttivo”. Rispetto ai risultati emersi
dai Tavoli precedenti non è chiaro il percorso di d efinizione di tali criteri, inoltre alcune
importanti tematiche non vengono contemplate in alc un sistema di paesaggio, come per
esempio le infrastrutture.

73 Tema emerso nei Laboratori: 1, 11.
74 Vedi il ricorso fatto dal Gruppo di Intervento Giu ridico ed Amici della terra su Internet all’indiriz zo
http://gruppodinterventogiuridico.blog.tiscali.it/2 011/01/19/ricorso-avverso-il-p-u-c-di-palau-senza-p reventiva-v-a-s/ [Ultimo
accesso 01 marzo 2012].

75
Unitamente ai Tavoli visti è stato attivato un Tavo lo online permanente, accessibile attraverso
il sito istituzionale della Regione Sardegna con l’ utilizzo delle piattaforma
“SardegnaGeoBlog,” basato su mappe accessibili via web, attraverso il quale è stato possibile
discutere direttamente sulle mappe relativamente ad argomenti che hanno implicazioni
geografiche, condividere dati territoriali, immagin i e video.
Il 27 aprile 2011 è stato presentato ufficialmente durante l’incontro di scoping 75 svoltosi a
Cagliari presso l’Assessorato Enti Locali Finanze e Urbanistica della Regione Sardegna, il
documento di scoping della VAS concernente la revis ione del PPR, dal quale sono emerse
una serie di criticità. In particolare, nel documen to, non si fa cenno ai risultati relativi
conseguiti dall’attivazione dei Tavoli, conseguente mente non è chiaro il riscontro degli stessi,
in termini di obiettivi, sulla revisione del Piano. Nel documento si afferma che:
“l’accoglimento o meno delle osservazioni pervenute durante il processo partecipativo di
“Sardegna Nuove Idee,” nonché le relative modalità con cui tali esigenze saranno soddisfatte,
saranno oggetto di valutazioni ambientali, oltre ch e di valutazioni di tipo urbanistico e
normativo” (Regione Sardegna, 2011, p. 23). A quest o proposito si consideri che le citate
osservazioni non sono state riportate in nessuna pa rte del documento di scoping , nemmeno in
termini sommari.
Altre criticità riscontrate nel documento di scopin g sono relative alla governance territoriale
multilivello e in particolare ai rapporti intrapres i dalla Regione con gli altri livelli di governo.
Relativamente a questo si afferma che “l’attuazione del PPR spetta ai Comuni mediante
l’adeguamento dei PUC” (Regione Sardegna 2011, p.12 ), diversamente da quanto affermato
nelle Norme tecniche di attuazione del Piano dove s i affermava che “le previsioni del PPR si
attuano attraverso la pianificazione provinciale e comunale e i piani delle aree protette” (art.
11, c.1). La Provincia, sembrerebbe, da quanto indi cato nel documento di scoping, non dover
contribuire all’attuazione del PPR, eppure, oltre a l doversi adeguare, le stesse, hanno
incontrato anche le difficoltà nell’adeguamento. In fatti, soltanto una Provincia su un totale di
otto ha concluso l’iter di adeguamento al PPR, risu lta quindi riduttivo affermare la necessità
di una “verifica puntuale delle problematiche legat e all’attuazione del PPR e alla sua

75 L’incontro di scoping segna, come si vedrà in mani era più diffusa nel capitolo quinto, la conclusione della fase di
orientamento del processo di VAS. Il documento di s coping, discusso durante l’incontro, rappresenta la sintesi scritta di
questa fase.

76
attuazione in sede di pianificazione comunale”, cos ì come riportato nel documento di scoping
(Regione Sardegna, 2011, p. 5).
4.3.2 Scala provinciale
La Provincia, secondo la L. 142/90, il D.lgs. 267/2 000, i principi di sussidiarietà e
adeguatezza dell’azione amministrativa, è l’istituz ione più prossima a quella comunale, atta a
cogliere l’ampia gamma e gli effetti dei fenomeni t erritoriali. La Provincia trova spazio nel
sistema di pianificazione come “ente intermedio” cu i è assegnato il delicato compito di
connessione e “cerniera” tra il livello regionale ( a cui è attribuita, dalla legge, la competenza
di governo del territorio) e il livello locale (car atterizzato da un’ormai consolidata tradizione
pianificatoria).
La pianificazione di area vasta è, in molti paesi e uropei, la scala delle scelte strategiche e lo
stesso piano strutturale, di origine anglosassone, che ha dato avvio a riforme urbanistiche di
molte Regioni italiane, è un piano di area vasta, r elativo ai territori delle contee o di più
distretti. Inoltre, le politiche dell’Unione Europe a focalizzano l’attenzione sull’urgenza di
mettere i territori (e non già le singole municipal ità) in condizione di affrontare
adeguatamente le sfide a livello mondiale.
In alcune Regioni italiane, la legislazione vigente assegna alle Province il compito di
predisporre un quadro conoscitivo del proprio terri torio, che diventa riferimento utile e
necessario per l’elaborazione dei piani strutturali (dove previsti) comunali, i quali potranno
integrarlo e approfondirlo solo nel caso in cui ris ulti indispensabile per la definizione di
specifiche previsioni del piano.
In Italia hanno però preso consistenza una serie di iniziative a carattere legislativo che
pongono in discussione l’opportunità di mantenere i n vita l’amministrazione provinciale, in
quanto sarebbe una sorta di inutile carrozzone, ass ai costoso, senza un ruolo effettivo (il
riferimento è soprattutto alle varie proposte legis lative volte addirittura a sopprimere in modo
sbrigativo le Province dal sistema istituzionale de lla Repubblica, con puntuali modifiche al
Titolo Quinto della Costituzione e agli statuti del le regioni speciali). In sostanza, a fronte di
una significativa e recente scelta del nuovo art. 1 14 della Costituzione, di rafforzamento delle
Province, invece di promuovere iniziative per reali zzare il disegno riformatore, ne è
paradossalmente ipotizzata la cancellazione dall’ar chitettura istituzionale del sistema, senza

77
considerare adeguatamente non solo la loro storia e il radicamento nelle comunità territoriali,
ma anche il ruolo essenziale che questi enti dovreb bero svolgere in futuro per concretare
quella che si può qualificare la via italiana al fe deralismo: la quale implica un’organica e forte
semplificazione istituzionale, imperniata sulla chi arificazione del ruolo essenzialmente
amministrativo di Comuni e Province (o città metrop olitane) rispetto a quello legislativo e
programmatorio delle regioni, nell’ambito di una vi sione policentrica della Repubblica volta a
valorizzare il più possibile le autonomie territori ali e la ratio della sussidiarietà (De Martin,
2008).
Nelle varie esperienze di pianificazione territoria le, le Province, in linea generale, non hanno
avuto alcun sostegno dalla Regioni, che nella prati ca e anche nei più recenti provvedimenti
amministrativi hanno confermato il loro centralismo .
“I piani provinciali devono continuamente verificare e reinterpretare la loro posizione
intermedia, trovandosi in una situazione che fa pen sare più a un equilibrio instabile che a una
centralità consolidata. Il piano provinciale si dev e frequentemente misurare con gli
spostamenti del baricentro decisionale tra le due e stremità, sotto la spinta di esigenze
altalenanti tra sussidiarietà e verticismo (Pompili o, 2009).” Ci si chiede se i piani provinciali
possano svolgere un utile ruolo di coordinamento e in caso affermativo, se lo possano
mantenere inalterato o lo debbano in parte rinnovar e. Allo stesso tempo come è cambiato il
rapporto tra i livelli di pianificazione con la mod ifica del Titolo Quinto, in termini di
caratteristiche dei soggetti e dei componenti da co ordinare, ne deriva che devono essere
aggiornate le regole di interazione e di conseguenz a, anche il ruolo di coordinamento deve
essere aggiornato.
Durante il lavoro di tesi si è approfondito, a live llo provinciale, il ruolo dell’ente Provincia e il
punto di vista delle amministrazioni comunali rispe tto a esso, nell’ambito di un Protocollo
d’Intesa stipulato tra il Dipartimento di Ingegneri a del Territorio di Cagliari, 76 e la Provincia
dell’Ogliastra. Il progetto di ricerca, alla base d el Protocollo d’Intesa, era volto alla
“Costruzione di un modello di governance interistit uzionale e la sperimentazione di tale
modello nella pianificazione del territorio provinc iale sulla base dei principi contenuti nelle

76 Nel quale si è creato un gruppo di ricerca facent e capo alla Sezione di Urbanistica.

78
Raccomandazioni e nei Protocolli internazionali in materia di ICZM”. 77 L’obiettivo era
strutturare un modello basato sull’analisi delle cr iticità riscontrate dalle Amministrazioni
comunali nella fase di adeguamento dei PUC al PPR, basato sulla partecipazione e
integrazione degli attori territoriali, tramite la creazione di un Nucleo Tecnico di
Progettazione Territoriale sotto la regia della Pro vincia, 78 che potesse essere di supporto alle
alle stesse Amministrazioni nell’adeguamento dei lo ro strumenti urbanistici, ma anche per la
realizzazione di progettualità territoriali sulla b ase delle indicazioni comunitarie in materia di
ICZM.
I questionari somministrati ai Comuni: piano di ind agine e struttura
La prima fase è stata incentrata sull’analisi conos citiva, a tal proposito si sono svolti una serie
di incontri con l’Amministrazione provinciale 79 e i Comuni appartenenti alla Provincia, nei
quali si è discusso di una serie di tematiche legat e al territorio e ai possibili sviluppi in campo
sociale ed economico; sono stati somministrati a tu tti i Comuni 80 alcuni questionari basati sui
temi relativi ai rapporti istituzionali tra gli ent i preposti al governo del territorio (Regione,
Provincia, Comuni) e sull’adeguamento dei piani urb anistici al PPR.
Si è scelto il questionario come strumento di ricer ca descrittiva (Calvani, 2000), perché
permette di coinvolgere rapidamente un numero eleva to di persone attraverso una lista
organizzata di domande, poste per iscritto: è possi bile in questo modo, raccogliere
informazioni, di conoscere opinioni, atteggiamenti, intenzioni e azioni compiute (Coggi e
Ricchiardi, 2005; Mantovani e Gattico, 1998).
Le azioni principali nella redazione del questionar io sono state le seguenti:
– Precisazione dello scopo.
– Definizione delle aree e dei costrutti da indagar e.
– Redazione e formulazione delle domande in forma s critta.
– Definizione dei destinatari del questionario.
– Definizione della modalità di somministrazione.

77 L’approccio ICZM ( Integrated Coastal Zone Management ) è riconosciuto dalla legislazione ambientale euro pea ed
esprime una strategia d’azione nell’ambito della pi anificazione delle zone costiere utile per il perse guimento della
sostenibilità economica, sociale ed ambientale.
78 Si è scelto, come ambito di sperimentazione la Pro vincia dell’Ogliastra perché aveva al suo interno un Laboratorio
territoriale di progettazione integrata, avviato ne l 2005. È stata l’unica Provincia sarda che ha port ato avanti l’esperienza del
Laboratorio di progettazione integrata.
79 Si sono svolti diversi incontri con funzionari del ’ufficio del Piano e del Settore Ambiente, Giunta e Consiglio provinciale.
80 I Comuni della Provincia d’Ogliastra sono 23. Torto lì e Lanusei sono per numero di abitanti i centri p iù grandi
(rispettivamente 10838 e 5655 abitanti) mentre Elin i (555 abitanti) è il più piccolo.

79
Lo scopo era in questo caso, investigare lo stato d i avanzamento dell’adeguamento dei piani
urbanistici dei Comuni della Provincia al PPR e l’o pinione degli stessi rispetto ai rapporti di
governance multilivello con Regione e Provincia. Fu nzionalmente a ciò, il questionario è stato
suddiviso in due Sezioni corrispondenti ai due argo menti di interesse.
La “Sezione 1,” denominata “Pianificazione e govern o del territorio,” aveva, come argomento
da indagare, lo stato di fatto degli strumenti urba nistici vigenti, il loro stato di adeguamento al
PPR ed il punto di vista delle amministrazioni comu nali, relativamente ai concetti di “governo
locale” e “governance multilivello” e di “procedura di copianificazione.”
La “Sezione 2,” denominata “Identità territoriale e ruolo della Provincia”, era diretta in
particolare ad analizzare i rapporti tra le gerarch ie di governo del territorio in esame.
Si è cercato di formulare le domande con un linguag gio chiaro, in una forma logica, coerente
con l’oggetto della ricerca, con una certa cura del vocabolario e della sintassi, perché aspetti
che influiscono sulle risposte degli intervistati ( Mantovani e Gattico, 1998).
Il questionario è stato strutturato con domande a r isposta aperta, a domanda chiusa e a risposta
mista, in modo da usufruire dei vantaggi e cercare di ridurre i limiti che caratterizzano le
diverse forme.
Le domande a risposta aperta lasciano all’intervist ato la possibilità di esprimersi nella forme
che preferisce, utilizzando parole proprie senza su ggerimenti (esempio di domanda:“Nel caso
in cui siano state avviate, quali sono le principal i difficoltà riscontrate nell’attivazione delle
procedure di VAS dell’adeguamento? Quali si ritiene possano essere le possibili soluzioni di
fronte a tali difficoltà?”). I vantaggi nella scelt a di questa forma sono un minimo rischio di
condizionare la risposta; quando il fenomeno è parz ialmente o completamente sconosciuto è
l’unica forma possibile; sono utili quando le doman de sono delicate poiché permette di
motivare comportamenti ed opinioni che altrimenti l ’intervistato sarebbe restio a descrivere.
Tra i principali svantaggi, maggiore sforzo per il rispondente; la qualità delle risposte sono in
funzione del livello culturale dell’intervistato.
Le domande chiuse, rappresentano un caso limite del le domande strutturate o a risposta chiusa
poiché sono delle domande che presentano solo due o tre modalità di risposta predefinite dal
ricercatore e dove si lascia al rispondente il comp ito di scegliere quella più vicina al suo caso.
Generalmente usate per accertare la presenza/assenz a di un fenomeno, spesso sono la

80
rappresentazione delle domande filtro, utili per in dividuare eventuali sottogruppi ai quali
saranno sottoposte ulteriori domande più specifiche (esempio: alla domanda “Lo strumento
urbanistico comunale ha subito aggiornamenti negli ultimi anni?” la risposta poteva avere due
sole modalità di risposta, “Si”e“No”).
Le domande a risposta mista prevedono delle alterna tive fisse di risposte, predefinite dal
ricercatore ed una riposta aperta (esempio: alla do mande “Ritiene siano adeguate alle
necessità degli enti locali le linee guida regional i per la VAS dei PUC? Quali sono gli aspetti
negativi e/o perfettibili di queste linee guida?” l a risposta poteva avere due modalità di
risposta chiusa, “Si”e“No,” e una aperta “Motivare la scelta”).
Le domande a risposta mista hanno i vantaggi delle domande a risposta chiusa per la parte
strutturata ma raggruppano le risposte di scarso in teresse per il ricercatore nella voce altro da
specificare.
Domande e tipo di comunicazione sono state le stess e per tutti i rispondenti, al fine di
raccogliere informazioni confrontabili tra loro. In tal senso il questionario è risultato uno
schema di intervista altamente strutturata e affinc hé possa svolgere il suo ruolo è necessario
che sia uno strumento standardizzato (Fortini, 2000 ).
I destinatari dei questionari sono stati sindaci e tecnici ai quali si è preventivamente garantito
l’assoluto anonimato; si è chiarito inoltre, in pre messa ai questionari, la finalità dell’indagine,
legata esclusivamente allo sviluppo del progetto di ricerca in seno al Protocollo d’Intesa. I
destinatari sono stati contattati telefonicamente e a seconda della disponibilità degli stessi la
somministrazione è avvenuta telefonicamente o via m ail.
Su ventitre Comuni solo tredici hanno restituito i questionari compilati, per la cui analisi,
essendo in numero così ridotto, non si è fatto uso di metodi statistici (Mantovani e Gattico,
1998). Si ritiene comunque di poter affermare, sull a base anche di quanto è emerso dalla
discussione durante l’incontro preliminare di prese ntazione del Protocollo, al quale
parteciparono sindaci e tecnici di quasi tutte le A mministrazioni comunali ogliastrine, che,
nonostante il campione dei Comuni non sia numeroso, esso sia rappresentativo dei temi che si
volevano indagare.

81
Analisi critica della restituzione dei questionari
Dall’analisi dei questionari, sono emerse una serie di criticità. La prima è il ritardo
sull’adeguamento dei piani urbanistici comunali al PPR, nonostante le sue Norme tecniche di
attuazione ne ponessero l’obbligo, per i Comuni con territorio ricadente interamente negli
Ambiti di paesaggio costieri, entro dodici mesi dal la data di approvazione del Piano (art. 107).
Si evidenzia che, alla data di restituzione del que stionario (dicembre 2009), nessuno dei
Comuni rispondenti, nonostante alcuni di essi avess ero iniziato la procedura (quattro Comuni
su tredici), aveva completato l’adeguamento del str umento urbanistico al PPR; solo un
Comune ha motivato la causa giustificandola con una non adeguata, dotazione finanziaria
dell’Amministrazione.
Tutti e tredici i Comuni hanno manifestato il propr io interesse ad attivare dei percorsi di
pianificazione strategica e di governance locale, p rogrammi e progetti su scala territoriale
sovracomunale, ma è stata generale, la profonda sfi ducia nei confronti dell’Ente provinciale
dal quale non si sono sentiti rappresentati. Un int ervistato alla domanda “quale valutazione
attribuisce al ruolo della Provincia nel governo de l territorio” ha risposto, addirittura, un
“intralcio.”
Le altre criticità emerse sono state la scarsa inte grazione tra gli strumenti urbanistici dei
Comuni contermini, la richiesta di maggiori compete nze ai Comuni a fronte di una non
adeguata dotazione finanziaria, una grande framment azione istituzionale e una marcata
frammentazione della geografia amministrativa e del le reti territoriali. Emerge dai questionari,
una maggiore fiducia nelle Unioni di Comuni (in Ogl iastra ne sono sono presenti due) perché
favoriscono un maggiore coordinamento tra istituzio ni nei processi di governance territoriale
multilivello e permettono un dialogo maggiormente a perto, rispetto a quello che si instaura tra
Comuni e Provincia.
All’interno dell’impalcato normativo del PPR, la Pr ovincia riveste un ruolo del tutto ancillare
e privo di una effettiva capacità di agire in funzi one di coordinamento e guida ai processi
decisionali di scala sovracomunale. Nonostante essa sia l’autorità a cui la Regione Sardegna
ha attribuito il ruolo di autorità competente in ma teria di VAS e quindi da un lato detiene un
ruolo di rilevante importanza, perché ad essa spett a il ruolo di esprimere il parere motivato per
i processi di VAS dei PUC, essa sembra non avere al cun peso dal punto di vista pianificatorio
e non assolvere la funzione di raccordo tra la pian ificazione regionale e quella comunale.

82
Tali criticità è stato possibile riscontrarle anche nel fatto che lo stesso Protocollo di Intesa non
ha prodotto risultati positivi, utili al proseguime nto della sperimentazione e tale fallimento è
dovuto in parte a problematiche di natura politica (il Protocollo fu stilato contestualmente al
cambio dei rappresentanti politici provinciali) e a d altre di carattere organizzativo e tecnico.
In particolare non ha avuto successo con i Comuni l ’idea di proporre un Laboratorio di
Progettazione Territoriale sotto la regia della Pro vincia, proprio a causa della sfiducia da parte
di questi nei confronti dell’Ente provinciale.
L’esperienza ha posto in luce una serie di problema tiche, dalle quali è comunque possibile
trarre una serie di indicazioni utili che vedono ne l dialogo e nella collaborazione tra gli enti
preposti elementi fondamentali per lo sviluppo del territorio. Da un lato è richiesta un
organicità di intenti che non può derivare dalla me ra sommatoria dei piani comunali e che
richiede la presenza di un soggetto in grado di imp ostare e guidare i processi di
pianificazione. Le problematiche territoriali si ma nifestano inoltre ad una scala dimensionale
che non può essere affrontata entro i limiti dei co nfini comunali , ma che richiede una visione
d’insieme di area vasta.
Sembrerebbe che, almeno in teoria, sulla base degli ultimi orientamenti normativi, la
Provincia sia l’ente territoriale più idoneo a occu parsi di tutela e valorizzazione ambientale e
paesaggistica avendo una visione più ravvicinata de lle tematiche territoriali rispetto alla
Regione e di conseguenza il piano provinciale sia l o strumento di pianificazione territoriale il
cui sistema di scelte ha il maggiore impatto sul pa esaggio e sui sistemi ambientali e
territoriali. I piani provinciali potrebbero essere non solo il naturale approfondimento della
pianificazione paesaggistica regionale ma anche gli strumenti urbanistici probabilmente più
congeniali per il recepimento di istanze innovative in materia ambientale e paesaggistica.
La Provincia, nonostante gli esiti dei questionari dicano il contrario, potrebbe fare da
mediatore tra il livello locale e quello sovra loca le; il suo ruolo, come risulta da esperienze di
altre province italiane, è quindi importante per ga rantire l’applicazione coerente di una
governance multilivello improntata al principio di sussidiarietà. Oggi, rafforzata nelle
funzioni istituzionali è sempre più da considerare come l’espressione istituzionale di una
comunità legata ad un territorio di area vasta, des tinata a rappresentare uno snodo essenziale
rispetto sia ai comuni che alla Regione (De Martin, 2008). In questo senso potrebbe fare da
promotore per l’attivazione di progetti integrati d a attuarsi entro i confini provinciali, e allo

83
stesso tempo potenziare la sua capacità di partecip are attivamente al governo del territorio,
che allo stato attuale è marginale. Essendo in Sard egna la Provincia l’autorità competente per
le VAS di valenza comunale e sub-provinciale, 81 potrebbe nell’esercizio delle sue competenze
valorizzare, tramite la VAS, il suo ruolo di coordi namento della pianificazione territoriale
provinciale e di interazione con la pianificazione comunale.
4.4 Alcune proposte per una corretta integrazione t ra governance territoriale e
pianificazione del paesaggio
Al di là del confronto disciplinare, che vede impeg nate diverse scuole in merito
all’opportunità di applicare alla tutela del paesag gio prassi e tecniche vincolistiche di matrice
urbanistica, rimane una sostanziale condivisione su l fatto che la produzione normativa
necessiti di un approccio per stralci territoriali, applicando a tale impostazione il principio
sussidiario a condizione che vengano garantite adeg uatezza ed efficienza rispetto ai temi che
per loro natura non trovano applicazione entro i li miti comunali (Urbani, 2004). Appare
indubbio come vi sia una grande difficoltà nel conc iliare la sussidiarietà con la cultura del
paesaggio; i Comuni a fatica si assumono l’onere di operare scelte di tutela in quanto
percepite come ostacolo alla ricerca del consenso.
Riprendendo la riflessione di Urbani relativa alla scala dimensionale più opportuna per poter
perseguire la tutela del paesaggio, è facile ritrov arsi nelle sue convinzioni per cui la previsione
di un unico piano d’iniziativa regionale sia, piutt osto che una scelta fondata su dati di realtà,
l’esito di un equivoco derivante da una lettura rid uttiva della Convenzione europea del
paesaggio secondo cui “tutto è paesaggio.” In propo sito la pianificazione paesaggistica in
Sardegna, perseguendo l’obiettivo di varare, in app licazione del D.lgs. 42/2004, un Piano
paesaggistico di livello regionale ha inteso interp retare le indicazioni della norma nazionale
secondo una organizzazione dei territori in ambiti di paesaggio: lo ha fatto identificando in
ambiti costieri il principale impianto spaziale della pianificazion e territoriale. Attraverso la
loro strutturazione si è inteso indirizzare, sull’i dea di specifici progetti di paesaggio da
dettagliare ambito per ambito, le azioni di conserv azione, ricostruzione o trasformazione del
territorio. In verità, l’assenza di un effettivo ra pporto tra strumenti di tutela, valorizzazione e

81 Tali funzioni le sono state attribuite dalla Legge regionale del 12 giugno 2006, n. 9 “Conferimento di funzioni e compiti
agli enti locali”

84
trasformazione ha indebolito sensibilmente e in par te vanificato la portata innovativa del
PPR. 82
All’interno di tali criticità trovano corpo alcune interessanti interpretazioni sulla dimensione
paesaggistica che orientano la pianificazione nella direzione della concertazione e
cooperazione territoriale. Il ricorso a tali pratic he inquadra le dinamiche sul paesaggio in una
dimensione costruttiva che chiama in causa la neces sità di elaborare le scelte sul territorio ad
una scala di livello sovracomunale.
Debolezza del sistema di governance e mancanza di c oordinamento tra strumenti normativi e
politiche del territorio rappresentano gli elementi di maggiore criticità nella costruzione delle
nuove politiche regionali per il paesaggio. È a par tire da una presa di coscienza su tali criticità
che la pianificazione paesaggistica può diventare u no strumento chiave della governance, in
quanto processo strategico che può collocarsi al ce ntro di un nuovo modello istituzionale,
amministrativo e fisico-organizzativo del territori o regionale. Perché ciò sia fattibile occorre
rinunciare a forme gerarchiche e dirigistiche che h anno contraddistinto la prima stesura del
Piano intendendo una sua revisione come prodotto di una costruzione partecipata, volontaria e
condivisa dai sistemi locali.
Traspare dai Laboratori di Sardegna Nuove Idee, in espressioni più o meno mature, come i
territori auspichino la presenza di un Piano paesag gistico di livello regionale che non agisca
direttamente sul territorio, bensì sui rapporti di territorialità, cioè sulle relazioni che i soggetti
locali, direttamente competenti e interessati, hann o tra loro e con il territorio stesso. È la
concertazione con questi attori che permette di del ineare un’architettura delle trasformazioni
territoriali rispondenti agli obiettivi programmati ci dell’ente istituzionale superiore. In tal
senso il Piano si collocherebbe come innovativo str umento di governance istituzionale che
identifica nel paesaggio una risorsa in grado di favorire lo svilupparsi delle attività sociali ed
economiche. Peraltro l’attenzione per le dinamiche economiche, sociali e culturali che
influenzano e modellano i sistemi ambientali trova riscontro diretto nel quadro teorico della
Landoscape Ecology secondo cui nessun ecosistema potrà essere studiat o senza fare
riferimento all’uomo (McHarg, 1981).

82 Come ha ben sintetizzato uno studioso sardo in occa sione di un recente confronto pubblico tra amminist ratori locali, della
filosofia del PPR è rimasta solo la filosofia.

85
Sebbene i presupposti di natura politica e tecnica sembrino unanimemente convergere sulla
necessità che i processi di trasformazione territor iale siano investiti dal consenso sociale delle
comunità insediate nei territori, attitudini orient ate a garantire inclusività e cooperazione
proprie della VAS non sembrano trovare riscontri og gettivamente validi nei processi
decisionali in atto. Una composizione armoniosa dei differenti interessi, diritti e aspettative
che si confrontano sul territorio inoltre è resa pa rticolarmente difficile dal pluralismo dei
processi decisionali che ha come principali consegu enze l’indebolimento dei referenti
istituzionali e la conseguente frammentazione delle responsabilità.
Esiste una concreta difficoltà nel fare rifluire ob iettivi e contenuti della pianificazione
paesaggistica in quella di livello comunale e di se ttore, e quindi una difficoltà attuativa del
PPR stesso che vanificando la sua stessa natura ne mortifica le ambizioni di strumento di
governance territoriale. Ciò che emerge nella quasi totalità dei Laboratori è come non pare
ancora ben definito un approccio capace di consider are in maniera sistemica le relazioni
intercorrenti tra gli ecosistemi interagenti e il s istema della territorialità umana (Raffestin,
1986). In questo senso emerge la necessità di costr uire strumenti e modalità adeguati, che
permettano di guidare i processi decisionali, orien tando le azioni di enti e attori sul territorio,
tenendo conto del fatto, non trascurabile, che gli enti locali operano quasi esclusivamente in
assenza di adeguate risorse economiche.
Altro aspetto rilevante risiede nella sovrapposizio ne di competenze tra livelli istituzionali,
soprattutto sugli aspetti insediativi e dello svilu ppo urbano, casi in cui gli interventi per loro
dimensione e portata, producono effetti di evidente rilevanza sovracomunale. L’esperienza
mostra che non si tratta di incrementare la forza c onformativa e prescrittiva delle disposizioni
di un ente a discapito di altri attori istituzional i, quanto piuttosto di definire in modo
inequivocabile, sviluppando in merito strumenti per ché tale obiettività sia perseguibile, le
condizioni che conducono all’inquadramento delle pr oblematiche trattate in un quadro di
valenza sovracomunale. Tale impostazione trova risc ontro nel corretto utilizzo del principio di
sussidiarietà che invece verrebbe minato, nel momen to in cui mancassero le garanzie di
adeguatezza ed efficienza rispetto all’assolvimento di responsabilità che per loro natura non
trovano espressione entro i limiti comunali.
Sugli aspetti brevemente elencati insiste un proble ma di fondo che pervade i fondamenti
teorici e pratici della pianificazione paesaggistic a e che si lega alla natura del concetto di area

86
vasta e ad una sua definizione rispettosa di equili bri e fattori naturali, storico/culturali, sociali
ed economici che sottendono lo studio del territori o. Esiste evidentemente un problema di
riconoscibilità per la dimensione di area vasta di cui la Provincia potrebbe e dovrebbe farsi
carico. Ad oggi non sono presenti nel territorio sa rdo significative esperienze – alternative alla
dimensione provinciale – in grado di promuovere e c oordinare scelte di livello
sovracomunale. Le stesse Unioni di Comuni presenti oramai nelle più variegate espressioni
sono spesso esemplificazioni di una frammentazione istituzionale che moltiplica gli interventi
vanificando ogni tentativo di integrazione tra pian i e progetti.
Gli elementi di criticità rilevati nel caso sardo s ono sintomo di una stagione pianificatoria di
lunga durata, prodotto di una grande eterogeneità d i approcci, che ha reso piuttosto arduo e
complesso, nei fatti, un dialogo istituzionale tale da definire percorsi condivisi. In prospettiva
futura è certamente auspicabile una ricomposizione generale del ruolo svolto dai diversi attori
istituzionali, economici, sociali e dai vari intere ssi di settore nei processi decisionali e
negoziali delle politiche territoriali. Tale proces so contiene in sé il rischio, peraltro già
ampiamente manifesto, di aprire conflitti interisti tuzionali e dovrà quindi venire
adeguatamente governato.
I tavoli coordinati dai Laboratori, che rientrano n ella logica di una mitigazione dei conflitti in
atto, hanno mostrato come stia maturando nelle ammi nistrazioni comunali un interesse al
coordinamento di area vasta. La taglia del processo cooperativo auspicato è generalmente di
livello intermedio tra la dimensione comunale e que lla provinciale e guarda solitamente nella
direzione di una gestione dei servizi di scala sovr acomunale.
La Provincia potrà fornire una risposta a questa do manda di intercomunalità nella misura in
cui saprà interpretare un ruolo da attore di promoz ione territoriale, aggregando enti e altri
soggetti che agiscono sul territorio, e soprattutto proponendo un approccio di area vasta
flessibile, che eviti di sostituire a visioni local istiche derivanti dalla rigidità espressiva propria
dei confini comunali, l’indeterminatezza, in termin i identitari, dei confini amministrativi
provinciali.
La necessità di una cooperazione intercomunale che trapela dai Laboratori ha trovato
parzialmente risposta in alcune esperienze nazional i (è il caso della Regione Piemonte) dove il
territorio regionale è stato articolato in “ambiti di integrazione territoriale,” di dimensioni

87
intermedie tra quella comunale e provinciale, che e sprimono al loro interno forme di
progettualità e di territorialità collettiva attive ed efficaci nei processi di sviluppo e di
qualificazione degli ambienti di vita. È ciò che i territori si aspettano dalla revisione del PPR
poiché è in ragione di un corretto dimensionamento (spaziale e di senso) degli ambiti di
paesaggio, che le diverse problematiche – dall’ambi ente alle infrastrutture, dall’agricoltura al
turismo, dall’industria ai servizi – possono integr arsi territorialmente in modo da potenziare
sinergie e ridurre reciproci impatti negativi. È so prattutto a questo livello che uno strumento
di livello regionale dovrebbe permettere di avere u na visione integrata di ciò che i piani, i
programmi e le politiche di settore trattano framme ntariamente, ma che nel concreto dei
luoghi interagiscono con effetti rilevanti, che van no governati tramite visioni integrate e
concertate ad un livello istituzionale adeguato al problema.
Se il governo del territorio si caratterizza per la presenza di piani che competono a diversi
livelli istituzionali ma che dovrebbero nel contemp o essere concepiti unitariamente, l’attività
di pianificazione territoriale regionale dovrebbe trovare, in una prospettiva coevolutiva, l a
compresenza di tre quadri strutturati di livello pr ogrammatico e pianificatorio: un “Quadro di
governo del territorio” che preveda un’interpretazione organica del territo rio e i riferimenti,
anche normativi, per la pianificazione strutturale e regolativa alle diverse scale (dimensione
strutturale e operativa); un “Piano paesaggistico r egionale,” redatto ai sensi del D.lgs.
42/2004, in coerenza con la Convenzione europea del paesaggio e d’intesa con il Ministero
dei Beni culturali e ambientali (dimensione paesagg istica); un “Documento strategico
regionale,” di riferimento per la governance territoriale e di indirizzo strategico per lo
sviluppo economico e sociale del territorio che coo rdini, secondo il principio dell’unitarietà, il
complesso insieme di fonti programmatiche di livell o regionale, nazionale e comunitario
(dimensione strategica).
La strutturazione proposta ha come scopo quello di definire in tre grandi tematiche
un’organizzazione di indirizzi che non possono comp rendersi isolatamente o peggio in
alternativa gli uni agli altri. Ne è esempio la for mulazione “governo del territorio” che ha
evidentemente carattere di trasversalità e transcal arità rispetto alle politiche territoriali, e
dovrebbe rappresentare conseguentemente un quadro d i raccordo delle numerose
pianificazioni settoriali le quali, non casualmente , vengono anche identificate come
pianificazioni separate. Al contempo prevede l’espl icitazione di politiche di tipo conformativo

88
potendo inquadrare al suo interno una mission più propriamente votata alla regolazione , volta
a tradurre i riconoscimenti di valore, i condiziona menti imprescindibili che discendono dal
patrimonio di conoscenza del territorio e dalle sce lte strategiche condivise, in disposizioni
normative volte a incidere direttamente, e indirett amente, sui processi di trasformazione
territoriale.

89
Capitolo Quinto
La governance territoriale in Sardegna a livello co munale. La VAS
nell’adeguamento dei PUC al PPR. Aspetti metodologi ci ed esperienze
Premessa
L’adeguamento della disciplina urbanistica comunale al PPR è regolato ai sensi dell’art. 107,
c. 3, lettere a) e b), delle sue Norme tecniche di attuazione, nel quale si esplicita che i Comuni,
nell’adeguare i propri strumenti urbanistici devono provvedere tra l’altro a “individuare le
peculiarità paesaggistiche analizzando le interazio ni tra gli aspetti storico culturali
dell’ambiente naturale e antropizzato e promuovere il mantenimento e la valorizzazione,
definendo le condizioni di assetto necessarie per r ealizzare un sistema di sviluppo sostenibile
a livello locale”. Lo stesso articolo obbliga tutti i Comuni che ricadono nei ventisette Ambiti
di paesaggio costieri individuati, di adeguare i pr opri strumenti urbanistici. In particolare i
PUC in adeguamento, rientrano tra quei piani che de vono essere sottoposti a VAS (art. 6 del
D.lgs. 152/2006 e ss.mm.ii); a questa scala si foca lizza l’attenzione sull’aspetto pianificatorio
e valutativo dell’adeguamento, con l’obiettivo di i ndividuarne le debolezze.
Il capitolo fa un’analisi critica delle “Linee Guid a per la Valutazione ambientale strategica dei
piani urbanistici comunali” (d’ora in poi LG) e del la loro applicazione in alcuni casi studio, le
VAS dei PUC dei Comuni di: Alghero, 83 Arborea, Badesi, Carbonia, Oristano, Posada, Sestu ,
Simaxis, Stintino, Tortolì, Elini. 84 A partire dalla scansione delle fasi e delle attiv ità proposte
dalle LG ci si è soffermati sulle specifiche critic ità metodologiche delle stesse e dei casi
studio, dal punto di vista degli aspetti partecipat ivi, della ripercorribilità generale e della
chiarezza dei processi di VAS e di piano.
L’analisi permette di trarre considerazioni e criti cità emergenti per le quali il Protocollo ,
descritto nel capitolo sesto, mira alla definizione di possibili soluzioni.

83 Una delle esperienze sul campo che ha caratterizza to il periodo del dottorato è stata la partecipazio ne al gruppo di lavoro
per la redazione della VAS del PUC di Alghero in ade guamento al PPR.
84 I rapporti ambientali e i documenti di scoping dei comuni di Arborea, Badesi, Carbonia, Oristano, Posada, Sestu, S imaxis
sono stati scelte perché a livello procedimentale h anno ottenuto il parere motivato da parte della Pro vincia.

90
Il paragrafo primo analizza l’integrazione della VA S nel processo di formazione del piano, i
paragrafi secondo e terzo si soffermano rispettivam ente sulla fase di scoping e quella di
redazione del rapporto ambientale.
5.1 Integrazione tra VAS e processo di formazione d el piano
Una prima criticità che emerge dall’analisi delle L G e dei casi studio esaminati è la non
endoprocedimentalità della VAS nel processo di pian o; la Direttiva 2001/42/CE indica in
maniera chiara che le procedure di valutazione devo no essere integrate nel processo di
formazione dei piani e programmi sin dalle fasi ini ziali, solo in questo modo la VAS
risulterebbe funzionale a migliorare e rendere più efficace il piano, integrandovi strategie ed
obiettivi orientati allo sviluppo sostenibile ed al la tutela dell’ambiente (Zoppi, 2010).
Nel caso della VAS del PUC del Comune di Alghero , ad esempio, è possibile affermare che si
è trattato di un processo valutativo partito in man iera gravemente tardiva rispetto alle
elaborazioni del piano, risultato finale di un lung o processo di pianificazione iniziato nel
1995. In questo caso la mancanza di integrazione tr a i tempi della VAS e quelli del piano è
palese, conseguentemente, si è perso del tutto il v alore aggiunto che la stessa avrebbe potuto
offrire nella definizione di obiettivi e alternativ e.
Un’applicazione della VAS non rispettosa dei suoi p rincipi fondativi è purtroppo prassi
consolidata e diffusa a livello regionale e fa part e di un modus operandi caratterizzato dal
fatto che i momenti valutativi sono declassati a me ri accessori del processo di costruzione di
un piano (Karrer, 2004). La prassi distorta che si è venuta e creare è anche dovuta al fatto che
la Sardegna ha una legge urbanistica regionale obso leta, che non prescrive una valutazione
che accompagni e qualifichi dall’interno, il proces so di elaborazione dei piani.
Se la VAS non è endoprocedimentale, disattende lo s pirito della Direttiva comunitaria e
soprattutto, risulta fortemente inficiata nelle sue potenzialità di miglioramento qualitativo del
processo di piano. Se, come nel caso di Alghero, la VAS parte quindici anni dopo l’inizio del
processo di costruzione del PUC, è evidente come no n abbia senso cercare alternative
credibili a scelte ormai consolidate, e come sia mo lto difficile, se non impossibile, allargare lo
spettro degli obiettivi del piano all’universo dell a sostenibilità nelle sue diverse sfaccettature.
Questo allargamento risulta, quasi sempre, una grot tesca caricatura di un processo realmente
inclusivo di queste tematiche.

91
5.2 Fase di orientamento (scoping)
La fase di scoping (definita dalle LG anche come fa se preliminare o di orientamento)
rappresenta un momento fondamentale nel processo di valutazione; ha la finalità di definire i
riferimenti concettuali e operativi attraverso i qu ali si elaborerà la valutazione ambientale, sia
in termini di indicazioni di carattere procedurale che di indicazioni di carattere analitico.
La Direttiva comunitaria sulla VAS, non parla espli citamente di scoping o di orientamento
ma, afferma che gli Stati membri devono designare l e autorità con specifiche competenze
ambientali (art. 6 paragrafo 3) 85 da consultare al momento della decisione sulla por tata delle
informazioni da includere nel rapporto ambientale e sul loro livello di dettaglio (art. 4
paragrafo 3). Il D.lgs. 152/2006, prima versione, a ll’art. 9 c. 4 stabilisce che queste fasi
preliminari devono essere attivate dal proponente i n contraddittorio con l'autorità competente.
Il D.lgs. 4/2008 all’art. 13 c. 1 puntualizza che l e fasi di consultazione tra autorità procedente,
autorità preposta alla valutazione e autorità compe tenti in materia ambientale 86 devono
avvenire sin dai momenti preparatori dell'attività di elaborazione di piani e programmi, sulla
base di un rapporto preliminare sui possibili impat ti ambientali significativi dell'attuazione del
piano o programma.
Nelle LG è l’autorità procedente (il Comune) che co nvoca l’incontro di scoping al quale
partecipano la Provincia, in qualità di autorità co mpetente per il PUC, l’Assessorato della
Difesa dell’Ambiente, l’Assessorato agli Enti Local i, Finanze e Urbanistica, e, tutti i soggetti
competenti in materia ambientale.
Le LG definiscono come attività della fase di scopi ng, indicate nella tabella 5.2_a, la
definizione dell’ambito di influenza del PUC e il s uo orizzonte temporale, la portata e il
livello di dettaglio delle informazioni da includer e nel rapporto ambientale, l’analisi
ambientale, l’individuazione di obiettivi ambiental i da inserire nel piano, l’individuazione del
quadro pianificatorio di riferimento e degli obiett ivi/criteri di sostenibilità ambientale,
l’identificazione dei dati e delle informazioni dis ponibili sul territorio. La fase di scoping si
conclude con la redazione di un rapporto preliminar e (documento di scoping).

85 Definite dalla Direttiva come quelle autorità che possono essere interessate agli effetti sull'ambien te dovuti all'applicazione
dei piani e dei programmi.
86 I soggetti competenti in materia ambientale, secon do la normativa nazionale, sono identificabili con le pubbliche
amministrazioni ed enti pubblici che, per le loro s pecifiche competenze o responsabilità in campo ambi entale, possono essere
interessati agli impatti sull’ambiente dovuti all’a ttuazione di piani o programmi. (art. 5 c. 1, lette ra s del D.lgs. 4 del 2008).

92

Tabella 5.2_a. Attività nella fase di redazione del rapporto ambientale. Fonte LG p. 12
Rispetto alla trattazione della fase di scoping, le criticità principali delle LG, riscontrate anche
nei casi studio sono riconducibili a un mancato app rofondimento dei temi della partecipazione
delle comunità locali al processo di pianificazione , dello sviluppo sostenibile e del processo di
costruzione degli obiettivi di piano.
5.2.1 La partecipazione durante lo scoping
Nell’ambito del processo di VAS la fase di scoping secondo le LG deve prevedere un
processo partecipativo che coinvolga i soggetti com petenti in materia ambientale
potenzialmente interessati dalla redazione del PUC, affinché condividano il livello di dettaglio
e la portata delle informazioni da produrre e da el aborare, nonché le metodologie per la
conduzione dell’analisi ambientale e della valutazi one degli effetti ambientali (Regione
Sardegna 2010, p. 22). Durante gli incontri di scop ing devono venire illustrati (Regione
Sardegna, 2010, p. 23): modalità con cui condurre il processo di VAS; metodologia per
l’analisi ambientale (componenti interessate dall’a ttuazione del PUC, indicatori da utilizzare,
possibilità di popolarli, metodo di analisi, ecc.); modalità per la conduzione del processo di
partecipazione e approvazione dell’elenco dei sogge tti coinvolti nel processo (soggetti
competenti in materia ambientale, pubblico 87 e pubblico interessato 88 ); contenuti del rapporto
ambientale.

87 Definito come una o più persone fisiche o giuridiche nonché, ai s ensi, della legislazione vigente, le associazioni, le
organizzazioni o i gruppi di tali persone. (Regione Sardegna, 2010, p. 6).
88 Definito come il pubblico che subisce o può subire gli effetti delle procedure decisionali in materia ambientale o che ha un
interesse in tali procedure. (Le organizzazioni no n governative che promuovono la protezione dell’amb iente e che
soddisfano i requisiti previsti dalla normativa vi gente, sono considerate come aventi interesse). (Reg ione Sardegna, 2010, p.
6).

93
La prima criticità che si rileva nelle LG per quest a fase è il non coinvolgimento, ma solo
l’individuazione, del pubblico e pubblico interessa to. Eppure si afferma nelle stesse che al
fine di pervenire alla costruzione di un piano il p iù possibile condiviso, il processo
partecipativo dovrebbe essere avviato sin dalle pri me fasi di elaborazione del PUC (Regione
Sardegna, 2010, p. 45); si suggerisce inoltre, nonostante il D.lgs. 152/200 6, e ss.mm.ii, limiti
la partecipazione del pubblico ad una fase successi va all’adozione del PUC, di prevedere
ulteriori momenti di partecipazione, volti a coinvo lgere sia i soggetti competenti in materia
ambientale sia il pubblico interessato, anche nelle fasi precedenti all’adozione del PUC,
ovvero durante la costruzione del piano (Regione Sardegna, 2010, p. 45). Sembrerebbe
rispetto a questa affermazione e al non coinvolgime nto del pubblico e del pubblico interessato
in questa fase, che lo scoping non faccia parte del processo di costruzione del piano.
In riferimento alla metodologia da usare per il coi nvolgimento dei soggetti competenti in
materia ambientale durante gli incontri si suggeris ce la metodologia tradizionale basata sulla
presentazione del documento di scoping, seguita da una discussione aperta e dalla
verbalizzazione delle osservazioni presentate (Regi one Sardegna, 2010, p. 46). Le LG
propongono anche un questionario da somministrare a gli stessi soggetti, attraverso il quale
porre loro specifici quesiti in merito alle modalit à con cui si intende condurre il processo di
VAS e sulle informazioni che si intende inserire ne l rapporto ambientale.
Rispetto all’esperienza personale della VAS del Com une di Alghero si evidenziano a seguire
alcune criticità riscontrate durante questa fase, r iscontrabili anche negli altri casi studio
esaminati. Nei tre incontri di scoping, convocati e organizzati dal Comune, si è registrata
l’assenza di una gran parte dei soggetti competenti in materia ambientale invitati.
Probabilmente, questa non adeguata partecipazione è da attribuire da un lato, da parte dei
soggetti mancanti, alla non consapevolezza dell’imp ortanza del contributo che potevano dare
al processo di VAS, dall’altro, da parte del Comune , alla frettolosità e alla debolezza
metodologica che hanno caratterizzato le modalità o rganizzative degli incontri. Questi ultimi
si sono incentrati più su discussioni inerenti lo s tato dell’ambiente algherese e sulle sue
criticità, che sull’esame dei contenuti del piano; probabilmente ciò è dipeso dall’assenza agli
incontri di molti attori-chiave e dei rappresentant i della comunità locale, la cui mancata
partecipazione ha caratterizzato tutto il processo di VAS.

94
In questo quadro critico va considerata, quale ulte riore questione problematica, la difficoltà
dell’Autorità Competente, la Provincia di Sassari, a svolgere, un ruolo proattivo e sussidiario
nella fase di scoping e in linea generale in tutto il processo di VAS. La mancanza di
un’expertise tecnica sulla VAS ha di fatto ridotto il ruolo della Provincia al semplice controllo
formale della procedura.
Rispetto al non coinvolgimento del pubblico e del p ubblico interessato, anche gli altri casi
studio esaminati riflettono le criticità rilevate n elle LG; in linea generale, i buoni presupposti
sulla partecipazione, non sono accompagnate nei doc umenti di scoping, dalla spiegazione
delle modalità operative su come queste andranno re alizzate.
Nel documenti di scoping della VAS del PUC di Simax is, per esempio, si afferma che a
seguito dell’individuazione di (un generico) pubbli co e pubblico interessato si attiveranno
delle (non specificate) modalità di consultazione p er consentire di esprimere un parere sulla
proposta di piano, sul rapporto ambientale e sulla sintesi non tecnica prima dell’adozione
(Comune di Simaxis, 2008, p. 16). Il caso di Simaxi s è singolare perché, si riporta, nello
stesso documento, in maniera contraddittoria rispet to a affermato poco prima che le
consultazioni verranno invece attivate a piano adot tato (Comune di Simaxis, 2008, p. 45). .
Nel documento di scoping della VAS del PUC di Arbor ea si afferma che: il processo di VAS
richiama la necessità di un coinvolgimento struttur ato di soggetti diversi dall'amministrazione
che elabora il PUC. Tali soggetti comprendono Enti Pubblici locali e sovralocali e il pubblico
nelle sue diverse articolazioni (Comune di Arborea, 2008, p. 24): ma non si spiega da nessuna
parte nel documento come avviene tale “coinvolgimen to strutturato.”
Come soggetti competenti in materia ambientale, ven gono individuati, nei documenti di
scoping esaminati, in linea di massima, quelli indi viduati, in maniera non esaustiva dalle LG.
Si evidenzia il non coinvolgimento in tal senso del le amministrazioni comunali appartenenti
all’ambito territoriale di riferimento per il PUC ( presenti nell’elenco proposto dalle LG)
nonostante in alcuni casi sia considerato elemento importante (Comune di Arborea, 2008, p.
24) al fine di individuare ambiti comuni di operati vità per progetti di valenza intercomunale.
In nessun documento, tra quelli esaminati, si ripor ta il questionario compilato dai soggetti
competenti in materia ambientale, e, poche volte le osservazioni da essi fatte.

95
Durante lo scoping, manca dunque una democrazia rap presentativa del contesto territoriale o
del settore di riferimento interessato al piano a c ausa del non coinvolgimento del pubblico e
del pubblico interessato, dovuto anche all’orientam ento dato dalle LG in tal senso.
D’altro canto si evidenzia anche un certo disintere sse alla partecipazione da parte dei soggetti
competenti in materia ambientale che invece sono co involti; ciò dovrebbe far riflettere sui
tempi e sulle modalità del loro coinvolgimento, che , probabilmente richiede una
sollecitazione maggiore non facendola apparire come una scelta obbligata imposta dalla
normativa.
5.2.2 La ripercorribilità del processo di formazion e del piano nello scoping
Nelle LG, le fasi della VAS, sembrano far parte di un processo separato da quelle di
formazione del piano. A parte una formale integrazi one (Regione Sardegna, 2010, p. 11), esse
non sono correlate con le attività che portano alla definizione di obiettivi e azioni.
Si evidenzia la mancanza di una spiegazione del con cetto di obiettivo generale e obiettivo
specifico di piano e di una metodologia per la loro definizione. Gli obiettivi generali,
addirittura, secondo le LG, devono essere definiti già dalla fase di preparazione, prima ancora
della fase di orientamento, se ne deduce quindi, al di fuori della procedura di VAS (Regione
Sardegna, 2010, p. 12). “Il processo di VAS, contes tuale a quello di elaborazione del PUC, è
avviato dall’amministrazione comunale, in qualità d i Autorità procedente, mediante
pubblicazione di apposito avviso, sull’Albo comunal e e sul sito Internet, contenente la prima
definizione degli obiettivi del piano (Regione Sard egna, 2010, p. 15).”
I processi che portano alla definizione degli obiet tivi di piano, nei casi studio esaminati sono
poco chiari e non ripercorribili. Spesso si riscont ra anche una certa confusione e una
mancanza di correlazione tra obiettivi generali, ob iettivi specifici e azioni (Comune di
Arborea, 2008, p. 16; Comune di Simaxis, 2008, p. 3 4); alcune volte gli obiettivi vengono
definiti “generali,” però al loro interno hanno già elementi di specificità (Comune di Posada,
2008, p. 16).
Nel caso del PUC di Alghero, come detto, la VAS è s tata applicata a un piano già definito nei
suoi obiettivi e nelle sue azioni. Nella prima vers ione del documento di scoping, redatto
dall’Amministrazione comunale, obiettivi generali e specifici erano definiti in maniera poco
chiara assieme alle azioni del piano. Il lavoro del gruppo che si è occupato della VAS, è stato,
in concerto con la stessa Amministrazione comunale e con i progettisti del piano, di sintesi e

96
di riordino in modo da ottenere una struttura ad al bero, riportata in tabella 5.2.2_a, che
potesse essere utile nelle successive fasi di valut azione e nel quale risultasse chiara la
correlazione tra obiettivi generali, specifici e az ioni (Comune di Alghero, 2010, p. 13). Tale
articolazione ha facilitato la successiva fase di v alutazione degli effetti delle azioni di piano
sull’ambiente e di definizione del programma di mon itoraggio.

Tabella 5.2.2_a. Articolazione in obiettivi general i specifici e azioni di piano. Fonte Documento di s coping della VAS
del PUC di Alghero.
In riferimento alla definizione delle singole attiv ità, si evidenziano alcune criticità delle LG.
La definizione dell’ambito di influenza, indicata c ome prima attività dello scoping , non è
chiaro in cosa consista; anche nei documenti di sco ping non si ritrova una definizione chiara e
univoca: alle volte include l’analisi ambientale e l’individuazione dei piani e programmi sovra
locali e di pari livello rispetto al PUC (Comune di Arborea, 2008, p. 22), altre anche la
definizione e il riconoscimento dei soggetti, ester ni all'amministrazione, rilevanti per il piano
(Comune di Alghero, 2010, p. 9), mentre, in alcuni casi non si fa nemmeno cenno a tale
definizione (documento di scoping di Posada).
Altre incongruenze si evidenziano nella definizione dell’attività di analisi ambientale: in un
primo momento è definita, come si può vedere nella tabella 5.2_a, come attività dello scoping,
per poi diventare una delle attività della fase di redazione del rapporto ambientale (Regione
Sardegna, 2010, p. 34) e attività che si sovrappone al riordino della conoscenza, prevista
nell’ambito del processo di redazione dei PUC (Regi one Sardegna, 2010, p. 55). In

97
quest’ultima definizione si rimarca ancora una volt a nelle LG la separazione tra il processo di
formazione di piano e quello valutativo.
L’analisi ambientale, ha l’obiettivo di fare una di agnosi della situazione ambientale di
partenza attraverso lo studio di una serie di temat iche: qualità dell’aria; acqua; rifiuti; suolo;
flora, fauna e biodiversità; paesaggio e assetto st orico culturale; assetto insediativo e
demografico; sistema economico produttivo; mobilità e trasporti energia; rumore (Regione
Sardegna, 2010, p. 36).
Per ciascuna delle tematiche ambientali sopraelenca te è stata predisposta una scheda di sintesi
in cui sono indicate le informazioni da reperire pe r l’analisi delle singole componenti,
distinguendo gli indicatori da elaborare e la event uale cartografia da produrre. Per ciascuna
tipologia di informazione, a fianco agli aspetti da analizzare, sono specificati gli indicatori da
misurare e le modalità per il loro popolamento, non ché la fonte di reperimento dei dati
(Regione Sardegna, 2010, pp. 56-81). Tali schede, s ono sempre riportate e compilate (anche
parzialmente) nei documenti di scoping, dove però n on si ritrova mai una esplicita analisi
delle criticità ambientali e di come queste possano essere affrontate nel piano, in termini di
obiettivi e azioni. Inoltre nei documenti di scopin g esaminati il set di indicatori scelti non è
mai contestualizzato alla realtà del Comune che si sta analizzando, ed è dunque
potenzialmente riferibile a qualsiasi contesto terr itoriale.
Tra le attività definite dalle LG per lo scoping co me si può vedere in tabella 5.2_a, è prevista
l’individuazione del quadro pianificatorio di rifer imento e degli obiettivi/criteri di sostenibilità
ambientale, nonché gli obiettivi ambientali da inse rire nel piano. Si afferma che, nella fase di
scoping dovrebbe essere prodotto un elaborato tecni co che illustri, tra gli altri, aspetti inerenti
gli strumenti di pianificazione con i quali il PUC si relaziona, sia di pari livello, sia sovra
ordinati, senza però spiegarne il fine (Regione Sar degna, 2010, p. 23). I documenti di scoping
riportano solo l’elenco dei piani, la cui analisi è quasi sempre rimandata alla fase di redazione
del rapporto ambientale.
Rispetto all’individuazione degli obiettivi/criteri di sostenibilità, nelle LG, oltre ai principi di
cui al c. 2, art. 3 delle N.T.A. del PPR, 89 si indica che si può far riferimento ai dieci crit eri

89 I principi elencati dalle NTA sono: controllo dell ’espansione della città; gestione dell’ecosistema u rbano secondo il
principio di precauzione; la conservazione e svilup po del patrimonio naturale e culturale; l’alleggeri mento dell’eccessiva
pressione urbanistica, in particolare delle zone co stiere; le politiche settoriali nel rispetto della conservazione della diversità
biologica; le strategie territoriali integrate per le zone ecologicamente sensibili; la protezione del suolo con la riduzione di

98
proposti dal “Manuale per la valutazione ambientale dei Piani di Sviluppo Regionale e dei
Programmi dei Fondi strutturali dell’Unione Europea ” (Commissione Europea, DGXI
Ambiente, Sicurezza Nucleare e Protezione Civile – Agosto 1998). 90 Si consiglia di tener
presente l’opportunità, nella predisposizione del P UC, di tenere in considerazione i dieci
obiettivi suddetti valutando attraverso quali scelt e strategiche e attraverso quali azioni
specifiche tali obiettivi possano essere concretame nte perseguiti (Regione Sardegna, 2010,
p.16).
Non è rimarcato nelle LG che, la valutazione della sostenibilità del piano dovrebbe essere
cruciale nella fase di orientamento e che gli obiet tivi della tutela ambientale devono essere
considerati nel momento in cui le decisioni vengono prese: tale considerazione deve avvenire
su una posizione di parità con le altre variabili ( economiche, sociali) che costituiscono oggetto
della decisione (Caratti e Tarquini, 2002). Inoltre non si fa cenno al fatto che gli obi ettivi
specifici del piano dovranno essere relazionati ai suddetti criteri, con la finalità di definizione
per il territorio in esame di una serie di obiettiv i (propri) locali di sostenibilità (Mondini e
Norberti, 2008). Solo la contestualizzazione dei cr iteri ne garantisce una funzione efficace a
migliorare la qualità della programmazione e della pianificazione (Zoppi, 2010).
Nei diversi documenti di scoping, la sostenibilità ambientale del piano è generalmente
accennata in un isolato paragrafo del documento con una frase standard in cui si afferma che,
partendo dai dieci criteri di sostenibilità, di cui si diceva pocanzi, saranno definiti gli obiettivi
di sostenibilità ambientale contestualizzati alle r ispettive realtà comunali (Comune di
Arborea, 2008, p. 16; Comune di Simaxis, 2008, p. 3 8), o che gli obiettivi di piano saranno
sottoposti ad una verifica di coerenza rispetto ai dieci criteri contestualizzati alla realtà
territoriali (Comune di Alghero, 2010, p. 37); la d efinizione vera e propria degli obiettivi di
sostenibilità ambientale è rimandata alla fase di r edazione del rapporto ambientale. Stesso

erosioni, la conservazione e il recupero delle gran di zone umide; la gestione e il recupero degli ecos istemi marini; la
conservazione e gestione di paesaggi di interesse culturale, storico, estetico ed ecologico; una più adeguata compatibilità
delle misure di sviluppo che incidano sul paesaggio ; il recupero dei paesaggi degradati da attività um ane.
90 Commissione Europea, DGXI Ambiente, Sicurezza Nucle are e Protezione Civile – agosto 1998. I criteri son o: 1 ridurre al
minimo l’impegno delle risorse energetiche non rinn ovabili; 2 impiego delle risorse rinnovabili nei li miti della capacità di
rigenerazione; 3 uso e gestione corretta, dal punto di vista ambientale, delle sostanze e dei rifiuti pericolosi/inquinanti; 4
conservare e migliorare lo stato della fauna e dell a flora selvatiche, degli habitat e dei paesaggi; 5 conservare e migliorare la
qualità dei suoli e delle risorse idriche; 6 conser vare e migliorare la qualità delle risorse storiche e culturali; 7 conservare e
migliorare la qualità dell’ambiente locale; 8 prote zione dell’atmosfera; 9 sensibilizzare alle problem atiche ambientali,
sviluppare l’istruzione e la formazione in campoamb ientale; 10 promuovere la partecipazione del pubbli co alle decisioni che
comportano uno sviluppo sostenibile. Documento disp onibile in internet all’indirizzo: http:// www.prov incia.lucca.it/
ambiente/astrale/files/approfondimento_manuale.pdf [ultimo accesso: 01 marzo 2012]

99
rimando anche nel documento di scoping della VAS de l PUC di Posada dove ci si sofferma
non poco sulla definizione degli obiettivi di prote zione ambientale necessari per realizzare la
valutazione ambientale del piano, attraverso una co mparazione fra tali obiettivi e gli obiettivi
del PUC (Comune di Posada, 2008, p. 34). Gli obiett ivi di protezione ambientale in questo
caso saranno definiti a partire dall’analisi del co ntesto ambientale e dall’esame di piani,
programmi e strategie nazionali e comunitarie (Comu ne di Posada, 2008, p. 34). Ad ognuno
degli obiettivi di protezione ambientale così indiv iduati saranno associati, quando disponibili,
i target di riferimento definiti a livello nazional e e comunitario ed un set di indicatori coerente
con quelli proposti a livello internazionale (EEA, Eurostat, OCSE, ONU) e nazionale (ISTAT,
APAT) necessario per il monitoraggio degli effetti ambientali del PUC. Si afferma inoltre,
nello stesso documento, che gli obiettivi saranno i ndividuati sia per le componenti ambientali
sia per i fattori di integrazione ambientale (che n on vengono definiti da nessuna parte nel
documento).
Il problema, nei casi esaminati, non è tanto consid erare o no il tema della sostenibilità, ma
piuttosto rendere chiaro ed esplicito il meccanismo attraverso il quale, definire gli obiettivi di
sostenibilità, che devono essere obiettivi di piano e non, usati esclusivamente, per la
valutazione ambientale di quest’ultimo. Sarebbe opp ortuno, inoltre, considerare, oltre a quella
ambientale, anche le altre dimensioni della sosteni bilità e quindi integrare obiettivi economici
e sociali con gli obiettivi ambientali.
E’ curioso notare che, le attività principali, indi viduate dalle LG per la fase di scoping
(l’analisi ambientale, identificazione del quadro p ianificatorio di riferimento e degli
obiettivi/criteri di sostenibilità ambientale, l’in dividuazione degli obiettivi ambientali da
inserire nel piano) sono nella pratica posticipate alla fase di redazione del rapporto
ambientale. Eppure, anche senza aver svolto attivit à così importanti, nei documenti di scoping
esaminati, come visto, obiettivi e azioni di piano sono già riportati, pur non spiegando le
modalità di definizione. Si può dunque concludere c he, alla fase di orientamento, è data poco
importanza e che l’integrazione della VAS nel proce sso di formazione di un piano è solo
teorica.
5.3 La redazione del rapporto ambientale
Il rapporto ambientale deve dare conto dell’intero processo di elaborazione e adozione del
piano, dimostrando che i fattori ambientali sono st ati integrati nel processo decisionale con

100
riferimento agli atti normativi e programmatici per lo sviluppo sostenibile definiti a livello
internazionale, comunitario, nazionale e regionale. In esso devono essere indicati gli obiettivi,
le linee d’azione da seguire e la stima degli effet ti che la loro attuazione potrà determinare
sull’ambiente. Il piano, rispetto alle indicazioni del rapporto ambientale, dovrà essere affinato
e adeguato sulla base dei risultati della valutazio ni (Regione Sardegna, 2010, p. 16).
A seguire si tratterà la ripercorribilità del proce sso di formazione del piano nei casi studio,
usando come chiave di lettura le attività definite dalle LG rappresentate in tabella 5.3_a. Si
vedrà inoltre la partecipazione nella fase di redaz ione del rapporto ambientale.

Tabella 5.3_a. Attività nella fase di redazione del rapporto ambientale. Fonte LG p. 13
5.3.1 La ripercorribilità del processo di formazion e del piano nel rapporto ambientale
Dalle cose dette a conclusione della fase di scopin g si deduce che, nonostante i presupposti
teorici difficilmente il rapporto ambientale può ri percorrere il processo di formazione del
piano, essendo questo, nella maggior parte dei casi , un processo separato da quello di VAS.
Gli obiettivi e le azioni sono definiti al di fuori dalla VAS: essendo piani in adeguamento al
PPR molti di essi ne traducono i principi e gli ind irizzi (Comune di Stintino, 2010, p. 26),
altri, definiscono obiettivi e azioni sulla base di analisi sul fabbisogno abitativo (Comune di
Sestu, 2008, p. 33), altri in seguito alla costruzi one di un (non determinato) quadro
conoscitivo (Comune di Oristano, 2009, p. 26).
Non c’è mai, nei casi studio esaminati, una chiara correlazione tra la definizione degli
obiettivi e azioni di piano e le attività indicate per la redazione del rapporto ambientale, vedi
tabella 5.3_a, alcune delle quali, rilettura unitar ia del territorio, prime ipotesi di messa in

101
valore delle caratteristiche/opportunità presenti s ul territorio , non vengono mai nemmeno
esplicitate.
Individuazione degli ambiti di paesaggio locali
La definizione degli ambiti di paesaggio locali, de finita dalle LG come una delle prime fasi
per la redazione di un rapporto ambientale (Regione Sardegna, 2010, p. 13) aspetto peculiare
dell’adeguamento dei Comuni al PPR, 91 risulta formulata solo in alcuni dei rapporti
ambientali (Comune di Arborea, 2008, p. 15; Comune di Stintino, 2010, p. 29, Comune di
Simaxis, p. 42) tra quelli analizzati. Gli ambiti d i paesaggio sono stati individuati
“considerando la particolare e specifica interazion e fra connotati storico-culturali, ambientali
e insediativi, identificando il sistema di relazion i territoriali riconosciute dalle comunità locali
che costituiscono pertanto sia i luoghi d’interazio ne delle risorse del patrimonio ambientale,
naturale, storico culturale e insediativo, sia i lu oghi del progetto del territorio” (Comune di
Arborea, 2008, p. 15). L’identificazione in ambiti di paesaggio locale ha permesso, in tali
casi, di articolare spazialmente le opzioni strateg iche e gli indirizzi di politica territoriale e di
usarle come riferimento per tutte la fasi della VAS ; in particolare per la definizione degli
obiettivi specifici, per l’analisi ambientale e per la definizione degli indicatori nel programma
di monitoraggio.
Prime bozze alternative del progetto di PUC
Nelle LG per l’attività di individuazione delle boz ze alternative di progetto del PUC, vedi
tabella 5.3_a (Regione Sardegna, 2010, p. 13), non sono date indicazioni sulle modalità per la
loro determinazione, valutazione e confronto.
Nei casi studio esaminati le alternative di progett o, a parte degli accenni sul riconoscimento
della loro importanza, sono assenti in maniera tota le.
Nel rapporto ambientale del PUC del Comune di Carbo nia (Comune di Carbonia, 2009, p. 88)
si afferma che poiché l’opportunità dell’alternativ a zero è non praticabile, data
l’obbligatorietà all’adeguamento dello strumento, d i aver definito una serie di alternative, ma
di esse non si fa in seguito cenno alcuno.

91 Si veda a tal proposito il riferimento all’art. 10 7 delle Norme tecniche di attuazione del PPR, citato nella premessa del
capitolo.

102
Nel rapporto ambientale del PUC di Arborea la situa zione è la medesima (Comune di
Arborea, 2008, p. 7), quando si descrive la procedu ra di VAS, si afferma che esse siano
fondamentali e di supporto al decisore nella formaz ione degli indirizzi e delle scelte di
pianificazione (p. 8), ma di fatto di esse non vi è traccia nel documento.
La lettura del rapporto ambientale del PUC di (Comu ne di Sestu, 2008, p. 42) dove si afferma
che: il piano oggetto di valutazione, rappresenta l ’alternativa al piano adottato in precedenza,
pone interrogativi sulla concettualizzazione del te rmine alternativa e sul suo significato.
Nei casi esaminati non sì è applicato quanto sugger ito dalla Direttiva 2001/42/CE, secondo la
quale il contributo che la VAS può dare al piano in termini di sostenibilità è una valutazione
che deve avere per oggetto scenari e alternative re alizzabili.
Analisi ambientale
Rispetto alla tempistica con cui deve essere svolta l’analisi ambientale, nelle LG, come già
detto, si fa un po’ di confusione: si include dappr ima come attività dello scoping, si afferma
poi che la raccolta delle informazioni utili per la stessa potrà essere integrata all’interno del
processo di adeguamento del PUC al PPR nella fase d i analisi territoriale e di riordino della
conoscenza (Regione Sardegna, 2010, p. 35), infine è collocata nella fase di redazione del
rapporto ambientale. Si ritiene a tal proposito non abbia molto senso che essa venga fatta nel
rapporto ambientale e quindi in una fase avanzata d ella valutazione in quanto oltre che
funzionalmente alla valutazione degli effetti del p iano sull’ambiente dovrebbe servire a
determinare obiettivi e azioni di piano specifici d i protezione ambientale.
Le LG definiscono l’analisi ambientale come la diag nosi della situazione ambientale del
territorio comunale e l’esame dello stato qualitati vo di una serie di componenti ambientali. Il
risultato di tale analisi deve rappresentare la bas e conoscitiva dello stato dell’ambiente del
territorio interessato dall’attuazione del piano e dovrà consentire lo svolgimento delle
successive valutazioni sugli effetti che l’attuazio ne dello stesso potrà determinare
sull’ambiente. L’analisi ambientale, pertanto, cons iste nel rilevare e combinare una serie di
informazioni inerenti lo stato delle risorse natura li e le relative pressioni esercitate su queste
da fattori antropici e/o produttivi, al fine di ril evare eventuali criticità ambientali che
potrebbero essere condizionate dall’attuazione del PUC, e di evidenziare vocazioni del
territorio che potrebbero essere esaltate dallo ste sso (Regione Sardegna, 2010, p. 35).

103
Per rappresentare in maniera sintetica i risultati dell’analisi ambientale le LG suggeriscono
l’uso dell’analisi SWOT, 92 che consente di individuare le opportunità di svil uppo di un
territorio derivanti dalla valorizzazione dei punti di forza e dal contenimento dei punti di
debolezza, alla luce del quadro di opportunità e ri schi che, di norma, deriva dalle azioni
previste nel piano. L’analisi SWOT, si pone come va lido strumento di supporto alle decisioni,
capace di individuare le strategie di sviluppo del territorio in relazione ad un obiettivo globale
di sviluppo sostenibile, evidenziando in che modo l a strategia di sviluppo delineata dal piano
potrà contribuire allo sviluppo sostenibile del con testo territoriale o, viceversa, quali effetti
negativi rischia di comportare (Regione Sardegna, 2 010, p. 36).
Nonostante il percorso su come svolgere l’analisi a mbientale sia ben articolato all’interno
delle LG, da nessuna parte indicano come questa si ricolleghi alla definizione degli obiettivi
del piano.
Anche nei casi esaminati l’analisi ambientale in ge nerale, non risulta elemento cardine su cui
basare la scelta degli obiettivi di piano.
Nel rapporto ambientale della VAS del PUC di Algher o l’analisi ambientale viene fatta, dopo
la definizione delle azioni di piano, propedeuticam ente alla identificazione e valutazione dei
loro effetti sul territorio (Comune di Alghero, 201 0, p. 79). In questo caso l’analisi per
ciascuna componente ambientale (le stesse individua te dalle LG), è stata articolata in analisi
dello stato attuale, analisi SWOT, analisi quantita tiva e qualitativa degli indicatori e
definizione di un giudizio sintetico sulla qualità dei dati a disposizione. Prezioso è stato, per la
selezione degli indicatori, il contributo dei pochi soggetti competenti in materia ambientale
intervenuti agli incontri di scoping;93 in tal senso, i soggetti che sono stati invitati m a che non
si sono presentati, avrebbero potuto dare anch’essi un fondamentale aiuto in questa fase, in
particolare per il popolamento degli indicatori, pe r molti dei quali soprattutto con riferimento
ad alcune componenti, assieme al reperimento dei da ti è stato difficoltoso e con risultati
scarsi. 94

92 SWOT è l’acronimo dei seguenti termini inglesi: Strenghts (punti di forza), Weaknesses (punti di debolezza),
Opportunities (opportunità) e Threats (minacce).
93 In particolar modo di ARPAS, ASL e Servizio Regional e Ambiente e Valutazione Impatti (SAVI).
94 Una componente critica dal punto di vista della di sponibilità dei dati è stata la componente rumore; la società che gestisce
l’aeroporto cittadino non è stata tra i soggetti ch e hanno partecipato alla VAS, mentre avrebbe potuto dare un contributo
importante sia in termini di reperimento di dati si a di definizione di obiettivi di piano.

104
L’analisi SWOT viene usata in molti dei rapporti am bientali esaminati (Arborea, Stintino,
Alghero, Carbonia). Alle volte si riferisce ad ambi ti spaziali ben precisi, quali ambiti di
paesaggio locale (Comune di Arborea, 2008, pp. 59-7 0), o alle zone omogenee del piano
regolatore generale attualmente vigente (Comune di Stintino, 2008, pp. 111-145). Questo tipo
di analisi ha il vantaggio che il modello valutativ o è appoggiato a un effettivo e reale assetto
del territorio che potenzialmente va a modificarsi nel passaggio dallo strumento vigente a
quello di progetto. Altre volte l’analisi SWOT è or ganizzata in termini di tematiche 95
(Comune di Carbonia, 2009, p. 67) riferite al terri torio in esame (ma non riconducibili
all’analisi delle componenti), oppure per assetti ( ambientale, assetto storico culturale,
insediativo) sulle componenti (Comune di Tortoli, 2 010, pp. 70-80). Nella maggior parte dei
casi la SWOT non è funzionale alla formulazione di obiettivi legati alle criticità e opportunità
riscontrate nel territorio; l’analisi ambientale in questo modo sembra esclusivamente
analizzare lo stato dell’ambiente ante operam . Solo nel caso del rapporto ambientale del PUC
di Arborea, dai risultati dell’analisi ambientale e in particolare dall’analisi SWOT vengono
definiti degli indirizzi utili per la riformulazion e degli obiettivi specifici di piano, definiti in
prima battuta già documento di scoping (Comune di A rborea, 2008, p. 89).
Definizione degli obiettivi specifici delle linee d ’azione e costruzione delle alternative
Nelle LG, la definizione degli obiettivi specifici è individuata nella fase di redazione del
rapporto ambientale (Regione Sardegna, 2010, p. 13) , ma non è definito in maniera chiara il
percorso di definizione e la correlazione con le at tività per essa definite. Stessa problematica
si riscontra nei casi esaminati; nella maggior part e dei casi gli obiettivi specifici vengono
determinati anche prima della redazione del rapport o ambientale già nel documento di
scoping senza specificarne il criterio di determina zione (Alghero, Posada, Simaxis, Arborea),
trascendendo alle volte anche dagli obiettivi gener ali (Comune di Sestu, 2008, p. 33).
Nei casi studio si rileva anche una non correlazion e tra azioni di piano e obiettivi specifici
(Comune di Arborea, 2008, pp. 97-106, Comune di Car bonia, 2009, pp. 17-19).
Analisi di coerenza esterna con riferimento ai pian i sovraordinati
L’analisi del quadro programmatico, è definita nell e LG in parte nella fase di orientamento
(come sola individuazione dei piani di riferimento) e in parte nella redazione del rapporto

95 Ambiente urbano, ambiente rurale, medaus, situazion e ambientale, assetto sociale, trasporti, assetto e conomico, attività
turistiche, cultura, mercato del lavoro.

105
ambientale (analisi di coerenza esterna); questa im postazione metodologica vanifica
senz’altro il ruolo della VAS come strumento fondam entale per coordinare i processi di
pianificazione capace di promuovere la sostenibilit à anche nel contesto delle decisioni
programmatiche strategiche (Tarquini, 2001).
Le LG, in pratica riducono il fine di questa attivi tà alla valutazione se le linee di sviluppo
delineate dal piano sono coerenti con gli indirizzi previsti da altri piani e/o programmi già
esistenti e con i quali il PUC potrebbe avere delle interazioni. A tal fine individuano un elenco
non esaustivo di piani, oltre al PPR, rispetto al q uale la coerenza degli strumenti urbanistici è
implicita nello stesso processo di adeguamento, che dovranno essere, se pertinenti, esaminati
(Regione Sardegna, 2010, p. 37).
La tipica modalità adottata nel condurre l’analisi del quadro programmatico esistente è
riportare, nel rapporto ambientale, una sintesi dei piani e programmi di riferimento senza
spiegarne la correlazione in termini di definizione degli obiettivi del PUC (Comune di Sestu,
2008, pp. 11-33).
All’analisi del quadro programmatico, segue un’anal isi di coerenza esterna che non è altro che
un confronto tra gli obiettivi dei piani esaminati e gli obiettivi del PUC, senza specificare in
che modo tale confronto potrebbe risultare utile ai fini della costruzione della strategia di
piano oggetto della valutazione (Comune di Elini, 2 010, pp. 47-48). Soltanto in alcuni casi
essa risulta utile per la formulazione di indirizzi per la ridefinizione degli obiettivi specifici
del PUC (Comune di Arborea, 2008, pp. 21-38; Comune di Stintino, 2010, pp. 32-91).
L’analisi di coerenza, tipicamente, è svolta tra ci ascun obiettivo specifico del PUC con
ognuno degli obiettivi derivanti dall'analisi dei p iani sovraordinati, considerando una serie di
scale di interazione che ne raccontano la coerenza e/o l’incoerenza rispetto all’obiettivo
esaminato (Comune di Oristano, 2009, pp. 168-174).
Analisi di coerenza con gli obiettivi/criteri di so stenibilità ambientale
Come già visto, le LG affermano che, l’obiettivo pr incipale della VAS è la rispondenza
dell’intervento con gli obiettivi di sviluppo soste nibile, verificandone il complessivo impatto
ambientale ovvero la diretta incidenza sulla qualit à dell'ambiente.
Nei casi analizzati, è evidente come il concetto de lla sostenibilità, nella VAS, sia lasciato ad
una sequenza di interpretazioni, che poco raccontan o del suo significato intrinseco. Dire che il

106
piano o gli obiettivi sono di carattere sostenibile , non significa che basti fare riferimento ai
criteri di sostenibilità o metterli a confronto con una serie di obiettivi formulati in maniera
incerta. Tornando al quesito posto come titolo del capitolo primo è necessario trovare nella
VAS e più in generale nella gestione dei processi d ecisionali, un percorso operativo che
consenta l’effettivo conseguimento della sostenibil ità delle scelte.
Nei casi studio esaminati il concetto di sostenibil ità viene affrontato dapprima esaltandone la
fondamentale importanza nei processi di formazione dei piani (Comune di Oristano, 2009,
p.17) per poi essere ridotto a una elencazione dei soliti criteri proposti dal Manuale UE con
l’affermazione che gli stessi saranno contestualizz ati al territorio a cui si riferiscono (Comune
di Oristano, 2009, p. 25). Tutto si riduce, anche i n questo caso, a una verifica di coerenza a
posteriori con i criteri (Comune di Oristano, 2009, p.10); alle volte non si parla nemmeno di
contestualizzazione limitandosi all’elencazione dei criteri (Comune di Carbonia, 2009, pp. 73-
74).
Nel rapporto ambientale del PUC di Arborea il conce tto di sostenibilità in riferimento alla
formulazione degli obiettivi è il seguente (Comune di Arborea, 2008, p. 90): “per
l’integrazione degli aspetti ambientali nel process o di adeguamento del PUC di Arborea al
PPR, si è fatto riferimento ai dieci criteri di sos tenibilità proposti dal Manuale UE. Tali criteri,
esplicitati e dettagliati in obiettivi di sviluppo sostenibile sono volti a diminuire,
nell’attuazione delle politiche di settore, la pres sione sull’ambiente e ad incidere direttamente
sulla qualità ambientale”; gli obiettivi così otten uti rappresentano la base per la valutazione di
coerenza con gli obiettivi specifici di piano (Comu ne di Arborea, 2008, pp. 97-106).
Nel rapporto ambientale della VAS del PUC di Badesi , gli obiettivi di sostenibilità ambientale
sono definiti a partire dal contesto ambientale e d all’esame dei piani e programmi di
riferimento; sulla base degli obiettivi ambientali individuati è selezionato un set di indicatori
chiave scelto tra quelli considerati maggiormente r appresentativi per ciascuna delle
componenti ambientali considerate. A tali obiettivi , in seguito “opportunamente” calibrati per
il contesto territoriale di Badesi (Comune di Bades i, 2009, p. 42), sono associati obiettivi di
sviluppo sostenibile selezionati prendendo a riferi mento alcuni documenti di rilievo
internazionale. 96

96 La Strategia dell’Unione europea in materia di svi luppo sostenibile del 2006; La Strategia comunitari a 20-20-20 del 2007;
gli Aalborg Commitments del 2004.

107
Stessi riferimenti e stesso approccio utilizzati ne l rapporto ambientale di Badesi, sono
proposti nel caso del rapporto ambientale del PUC d i Posada (Comune di Posada, 2008, p.
58), dove non si evidenzia però il legame tra gli o biettivi di protezione ambientale e gli
obiettivi generali proposti per il piano.
Completamente diverso l’approccio usato nella VAS d el PUC del Comune di Sestu e nella
VAS del Comune di Alghero. Nel primo caso vengono d efiniti degli obiettivi ambientali
(diversi da quelli di piano), senza specificare esa ttamente come questi sono stati ottenuti e poi
messi a confronto con gli obiettivi di pianificazio ne (Comune di Sestu, 2008, p. 42).
Nel secondo caso sono individuati obiettivi riferit i al concetto di sostenibilità, che sono
diventati obiettivi di piano, 97 come si può vedere nella tabella 5.3.1_a.

Tabella 5.3.1_a. Definizione degli obiettivi genera li di piano. Fonte Rapporto ambientale della VAS del PUC di Alghero.
Stima degli effetti ambientali. Confronto e selezio ne delle alternative
A proposito dell’analisi degli effetti ambientali d el piano, le LG (Regione Sardegna , 2010, p.
16) indicano che per procedere all’affinamento del PUC è necessario procedere alla stima
degli effetti che l’attuazione delle azioni e degli interventi può determinare sull’ambiente, in
modo da poter adeguare il piano sulla base dei risu ltati di tali valutazioni.
Nell’ambito del processo di VAS la stima degli effe tti che l’attuazione di un piano può
determinare sull’ambiente, rappresenta una delle fa si più importanti. A tale proposito occorre
evidenziare come nel processo di VAS la valutazione degli effetti non possa raggiungere un

97 Il potenziamento degli elementi di sostenibilità d el PUC e definito come obiettivo generale, per la qu ale sono stati definiti i
seguenti obiettivi specifici: riduzione dell’impieg o di risorse non rinnovabili; impiego delle risorse rinnovabili nei limiti della
capacità di rigenerazione; conservazione e migliora mento della qualità dei suoli e delle acque. A cias cuno di questi obiettivi
corrispondono delle azioni di piano.

108
livello di dettaglio paragonabile a quello ottenibi le nei processi di VIA (Regione Sardegna,
2010, p. 38).
La VAS deve condurre all’individuazione della soluz ione che consenta il raggiungimento
degli obiettivi perseguiti dal piano, garantendo al lo stesso tempo, anche attraverso la
definizione di opportune misure di mitigazione, la maggiore protezione dell’ambiente. I
potenziali effetti che l’attuazione del piano potre bbe determinare sull’ambiente devono essere
individuati e stimati in relazione alle alternative di piano con cui lo stesso potrà essere attuato
(Regione Sardegna, 2010, p. 38).
Le LG non definiscono in nessun punto che cosa sian o gli effetti ambientali, forniscono però
alcuni criteri generali di base per la loro valutaz ione (Regione Sardegna, 2010, p. 13):
– gli effetti sull’ambiente dovrebbero essere valut ati su tutte le componenti esaminate
nell’analisi ambientale iniziale, ad eccezione dell e componenti “sistemi produttivi” e
“mobilità e trasporti” che, seppure incluse nell’an alisi ambientale, non devono essere
considerate nella valutazione degli effetti, in qua nto non rappresentano potenziali bersagli di
un’azione di piano ma, semmai, delle pressioni. L’a nalisi di tali componenti è tuttavia
necessaria ai fini della costruzione dello stato de ll’ambiente in quanto consente di ottenere
informazioni sulle pressioni esercitate nell’area d i influenza del piano;
– nella valutazione degli effetti ambientali si dov rebbe verificare che le azioni del progetto
urbanistico abbiano tenuto in considerazione i risu ltati emersi dall’analisi ambientale, sia in
termini di criticità da risolvere sia di opportunit à da perseguire;
– il sistema di valutazione degli effetti ambiental i dovrebbe poter essere formalizzato in modo
da garantire la ripercorribilità del processo. In t al senso si sconsiglia l’utilizzo di sistemi
eccessivamente discrezionali e basati su confronti di tipo puramente qualitativo;
– la valutazione degli effetti ambientali dovrebbe tenere conto sia degli effetti ambientali
diretti che di quelli indiretti (non definiti all’i nterno delle LG);
– nella valutazione degli effetti ambientali dovreb bero essere considerati anche gli impatti
cumulativi derivanti dal concorso su una stessa com ponente ambientale degli effetti
imputabili a più azioni, ovvero dalla sommatoria de gli effetti imputabili ad un’azione quando
questa si aggiunge ad altre passate, presenti e rag ionevolmente prevedibili azioni future.

109
La valutazione degli effetti ambientali dovrebbe es sere condotta per le diverse alternative di
piano proposte, al fine di consentire l’individuazi one della soluzione che consenta di
perseguire gli obiettivi di sviluppo del territorio con i minori impatti sull’ambiente.
Per la valutazione degli effetti così individuati i metodi generalmente utilizzati si basano su
valutazioni quali – quantitative, indicate con un a ggettivo (buono, medio, sufficiente, discreto,
ecc.) o con un colore (secondo una scala cromatica codificata) o con apposita simbologia
(secondo una legenda codificata), oppure si basano su valutazioni quantitative numeriche
nelle quali si fa riferimento a determinate scale d i valori (Regione Sardegna, 2010, p. 39).
Nel caso delle valutazioni numeriche, inoltre, poss ono essere utilizzate sia scale di valori
assolute, che relative, ovvero costruite secondo un sistema di pesi che permetta di tenere
conto, ad esempio, della sensibilità di una determi nata componente ambientale rispetto ad
altre (Regione Sardegna, 2010, p. 39).
Dall’esame dei casi studio in riferimento ai suddet ti criteri, è possibile affermare che in linea
generale nella valutazione degli effetti ambientali , soltanto in pochi casi (Oristano e Sestu) si
verifica che le azioni del progetto urbanistico abb iano tenuto in considerazione i risultati
emersi dall’analisi ambientale, sia in termini di c riticità da risolvere sia di opportunità da
perseguire.
Sugli effetti, nei casi studio esaminati, quasi mai si chiarisce se l’analisi considera gli effetti
diretti o indiretti.
In tutti i casi analizzati la valutazione degli eff etti ambientali non è condotta per le alternative
di piano, essendo queste totalmente assenti all’int erno dei rapporti ambientali.
Per quanto riguarda, più specificatamente, le metod ologie utilizzate, esse sono basate sulla
compilazione di liste di controllo e di matrici che consentono di mettere in correlazione le
azioni di piano con le componenti ambientali. L’inc rocio delle azioni con le diverse
componenti consente di individuare i potenziali eff etti che ogni azione potrebbe determinare
sulle stesse. Con riferimento a queste ultime, nono stante le LG suggeriscano di non valutare
gli effetti sulle componenti “sistemi produttivi” e “mobilità e trasporti,” alcuni dei rapporti
ambientali esaminati valutano gli effetti anche su queste componenti (Badesi, Alghero,
Posada, Stintino).
La valutazione degli effetti sull’ambiente è effett uata in alcuni casi tramite l’uso di matrici
con un’indicazione sintetica dell’entità dei potenz iali effetti di impatto su ciascuna
componente ambientale. In altri viene fatta in mani era discorsiva o solo sulle componenti che

110
potenzialmente potrebbero avere degli effetti dall’ attuazione delle azioni di piano (Comune di
Badesi, 2009 , pp. 68-69) o senza riferimento espli cito alle componenti indicate dalla LG
(Comune di Arborea, 2008, pp. 97-106).
Nel caso del PUC di Posada è stata utilizzata una m atrice di verifica degli impatti che correla
le componenti ambientali con gli interventi previst i dal PUC attraverso una valutazione
“pesata” degli effetti ambientali generati, che con sente una rappresentazione dell’intensità con
la quale una determinata componente ambientale è so llecitata dalla realizzazione di un certo
intervento (Comune di Posada, 2008, p. 80).
L’interpretazione della matrice è facilitata dalla predisposizione di due indici sintetici l’indice
di compatibilità ambientale e l’indice di impatto a mbientale. Nella definizione dei due indici
si è tenuto conto anche degli impatti cumulativi e sinergici attraverso un fattore di
cumulabilità degli impatti.
Nel caso della VAS del PUC di Carbonia, si riporta una valutazione qualitativa dei possibili
effetti delle scelte di piano rispetto alle princip ali matrici ambientali (Comune di Carbonia,
2009, p. 79) poi per ogni azioni sono definite la m odalità per il perseguimento degli obiettivi
di piano. A proposito della VAS del PUC di Oristano , le azioni di piano sono state messe a
confronto con criteri di compatibilità contestuali zzati per il territorio di Oristano, attraverso
una matrice di interazione articolata nei tre siste mi strutturanti il piano, ossia quello
insediativo, quello ambientale e quello storico cul turale; le matrici così costruite evidenziano
dunque le interazioni positive, potenzialmente posi tive, negative, potenzialmente negative e
incerte. Le incompatibilità rilevate o potenziali, sono poi analizzate e per ognuna di esse
individuate delle misure finalizzate a minimizzare gli impatti sull'ambiente delle azioni
previste dal piano, attraverso la costruzione di sc hede di approfondimento; tali schede sono
importanti per la redazione del piano, esse, infatt i, contribuiscono in modo da rendere
possibili le scelte risolutive nella piena consider azione e nel rispetto dei fattori ambientali
(Comune di Oristano, 2009, pp. 192-223).
Diverso l’approccio utilizzato nella VAS del PUC di Sestu, nel quale in conformità a quanto
emerso dall’analisi conoscitiva, in accordo con il modello DPSR, 98 sono state determinate in

98 Il modello DPSIR (Determinanti, Pressioni, Stato, Impatti, Risposte), è stato proposto dall’AEA nel 19 95 e trova origine
dal precedente modello PSR, ideato dall’Organizzazio ne per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) .

111
termini quantitativi e qualitativi le pressioni ese rcitate dalle azioni del PUC; l’intensità della
pressione esercitata sugli indicatori delle compone nti ambientali è poi valutata per ognuno dei
sottoinsiemi, assumendo come livello il più penaliz zante tra quelli attribuiti agli indicatori
pertinenti al sottosistema. In particolari gli effe tti sono suddivisi in diretti, indiretti,
cumulativi, sinergici e antagonisti (Comune di Sest u, 2009, pp. 65-72) e analizzati da un
punto di vista qualitativo.
Analisi di coerenza interna
Secondo le LG l’analisi di coerenza interna consent e di verificare la presenza di
contraddizioni all’interno del piano. Attraverso l’ analisi di coerenza è possibile esaminare la
corrispondenza fra base conoscitiva, obiettivi gene rali e specifici, azioni di piano e indicatori
verificando in particolare le seguenti condizioni ( Regione Sardegna, 2010, p.36):
– tutte le criticità ambientali emerse dall’analisi di contesto sono state rappresentate da almeno
un indicatore;
– tutti gli obiettivi del piano sono rappresentati da almeno un indicatore, ovvero non devono
esistere obiettivi non perseguiti o non misurabili nel loro risultato;
– tutti gli effetti significativi dovuti alle azion i devono essere misurati da un indicatore;
– tutti gli indicatori devono essere riferiti almen o a un obiettivo e a una azione, mettendo così
in relazione i sistemi degli obiettivi e delle azio ni.
Questo dovrebbe permettere di individuare, per esem pio, obiettivi non dichiarati, oppure
dichiarati ma non perseguiti, oppure obiettivi e in dicatori conflittuali.
Si possono distinguere una analisi di coerenza oriz zontale e una analisi di coerenza verticale.
L’analisi di coerenza interna verticale si occupa d i verificare la congruenza tra le strategie, le
linee di intervento del piano e l’analisi di contes to socio-economico e ambientale. Si tratta
quindi di valutare la coerenza fra i risultati dell ’analisi di contesto e gli obiettivi che il piano s i
propone e tra gli obiettivi individuati e gli strum enti approntati per il raggiungimento degli
stessi.
L’analisi di coerenza interna orizzontale, invece, verifica l’esistenza di contrasti fra gli
obiettivi specifici del piano e le diverse azioni p reviste, rispetto ad un medesimo obiettivo
generale. Questo permette di verificare la presenza di eventuali ridondanze oltre che
contraddizioni fra le diverse azioni.

112
Gli strumenti per l’analisi di coerenza sono moltep lici come l’utilizzo di matrici coassiali,
l’analisi SWOT o un database relazionale per l’anal isi delle correlazioni esistenti tra diverse
tipologie di piano (Regione Sardegna, 2010, p. 36).
Nei casi analizzati l’analisi di coerenza interna è formulata in diverse maniere; ma nessuno
segue le condizioni indicate dalle LG in riferiment o agli indicatori.
Nel caso della VAS del Comune di Alghero, essa è vo lta a verificare la congruenza reciproca
tra gli obiettivi specifici del piano (Comune di Al ghero, 2010, p. 53-70); l’intersezione può
dar luogo a:
– congruenza, se due obiettivi specifici sono indir izzati verso il perseguimento degli stessi
obiettivi di sostenibilità;
– neutralità, se due obiettivi specifici si indiriz zano verso obiettivi di sostenibilità diversi ma
non confliggenti tra di loro;
– possibile criticità, se due obiettivi specifici p otrebbero confliggere in relazione alle modalità
di realizzazione degli interventi specifici. Nell’u ltima situazione si rimanda alla
prefigurazione di azioni progettuali che, in fase a ttuativa nel perseguire gli obiettivi specifici,
prestino particolare attenzione alla salvaguardia d ell’ambiente e dei paesaggi limitando il più
possibile gli effetti sugli elementi naturali ed an tropici che caratterizzano il territorio
algherese.
Nella VAS del PUC di Carbonia l’analisi intrinseca è finalizzata a verificare la coerenza tra
gli obiettivi del PUC e le azioni che il piano indi vidua per il raggiungimento degli stessi, la
coerenza tra obiettivi e azioni è espressa attraver so una matrice di confronto, nella quale non è
molto chiara la modalità di comparazione (Comune di Carbonia, 2009, p. 70).
Le matrici di correlazione sono utilizzate anche ne l caso della VAS del PUC di Oristano,
strutturata per azioni di piano e criteri di compat ibilità, dalla cui analisi si evincono gli
elementi critici o potenzialmente tali (Comune di O ristano, 2009, pp. 191-204). In questo caso
contrariamente al precedente è chiara la metodologi a adottata tramite una simbologia di
giudizi attribuibili alle singole azioni rispetto a i criteri di sostenibilità (Comune di Oristano,
2009, p. 30).
Nel caso della VAS del PUC di Stintino la “verifica e rappresentazione delle coerenza
interna” consiste in uno schema riepilogativo in cu i sono indicati gli obiettivi specifici e le

113
azioni di piano corrispondenti per il raggiungiment o degli stessi (Comune di Stintino, 2010 ,
pp. 158-161).
Negli altri rapporti ambientali analizzati la coere nza interna non è trattata (Arborea, Badesi,
Posada, Sestu, Simaxis, Tortoli, Elini).
Progettazione del sistema di monitoraggio
Al monitoraggio nelle LG è dedicata una breve tratt azione (Regione Sardegna, 2010, pp. 42-
43) nella quale si evidenzia il fatto che la VAS no n si conclude con l’adozione definitiva del
PUC e del rapporto ambientale, ma prosegue con le a ttività di monitoraggio, finalizzate a
tenere sotto controllo l’evoluzione degli effetti a mbientali significativi derivanti
dall’attuazione del piano, in modo da poter interve nire tempestivamente attraverso opportune
misure correttive. Il sistema di monitoraggio, seco ndo le stesse, dovrebbe definire: gli
elementi da monitorare (componenti ambientali, attu azione delle azioni di piano, ecc.); gli
indicatori da utilizzare; la fonte di reperimento d ei dati, le modalità e la periodicità di
aggiornamento; le soglie critiche in base alle qual i procedere ad attivare misure di ri-
orientamento del piano; le modalità di implementazi one del sistema di monitoraggio (soggetti
responsabili del monitoraggio, fonti finanziarie pe r l’attuazione del sistema, etc.).
Nella maggior dei casi studio esaminati, ci si limi ta a descrivere come il sistema di
monitoraggio sarà strutturato, anche spingendosi al la tempistica attraverso la quale i singoli
indicatori dovranno essere aggiornati, ma di fatto non sono esplicate le relazioni tra strategie
ed effetti che le azioni causano o potrebbero causa re nel tempo nel contesto territoriale in
esame.
E’ lecito affermare che, data l’indiscussa importan za di tale fase, ciò che si riscontra dalla
lettura dei rapporti ambientali in esame, è una for te indeterminatezza degli elementi
strutturanti il sistema di monitoraggio.
Nel rapporto ambientale del PUC di Simaxis, si affe rma che: ai fini della VAS, il
monitoraggio degli effetti ambientali significativi del PUC ha la finalità di:
– osservare l’evoluzione del contesto ambientale di riferimento, anche al fine di individuare
effetti ambientali imprevisti non direttamente rico nducibili alla realizzazione degli interventi;
– individuare gli effetti ambientali significativi derivanti dall’attuazione del piano;
– verificare l’adozione delle misure di mitigazione previste nella realizzazione dei singoli
interventi;

114
– verificare la qualità delle informazioni contenut e nel rapporto ambientale;
– verificare la rispondenza del PUC agli obiettivi di protezione dell’ambiente individuati nel
rapporto ambientale;
– consentire di definire e adottare le opportune mi sure correttive che si rendano necessarie in
caso di effetti ambientali significativi.
Successivamente a tali affermazioni, ci si limita a definire una carrellata di indicatori,
suddivisi per ambiti locali di riferimento, senza d efinire in maniera chiara come impostare il
sistema di monitoraggio, ossia come strutturare la verifica della rispondenza del PUC agli
obiettivi di protezione dell’ambiente individuati n el rapporto ambientale o quali azioni ed
eventuali effetti monitorare (Comune di Simaxis, pp . 128-133) .
A parte il caso il caso del rapporto ambientale del la VAS del PUC del Comune di Alghero
(Comune di Alghero, 2010, pp. 251- 256) dove si att ribuisce ad ogni obiettivo specifico un
indicatore per poter effettuare il monitoraggio del l’attuazione di piano, gli altri rapporti
ambientali elencano una serie di indicatori non cor relati in alcuna maniera con gli obiettivi del
PUC; in alcuni casi vengono riproposti gli indicato ri usati per l’analisi ambientale (Comune di
Posada, 2008, pp. 94-96).
5.3.2 La partecipazione durante la redazione del ra pporto ambientale
Le LG prevedono per la partecipazione nella fase di redazione del rapporto ambientale,
genericamente, una serie di incontri in relazione a lle dimensioni del Comune e alle emergenze
ambientali, con i soggetti competenti ambientali, c on il pubblico e il pubblico interessato
(Regione Sardegna, 2010, p. 48). In particolare in esse, si afferma, che, la partecipazione del
pubblico e del pubblico interessato dovrebbe essere prevista in diversi momenti (non si
specifica quali) nell’ambito dell’intero percorso d i VAS, ciascuno dei quali da condurre con
specifiche finalità (non individuate dalle LG): al fine di garantire la disponibilità delle
necessarie risorse organizzative ed economiche l’am ministrazione comunale dovrebbe
procedere a una preliminare programmazione volta a definire soggetti da coinvolgere,
momenti partecipativi, l’informazione al pubblico p iù ampio e le modalità di conduzione
degli incontri (Regione Sardegna, 2010, p. 44).
Le categorie e i rappresentanti di specifici settor i (pubblico interessato) che si intende
coinvolgere nel processo partecipativo dovrebbero e ssere individuati preliminarmente
(Regione Sardegna, 2010, p. 44); rispetto a questa aspetto, si è visto dall’analisi dei documenti
di scoping che tale individuazione preliminare non avviene qua si mai.

115
Con riferimento alle fasi individuate nello schema riportato a p. 16 delle LG, e relativo al
processo di costruzione del PUC, spetta all’amminis trazione comunale stabilire in quali
momenti attivare i momenti di partecipazione e i so ggetti da coinvolgere (Regione Sardegna,
2010, p. 44).
Nelle LG si consigliano alcune modalità partecipati ve, quali l’attivazione di forum on-line e
l’organizzazione di incontri con il coinvolgimento di figure professionali esperte di tecniche
di partecipazione (facilitatori). In quest’ultimo c aso si suggerisce di adottare una metodologia
partecipativa (per esempio Metaplan) che preveda l' invio preliminare ai soggetti individuati
come “pubblico interessato” del documento in progre ss o di una bozza del PUC, comprensiva
del rapporto ambientale.
A seguito dell’adozione del consiglio comunale, com e previsto sia dalla L.r. 45/89 sia dalla
parte seconda del D.lgs. 152/2006, e ss.mm.ii., il piano è messo a disposizione del pubblico,
unitamente al rapporto ambientale e alla sintesi no n tecnica, affinché chiunque, abbia la
possibilità di prenderne visione ed esprimere le pr oprie osservazioni. Durante tale fase, al fine
di sollecitare la partecipazione del pubblico l’amm inistrazione comunale può organizzare uno
o più incontri, da svolgersi tra il quindicesimo e il quarantacinquesimo giorno dalla
pubblicazione della notizia dell’avvenuto deposito del PUC e del rapporto ambientale,
finalizzati a presentare tali elaborati ai cittadin i. Sempre tra quindicesimo e il
quarantacinquesimo giorno dalla pubblicazione della notizia dell’avvenuto deposito, inoltre,
si afferma nelle LG che, “sarebbe opportuno prevede re uno o più incontri con il pubblico
interessato.”
La scarsa partecipazione delle comunità locali al p rocesso di formazione dei piani è una
costante dei casi analizzati. Il non coinvolgimento dei singoli cittadini e delle associazioni
rappresentative di interessi diffusi durante i mome nti pianificatori impedisce una loro attiva
partecipazione, attraverso la formulazione di sugge rimenti e proposte.
Nel caso della VAS del PUC del Comune di Alghero, i l pubblico ha partecipato in maniera
marginale alle fasi di pianificazione. Soltanto dur ante le ultime fasi di elaborazione del piano,
prima dell’adozione sono stati organizzati una seri e di incontri 99 e predisposti una serie di
strumenti di informazione in modo da consentire a t utti i soggetti coinvolti di esprimere pareri
in merito alle decisioni. Gli incontri hanno avuto l’obiettivo di favorire l’interazione tra gli

99 Nel luglio 2010 sono stati organizzati incontri pe r temi specifici quali: “Turismo”, “Mobilità e tras porti”, “Attività
produttive”, “Ambiente e territorio”, “PUC e Istituz ioni”, “Comitati di quartiere e borgate”.

116
estensori del piano e tutti i soggetti coinvolti ne l processo. In corrispondenza dei temi chiave
sono stati così invitati alla partecipazione le ass ociazioni di categoria e di settore nonché i
singoli cittadini portatori di interessi personali, informandoli attraverso materiali illustrativi
consultabili anche attraverso una piattaforma web d edicata nella quale è stata messa a
disposizione la documentazione relativa al piano e alla VAS e uno specifico modulo per il
processo partecipativo attraverso il quale si posso no esprimere delle osservazione e
considerazioni. 100
In alcuni dei rapporti ambientali analizzati i rife rimenti ai momenti di partecipazione sono
genericamente quelli indicati nelle LG (Comune di A rborea, 2008, p. 14; Comune di
Carbonia, 2009, p.10), altre volte viene ripercorsa la sequenza degli incontri fatti senza
spiegare cosa sia emerso dagli stessi (Comune di Ba desi, 2009, pp. 22-24), oppure si fa
riferimento a iniziative future, senza però specifi care quando verranno implementate (Comune
di Oristano, 2009 , p. 146; Comune di Posada, 2008, p. 110). 101
Nel caso del rapporto ambientale della VAS del PUC di Posada, è proposta la mappa degli
attori che saranno coinvolti nel processo di piano, insieme alle modalità di coinvolgimento da
adottarsi (Comune di Posada, 2008, pp. 35-36).
Ad una scarsa partecipazione pre-adozione del piano non possono supplire le osservazioni
post-adozione, che si inseriscono in una sequela pr ocedimentale all’interno della quale il
piano ha già raggiunto un elevato livello di concre tezza e di attualità e riveste carattere
formale.
Le osservazioni e proposte, presentate dai cittadin i singoli o associati dovrebbero essere
considerate dall’amministrazione come un necessario e fondamentale contributo per dotare la
città di uno strumento urbanistico il più ampiament e condiviso e partecipato.
Inoltre, le comunità non devono essere identificate solo con l’insieme degli stakeholders che
definiscono interessi forti e già ben rappresentati e difesi. E’ importante, anche, individuarle
nelle organizzazioni formali e informali attraverso le quali i cittadini possono e vogliono

100 I documenti sono scaricabili all’indirizzo interne t: http://88.58.112.248/puc/_m/modulistica.pdf [ult imo accesso: 12
febbraio 2011]
101 L’Amministrazione di Oristano, oltre a prevedere p resentazioni pubbliche e consultazioni finalizzate al coinvolgimento di
cittadini, associazioni, enti e attori con competen ze sul territorio, afferma la prossima attivazione di un Urban Center, al fine
di mantenere attiva la partecipazione anche nelle f asi successive all’approvazione del PUC, nell’ottic a di coinvolgere quanto
più possibile tutte le risorse presenti sul territo rio, sia pubbliche che private, nell’attuazione dei contenuti del Piano.

117
esprimere le proprie idee e istanze circa l’attuale e futura organizzazione del territorio e della
città (Zoppi e Lai, 2008).
Questa serie di problematiche pongono le basi alla ricerca di una soluzione, di pratiche che
rappresentino una delle vie possibili alla risoluzi one delle stesse.

118
Capitolo Sesto
Un protocollo procedimentale per la VAS nella gover nance territoriale
Premessa
Le pratiche passate e future di VAS, costituiscono un ambito di sperimentazione importante
per l’applicazione dei principi della good governance alla prassi della pianificazione del
territorio (Zoppi, 2007), per la quale rappresenta uno snodo di rilievo.
Le analisi fatte nel capitolo quinto pongono in evi denza, in termini di criticità e debolezze,
una scarsa consapevolezza delle opportunità che la VAS può portare nei processi di
pianificazione e carenze metodologiche; fanno parte di un modus operandi la non
integrazione assieme a un’attitudine non cooperativ a a livello istituzionale e un non adeguato
coinvolgimento delle comunità locali nei momenti de cisionali.
Conseguentemente a queste criticità si è dunque pen sato di formulare un Protocollo dove la
VAS è pienamente inserita nel processo di costruzio ne di un piano urbanistico e indistinta da
esso; si è cercato di potenziare i meccanismi di ne goziazione e partecipazione, per arrivare
alla definizione di scelte supportate da un ampio c onsenso.
Si definiscono degli indirizzi per lo sviluppo di u n processo decisionale inclusivo e
incrementale, in modo tale da includere, in maniera più efficace, nella formazione di un piano,
le considerazioni degli aspetti di natura ambiental e e partecipativa. Sono messi in evidenza,
gli elementi che si ritengono essenziali nell’appli cazione di una VAS, a prescindere dalla
scala di applicazione e del livello amministrativo coinvolto, aspetti che richiedono di essere
considerati, a seconda dei casi, per le specificità che li connotano. Le modalità partecipative,
la determinazione della quantità e della tipologia dei dati necessari, l’individuazione e la
valutazione degli effetti, in particolare, necessit ano di essere pensate sulla base della scala
territoriale di riferimento.
Il coinvolgimento dei soggetti competenti in materi a ambientale, del pubblico e del pubblico
interessato è strutturato in modo sistematico, nell ’analisi conoscitiva, nella scelta delle
priorità, nell'individuazione di strategie e azioni alternative, prefissando per ciascuna attività il
risultato da raggiungere.

119
L’esportabilità e il possibile utilizzo, da parte d elle amministrazioni, dei pianificatori e dei
valutatori, rappresentano le potenzialità del Proto collo.
Il capitolo è articolato in un paragrafo primo che tratta le dimensioni dell’integrazione della
VAS nel processo di costruzione del piano, fondamen tale per il perseguimento dell’obiettivo
di inclusività alla base della proposta; nel paragr afo secondo si illustrano i presupposti per la
costruzione del Protocollo; nel paragrafo terzo si propongono alcune tecniche da usare in
maniera complementare, utili a integrare i momenti partecipativi in tutto il processo di VAS;
nel paragrafo quarto e quinto si focalizza l’attenz ione sulle attività principali da svolgere nello
scoping e nella redazione del rapporto ambientale.
6.1 Le dimensioni dell’integrazione tra VAS e piano
Si è più volte affermato, nella presente tesi, come l’approccio integrato ai temi ambientali e
gli strumenti di valutazione siano elementi chiave per orientare i processi decisionali alla
sostenibilità delle scelte. Se integrare, è inteso come “aggiungere quello che manca ,” la VAS
stessa può essere uno strumento d’integrazione, in quanto completa i processi decisionali in
chiave sostenibile.
Una prima forma d’integrazione si attua nel mantene re un’interazione positiva e creativa tra la
pianificazione e la valutazione che, in maniera ott imale, deve arrivare a fondersi in un unico
processo: questo modo di procedere dovrebbe portare ad aggiustamenti e miglioramenti
continui, che si riflettono nel prodotto finale ren dendolo molto più consistente e maturo.
L’integrazione rappresenta un requisito essenziale al fine di passare da una visione degli
obiettivi ambientali come espressione di una compet enza settoriale alla costruzione di piani e
programmi partendo da tali obiettivi come prerequis ito di base.
Una seconda forma d’integrazione consiste nella con siderazione congiunta degli aspetti
ambientali, sociali ed economici. La forte tendenza alla compartimentazione del sapere rende
difficile la realizzazione di analisi integrate, ch e tuttavia spesso permettono l'emergere di
conoscenze utili e interessanti quanto quelle che d erivano dalle analisi specialistiche. 102

102 Linee Guida Enplan paragrafo 4. Tali Linee Guida s ono il risultato di un progetto transnazionale tra regioni italiane e
spagnole, volta a mettere a punto una metodologia c omune e condivisa per l'introduzione della VAS di p iani e programmi a
livello regionale, si collocano in una fase temporale antecedente al r ecepimento formale da parte degli Stati membri
dell'Unione Europea della Direttiva comunitaria 200 1/42/CE.

120
In terzo luogo, sono forme d’integrazione imprescin dibili, la comunicazione e il
coordinamento tra i diversi enti e organi dell'ammi nistrazione coinvolti nel piano, la cui utilità
riveste particolare importanza nelle decisioni di b ase circa il contenuto del piano.
Considerando i casi studio visti nel capitolo prece dente, il modello d’integrazione, nella
pratica, è un approccio d’integrazione “minima ”, ossia basato sulla scansione del processo di
VAS indicata dalla Direttiva (l'elaborazione e la v alutazione del rapporto ambientale, lo
svolgimento di consultazioni e dei risultati nell'i ter decisionale e la messa a disposizione delle
informazioni sulla decisione); la VAS in questo app roccio è intesa solo come procedura
autorizzativa. L’approccio più corretto dovrebbe, i nvece, essere quello d’integrazione
“piena, ” definito dalla Linee Guida dell’Unione Europea, 103 nel quale la VAS accompagna
tutte le fasi di redazione, approvazione, attuazion e del piano, in un processo continuo che va
dalla valutazione ex ante, a quella in itinere e qu ella ex post. 104
Nel mezzo dei due approcci, gli aspetti trasversali che influenzano l’integrazione della VAS
nella pianificazione, e più in generale, nella gove rnance territoriale, sono il livello di cultura
valutativa e i rapporti tra tutti gli attori (propo nente, autorità preposta alla valutazione,
portatori di interesse), che sostanzialmente richie de una completa comprensione del processo
decisionale nelle sue fasi e dello specifico contri buto che dall’applicazione della VAS ne può
derivare.
6.2 Presupposti per la costruzione del Protocollo
Il primo presupposto dal quale si parte per la stes ura del Protocollo è considerare la VAS un
concreto sostegno alla formazione di un piano per a rrivare a definire obiettivi e azioni in
conformità a un più ampio set di prospettive, rispe tto a quelle inizialmente identificate dal
proponente e capace di supportare, sia quest’ultimo , sia il decisore finale, inserendosi nel
processo lineare di pianificazione permettendo il r icorso a feedback in corso d’opera, così da
massimizzarne l’efficacia. Come rilevato dalle Line e Guida Enplan, 105 gli orientamenti

103 Linee Guida per la VAS dei Fondi Strutturali 2000- 2006. In esse la tematica ambientale ha assunto il valore primario e
carattere di assoluta trasversalità nei diversi set tori di investimento oggetto dei piani di sviluppo attuativi delle politiche
comunitarie, con particolare riferimento alla progr ammazione dei Fondi strutturali e con il preciso in tento di definire strategie
settoriali e territoriali capaci di promuovere uno sviluppo realmente sostenibile.
104 La VAS ex ante procede in parallelo alla definizio ne dei piani e programmi, di cui è parte integrante ; la VAS in itinere
monitora le prime modificazioni innescate dai piani e programmi e ne verifica il grado di coerenza con gli obiettivi definiti
nella fase ex ante, introducendo, se necessario, co rrettivi e integrazioni; La VAS ex post ha il compi to di illustrare l’efficacia
e l’efficienza degli interventi attuati, in termini di ricadute complessive sul sistema territoriale.
105 Linee Guida Enplan paragrafo 8.1. Tali Linee Guida sono il risultato di un progetto transnazionale tr a regioni italiane e
spagnole, volta a mettere a punto una metodologia c omune e condivisa per l'introduzione della VAS di p iani e programmi a

121
iniziali del piano non devono, infatti, essere dett ati esclusivamente da indirizzi politici
dell’amministrazione responsabile dell’elaborazione e attuazione dello stesso, ma si
costruiscono di regola, tenendo conto di altri molt eplici elementi quali gli interessi settoriali o
territoriali presenti e la pressione sociale su asp etti specifici.
L’integrazione della dimensione ambientale in gener e non è motivazione significativa
all’avvio dell’impostazione dei piani urbanistici, per cui il secondo presupposto è esprimere la
volontà di protezione dell’ambiente fin dagli orien tamenti iniziali di un piano, alla pari delle
esigenze di natura sociale ed economica.
Il terzo presupposto è garantire l’endoprocedimenta lità della VAS nel processo di formazione
del piano, senza che si perda l’autonomia e la terz ietà di una valutazione finale indipendente.
In questo senso è importante porre l’accento sul fa tto che è la stessa amministrazione
proponente, la responsabile della valutazione di so stenibilità ambientale del suo piano. Il
ruolo dell’autorità competente, in quest’ottica, do vrebbe essere di collaborazione, più che di
controllo, affinché i contenuti del piano conseguan o realmente profili di sostenibilità
ambientale, fornendo i dati per la ricostruzione de llo stato dell’ambiente, per l’identificazione
delle emergenze ambientali, per la definizione degl i obiettivi e l’indicazione dei metodi e
delle migliori pratiche per affrontarle.
Un altro presupposto è partire dalla consapevolezza , che non vi può essere un unico modello
di valutazione ma che questo deve variare, come già detto in premessa, secondo la scala
territoriale del piano.
Partendo dai suddetti presupposti, si è pensato a d elle indicazioni metodologiche e procedurali
che potessero risolvere le criticità riscontrate ne l capitolo quinto e sintetizzate nella tabella
6.2_a.

livello regionale, si collocano in una fase temporale antecedente al r ecepimento formale da parte degli Stati membri
dell'Unione Europea della Direttiva comunitaria 200 1/42/CE.

122
CRITICITA’ EMERSE NELLE LG
– Gli obiettivi generali di piano non sono definiti e sono individuati nella fase preparatoria della VAS
(Regione Sardegna, 2010, p.12). Manca una strutturaz ione metodologica per la loro individuazione.
– Gli obiettivi specifici non sono definiti. Manca un a strutturazione metodologica per la loro
individuazione.
– Non è chiara la correlazione tra le attività indica te per la VAS con quelle di costruzione del piano, che
sembra far parte di un processo a parte.
– Manca un coinvolgimento strutturato del pubblico e del pubblico interessato fin dalle prime fasi.
CRITICITA’ EMERSE DAI CASI STUDIO
– Obiettivi generali, specifici e azioni di piano son o definiti al di fuori della procedura di VAS. Nei
rapporti ambientali non è ripercorribile il process o pianificatorio.
– L’analisi di contesto non è correlata alla definizi one degli obiettivi.
– Nella scelta degli obiettivi si presta scarsa consi derazione al concetto di sostenibilità nelle sue
dimensioni ambientale, sociale ed economica.
– Mancanza di coinvolgimento delle amministrazioni co munali confinanti e limitrofe all’amministrazione
comunale proponente il PUC, durante i momenti partec ipativi
– Il programma di monitoraggio non è costruito tenend o in considerazione le ripercussioni delle azioni d i
piano sul territorio. Quasi sempre fornisce esclusi vamente un elenco di indicatori sulle componenti am bientali e
non sulla realizzazione degli obiettivi e delle azi oni.
Tabella 6.2_a. Criticità delle LG e dei rapporti amb ientali delle VAS dei PUC in adeguamento al PPR
Si ritiene poco rilevante nel Protocollo la differe nziazione tra pianificatore e valutatore,
soprattutto quando vi è un buon livello di partecip azione nella definizione delle decisioni
(Magoni, 2008), ma è senz’altro rilevante una stret ta collaborazione e cooperazione tra esperti
ambientali e pianificatori.
6.3 Metodi per un processo di partecipazione integr ato
I momenti partecipativi all’interno le Protocollo s ono integrati in tutte le fasi di
elaborazione/valutazione del piano. Come già detto, essi devono essere strutturati all’interno
del processo di VAS e pensati sia rispetto al risul tato da raggiungere sia alla scala territoriale

123
di riferimento del piano. Al di là di queste consid erazioni ci sono diverse tecniche e strumenti
che, se usati in maniera integrata, aiutano e migli orano la partecipazione.
Le forme partecipative consigliate dal Protocollo, sono in forma di tavoli di consultazione,
articolati sia in sessioni plenarie con il pubblico (assemblee) sia in sessioni tematiche con
soggetti competenti in materia ambientale e pubblic o interessato 106 (quest’ultimo, in
particolare, comprende quella rappresentanza del pu bblico quale: privato profit, privato non-
profit, associazioni e singoli cittadini portatori di interessi particolari e così via; in sostanza
rientra tra il pubblico interessato tutti i soggett i che riguardo al piano, oggetto di valutazione,
l’autorità procedente ritenga possa produrre un con tributo utile al processo di piano).
Per facilitare le sessioni di incontro, in particol are quelle tematiche con il pubblico interessato
è opportuno l’uso di metodologie partecipative qual i per esempio i focus groups e l’ European
Awareness Scenario Workshop (EASW). 107
L’interazione che caratterizza le tecniche di grupp o, aiuta ad approfondire tutti gli argomenti
grazie al feedback su cui si basano. L’interazione ha il grande vantaggio di riprodurre in
maniera più realistica il processo che presiede all a formazione delle decisioni (Corrao, 2000).
Nei focus groups 108 l’interazione è personale e meno struttura; trattas i di una forma di ricerca
qualitativa, in cui un gruppo di persone è interrog ato riguardo all'atteggiamento personale nei
confronti di un tema (Corrao, 2000). Qualcuno li de finisce come interviste rivolte a un gruppo
omogeneo di persone per approfondire un tema o part icolari aspetti di un argomento (Stagi,
2000). Sono costruiti sull’idea che, raccogliendo l e diverse opinioni e punti di vista delle
persone e osservando come i partecipanti interagisc ono all’interno di un gruppo e modificano
le proprie opinioni di partenza, sia possibile racc ogliere un maggior numero di informazioni
che attraverso semplici interviste individuali. In un focus group , composto mediamente da
sette/dodici persone, il lavoro si basa su delle di scussioni guidate, che sono moderate da un
facilitatore. Egli deve fare in modo che i partecip anti si sentano liberi di esprimere le loro

106 Le definizioni fornite dalla normativa per i sogge tti di un processo di VAS sono riportate nel capitolo quinto.
107 Nell’ambito del percorso di pianificazione strateg ica del Comune di Capoterra (2007), per esempio, dura nte le attività di
partecipazione che hanno coinvolto i diversi rappre sentanti della società locale, sono state usate sia la metodologia EASW sia
i focus group.
108 L’uso del focus group si è col tempo esteso nell’ambito di numerosi prog etti ed iniziative di animazione e sviluppo locale
come strumento per rilevare i bisogni e la percezio ne dei partecipanti rispetto al fenomeno che si sta osservando. In un focus
group il lavoro si basa su delle discussioni guidate, ch e vengono moderate da un facilitatore. Egli deve fa re in modo che i
partecipanti si sentano liberi di esprimere le loro opinioni e contemporaneamente deve mantenere la co nversazione
focalizzata sul tema proposto.

124
opinioni e contemporaneamente, mantenendo la conver sazione focalizzata sul tema proposto,
indagato in profondità; il contraddittorio positivo che ne consegue consente di far emergere i
reali punti di vista, giudizi, pre-giudizi, opinion i, percezioni e aspettative del pubblico di
interesse in modo più approfondito di quanto non co nsentano altre tecniche d’indagine.
L'obiettivo perseguibile non è portare il gruppo ve rso l'assunzione di decisioni né ricercarne il
consenso su un argomento. I focus enfatizzano l'obi ettivo di tirare fuori al massimo da ciascun
partecipante le expertise e le opinioni su un argomento specifico, attraverso un confronto
costruttivo, facendo emergere problemi e opportunit à, idee e progetti da parte di portatori
d’interesse particolari. Una caratteristica distint iva del focus group è che il gruppo dei
partecipanti sia omogeneo, cioè costituito da perso ne con caratteristiche ed esperienze
simili; 109 questo per capire quali sono punti di forza, di de bolezza ed eventuali proposte
riguardo a tematiche specifiche legate all’apparten enza a quella data categoria in un dato
contesto territoriale. Un’eccessiva omogeneità è pe rò sconsigliabile poiché in ogni gruppo ci
dovrebbe essere quel tanto di differenza interna da permettere l’emergere di posizioni
differenti e anche in opposizione (Krueger, 1994).
Il numero complessivo dei partecipanti non coinvolg e un numero di persone sufficiente per
estendere i risultati sull’intera popolazione, né l a strategia di campionamento sociologico
conferisce valore proiettivo di tipo statistico ai risultati (Bovina, 1998). Non si può ottenere in
nessun caso inferenza statistica dei risultati; è p er questo motivo che i focus group sono
utilizzati di solito in accompagnamento con strumen ti quantitativi, che consentono invece
l’analisi statistica dei dati. Laddove il quantitat ivo fornisce quantità e correlazioni, il
qualitativo e specialmente il focus , favorisce la comprensione delle motivazioni e
l’approfondimento di aspetti ritenuti rilevanti (St agi, 2000).
È consigliato l’utilizzo dei focus group o nella prima parte di una ricerca, per l’analisi di
contesti nuovi o sconosciuti o nella sua parte conc lusiva, come approfondimento o verifica dei
risultati ottenuti; spesso il suo uso è affiancato anche a strumenti più qualitativi come le
interviste (Bezzi, 2001; Corrao, 2000).
Metodologie di progettazione partecipata, come la m etodologia EASW, possono invece essere
usate nella fase di definizione degli obiettivi e d elle azioni prioritarie di piano. Nata per

109 Nel caso del Piano strategico del Comune di Capoterr a, per esempio, durante l’analisi conoscitiva, sono stati organizzati
sei incontri cosi suddivisi: commercianti (tema: pr oblemi, opportunità, idee), artisti e associazioni (tema: cultura e culture a
Capoterra), scuole e associazioni (tema: quale futur o?), artigiani (tema: idee e mani per Capoterra), pe scatori (tema: idee e
progetti per Capoterra), imprenditori turistici (tem a: potenzialità e opportunità per Capoterra).

125
promuovere iniziative sui temi ambientali, la metod ologia EASW, in particolare all’interno
dei programmi di Agenda 21, ha poi trovato applicaz ione su un’ampia varietà di temi, tra cui
nella pianificazione urbanistica.
A un EASW generalmente partecipano da un minino di venti a un massimo di quaranta
persone selezionate tra i soggetti interessati sull a base dell’argomento discusso, riconosciuti
come “esperti,” in quanto reali conoscitori dell’ar gomento trattato e delle sue problematiche.
La selezione dei partecipanti è fondamentale per la buona riuscita di un EASW, essi, infatti,
devono essere rappresentativi della comunità e non devono essere portatori di interessi propri.
La strutturazione consente di guidare i partecipant i nello sviluppo di visioni sul futuro
argomento in discussione; l’workshop generalmente u tilizza un programma di una giornata,
che consente di avviare discussioni su obiettivi e a delineare alcune linee d’azione per
raggiungerli. I risultati variano a seconda del tem a discusso e delle caratteristiche delle
persone che vi partecipano, per cui è molto diffici le codificare delle regole specifiche per
l’utilizzazione di questo metodo, ma senz’altro occ orre partire da una corretta definizione
degli obiettivi e dei risultati che si propone di r aggiungere (De Luzenberger, 2004). Un ruolo
molto importante in un EASW è il ruolo svolto dagli scenari, in questo senso i partecipanti
potranno essere messi a confronto sulle possibili a lternative future.
Rispetto a quanto affermato precedentemente, al fin e di una migliore gestione del processo
partecipativo, è consigliabile che le sessioni tema tiche siano rivolte solo agli stakeholders
(soggetti competenti in materia ambientale e il pub blico interessato) 110 individuati, come
indicato in tabella 6.4_a, all’avvio del procedimen to.
Una partecipazione estesa al pubblico, può invece e ssere favorita, anche durante le sessioni
plenarie, dall’utilizzo di questionari o interviste (si veda a tal proposito la trattazione sui
questionari al capitolo quarto, paragrafo 4.3.2). 111
Per facilitare una comunicazione e una partecipazio ne molto ampia a tutti coloro che ne
abbiano interesse, è opportuno, l’utilizzo, fin dal le fasi preliminari, delle tecniche di

110 Il termine “ stakeholders ” definisce tecnicamente “i portatori di interesse” cioè tutti quei soggetti che hanno un interesse
nei confronti del piano e che con il loro comportam ento possono influenzarne l’attività.
111 Questionari spesso vengono somministrati in occasi one di assemblee pubbliche, come nel caso di quelle indette per il
Piano strategico del Comune di Capoterra (Comune di Capoterra, 2007) e del PUC di Cava de’ Tirreni (Cerreta e De Toro,
2011).

126
Information and Communication Technology (ICT). 112 L’ICT costituisce un fondamento
tecnologico per il processo di piano e costituisce un riferimento importante per la governance
riferita alle politiche attuative della pianificazi one territoriale perché integra approcci
metodologici diversi per l’aiuto alla decisione, ba sati sul coinvolgimento proattivo delle
comunità nei processi decisionali sulle politiche d i piano, per la circolazione
dell’informazione e per l’efficacia della comunicaz ione tra pubblica amministrazione e
comunità.
Uno dei possibili metodi è l’attivazione di una pia ttaforma web, con definizione di un sito
Internet da tenere costantemente aggiornato con gli sviluppi delle attività; piattaforme di
questo tipo, supportate da un sistema WebGIS, 113 possono avere parti dinamiche con le quali i
soggetti interessati possono interagire: i processi informativi e comunicativi su Internet
consentono a tutti i cittadini interessati di verif icare (e criticare eventualmente) lo sviluppo
della definizione del piano, oggetto di valutazione .
L’utilizzo dell’ICT individua quattro livelli della scala della partecipazione (Carver, 2003): i)
accesso alle informazioni e somministrazioni di ser vizi; ii) discussione on-line; iii) sondaggi
di opinione on-line; iv) sistemi di supporto on-lin e alle decisioni. Nel primo livello il flusso di
comunicazione è unidirezionale (McCall, 2003), dal secondo livello in poi diventa
bidirezionale: il cittadino comune può esprimere op inioni e preferenze in maniera informale
(per esempio partecipando a un forum on-line ), nel secondo livello, mentre diventa una forma
di partecipazione strutturata nel terzo e nel quart o livello.
L’utilizzo del GIS può facilitare la partecipazione del pubblico e supportare il passaggio da un
livello all’altro (Craig et al ., 2002), poiché può rendere disponibili diverse in formazioni sotto
forma di mappe e comunicare relazioni spaziali tra dati diversi riferiti agli stessi contesti
territoriali.
L’uso di Internet e dei GIS presenta però qualche d ebolezza. La prima è la mancanza di
democraticità dello strumento (Obermeryer, 1998), d ovuta al fatto che i GIS richiedono un
alto livello di alfabetizzazione informatica (Carve r, 2001). L’altra criticità è che la

112 L’ICT è un campo di applicazione delle nuove tecno logie sui quali negli ultimi anni è fortemente cres ciuto l’interesse
tanto dei governi nazionali e degli organismi inter nazionali, quanto delle comunità locali. È definito come l'insieme dei
metodi e delle tecnologie che realizzano i sistemi di trasmissione, ricezione ed elaborazione di infor mazioni.
113 Sono detti WebGIS i sistemi informativi geografici (GIS) pubblicati su web. Un WebGIS è quindi l'este nsione al web
degli applicativi nati e sviluppati per gestire la cartografia numerica. Un progetto WebGIS si distingue da un progetto GIS
per le specifiche finalità di comunicazione e di co ndivisione delle informazioni con altri utenti.

127
disponibilità di informazioni su Internet non è gar anzia di maggiore partecipazione del
pubblico (Carver, 2003; Craglia e Onsrud, 2003; De Man, 2003; Merrick, 2003; Tulloch e
Shapiro, 2003).
Per questi motivi, un supporto alla partecipazione nei processi di piano e di valutazione basati
su WebGIS non sono, attualmente, in grado di sostit uire le forme più tradizionali di
partecipazione (Peng, 2001) ma devono, piuttosto, e ssere considerati come un complemento
ad esse, in grado di favorire il dialogo, la traspa renza e il coinvolgimento del pubblico nelle
sue decisioni (Carver, 2003).
6.4 L’avvio del procedimento e lo scoping
Il Protocollo prevede, come affermato in premessa, che il processo di VAS non sia distinto
dal processo di piano, per cui diventa essenziale, nella fase preparatoria, che l’autorità
procedente, renda pubblico l’avvio del procedimento di pianificazione contestualmente 114 a
quello di valutazione mediante pubblicazione di app osito avviso nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana o nel Bollettino Ufficiale dell a Regione o Provincia autonoma
interessata. 115
In questa primissima fase, le cui attività sono ind icate in tabella 6.4_a, l’autorità procedente
individua i soggetti competenti in materia ambienta le e il pubblico interessato, che saranno
coinvolti nel processo fin dallo scoping, previa ev entuale verifica di assoggettabilità.
Un aspetto problematico fin dalla prima stesura del D.lgs. 152 è costituito dalla definizione
dei piani da sottoporre a VAS. Secondo la normativa nazionale vanno sottoposti a VAS quei
piani e programmi che possono avere impatti signifi cativi sull'ambiente e sul patrimonio
culturale (art. 6 c. 1 del D.lgs. 152 e ss.mm.ii). L’ultimo correttivo al Decreto (che introduce
una modifica con l’art. 5, lett. m-bis) definisce l a verifica di assoggettabilità, come la verifica
attivata allo scopo di valutare, ove previsto, se p iani, programmi ovvero le loro modifiche,
possano aver effetti significativi sull'ambiente e sottoposti alla fase di valutazione, considerato
il diverso livello di sensibilità ambientale delle aree interessate. E’ ipotizzabile, dalla lettura
della norma, che una parte della pianificazione ter ritoriale e urbanistica e dei piani che

114 Come visto nel caso della VAS del PPR (capitolo quar to) e la VAS del PUC del Comune di Alghero (capitol o quinto) tale
precisazione è tutt’altro che scontata.
115 L'avviso deve contenere: il titolo della proposta di piano, il proponente, l'autorità procedente, l'i ndicazione delle sedi ove
potrà essere presa visione del piano e del rapporto ambientale e in cui sarà possibile consultare la s intesi non tecnica (art. 14
c.1 del D.lgs. 152 e ss.mm.ii).

128
definiscono nel dettaglio l’uso dei suoli (per esem pio i piani attuativi) potrebbero a seguito
della verifica di assoggettabilità non essere sotto posti a valutazione.
Nel presente Protocollo non si entra nel merito ris petto a questo specifico e complicato
aspetto poiché si parte dal presupposto che, a pres cindere dalla sensibilità dell’ambito
territoriale da pianificare, la VAS possa essere un o strumento utile a qualsiasi piano nella
definizione delle sue scelte.
Avvio del procedimento del processo di formazione de l piano e della VAS
Attività Momenti partecipativi e soggetti coinvolti
– Avviso di inizio delle procedure per la
redazione del piano e della Valutazione
ambientale strategica;
– Affidamento incarico per la stesura piano, per
la redazione del rapporto ambientale (compresa
la sintesi non tecnica) e/o per la predisposizione
dello studio preliminare ai fini della eventuale
verifica di assoggettabilità.
– Mappatura degli stakeholders:
• Individuazione dei soggetti
competenti in materia ambientale
• Individuazione del pubblico
interessato
– Attivazione di una piattaforma web Si rende noto al pubblico l’avvio del
procedimento

Tabella 6.4_a. Attività e soggetti coinvolti nei mo menti partecipativi all’avvio del
procedimento del processo di formazione del piano e della VAS.
Supponendo dunque che il piano sia assoggettabile a VAS, si analizza la fase di scoping 116 al
quale il Protocollo attribuisce un peso fondamental e, poiché rappresenta uno dei momenti

116 I termini orientamento, scoping e definizione dell ’ambito di influenza nel Protocollo proposto sono u sati come sinonimi.
Questo non succede nelle LG dove la definizione del l’ambito di influenza è una (non dettagliata) attiv ità della fase di
orientamento (Regione Sardegna, 2010, p.12).

129
cruciali del processo di pianificazione e valutazio ne, 117 il cui traguardo sarà una prima
definizione degli obiettivi di piano. 118
Gli obiettivi costituiscono la dichiarazione di ciò che il piano intende raggiungere mediante
l'insieme delle sue previsioni e l'integrazione del le considerazioni di carattere ambientale e
socio-economico.
Come rappresentato in figura 6.4_a, una procedura d i piano fatta con la VAS permette,
rispetto a una senza VAS, di estrapolare obiettivi attraverso la possibilità di considerare
scenari alternativi di piano, attraverso discussion i e considerazioni di eventuali vincoli sul
territorio in esame. La VAS in questo modo diventa concretamente uno strumento di supporto
alla decisione.

Figura 6.4_a. Differenza tra la formazione di un pi ano con procedura di VAS e senza
procedura di VAS. Fonte “La Valutazione Ambientale Strategica dei piani urbanistici e
territoriali”.
La determinazione degli obiettivi deriva, in questa sede, in maniera sistemica da tutti gli
elementi fondamentali di una definita base di conos cenza, 119 data dall’analisi del quadro
programmatico e pianificatorio, dall’analisi di con testo e dai risultati dei processi di
partecipazione, consultazione e negoziazione.
Nella tabella 6.4_b, sono sintetizzate le attività previste per lo scoping, indirizzate alla
formulazione degli obiettivi generali e di quelli s pecifici.
La partecipazione è estesa in questa fase ai sogget ti competenti in materia ambientale, al
pubblico e al pubblico interessato, in particolare nell’analisi di contesto e nella definizione
degli obiettivi specifici e delle principali linee d’azione del piano.

117 Linee Guida Enplan paragrafo 9.2.
118 Come visto nel capitolo quinto, nella pratica lo sc oping è slegato alla definizione degli obiettivi di piano, essendo questi
definiti al di fuori della VAS.
119 La costruzione e l'implementazione della conoscenz a è un elemento fondamentale del processo di formaz ione di
piano/VAS. Come visto nei casi di studio analizzati nel capitolo quinto, talvolta la costruzione della base di conoscenza è più
legata a un obbligo procedurale piuttosto che funzi onale alla definizione delle strategie di piano.

130
Oltre a un rapporto iterativo con il pubblico trami te la piattaforma web, la cui attivazione,
come visto in tabella 6.4_a è consigliata dall’avvi o del procedimento, e, alla eventuale
somministrazione di questionari, si consiglia l’org anizzazione di una serie di tavoli di
consultazione, 120 per definire e discutere assieme, dei principali p roblemi e delle criticità del
territorio interessato al piano e in seguito, per d efinire obiettivi e principali linee d’azione. Lo
scopo è di far in modo che il processo di decisione e valutazione diventi funzionale
all’ottenimento di un risultato che, come già detto , sia esito di negoziazione oltre che degli
aspetti conoscitivi e di quelli natura politica. Il punto di vista dei non “addetti ai lavori” potrà
permettere, a chi pianifica, di formulare una propo sta di piano che discende da una serie di
considerazioni tecniche e dalle proposte degli atto ri territoriali, quest’ultime considerate, a
monte del processo decisionale.
Lo scoping
Attività Momenti partecipativi e soggetti coinvolti
Formulazione degli obiettivi generali di
piano:
-Analisi del quadro pianificatorio e
programmatorio di riferimento
Formulazione degli obiettivi specifici e delle
principali linee d’azione:
– Analisi di contesto
– Definizione matrice progettuale con obiettivi
specifici e azioni . Pubblico, pubblico interessato e soggetti
competenti in materia ambientale

– Incontro di scoping Soggetti competenti in materia ambientale
Tabella 6.4_b. Attività e soggetti coinvolti nei mo menti partecipativi nello scoping

120 Si suggerisce l’organizzazione si sessioni di inco ntro tematiche (per esempio con l’uso delle tecnich e proposte nel
paragrafo terzo).

131
6.4.1 Formulazione degli obiettivi generali di pian o
Gli obiettivi generali, 121 nel Protocollo, sono definiti durante lo scoping ,122 in funzione
dell’analisi del quadro programmatico e pianificato rio di riferimento.
Analisi quadro programmatico e pianificatorio
L'insieme dei piani e programmi che governano il te rritorio, a cui il piano soggetto a
valutazione fa riferimento, costituisce il quadro p ianificatorio e programmatico dello stesso, la
cui analisi è funzionale alla formulazione degli ob iettivi generali del piano e degli indirizzi
per la definizione di quelli specifici.
Nella redazione di un piano territoriale, a qualsia si scala è necessario considerare quanto
indicato dai piani e programmi di pari livello e so vraordinati nella definizione delle sue linee
strategiche. Affinché ciò sia possibile è necessari o, in via preliminare, una ricognizione
generale degli strumenti di pianificazione e progra mmazione di riferimento.
L’analisi del quadro pianificatorio e programmatori o ha come finalità arrivare a delle scelte
per le quali la verifica di coerenza esterna divent a superflua, 123 poiché la formazione degli
obiettivi di piano tiene già in considerazione le l inee strategiche di riferimento. In questo
passaggio, fondamentale, ogni piano potrà essere al lineato non solo “verso l’alto,” con
riferimento alla pianificazione regionale e alle li nee strategiche comunitarie e nazionali ma
anche “verso il basso,” con riferimento ai document i di programmazione e pianificazione
esistenti e operativi all’interno del territorio co involto.
Dal punto di vista dei temi ambientali, al fine di costruire in maniera completa ed efficace tale
quadro occorre, per la determinazione degli obietti vi generali e degli indirizzi per quelli
specifici, per esempio, considerare: la pianificazi one ambientale di settore esistente; la
pianificazione e programmazione di altri enti con c ompetenze sul medesimo territorio
(Province, Comunità Montane, Autorità di Bacino, Pa rchi, ecc.), i programmi di sviluppo
socio-economico delle aree, le politiche e gli orie ntamenti finanziari, gli eventuali piani di

121 La classificazione degli obiettivi (generali, spec ifici), proposta dal Protocollo, non vuole essere r igida, ma orientata a dare
una sistematicità alla definizione degli stessi.
122 Diversamente dalle LG che invece li definiscono ne ll’avviso di inizio del procedimento (Regione Sardeg na, 2010, p. 12).
123 Le LG prevedono l’individuazione del quadro pianif icatorio di riferimento nello scoping (Regione Sarde gna, 2010, p. 12),
ma è solo per la redazione del rapporto ambientale che definiscono la verifica di coerenza (analisi di coerenza esterna) tra le
linee di sviluppo indicate dal piano con gli indiri zzi del contesto programmatico esistente (Regione Sa rdegna, 2010, p. 37) e a
tal proposito prevedono un elenco non esaustivo di piani sul qual e fare tale verifica. Nei casi studio esaminati nel capitolo
quarto, la tipica modalità adottata nel condurre l’ analisi del quadro programmatico esistente è riport are, nel rapporto
ambientale, una sintesi dei piani e programmi di ri ferimento senza spiegarne la correlazione in termin i di definizione degli
obiettivi del piano che si sta valutando. La verifi ca di coerenza esterna, in pratica consiste in un s emplice confronto, tra gli
obiettivi di piano e quelli estrapolati dai piani s ovraordinati analizzati.

132
azione per la biodiversità, piani di azione per le specie di fauna e flora selvatiche e piani di
azione per gli habitat, così come altri piani di at tuazione che si riferiscono a tematiche
ambientali. 124
Da quest’analisi è fondamentale ottenere, in partic olare, indirizzi per definire obiettivi
specifici di protezione ambientale. Per questi ulti mi, rappresentano dei riferimenti validi, i
tanti documenti redatti in ambito internazionale in materia di sostenibilità ambientale, 125 che
potrebbero aiutare, per ciascuna componente ambient ale analizzata, nella definizione delle
finalità e dei traguardi di lungo termine di una po litica di sostenibilità, nella definizione degli
obiettivi specifici a breve e medio termine, nella determinazione del target e nella valutazione
delle azioni di piano. È senz’altro utile riferirsi , in questo senso, ai dieci criteri proposti dal
“Manuale per la valutazione ambientale dei Piani di Sviluppo Regionale e dei Programmi dei
Fondi strutturali dell’Unione Europea” così come in dicato dalle LG (Regione Sardegna, 2010,
p. 17), ma, si ritiene riduttivo in una fase troppo avanzata del processo di formazione di un
piano, fare un confronto tra tali criteri e gli obi ettivi già formulati (Regione Sardegna, 2010,
p. 13). I criteri infatti, devono servire a definir e degli obiettivi di piano maggiormente
orientati alla protezione ambientale e contestualiz zati all’ambito territoriale di riferimento che
vadano a integrare il set di obiettivi di piano e n on usati come semplice riferimento per
valutarne la coerenza. La definizione degli obietti vi di protezione ambientale potrebbe essere
perfezionata sulla base dall’analisi dello stato de ll’ambiente in termini di criticità, punti di
forza, opportunità e rischi (analisi SWOT).
6.4.2 Formulazione degli obiettivi specifici e dell e principali linee d’azione
In seguito alla definizione degli obiettivi general i è necessario formulare un set di obiettivi
specifici e azioni di piano legati all’analisi del contesto territoriale interessato dal piano e alle
specificità legate a essi. In particolare, funziona lmente a ciò, sarà importante la definizione di
opportuni indicatori.
L’analisi di contesto
Per analisi di contesto s’intende l’acquisizione de lle tendenze evolutive dei sistemi naturali e
antropici e delle loro interazioni, funzionale alla restituzione di un quadro conoscitivo

124 Linee guida Enplan paragrafo 9.1.1.
125 Alcuni riferimenti sono i seguenti: Convenzione di Barcellona per la protezione del Mediterraneo contro l’inquinamento
del 1976; Protocollo di Kyoto; Agenda 21; Quinto e Sesto Programma europeo d’azione per l’ambiente; Nu ova strategia
dell’Unione Europea in materia di sviluppo sostenib ile del 2006; Strategia comunitaria 20-20_20 del 20 07.

133
complessivo della situazione in cui il piano andrà a operare, che possa supportare il processo
decisionale. Essa consiste in uno studio di dettagl io del territorio su cui il piano ha effetti
significativi che permette di definire obiettivi sp ecifici, articolati nello spazio e nel tempo. 126
L'impostazione dell'analisi di dettaglio e il livel lo di approfondimento, in termini di quantità e
di tipologia dei dati richiesti variano con la tipo logia e la scala territoriale del piano: i confini
del quadro conoscitivo potranno variare in base all a caratteristica dei diversi temi ambientali e
territoriali e ai potenziali impatti in esame. Per esempio per piani territoriali di area vasta,
come quelli provinciali, un approccio di tipo ecolo gico, 127 per sistemi 128 o per aree
tematiche 129 può essere preferito a un'analisi delle singole co mponenti biotiche, più adatta
invece a un piano che incide su un territorio di li mitata estensione, come per esempio per i
piani urbanistici comunali. In quest’ultimo caso le schede proposte dalle LG che prevedono
l’analisi dello stato dell’ambiente per una serie d i componenti ambientali (Regione Sardegna,
2010) sono un buon riferimento;130 gli indicatori proposti devono comunque essere def initi
con riferimento all’ambito territoriale oggetto di analisi.
L’analisi del contesto, deve dare conto della prese nza delle risorse e della loro qualità ante
operam . La ricognizione puntuale delle fonti e informazio ni ambientali esistenti è operazione
preliminare, di non trascurabile portata, poiché da essa deriva la definizione dei quadri
conoscitivi, cui l’evolversi della pianificazione e valutazione farà costante riferimento
(Fabietti e Carbonara, 2007).
Il bagaglio dei dati ambientali da ricavare deve es sere adeguato, nel senso che deve essere in
grado di fornire informazioni sia puntuali che stor iche dalle quali trarre valutazioni specifiche.

126 Linee Guida Enplan, paragrafo 9.5.1.
127 Un approccio per ecologie è quello seguito nella s tesura del Piano territoriale di coordinamento dell a Provincia di Sassari,
dove sono state individuate delle forme-processo el ementari e complesse del paesaggio-ambiente del ter ritorio (Provincia di
Sassari, 2006).
128 Nel caso del Piano territoriale di coordinamento d ella Provincia di Benevento l’analisi di contesto è stata strutturata in ben
quindici sistemi tematici (tra gli altri ambientale e naturalistico, storico-paesistico, insediativo, delle aree produttive)
(Provincia di Benevento, 2010); il Piano territorial e di coordinamento della Provincia di Milano, è art icolata invece in tre soli
grandi sistemi tematici definiti “strutturanti:” in sediativo, mobilità e ambiente. La suddivisione in ambiti territoriali, costituita
dai raggruppamenti dei territori dei Comuni della Pr ovincia, è stata usata nelle fasi partecipative (Pr ovincia di Milano, 2002).
129 Interessante l’analisi svolta nel Rapporto ambienta le del PUC di Cava de’ Tirreni che fa riferimento all e seguenti “aree
tematiche”: popolazione; agricoltura; energia; tras porti; economia e produzione; atmosfera; idrosfera; biosfera; geosfera;
paesaggio; rifiuti; radiazioni ionizzanti e non ion izzanti; rumore; rischio naturale ed antropogenico; promozione e diffusione
della cultura ambientale. Ciascun tema ambientale è stato analizzato mediante una scheda tematica in cu i si riporta un testo
esplicativo, eventuali obiettivi fissati dalla norm ativa, le fonti dei dati, le tabelle degli indicato ri, ed eventuali cartografie utili
per rappresentare e localizzare le informazioni (Cer reta e De Toro, 2011).
130 Nel caso delle LG l’ambiente è considerato nella s ua definizione più ampia, vengono infatti considera te, come già visto
nel Capitolo Quinto anche le componenti assetto inse diativo e demografico, sistema economico produttivo , mobilità e
trasporti ed energia.

134
In quest’attività è importante la collaborazione co n tutti gli enti di governo del territorio e le
varie agenzie, 131 per la costruzione di una conoscenza comune tramit e la raccolta di
informazioni e indicatori già in loro possesso. Le banche dati di Regioni e Province, l’uso dei
sistemi informativi territoriali, i dati socio-econ omici delle statistiche ufficiali e il bagaglio di
conoscenza derivante da studi e piani già predispos ti per il contesto di riferimento,
costituiscono in questo senso preziosi e fondamenta li riferimenti.
L’analisi di contesto, finalizzata all'acquisire da ti, informazioni e indicatori, non deve dar
luogo ad un quadro informativo generico e indistint o ma direttamente dipendente dal genere
di piano oggetto della decisione; in tal senso è op portuno trovare un equilibrio tra la
ridondanza e la vaghezza delle informazioni.
Vi sono contesti caratterizzati da una forte incert ezza e da carenze di informazioni che
necessitano di modelli di analisi innovativi, basat o sul giudizio di osservatori (testimoni
qualificati) piuttosto che sull’osservazione dirett a dei fenomeni. “Se diversi osservatori che
analizzano un fenomeno lo descrivono in un certo mo do è molto probabile che l’osservazione
risulti attendibile” (Bertin, 1994). Il coinvolgime nto del pubblico e le consultazioni con gli
stakeholders , come più volte affermato, aiutano in questa fase a identificare e a comprendere
le questioni principali che la VAS deve trattare. 132 Si può partire dai temi più generali per poi
approfondire le questioni specifiche con l’obiettiv o di elaborare un quadro conoscitivo il più
possibile ampio e ricco. In tal senso, si ritiene e ssenziale andare oltre il quadro informativo
fornito dai dati oggettivi (“dati hard”) avvalendos i anche di “dati soft”, espressione del punto
di vista dei diversi attori coinvolti nel processo (De Marchi, 1999).
In questa prospettiva la VAS diventa uno strumento di dialogo capace di far interagire il
“sapere comune” (i cittadini, le associazioni, i ra ppresentanti della società civile, etc.) con il
“sapere esperto” (i tecnici e gli amministratori), per una migliore individuazione e selezione
delle scelte.
Come è stato detto in premessa e nel paragrafo terz o del presente capitolo, la partecipazione
deve essere strutturata e pensata sia rispetto al r isultato da raggiungere sia alla scala

131 Fondamentale è il ruolo delle Agenzie Regionali per l’ambiente istituite con la Legge n. 61 del 21 gen naio 2001, che
hanno tra le varie competenze l’elaborazione di dat i di interesse ambientale e la loro diffusione.
132 Nel caso della VAS del PUC di Cava de’ Tirreni, per esempio, nella fase di costruzione della conoscenza sono stati
attivate le consultazioni con le autorità ed i sogg etti competenti in materia ambientale ma anche con le associazioni, i cittadini
e i singoli portatori di interesse con lo scopo di arricchire il quadro conoscitivo con le questioni r itenute maggiormente
significative per le future trasformazioni urbanist iche, sociali, economiche e culturali del territori o, e di far emergere le
istanze della collettività. Nell’ambito delle assem blee con la comunità sono state affrontate tre ques tioni principali relative
allo sviluppo territoriale del comune di Cava de’ Ti rreni: 1. Quale visione di futuro? 2. Quali strateg ie? 3. Quali azioni?
(Cerreta e De Toro, 2011).

135
territoriale di riferimento del piano. Per esempio trattandosi di un piano territoriale a scala
provinciale o regionale, gli attori territoriali da coinvolgere sono sen’altro i rappresentati degli
enti sotto ordinati attraverso l’attivazione di tav oli interistituzionali, 133 mentre nel caso di
piani comunali è preziosa la collaborazione tra Com uni contermini, che come visto nelle
esperienze di scoping analizzate nel capitolo quint o, avviene assai di rado.
L’analisi SWOT a conclusione dell’analisi di contes to, risulterà utile per consentire
l’individuazione delle criticità rilevanti e opport unità, in base alle quali sia possibile
contribuire alla modulazione del sistema degli obie ttivi del piano, integrandoli con misure di
precauzione ambientale.
Definizione degli indicatori
Comunemente con il termine indicatore si identifica uno strumento in grado di fornire
informazioni in forma sintetica, di un fenomeno più complesso e con significato più ampio;
uno strumento in grado di rendere visibile un andam ento o un fenomeno che non è
immediatamente percepibile. 134 La definizione degli indicatori nella VAS, risulta di rilevante
importanza, per l’analisi di contesto e per la succ essiva fase di monitoraggio, nonché per la
messa a punto di sistemi informativi e per la costr uzione di modelli ambientali.
Avere a disposizione un set di indicatori appropria ti, che riesca a interpretare al meglio la
situazione su cui un piano o un programma andrà a i ncidere, è fondamentale e permette la
costruzione di scenari di piano attendibili, basati su interpretazioni della situazione di partenza
il più possibile aderente alla realtà che si sta st udiando.
Per garantire che il loro uso sia efficace nella va lutazione, è necessario che essi non siano
troppo numerosi ma allo stesso tempo che siano rapp resentativi della realtà che si sta
esaminando; devono inoltre essere traducibili in va lori quantitativi e statisticamente
monitorati. 135 Nella loro analisi, possono essere confrontati con soglie di legge, qualora ci
siano riferimenti normativi in tal senso o con spec ifici criteri quantitativi di volta in volta
definiti.

133 Nel caso della Valutazione strategica del Piano te rritoriale di coordinamento della Provincia di Mila no stati attivati sul
territorio provinciale, suddivisi per ambiti territ oriali, dei tavoli interistituzionali per discutere e lavorare insieme alle
amministrazioni comunali su progetti, temi e proble matiche comuni per la predisposizione del piano (Pr ovincia di Milano,
2002, p. 7).
134 È quanto affermato da Gabriele Bollini in un docume nto disponibile in Internet al’indirizzo
http://www.comune.alghero.ss.it/progetti_programmi/ agenda_locale/documenti/indicatori.pdf [ultimo acce sso: 01 marzo
2012].
135 L’assenza di dati disponibili su serie storiche re nde inutile l’indicatore ai fini della verifica dei trend passati.

136
Oltre agli indicatori quantitativi, rivestono ugual mente una grande utilità ai fini dello studio
delle trasformazioni territoriali, gli indicatori q ualitativi e gli indicatori cartografici.
Gli indicatori qualitativi sono indicatori non conf rontabili con dati numerici ma possono
rappresentare le trasformazioni avvenute in un dato territorio. Gli indicatori cartografici sono
quelli che derivano dalla sovrapposizione di più ca rte tematiche.
Tutti gli indicatori utilizzati nella VAS, devono e ssere relazionabili con le fonti di pressione
generabili dallo strumento di pianificazione sull’a mbiente, in questo modo si evita di inserire
nei documenti di VAS degli indicatori poco funziona li al processo decisionale (Calenda,
2008).
Le informazioni e i sistemi di indicatori che le ra ppresentano, possono richiedere elaborazioni
e adattamenti al fine di essere riferite allo speci fico ambito territoriale del piano. Esse devono
comunque garantire la coerenza e la confrontabilità degli indicatori selezionati per il piano
con quelli del monitoraggio ambientale, al fine di costituire il primo importante nucleo degli
indicatori sistematici essenziali per la futura val utazione degli effetti ambientali attesi. In
questo modo la fase di monitoraggio comincerà in re altà “dall’inizio”, cioè attraverso un
quadro conoscitivo iniziale che, attraverso l’uso d i indicatori, diventa parte integrante del
sistema di monitoraggio; l’approccio metodologicame nte più corretto è quando il
monitoraggio inizia dal quadro conoscitivo con le c aratterizzazioni delle componenti al
presente, per poi confrontarle con la loro l’evoluz ione futura e non, quindi, come una
appendice da mettere in coda alla VAS (Baldizzone, 2010).
Sugli indicatori di sostenibilità, non si è ancora trovato un accordo a livello internazionale e
europeo in particolare sulle sue "unità di misura" ovvero i criteri e i metodi per il suo
monitoraggio, per la sua misurazione e per l'effett uazione dei necessari bilanci. 136
La sostenibilità (o la non sostenibilità) di un pia no non è facilmente misurabile: essa, infatti,
non si presenta direttamente rilevabile come se si trattasse di un fenomeno naturale
descrivibile o indicizzabile o diretta conseguenza della lettura di indicatori ambientali.
Bisogna riflettere sul fatto che non tutti gli indi catori ambientali possono essere assunti come
indicatori o misuratori propri e significativi dell a sostenibilità/insostenibilità. Questi numerosi
indicatori e parametri ambientali possono spesso an che alludere, riferirsi indirettamente,
essere interpretati come spie o come significativi indicatori dell'andamento della

136 Ibid , nota 133

137
sostenibilità/insostenibilità ma non la misurano og gettivamente e scientificamente in quanto
tale. E' frequente il rischio di generare confusion e e intercambiabilità tra uso degli indicatori a
fini della descrizione/misurazione ambientale e uso degli indicatori a fini della
descrizione/misurazione delle sostenibilità.
Molto utili nelle VAS gli indici aggregati e gli in dici sintetici, in particolare per il confronto
di scenari. 137
Definizioni di obiettivi specifici e linee d’azione
Attraverso le analisi precedenti è possibile proced ere alla formulazione degli obiettivi
specifici di piano, i cui requisiti devono essere c oncretezza e misurabilità; a ciascuno di essi
deve necessariamente corrispondere una serie di azi oni da attivare funzionalmente al suo
raggiungimento; si ritiene utile, in tal senso, la definizione di una matrice di progettazione,
rappresentata in tabella 6.4_c, che trae ispirazion e dall’approccio del Quadro Logico ( Logical
Framework Approach ),138 dove con uno schema ad albero si schematizza il ra pporto tra
obiettivi generali, specifici e azioni di piano.
Obiettivo generale Obiettivi specifici Azioni di pi ano
Obiettivo generale Obiettivo specifico 1 Azione di piano 1
…………………………
……………………… ………………………………
…………………………..
Obiettivo specifico N ……………….
Azione di piano N
Tabella 6.4_c. Matrice progettuale che individua a partire da un obiettivo generale, obiettivi specifi ci e azioni
Anche in questa fase è fondamentale un ampia partec ipazione e trasparenza del processo,
garantita dal continuo aggiornamento dell’eventuale piattaforma Web, rispetto allo stato di
avanzamento nella formazione del piano e dai focus groups o ESAW attivati con il

137 Si veda l’utilizzo del “dashboard” nella VAST del Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Milano
attraverso il quale sono stati ottenuti indici sintetici tramite modelli di simula zione, stime, analisi comparative e proiezioni
temporali.
138 Sviluppato nella seconda metà degli anni Sessanta dalla US Agency of International Development per migliorare il sistema
di pianificazione e valutazione dei progetti.

138
coinvolgimento degli stakeholders ; il fine è arrivare ad una formulazione condivisa di
obiettivi e azioni. Il risultato da ottenere è una pianificazione strutturata, partecipata e
trasparente, nella quale si potrà scegliere di ragg iungere solamente alcuni degli obiettivi
emersi, tramite la scelta di opportuni ambiti d’int ervento o di priorità sulla base delle esigenze
dell’amministrazione proponente il piano e delle is tanze pervenute.
Tutte le attività, organizzate in maniera ripercorr ibile, e i risultati conseguiti, devono essere
riportati in forma discorsiva nel documento di scop ing i cui contenuti dovranno essere
discussi e condivisi con i soggetti competenti in m ateria ambientale e l’autorità competente; a
tal fine l’autorità procedente convoca uno o più in contri avendo cura di inviare a questi il
documento di scoping con sufficiente anticipo rispe tto alla data prevista per l’incontro.
Durante gli incontri si ritiene utile la somministr azione dei questionari allegati alle LG
(Regione Sardegna, 2010). L’elenco delle osservazio ni pervenute, la restituzione dei
questionari e le informazioni sul loro recepimento dovranno essere contenute nel rapporto
ambientale.
6.5 La redazione del rapporto ambientale
La redazione del rapporto ambientale prevede, secon do la Direttiva comunitaria, che siano
individuati, descritti e valutati gli effetti signi ficativi che l'attuazione del piano potrebbe avere
sull'ambiente nonché le alternative alla luce degli obiettivi e dell'ambito territoriale interessato
dal piano. Quindi, relativamente all’intero process o di VAS, il rapporto ambientale è pertanto
uno strumento funzionale a favorire un efficace svo lgimento della procedura di valutazione e,
in particolare, a rendere disponibili le informazio ni utili, affinché tutti i portatori di interesse
coinvolti abbiano modo di apportare il loro contrib uto. Conclusa la fase di elaborazione del
documento di piano, il rapporto ambientale diviene lo strumento per render conto dell’intero
processo.
Le attività previste per la redazione del rapporto ambientale, rappresentate nella tabella 6.5_a,
sono la costruzione e la valutazione delle alternat ive di piano, la stima degli effetti ambientali
delle azioni sul piano e la costruzione del sistema di monitoraggio. 139

139 Il Protocollo si discosta sostanzialmente dall’art icolazione delle attività prevista dalle LG (Regione Sardegna, 2010, p.13).

139

Tabella 6.5_a. Attività e soggetti coinvolti nei mo menti partecipativi nella redazione del rapporto
ambientale
6.5.1 Costruzione delle alternative di piano
A conclusione della fase di scoping, si determinano le interazioni più significative tra la
valutazione e il momento decisionale. La matrice di progettazione, rappresentata in tabella
6.4.c, favorisce l’individuazione di “ragionevoli” alternative di piano, secondo la definizione
della Direttiva. 140 Ogni obiettivo specifico, infatti, può essere pers eguito con diversi
combinazioni di azioni di piano anche sulla base de gli ambiti di intervento. Secondo il
Protocollo, nella formazione delle diverse combinaz ioni e quindi nella definizione delle
ragionevoli alternative di piano, un contributo ess enziale, che va ad affiancare le istanze di
natura politica, è dato dalla partecipazione tramit e la piattaforma Web e dai tavoli con gli
stakeholders. A seconda dei casi si possono delinea re talvolta opzioni molto distanti tra loro,
per cui è necessaria una valutazione che unisca div ersi approcci. Nell’ambito della VAS, le
problematiche valutative sono, o dovrebbero essere, tipicamente orientate a confrontare

140 L’individuazione e la valutazione delle alternativ e, come visto nel capitolo quinto, è assente in tut ti i casi studio esaminati.
Anche le LG in merito, non danno nessun suggeriment o sulla metodologia da seguire. Riflettere sul ruolo delle alternative
impone infatti, di partire dalla Direttiva 2001/42/ CE e dalle norme a livello nazionale, nelle quali no nostante si affermi che la
definizione delle alternative sia una fase fondamen tale per la VAS, non si da un riferimento esaustivo di come esse debbano
essere formulate e quali siano gli strumenti utili a tale scopo. Questa mancanza di indicazioni è uno dei motivi che porta,
nella pratica, alla loro non determinazione. La redazione del rapporto ambientale
Attività Momenti partecipativi e soggetti coinvolti
– Costruzione delle alternative di piano
– Valutazione e confronto fra le alternative di
piano
– Stima degli effetti delle azioni di piano
sull’ambiente.
– Programma di monitoraggio Pubblico, pubblico interessato e soggetti
competenti in materia ambientale

140
diverse opzioni di piano anche molto diverse tra lo ro, sulla base di regole di decisione definite
in base a preferenze, aspettative, bisogni espressi dalle comunità locali (Lai et al., 2008).
Nel processo di pianificazione valutazione delineat o, il contributo della comunità e degli altri
attori del processo, risultato dei momenti partecip ativi, viene “usato” per individuare bisogni,
problemi, obiettivi e per la definizione delle line e di intervento. In tal modo degli obiettivi
specifici individuati nella matrice di progettazion e rappresentata in tabella 6.4_c verranno
scelti quelli che diventeranno gli obiettivi specif ici di piano assieme alla combinazione di
azioni da compiere per la loro realizzazione.
In questo modo si potranno, definire scenari altern ativi di piano realizzabili attraverso linee
d’azione differenti. Uno dei principali impegni del la VAS è proprio l’esplorazione dei scenari
futuri alternativi che potrebbero delinearsi a segu ito della realizzazione di un piano, un
programma o un progetto, allo scopo di fornire info rmazioni utili ai pianificatori e ai decisori
(Duinker and Greig, 2007).
Valutazione e confronto tra le alternative
Una volta individuate le varie alternative di piano , il problema da affrontare risulta quello
relativo alla loro valutazione. Le diverse ipotesi di piano devono essere seleziona te e
classificate, tenendo conto di tutti gli elementi c he il decisore ritiene importanti.
Le tecniche valutative non forniscono automaticamen te la decisione ma danno un supporto
sistematico ad essa; aiutano anche l’autorità compe tente in modo da adottare delle scelte più
consapevoli, incrementando l’efficacia delle decisi oni cognitive.
La tecnica tradizionale di valutazione di analisi c osti-benefici, basata su un solo criterio di
valutazione basato sul benessere sociale, è stata a ccantonata a causa della crescente influenza
dei metodi di comparazione a criteri multipli.
L’analisi costi-benefici è nata per supportare la s celta tra diversi progetti nell’ambito di studi
di fattibilità e delle VIA. Tramite essa e in parti colare dall’esito del rapporto tra benefici e
costi attualizzati, erano considerati “fattibili” s olo quei progetti la cui redditività era espressa
in termini esclusivamente monetari. La sua unica fu nzione di massimizzazione del benessere
economico è anche il suo limite principale. Se, com e nel caso dei piani soggetti a VAS, le
scelte di piano devono soddisfare altri criteri olt re quello economico, la tecnica dell’analisi
costi-benefici da sola non basta.

141
Il Protocollo in tal senso, suggerisce l’utilizzo, di tecniche, basate sull’analisi multi criteri, che
a differenza dell’analisi costi-benefici, valuta le alternative di piano secondo criteri diversi,
scelti e pesati dal decisore politico sulla base di quanto emerso nei momenti partecipativi.
Esse si basano sull’idea che, in un problema decisi onale complesso, vi possano essere molti
aspetti rilevanti, non riconducibile ad un unico ob iettivo o criterio. I criteri, in tal senso, sono
lo strumento attraverso il quale le varie alternati ve vengono comparate l’un l’altra rispetto
all’obiettivo del decisore e rappresentano l’aspett o misurabile del giudizio al quale le
alternative sono sottoposte (Voogd, 1983).
Il risultato del processo di valutazione dipende da i differenti criteri adottati, spesso
conflittuali, che, pertanto devono essere scelti co n cura e con metodologie, per quanto
possibile, oggettive.
I vantaggi di un analisi multi criteri rispetto a u na analisi costi-benefici che, come si è visto,
riconduce tutti gli indicatori in termini monetari sono: la considerazione di diverse priorità e
preferenze; le diverse componenti del problema e le reciproche relazioni, sono evidenziate,
organizzate e sintetizzate in modo organico; tutti i dati trattati sono resi espliciti e trasparenti
con maggiore ripercorribilità delle decisioni e min ore arbitrarietà. In tal senso diventano
essenziali, in questo tipo di analisi per la consid erazione delle diverse priorità e preferenze
(quindi per l’attribuzione dei pesi che misurano l’ importanza dei differenti criteri) i contributi
derivanti dai momenti partecipativi; il processo di decisione e valutazione deve, dunque,
essere interattivo e portare ad un risultato che si a esito di negoziazione oltre che degli aspetti
conoscitivi e di natura politica.
La nozione di valutazione, nell’analisi multi crite ri, può essere definita come un’attività che si
sviluppa in tempi successivi: in un primo momento d evono essere ricercate quelle alternative
che hanno una rilevanza oggettiva, in seguito si pa ssa alla loro stima, che consiste nel dare
loro un ordine di preferenza. In tutte le fasi dell a valutazione delle alternative è necessario
garantire un interazione continua tramite la piatta forma web, le assemblee (sessioni plenarie)
e i tavoli (sessione tematiche) con gli s takeholders .
L’analisi multi criteri si configura come un algori tmo di confronto tra un certo numero di
alternative secondo un set di criteri e i relativi pesi. Esistono diversi modi di procedere,
tradotti da diversi algoritmi, in alcuni casi forte mente formalizzati e tradotti in forma analitica,
in altri casi senza una formalizzazione matematica (Beria, 2005).

142
L’analisi a multicriteri “classica”, sviluppata neg li Stati Uniti, consente di generare un ordine
di preferenza tra un numero finito di alternative, tramite l’attribuzione ad ognuna di un
punteggio che ne misura la prestazione rispetto a t utti i criteri considerati. Sulla base dei pesi,
verrà dunque scelta l’alternativa più soddisfacente , funzionalmente all’obiettivo generale
iniziale.
Un metodo di questo tipo presenta forti elementi di soggettività, sia nella stima delle utilità
che dei pesi in quanto i decisori e gli stakeholders coinvolti esprimono preferenze diverse, le
quali esplicitano, in modo incerto, una scala di va lori (Laniado, 2010).
L’incertezza e la soggettività vengono studiate tra mite l’analisi di sensitività e l’analisi del
conflitto. L’analisi di sensitività permette di cap ire l’andamento della scelta, ossia il variare
della preferenza di alternative al variare dei para metri più critici, in particolare al variare dei
pesi.
Per l’analisi del conflitto; esistono due metodi di fferenti; il primo è basato sulla
partecipazione e quindi sull’interazione fra i dive rsi soggetti coinvolti nel processo
decisionale, i quali, per l’ottenimento di una scal a di preferenze tra le alternative, concordano
una serie di criteri di valutazione e di informazio ni che hanno lo scopo di essere di supporto
alla decisione finale e di rendere trasparente l’in tero processo. Il secondo invece, prevede che
ogni attore coinvolto esprima una preferenza sulle alternative; operando in questo modo, il
conflitto emerge solo al momento del confronto dell e preferenze finali.
L’utilizzo della multicriteri classica può risultar e un supporto efficace per la scelta del
decisore, la tecnica permette infatti in maniera si ntetica di individuare gli elementi cardine del
processo, oltre a rendere trasparente e ripercorrib ile il percorso di scelta dell'alternativa; per
contro, poiché questo metodo si basa su presupposti di tipo matematico, come già affermato
in precedenza, risulta di non facile comprensione p er i soggetti coinvolti nel processo e
permane la soggettività nella determinazione di alc une grandezze (indicatori, pesi, funzioni di
utilità, etc) che caratterizza tutti i processi di valutazione. Inoltre, per essere applicato richiede
la volontà politica di garantire la trasparenza sul l'intero processo. È evidente che, se il
proponente del piano, attraverso i suoi consulenti, stabilisce le proprie funzioni di utilità e
inserisce i propri pesi senza un processo partecipa tivo, pubblicando solo il risultato finale,
senza analisi di sensitività e di conflitto e senza rendere trasparente il percorso, questo diventa
un metodo che serve a giustificare le proprie scelt e privo di qualsiasi credibilità (Laniado,
2010).

143
Il secondo metodo, proposto dal Protocollo, molto u tilizzato nei paesi anglosassoni, è l’analisi
gerarchica o Analytic Hierarchy Process (AHP), 141 basato sugli stessi principi della analisi
multicriteri classica dal quale si differenzia nel modo di gestire il problema decisionale. In
particolare tenta di semplificare l’interazione con il decisore e con i soggetti coinvolti, il
metodo consiste nel porre una serie di domande rela tive al confronto tra le alternative oggetto
della valutazione a cui è possibile dare una rispos ta di tipo qualitativo.
Il problema decisionale è strutturato secondo una g erarchia in cui ogni livello è costituito da
specifici elementi. L’obiettivo principale della de cisione si trova al vertice della gerarchia, i
criteri, i sub-criteri e le alternative sono colloc ati nei vari sub-livelli. Il metodo consiste in un
confronto a coppie tra tutti gli elementi appartene nti allo stesso livello, basato su un metodo di
valutazione soggettiva attraverso l’individuazione di una serie di punteggi o pesi. I risultati
dei confronti a coppie tra i singoli obiettivi sono utilizzati per costituire una matrice di
confronto a coppie. L’analisi gerarchica consente l a possibilità di ottenere una stima di tipo
qualitativo, si rende quindi adatta alle fasi preli minari, nelle quali il giudizio degli esperti è
più frequente dell’uso di modelli quantitativi. Ino ltre fornisce in maniera sintetica la
possibilità di ottenere informazioni rispetto alle fasi e agli aspetti principali del problema
decisionale. Le problematiche relative all’utilizzo di tali tecniche sono però l'arbitrarietà della
scelta di una scala numerica per tradurre preferenz e espresse in modo qualitativo, oltre alla
possibilità che si verifichi un cambiamento nell'or dinamento delle alternative presenti, in
seguito all'introduzione di una nuova alternativa.
L’analisi multi criteri risulta più efficace, per l e scelte che riguardano il territorio, se viene
condotta nell’ambito di sistemi GIS per la capacità di questi ultimi di elaborare e gestire una
molteplicità di dati territoriali complessi. L’osse rvazione del territorio solitamente richiede
l’uso di dati territoriali di diversa natura, in ta le contesto il ruolo del GIS è essenziale in
quanto permette di effettuare agevolmente le operaz ioni e le trasformazioni necessarie per
l’integrazione dei dati in un unico database territ oriale. 142

141 È stato sviluppato da Thomas Saaty nel 1980.
142 La valutazione con il metodo AHP integrato nel GIS , è molto usato per i piani che prevedono per esemp io nuove
localizzazioni, nell’analizzare la suscettività del territorio. Per esempio per la localizzazione di n uove aree industriali alcuni
criteri o sottocriteri sono (Cerretta et al , 2008): geologia: stabilità dei versanti, permeabi lità dei terreni, zonizzazione sismica;
morfologia: clivometria; esposizione; risorse natur ali: uso agricolo del suolo; paesaggio: paesaggio v isivo, uso del suolo;
sistemi a rete: rete stradale; aree edificate: indu strie, residenze. In questo modo è stato possibile ottenere non un se mplice
overlay dei diversi tematismi ma di confrontare a c oppie i criteri di ciascun livello gerarchico allo scopo di assegnare un
peso, espresso su di una scala 0-1, a ciascun crite rio, sulla base di un giudizio esperto.

144
Il GIS è utile in quanto permette al decisore di vi sualizzare in maniera automatica i risultati di
una scelta ed agevola la ricerca di possibili alter native sul territorio; inoltre può favorire la
partecipazione della popolazione in maniera attiva, in quanto dalle procedure di
partecipazione possono scaturire indicazioni sui pe si da attribuire ai criteri nell’ambito del
processo di valutazione. In particolare l’utilizzo dell’analisi multi criteri abbinata all’uso dei
WebGIS favorisce un più ampio coinvolgimento della popolazione tramite la messa a
disposizione della documentazione conoscitiva del t erritorio oggetto di studio, necessaria per
comprendere le motivazioni delle scelte ovvero per poter indicare alternative non conflittuali
con invarianti territoriali (Minucci e Camillo, 200 8). L’impostazione informatizzata dei piani
consente, al di là della mera informazione, di form ulare scenari di assetto territoriale derivanti
da scelte, inserite come input, effettuate in manie ra condivisa sulla base delle informazioni
conoscitive, anch’esse condivise.
Stima degli effetti ambientali
Gli effetti di un piano si possono definire come le conseguenze riguardanti l’attuazione dello
stesso. Gli effetti si riferiscono solitamente ai p iani, mentre gli impatti si riferiscono nella
maggior parte dei casi a progetti; 143 il panorama degli effetti che un piano può produrr e
sull’ambiente è, infatti, molto più ampio degli imp atti che può produrre un progetto e anche di
più difficile individuazione e valutazione.
Gli effetti devono essere valutati nella loro rilev anza così da fornire informazioni ai decisori;
la loro individuazione e analisi rappresenta quindi per il processo di VAS una delle fasi
fondamentali e probabilmente anche quella in cui si incontrano maggiori difficoltà.
Il primo problema che si presenta è quello di descr ivere gli effetti prodotti dal piano sulle
diverse componenti ambientali. A proposito di quest o, la Direttiva Europea parla di effetti
ambientali con riferimento ad aspetti quali la biod iversità, la popolazione, patrimonio
culturale, il paesaggio. Il termine di “valutazione ambientale” non può rimandare ai soli effetti
ambientali dei piani e dei programmi ma, tenuto con to che lo sviluppo sostenibile si riferisce a
tre dimensioni fondamentali (economica, sociale e a mbientale), una più generale “valutazione
della sostenibilità” deve tener conto degli effetti che i piani e i programmi comportano anche

143 Mentre non esiste una precisa definizione di effet to di un piano, esiste una vasta letteratura sulla definizione degli impatti,
che vengono classificati a seconda del segno (posit ivi o negativi), della dimensione (lievi, rilevanti , molto rilevanti), secondo
la durata (reversibili a breve termine, a lungo ter mine, irreversibili), secondo la probabilità (proba bili, sicuri), secondo
l’estensione territoriale (locali, di area vasta).

145
sul contesto economico e sociale. L’internalizzazio ne piena e totale anche degli effetti sociali
associabili al piano, appare presente e condivisa n ella letteratura tecnica e scientifica in tema
di procedure di valutazione ambientale, ma nella pr atica lo spazio dedicato agli effetti e dagli
indicatori sociali è ridotto. Gli effetti sull’ambi ente devono essere valutati su tutte le
componenti esaminate nell’analisi ambientale inizia le, 144 considerando anche gli impatti
sociali, poiché parte rilevante e sicuramente irrin unciabile della valutazione ambientale
(Saturnino, 2009).
L'analisi critica dei potenziali effetti ambientali , sociali ed economiche deve essere eseguita
con cura (Verheem, 1992) per garantire che tutti i possibili problemi siano identificati con il
giusto livello di valutazione (Von Seht, 1999).
L’utilizzo degli indicatori, in quest’attività è fo ndamentale, soprattutto perché permettono di
fare delle stime di tipo quantitativo. 145 In questo senso bisogna trasformare gli indicatori fisici
in una scala comune per poi valutare la significati vità degli effetti, con una chiara
esplicitazione dei criteri utilizzati (Bresso et al , 1990). Un metodo comunemente usato in sede
di VIA, permette di trasformare gli indicatori in v alori omogenei per mezzo di una scala
comune di tipo numerico è utilizzare delle curve di trasformazione che permettono di passare
rapidamente da una scala all’altra (Bresso et al , 1990). Altri metodi sono basati sulla
costruzione di indici aggregati, quando per esempio si vogliano valutare l’evoluzione di un
ecosistema o, in generale si debba tenere conto di molte variabili tra loro interrelate.
Per l’analisi degli effetti ambientali e degli effe tti di piano, i metodi più usati sono ad hoc:
checklist, matrici, sovrapposizione di carte temati che ( Overlay-mapping ),146 network, metodi
quantitativi e modelli.
L’individuazione degli effetti del piano sull’ambie nte da parte del pianificatore/valutatore, è
fatta su ciascun’alternativa di piano proposta e co nsiste nell’analizzare singolarmente ogni

144 Si ritiene di non dover escludere, come suggerito invece dalle LG, la valutazione degli effetti sulle componenti ambientali
sistemi produttivi, mobilità e trasporto (Regione Sa rdegna, 2010, p. 38) poiché le ripercussioni delle azioni di piano su di esse
potrebbero comportare ripercussione non trascurabil i.
145 Nei casi studio analizzati nel Capitolo precedente le valutazioni degli effetti erano perlopiù di tip o qualitativo, spesso
troppo generali e poco accurate.
146 Nella valutazione strategica del Piano territorial e di coordinamento della Provincia di Milano, l’ Overlay-mapping è stata
una delle tecniche utilizzate per la costruzione de lle mappe di potenzialità, attraverso essa si è res a possibile la verifica di
compatibilità e interazioni tra potenzialità del te rritorio e scelte progettuali di piano. Sulla base di caratteristiche intrinseche,
estrinseche, ubicazionali e paesaggistiche del terr itorio si è scelto di lavorare su tre tematiche di potenzialità: conservazione,
residenziale e produttiva.

146
azione riguardante il piano, in termini di effetti diretti, indiretti e cumulativi tramite l’uso
degli indicatori (a partire da quelli che sono stat i selezionati per l’analisi di contesto). La
simulazione delle ricadute ambientali delle trasfor mazioni territoriali non è cosa semplice, ma
al contrario molto complessa, con un fattore d’ince rtezza molto elevato.
Come per la scelta dei dati, anche per la valutazio ne degli effetti è molto importante prestare
attenzione alla scala territoriale di studio, a sec onda della quale i temi ambientali trattati
possono avere caratteristiche differenti.
Anche l’analisi di coerenza interna, ovvero della c oerenza tra obiettivi, strategie e azioni di un
piano può essere considerata come una tecnica per l a previsione e per la rappresentazione
degli effetti (Pallone, 2004). Con l’analisi di coe renza interna si verifica l'esistenza di
contraddizioni all'interno del piano, identificando obiettivi non dichiarati o non perseguiti
oppure obiettivi conflittuali, evidenziando problem atiche non emerse esplicitamente nelle fasi
precedenti della valutazione.
Per l’analisi di coerenza interna è consigliato l’u so di matrici, come nel caso della figura
6.5.1_a, rappresentante la modalità seguita nel rap porto ambientale della VAS del Comune di
Alghero (Comune di Alghero, 2010), Nello specifico, l’analisi di coerenza interna è svolta
confrontando, con riferimento ad ogni obiettivo gen erale, ciascun obiettivo specifico (e le
relative azioni) con gli obiettivi specifici corris pondenti ai restanti obiettivi generali ed
individuando per ogni rapporto se vi è:
– congruenza: i due obiettivi specifici sono indiri zzati verso il perseguimento degli stessi
obiettivi di sostenibilità;
– neutralità: i due obiettivi specifici sono indiri zzati verso obiettivi di sostenibilità diversi ma
non confliggenti tra di loro;
– possibile criticità: i due obiettivi specifici po trebbero confliggere in relazione alle modalità
di realizzazione degli interventi specifici.

147

Figura 6.5.1_a. Analisi di coerenza interna. Fonte Rapporto Ambientale della VAS del PUC di Alghero
Nel caso di possibile criticità sarà pertanto neces sario prefigurare azioni progettuali che, nel
perseguire gli obiettivi specifici, prestino partic olare attenzione alla salvaguardia
dell’ambiente e dei paesaggi limitando il più possi bile gli effetti sugli elementi naturali ed
antropici che caratterizzano il territorio algheres e e dai quali questo trae la propria principale
risorsa.
Costruzione del programma di monitoraggio
L’ultima fase della redazione del rapporto ambienta le è la redazione del piano di
monitoraggio, la cui importanza sta nel feedback ch e permette il percorso a ritroso del
processo. Il suo obiettivo è misurare in corso d’op era l’efficacia degli obiettivi e proporre
eventuali azioni correttive per adeguare il piano i n tempo reale alle dinamiche di evoluzione
del territorio in esame. Il monitoraggio dunque non è solo una raccolta dei dati, ma una
“valutazione della valutazione” e una verifica dei risultati emersi dalla VAS in sede di
pianificazione (Penna, 2008). Inoltre, il processo di valutazione non si esaurisce all’atto
dell’approvazione del piano, ma lo “accompagna” per tutta la sua vita utile, verificando gli
effetti degli interventi realizzati e procedendo al la loro modifica nel caso di eventuali
scostamenti dalle previsioni fatte in fase ex-ante (Calenda, 2008). Si tratta di una fase che,
sulla scia dei principi di tutela ambientale si pro pone come soluzione per garantire e
potenziare le “prestazioni di sostenibilità” di un piano, assumendo un ruolo fondamentale per
accertare il successo della VAS (Penna, 2008).
L’introduzione del monitoraggio potrebbe consentire una maggiore flessibilità dei contenuti
del piano e quindi una migliore adattabilità ai cam biamenti in atto sul territorio e costituire

148
una possibile soluzione per superare la mancanza di operatività che spesso è attribuita alle
pratiche di pianificazione accusate di un’eccessiva rigidità delle previsioni (Gambino, 2001).
Il monitoraggio rappresenta, quindi, un aspetto sos tanziale del carattere strategico della
valutazione ambientale, trattandosi di una fase pro -attiva dalla quale trarre indicazioni per il
progressivo riallineamento dei contenuti del piano agli obiettivi di protezione ambientale
stabiliti, con azioni specifiche correttive.
La Direttiva comunitaria (art. 10 c. 1) obbliga gli Stati membri a monitorare gli effetti
significativi conseguenti all’attuazione di piani a l fine di individuarne tempestivamente gli
effetti negativi imprevisti e a essere in grado di adottare le misure correttive che si ritengono
opportune. Secondo questa definizione, la Direttiva sembrerebbe enfatizzare la valutazione
descrittiva degli effetti significativi dove la bas e di dati ha un ruolo importante nella
definizione delle conseguenze; sul monitoraggio del l’efficacia del piano, della sua effettiva
sostenibilità e della verifica del suo stato di att uazione la normativa non si pronuncia.147
Si ritiene importante, definire nel programma di mo nitoraggio per ciascun obiettivo specifico
di piano, degli indicatori che ne misurino l’attuaz ione e l’efficacia, come si è cercato di fare
nel caso del rapporto ambientale della VAS del PUC di Alghero (Comune di Alghero, 2010),
di cui di riporta in figura 6.5.1_a uno stralcio; i n questo caso assieme agli indicatori di
pressione e di stato sono stati individuati degli i ndicatori di risposta. 148

Figura 6.5.1_b. Definizione degli indicatori per il monitoraggio dell’azione di piano. Fonte: Rapporto ambientale
della VAS del PUC di Alghero.

147 Questa lettura della Direttiva è emersa anche dai casi studio esaminati, dove nei programmi di monito raggio non si fa mai
riferimento a modalità di verifica dell’attuazione e dell’efficacia del piano.
148 Gli indicatori di risposta riassumono la capacità e l’efficienza delle azioni intraprese e per il con seguimento degli obiettivi
assunti.

149
Altre indicazioni nella costruzione del monitoraggi o sono (Mc Callun, 1987): i) pianificare
preventivamente le attività necessarie, come e da c hi deve essere fatto, coordinare le parti
interessate e le attività svolte; ii) gestire le in formazioni in modo che siano prodotte e rese
disponibili; prevedere adeguate risorse, mantenere la affidabilità di coloro che sono implicati
nel processo.
Rispetto al monitoraggio degli effetti ambientali, in linea generale il set di indicatori
ambientali del programma di monitoraggio dovrebbe e ssere più snello rispetto a quelli
individuati nell’analisi di contesto, in base agli aspetti ritenuti più importanti, ma allo stesso
tempo si possono prevedere nuovi indicatori (Calend a, 2008).
Nella redazione di un programma di monitoraggio, il rischio che si corre, è che esso poi sia
poco attuabile, per esempio a causa di indicatori n on popolabili o di indicazioni non precise
sulle attività necessarie, con il risultato di esse re abbandonato dopo l’approvazione del piano.
Elementi che incidono sulla operatività di un progr amma di monitoraggio sono la difficoltà
nella raccolta dei dati (Baldizzone, 2006) e l’appr occio metodologico seguito nella
definizione degli indicatori; il confronto con gli stakeholders e soprattutto con i soggetti
competenti in materia ambientale (anche in questa f ase) è prezioso. 149

149 Nel caso della VAS del PUC di Alghero il confronto con i soggetti competenti in materia ambientale è stato fondamentale
per la definizione degli indicatori, sia nell’anali si dello stato dell’ambiente, sia nella predisposiz ione del programma di
monitoraggio.

150
Conclusioni
Si può affermare, sulla base di quanto emerso nella ricerca, che un modello di decisione
pubblica fondato sull’approccio concettuale e metod ologico della VAS può inserirsi in un più
ampio modello di governance territoriale orientato al paradigma della sostenibilità.
Quest’ultimo necessita, per diventare concreto, di essere trasformato in azioni, previo il
raggiungimento di un equilibrio, dinamico, tra le s celte dei governi, delle comunità e dei
gruppi (Hardy e Zdan, 1997). Equilibrio possibile, dunque, solo attraverso momenti
decisionali caratterizzati da un maggior coordiname nto tra i livelli di governo, dalla
partecipazione consistente della collettività e dal l’attenta valutazione di tutte le dimensioni
della sostenibilità; in tal senso, la possibilità d i dare concretezza al “miraggio” dello sviluppo
sostenibile e della sostenibilità dipende crucialme nte dalla possibilità di attuare forme incisive
di governo del territorio (Gambino, 2005).
Lo studio dei processi di governance territoriale, attivati negli ultimi anni in Sardegna,
permette di fare essenzialmente due riflessioni, ch e rafforzano quanto appena evidenziato.
La prima riguarda la struttura del governo del terr itorio: forme gerarchiche e dirigistiche da
parte dei governi regionali portano a modelli istit uzionali, amministrativi e fisico-
organizzativi difficilmente accettati e condivisi d a parte dei livelli di governo sotto-ordinati e
dalle comunità locali, perché incapaci di leggerne esigenze e aspettative. D’altronde, si ritiene
importante porre l’accento sul fatto che è attribui ta, al potere pubblico, la funzione di
pianificazione proprio per soddisfare l’interesse g enerale della collettività rappresentata
(Urbani, 2007).
L’esperienza del PPR in Sardegna ha mostrato come s ia necessario inquadrare, in maniera
condivisa e obiettiva, le problematiche e le potenz ialità territoriali, piuttosto che puntare sulla
forza prescrittiva delle disposizioni di un ente a discapito di altri attori istituzionali.
La seconda riflessione riguarda l’interpretazione d el concetto di sostenibilità: fondare i piani
su apprezzabili e innovativi principi basati su tal e astrazione serve a poco se ad essi non
corrispondono adeguati strumenti e risorse per la l oro attuazione. Come visto nel capitolo
quarto, l’assenza di un effettivo rapporto tra stru menti di tutela, valorizzazione e
trasformazione ha indebolito sensibilmente, e in pa rte vanificato, la portata innovativa del
PPR.

151
Non si può rendere concreta la sostenibilità delle scelte a livello pianificatorio attraverso un
approccio esclusivamente vincolistico; un approccio di questo tipo non ha grandi possibilità di
successo dal punto di vista operativo, poiché conte mpla solo la dimensione ambientale e non
quella economica e sociale della sostenibilità.
Queste criticità sono dipese principalmente da tre elementi che hanno caratterizzato la
formazione, l’attuazione e la revisione del PPR: la scarsa concertazione istituzionale, il
mancato coinvolgimento delle comunità locali e la n on integrazione tra indirizzi e prescrizioni
del PPR con gli strumenti di governo del territorio e di settore, secondo quanto prescritto
dall’art. 145 del D.lgs. 42/2004.
Un altro elemento che ha caratterizzato la formazio ne della prima stesura del PPR è stata la
mancata applicazione della VAS. Rispetto a quanto e merso nei precedenti capitoli, e in
particolare dall’ampia letteratura in merito (Sadle r e Verheem, 1996; Partidário, 1996, 1999;
Brown e Thérivel, 2000; Devuyst, 2001; Sadler, 2001 ; Fischer, 2002; Sheate et al., 2003),
essa rappresenta, se correttamente applicata, uno s trumento politico di governance territoriale,
che permette, in modo partecipato e condiviso, di a nalizzare valori complessi per arrivare a
definire delle azioni strategiche, attraverso l’uti lizzo di approcci e strumenti integrati. In tal
senso, si ritiene di poter affermare che, nella fas e di formazione del PPR, una sua applicazione
avrebbe potuto superare alcune delle criticità elen cate, con particolare riferimento al
coordinamento tra le pianificazioni, alla concertaz ione istituzionale e alla partecipazione delle
comunità locali.
Nel Protocollo proposto nel capitolo sesto, si defi niscono indirizzi per lo sviluppo delle
singole attività di pianificazione, dove la VAS non è solo la verifica della compatibilità
ambientale delle scelte, ma un supporto fondamental e per la costruzione delle stesse. In esso,
per dirla con Khakee (1998), governance, pianificaz ione e valutazione, sono concetti
inseparabili e nel quale la partecipazione di tutti i soggetti (soggetti competenti in materia
ambientale, pubblico e pubblico interessato) divent a “infrastruttura immateriale
dell’apprendimento” (Micelli, 2001) che dovrebbe ri durre o annullare la distanza tra chi
elabora le scelte e chi ha il compito di attuarle ( Mazzuccato, 2009).

152
Aspetti del Protocollo che si prestano ad un approf ondimento nel proseguo della ricerca, sono
le metodologie partecipative e la definizione di ap procci scientifici valutativi che siano
rigorosi ed efficaci, ma non eccessivamente dispend iosi per l’amministrazione procedente.
In particolare è necessario approfondire il process o di definizione delle alternative di piano.
Un altro aspetto che è interessante studiare è la s cala più opportuna di applicazione della
valutazione; ci sono infatti alcune tematiche (per esempio: scelte localizzative di rilievo, rete
ecologica, problemi di accessibilità, servizi) nell ’ambito della pianificazione che, per
rilevanza e opportunità, ha senso trattare a una sc ala di livello sovracomunale; le motivazioni
si possono riconoscere in una maggiore incisività e consapevolezza nella visione strategica
del territorio, ed in una razionalizzazione delle p ratiche di utilizzo delle risorse, anche
economiche. I Comuni di piccole dimensioni, che son o in maggior numero, hanno, di fatto,
ridotte disponibilità finanziarie da destinare alle valutazioni dei piani.
La verifica delle condizioni di sostenibilità ambie ntale di un territorio, intesa in termini di
comparazione tra fabbisogni e disponibilità ambient ale delle risorse, diventa più facile da
comprendere e da valutare alla scala territoriale p rovinciale o sovracomunale, dove la VAS ha
una maggiore capacità di incidere sulle singole azi oni (Magoni, 2008). Queste considerazioni
si ritiene abbiano una valenza significativa nonost ante il tema della pianificazione
intercomunale, seppur fortemente presente nel dibat tito disciplinare come visto nei capitoli
secondo e quarto, sia ancora marginale nella prassi e nella normativa vigente.
Appare, inoltre, interessante per il proseguo della ricerca, capire il potenziale ruolo della
Provincia e delle Unioni di Comuni, nel realizzare opportunità per un’integrazione più
efficace della VAS nel processo di pianificazione e di gestione dei piani di livello
sovracomunale/intercomunale. Essendo, in Sardegna, la Provincia autorità competente per le
VAS di valenza comunale e sub-provinciale, potrebbe , nell’esercizio delle sue competenze,
valorizzare, tramite la VAS, il suo ruolo di coordi namento della pianificazione territoriale
provinciale e di interazione con la pianificazione comunale.
In questo senso, la Provincia potrebbe farsi promot rice per l’attivazione di progetti integrati e,
allo stesso tempo, potenziare la sua capacità di pa rtecipare attivamente al governo del
territorio, che, allo stato attuale, è talmente mar ginale da prospettarne l’eliminazione.

153
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