Quaderns d Italià 11, 2006 111-130 [601192]

Quaderns d ’Italià 11, 2006 111-130
La scienza l ’ignoranza la fede
De sui ipsius et multorum ignorantia
Antonio Gagliardi
Universit à di Torino
Abstract
Per comprendere il senso del conflitto tra Francesco Petrarca e i quattro giovani averroisti
in De sui ipsius et multorum ignorantia è necessario penetrare all ’interno del linguaggio e
mostrare la profondit à della dottrina che vi si cela. A cominciare proprio dal quel termine,
ignoranza, si attraversa tutta una biblioteca che rivela la consistenza vera della dottrinaaverroista. Per Averro è c’è un solo intelletto per tutta l ’umanit à e il bambino appena nato
non ha un intelletto personale. Per questo motivo il bambino appena nato è simile all ’a-
nimale senza ragione, il bruto. Questo intelletto si forma tramite l ’acquisizione della scien-
tiasegnando l ’acquisizione vera dell ’umanit à. L’uomo non nasce per natura ma per cultura
e l’ignorante rimane nello stadio della brutalit à. T utta la vita dell ’uomo deve essere dedicata
all’acquisizione della scientia perch é quando l ’intelletto personale avr à acquisito tutti gli
intelligibili si unir à con l ’intelletto agente, la prima delle sostanze separate. Dopo gli sar à
possibile giungere alla visione intellettuale di Dio. Questo è il fine ultimo, il sommo bene
e la felicit à. Si pu ò comprendere il conflitto con il cristianesimo per il quale soltanto tramite
Cristo e nell ’altra vita è possibile giungere alla visione di Dio e alla beatitudine. Date que-
ste coordinate si pu ò comprendere come Petrarca cerca di rispondere da un punto di vista
cristiano contrapponendo la fede alla scientia e a ogni via filosofica che porta a Dio. Nel
conflitto con i giovani averroisti si rivela la pienezza di una frattura storica in antropologiaed escatologia e una via e della perfezione e della beatitudine incompatibile con il cristia-nesimo. Prendendo le difese del proprio cristianesimo come della propria scientia si sot-
trae alla filosofia il monopolio del sapere rivendicando una propria dignit à intellettuale in
sintonia con la fede cristiana.
Parole chiave: Petrarca, averroismo, ignorantia, fede, scienza.
Abstract
To understand the sense of conflict between Francesco Petrarch and the four Averroistic
youths in De sui ipsius et multorum ignorantia , we must delve deep inside the language and
illustrate the depths of the doctrine hidden within. Beginning exactly from this point, thesearch of an entire library reveals the true consistency of the Averroist doctrine. For Aver-roè, there is just one intellect for all humanity, of which the newborn child has no per-
sonal understanding. For this reason, the newborn child is similar to a senseless animal,or beast. This intellect is formed through the acquisition of scientia , marking the true
acquisition of humanity. Man was not born by nature, but by culture, and the ignorant

112 Quaderns d ’Italià 11, 2006 Antonio Gagliardi
remain in the primate state. Man ’s entire life should be dedicated to the acquisition of sci-
entia, because when personal intellect has acquired all knowledge, it will become united
with agent intellect, the first of the separate substances. Thenceforth, it will be possible tosee into the intellectual vision of God. This is the ultimate end, the greatest good, happi-ness. It is clear why a conflict exists with Christianity, which states that only through Christand in another life is it possible to see the vision of God and to reach bliss. Based on this,it is understandable that Petrarch sought answers from a Christian point of view, setting asidehis faith in scientia and in all philosophical paths leading to God. The conflict with the
Averroist youths reveals the fullness of an historic fracture in anthropology and eschatology,a path, perfection and bliss that are inconsistent with Christianity. In the defence of Chris-tianity, as with scientia , we attribute to philosophy the monopoly of knowledge, claiming
a personal intellectual dignity in tune with the Christian faith.
Key words: Petrarch, averroism, ignorantia, science.
La difficile strada attraverso la scrittura del Petrarca per sondare le radici vere
del contenzioso con i quattro giovani averroisti che nel De sui ipsius e multorum
ignorantia lo hanno messo sotto accusa di ignoranza, ha bisogno di una pre-
ventiva ricostruzione del piano dottrinale e storico nel quale è riconoscibile
un paradigma averroista. Non si tratta, infatti, di gelosie o invidie tra intellet-tuali ma della ragione pi ù profonda che propone una diversa immagine del-
l’uomo e del suo destino mettendo in discussione le radici medesime del
cristianesimo. Nel teatro della scrittura petrarchesca c ’è la completa rappre-
sentazione della crisi che la dottrina di Averro è induce nell ’Occidente cristia-
no. Il modo in cui la lingua gestisce l ’identit à intellettuale del filosofo produce
veli ed equivoci che soltanto risalendo alla biblioteca originaria possono esse-re dissolti. La gestione della scrittura è univoca e gli avversari sono costretti a
parlare nel modo in cui viene loro permesso, entrando nella parola altrui sot-tostando all ’altrui verit à.
D’altra parte è pur vero che ormai da pi ù di un secolo la dottrina del Com-
mentatore è stata storicizzata e almeno da Tommaso d ’Aquino in poi sono
state disegnate le frontiere con il cristianesimo. Petrarca pu ò usare un lin-
guaggio allusivo perch é gli interlocutori e il lettore sono dentro quel conflitto
ed è sufficiente presentare la proposizione essenziale della dottrina per otte-
nere quell ’effetto di verit à nel quale ognuno pu ò riconoscersi nel modo pro-
prio. Per questo motivo, anche se la scrittura non è sistematica, è possibile
scoprire il paradigma essenziale per il quale un averroista è identificabile. C ’è
un linguaggio che traccia la frontiera che divide un filosofo, seguace delle dot-trine del Commentatore, e un cristiano. L ’opera petrarchesca è dentro una sto-
ria e dentro un linguaggio e dell ’una e dell ’altro è possibile rendere conto.
Bisogna risalire sempre al modo in cui una biblioteca greco-araba, soprat-
tutto nel
XIIIsecolo, si sovrappone a quella cristiana creando un universo intel-
lettuale parallelo espresso nella medesima lingua.

La scienza l ’ignoranza la fede. De sui ipsius et multorum ignorantia Quaderns d ’Italià 11, 2006 113
[…] in filosofia e nelle scienze umane si verifica un coassiale spostamento di
significati in alcune aree della cultura per parole tecniche gi à in uso.[ …] Come
dire che le parole rimangono le stesse dentro la comunicazione culturale, ma acerti livelli alti o non vogliono pi ù dire le stesse cose o diventano polisemiche.
1
Bisogna iniziare dal lessico. Cos ’è l’ignoranza per un averroista? Perch é,
oltre l ’autogratificazione polemica, è sufficiente il giudizio di ignoranza per
procurare un tale allarme fino a coinvolgere tutta la configurazione intellet-tuale dell ’individuo? Perch é la fede cristiana si offre, sul piano individuale e
collettivo, come antidoto alla pretesa dei giovani di giudicare qualcuno secon-do virt ù e conoscenza? E ’ necessario ricostruire il testo latente che sull ’igno-
ranza propone un ’immagine nuova, rispetto alla tradizione cristiana, dell ’uomo
e del suo destino. Petrarca e giovani parlano una lingua privilegiata, fatta diemblemi intellettuali sintetici in grado di significare oltre l ’apparenza della
parola. La restituzione di questi emblemi alla biblioteca originaria apre la dot-trina averroista e il modo in cui è diventata storia collettiva portando allo scon-
tro con la dottrina cristiana, con la sua immagine dell ’uomo e con la sua
escatologia.
L’ignoranza contiene tutto questo e, eseguendo il cammino delle parole,
è possibile giungere nel luogo virtuale nel quale la scienza indica la via alterna-
tiva alla beatitudine rispetto a quella di Cristo. In quel luogo si incontrer à
l’altro Petrarca, quello che in altri tempi ha tentato la medesima via che dalla
scienza porta alla perfezione intellettuale e alla visione di Dio. Ora, dopo decen-ni di inquietudine intellettuale e religiosa, incontra se stesso dopo tutte le crisie le soluzioni precarie e i compromessi parlando la stessa lingua dei giovani,rovesciandola contro le loro pretese di essere giudici. La costituzione del terrenocomune mostra loro il comune sapere e la comune ascendenza filosofica. Orapuò anche sembrare un ignorante ma c ’è stato un tempo nel quale la strada
della scienza segnava il medesimo cammino.
Si possono prendere due proposizioni de testo petrarchesco per segnare gli
estremi della dottrina averroista e la strada che conduce l ’uomo al fine massi-
mo. L ’uomo è posto tra l ’ignoranza originaria e la visione di Dio, in questa
vita, nella quale sta la beatitudine. Prima di tutto l ’ignoranza.
Dicono che sono un uomo buono, anzi ottimo [ …] T uttavia chiamano illet-
terato e ignorante [ …].2
Da quale storia viene fuori la possibilit à della conoscenza di Dio? Il fine
massimo per il filosofo averroista consiste nella visione di Dio in questa vita.
Perch é in questa vita Dio non pu ò assolutamente essere conosciuto appie-
no, ma pu ò essere amato con ardente devozione; e l ’amore di Dio è in ogni
1. Maria C ORTI, Scritti su Cavalcanti e Dante , Torino: Einaudi, 2003, p. 65-66.
2. Si cita da De sui ipsius et multorum ignorantia , in F . P . Opere latine , vol. II (a cura di Anto-
nietta Bufano), Torino: UTET, 1975.

114 Quaderns d ’Italià 11, 2006 Antonio Gagliardi
caso un amore felice, mentre è talvolta fonte d ’infelicit à il conoscerlo, come
accade ai demoni, che nell ’Inferno tremano di fronte a lui, quando l ’hanno
conosciuto.3
Nessuno pu ò conoscere Dio in questa vita. Tommaso d ’Aquino ha scrit-
to tutta la sua opera per dimostrare questo assunto. La visione di Dio è il fine
dell’uomo sia per i filosofi sia per la dottrina cristiana. Differente è la via per
giungervi. In questa vita per Averro è attraverso la scienza, nell ’altra per il cri-
stiano attraverso la grazia. In questa vita, per ò, c’è anche un modo di ascen-
dere a Dio per il cristiano. La mistica ha da sempre posto una relazione direttatra uomo e Dio. Petrarca contrappone alla via dei filosofi quella dell ’amore
secondo la tradizione agostiniana e poi francescana. Alla mistica averroista,
4
totalmente intellettuale, si contrappone, almeno dall ’Itinerarium mentis in
Deum di Bonaventura da Bagnoreggio, una mistica della volont à e dell ’a-
more.
Ma è necessario partire dalla definizione dell ’ignoranza nell ’antropologia
averroista. La risposta bisogna cercarla nei commenti averroisti.
Ignorans est sciens in potentia [ …] Et intendit per habitum formam scientie
et per dispositionem contrariam ignorantiam.5
C’è un’implicazione reciproca tra la scienza e l ’ignoranza e l ’ignoranza è
semplicemente la mancanza della scienza. In effetti, è necessario andare alla
ricerca del significato di scienza e il modo in cui determina completamentel’antropologia e l ’escatologia dell ’uomo. E ’ necessario dare significato pieno
anche a forma, formam scientie , perch é proprio la sostanzialit à (atto o perfe-
zione) della scienza produce tutto il divenire dell ’uomo fino a farlo ascendere
all’unione con Dio.
T.27: Et scientia que est in actu est ipsa res[ …]. Comm.: Et scientia que est
in actu est ipsum scitum.6
La scienza è l’intelligibile estratto dall ’ente e assimilato all ’intelletto. L ’in-
telletto privo di scienza, l ’intelletto dell ’ignorante, è un vuoto, una tabula rasa,
secondo Aristotele. Ma c ’è di pi ù.
Per Averro è c’è un unico intelletto per tutta l ’umanit à e questo intelletto,
possibile o materiale, è separato, non fa parte dell ’anima umana. E ’ un’intelli-
genza caduta a contatto con la materia. Mentre l ’anima sorge dalla materia e
3.Ibid., p. 1111.
4. Bruno N ARDI, La mistica averrositica e Pico della Mirandola, inSaggi sull’aristotelismo pado-
vano dal secolo XIVal secolo XVI, Firenze: Sansoni, 1958.
5. Averrois C ORDUBENSIS , «Commentarium magnum »inAristotelis De anima libros , recen-
suit Francis Stuart Crawford, Cambridge, Massachussetts: The Mediaval Academy of Ame-rica, 1953.
6.Ibid.

La scienza l ’ignoranza la fede. De sui ipsius et multorum ignorantia Quaderns d ’Italià 11, 2006 115
muore con il corpo, l ’intelletto è di sostanza spirituale ed immortale. La sua
consistenza ontologica è simile a quella della materia prima, pura potenzialit à
che deve essere attuata dalla forma conosciuta. Per questo motivo l ’intelligibi-
le è sostanza. Si ha la tipica conformazione aristotelico-averroista tra materia e
forma, tra potenza e atto.
Il bambino appena nato non ha un intelletto personale non essendo anco-
ra la sua anima collegata, attraverso i fantasmi dell ’immaginazione, con l ’in-
telletto universale. L ’intelletto personale si forma con l ’acquisizione degli
intelligibili. Questa dottrina è fondamentale quanto quella dell ’intelletto unico.
Se non si comprende la funzione dell ’intelligibile, ovvero della scienza, nel
determinare la nascita dell ’intelletto personale viene meno la fondazione aver-
roista. La conseguenza prima e pi ù drammatica riguarda proprio il bambino
appena nato. Per definizione l ’uomo è l’animale dotato di intelletto. L ’igno-
rante, l ’uomo privo di scienza, non è uomo perch é è anche privo di intellet-
to. Poich é è l’intelletto a fornire l ’humanitas , la specificit à umana rispetto alla
genericit à animale, è evidente che il bambino appena nato non è uomo. E ’ sol-
tanto uomo in potenza poich é soltanto la scienza pu ò farlo passare da animale
a uomo facendogli formare l ’intelletto.
Pertanto dire che il fanciullo intende in potenza pu ò significare due cose:
o che le forme immaginate in lui sono intelligibili in potenza o che l ’intelletto
materiale, atto per natura a ricevere l ’intelligibile di quella forma immaginata,
è ricettivo e congiunto a noi in potenza. [ …]Dopo aver mostrato che l ’intel-
letto materiale non ha alcuna delle forme materiali, [Aristotele] cominci ò a
definirlo dicendo che non ha altra natura se non la possibilit à di ricevere
le forme intelligibili materiali. [ …] L’intelletto materiale è in potenza tutte le
intenzioni delle forme materiali universali e non è in atto alcuno degli enti
prima di intenderli.7
Se c’è soltanto un unico intelletto per tutta l ’umanit à e l’intelletto personale
non è formato è chiaro che il neonato è simile al bruto, all ’animale senza intel-
letto. Se è la scienza a trasformare il bruto in uomo, l ’ignorante, l ’uomo privo
di scienza, è simile al bruto. L ’ignoranza è lo stadio dell ’animalit à originaria
prima di essere cancellata dall ’acquisizione della scienza. Per questo motivo è
necessario colmare la potenzialit à dell’intelletto, raggiungere la perfezione intel-
lettuale. Perfezione è parola chiave per indicare proprio il raggiungimento dello
stadio ultimo, il completamente dell ’intelletto per l ’acquisizione di tutti gli
intelligibili perch é soltanto allora l ’animale diventa totalmente uomo. Uomo
si nasce per scienza e non per parto naturale. Uomo si diviene per cultura.
Per raggiungere la perfezione, la totale attuazione dell ’intelletto, è neces-
saria tutta una vita perch é è necessario trasformare tutto il potenziale cono-
scitivo. Per Averro è l’uomo deve acquisire tutti gli intelligibili, gli universali
per raggiungere l ’attuazione completa dell ’intelletto. Deve conoscere tutto.
7. Augusto I LLUMINATI (a cura di), Averroè e l’intelletto pubblico , Roma: Manifestolibri, 1996.

116 Quaderns d ’Italià 11, 2006 Antonio Gagliardi
Se è così, è necessario che l ’uomo intenda mediante un intelletto proprio a s é
tutti gli enti e che compia un ’azione a s é propria in ogni ente, come intende
mediante l ’intelletto in abito tutti gli enti per intellezione propria, quando sia
congiunto con le forme immaginative.8
Conoscere tutto diventa uno di quegli emblemi dottrinali che possono rap-
presentare tutta la dottrina averroista. Cosa succede quando l ’intelletto ha rag-
giunto la perfezione? L ’intelletto personale si unisce saldamente con l ’intelletto
agente, la prima delle sostanze separate, prive di materia. Questa è la felicit à
dell’uomo, secondo Averro è e secondo tutta la filosofia araba.
L’uomo, in questo modo, come afferma Temistio, è assimilato a Dio in quan-
to è tutti gli enti in qualche modo e in qualche modo li conosce; infatti gli
enti non sono altro che la sua scienza, n é la causa degli enti è altro che la sua
scienza. Quanto mirabile è questo ordine, quanto straordinario è questo modo
dell’essere!9
L’uomo diventa simile a Dio attraverso la scienza. Anche verbalmente si
può comprendere come in Averro è si compie la promessa del serpente ad Eva:
sarete simili a Dio. T utta la storia biblico-cristiana viene cancellata da unanuova promessa di felicit à e di divinizzazione per opera della scienza.
Il proemio alla Fisica diventa uno dei luoghi storici dell ’immaginario filo-
sofico perch é offre l ’estrema rappresentazione della mancanza di scienza. L ’uo-
mo privo di scienza, colui che non ha raggiunto la perfezione intellettuale,è simile al morto o alla statua di pietra. Il bruto e il morto come la statua di
marmo diventano i simboli della mancanza di scienza in quanto mancanzadi umanit à.
[…]et declaratum est in scientia consyderante in operationibus voluntariis
quod esse hominis secundum ultimam perfectionem ipsius, et substantia eiusperfecta est ipsum esse perfectum per scientiam speculativam: et ista disposi-tio est sibi felicitas et sempiterna vita. Et in hac scientia manifestum est quodpraedicatio nominis perfecti a scientia speculativa et non perfecti sive nonhabentis aptitudinem quod perfici possit est aequivoca, sicut nomen hominisquod praedicatur de homine vivo et de homine mortuo, sive praedicatio homi-nis de rationali et de lapideo.
10
Anche qui le parole contengono un significato abissale se messe in rela-
zione con la dottrina cristiana. Felicit à e vita eterna sono il fine ultimo del cri-
stiano redento da Cristo. Ora sono la promessa della filosofia.
Alla scienza è necessario aggiungere la virt ù.
8. Cfr. A. I LLUMINATI , op. cit. , p. 168.
9.Ibid.
10. A RISTOTELIS ,Opera cum Averrois commentariis , vol. IV, Edizione anastatica, Frankfurt am
Main: Minerva, 1962.

La scienza l ’ignoranza la fede. De sui ipsius et multorum ignorantia Quaderns d ’Italià 11, 2006 117
Et cum hoc consequitur cognitionem scientiae speculativae scientia de mora-
litate virtuosa, quoniam scientes istam scientia, cum erunt secundum ordi-nem naturalem, oportet eos de necessitate esse virtuosos in omnibus specibusvirtutum moralium, quae sunt Iustitia, Temperantia, Fortitudo, Magnanimi-tas, Liberalitas, Veritas, Fiducia, Mansuetudo, et aliae de virtutibus hominun.
11
Si compone in questo modo il binomio ulissiaco di virt ù e conoscenza.
Questo proemio alla Fisica diventa uno dei testi storici della linguistica averroista.
L’ultimo commento al nono libro della Metafisica mostra ancora, in forma
negativa, la condizione dell ’uomo privo di scienza.
Et hoc intendebat cum dicit: intelligere eas non est verum idest cum dicimus
quod apud nos non est verum de substantiis simplicibus, non intendimusquod accidit nobis error, qui est ignorantia secundum habitum, sed acciditprivatio veritatis quae est ignorantia tantum et hoc est in virtute rationali sicutcaecitas in oculo. Et innuit per hoc quod non intelligere res separatas per intel-lectum humanum est in intellectu nostro in primo simile caecitati in oculoantequam perficiatur intellectus.
12
L’uomo che non giunge alla conoscenza delle sostanze separate per colpa
dell’ignoranza è simile al cieco. Soltanto la perfezione intellettuale, l ’attuazio-
ne totale dell ’intelletto, permette di raggiungere quel fine.
Nel primo commento al secondo libro della Metafisica appare il fine mas-
simo, la conoscenza della verit à in quanto conoscenza di Dio.
[…]quia comprehensio veritatis non est impossibilis in multis rebus credimus
enim necessario nos scire veritatem in multis rebus. [ …]. Et, quia disposi-
tio intellectus de re intelligibili est sicut dispositio sensus de re sensibili, assi-milavit virtutem intellectus in comprehendendo intellecta abstracta a materiamodo debilissimo visui in sentiendo, sicut vespertilionis, non comprehen-dendo maximum sensibilium, sicut Solem. Sed hoc non demostrat res abstrac-tas intelligere esse impossibile nobis: sicut inspicere Solem est impossibilevespertilioni quia fecit illud quod est in se naturaliter intelligibilem nonintellectum ab alio, sicut si fecisset Solem non comprehensum ab aliquovisu.
Il pipistrello (o il gufo) dinanzi al sole diventa il simbolo dell ’intelletto
umano dinanzi a Dio. L ’uomo pu ò conoscere Dio come il pipistrello pu ò guar-
dare la luce del sole in modo molto debole.
Questo è il piano testuale minimo nel quale si mostra il cammino del bruto
a uomo perfetto fino a poter guardare il sole Dio. Tommaso d ’Aquino è il
primo antagonista che confuta organicamente la dottrina di Averro è special-
mente nella Contra gentiles . Questa è la sua posizione sul bruto.
11.Ibid.
12.Ibid., vol. VIII.

118 Quaderns d ’Italià 11, 2006 Antonio Gagliardi
Dunque l ’uomo, pur avendo l ’intelligenza, non differirebbe dagli animali bruti.
[…] Ora, il bambino, anche prima di uscire dal seno materno, appartiene alla
specie umana; eppure in lui non ci sono fantasmi che siano intelligibili in atti.Dunque l ’uomo non è dotato d ’intelletto per il fatto che l ’intelletto si unisce
all’uomo mediante le specie intelligibili esistenti nei fantasmi.
13
L’uomo è tale fin dal seno materno. Nello stesso modo viene negata la pos-
sibilit à di conoscere Dio.
Ora, se in questa vita non possiamo avere l ’intellezione delle sostanze separa-
te, per la connaturalit à del nostro intelletto con i fantasmi, meno che mai
potremo vedere l ’essenza divina, la quale trascende tutte le sostanze separate.14
Il cammino del bruto, in compagnia della scienza, porta alla visione di Dio.
Una escatologia filosofica si sovrappone a quella cristiana e offre gli strumen-ti per giungere al fine senza passare attraverso la fede e la chiesa. Una situa-zione analoga si è già prodotta nell ’Islam e il conflitto tra i filosofi e gli uomini
del libro divino, teologi ortodossi o mistici sufi, esibisce l ’inconciliabilit à tra
la via della scienza e quella delle fede. Averro è introduce questo conflitto nel-
l’Occidente cristiano e l ’Occidente cristiano reagisce allo stesso modo, con le
medesime coordinate dottrinali, pur nella specificit à cristiana. Un averroista
si riconosce da queste due proposizioni dottrinali, la perfezione e la felicit à,
organizzate come un unico viaggio di conoscenza che porta il filosofo diretta-mente al cospetto di Dio. Dalla seconda met à del Duecento è frequente l ’im-
magine del bruto o dell ’uomo privo di perfezione quale limite della condizione
umana. La coscienza di un limite contiene gi à in sé l’alternativa poich é quel-
la negativit à può essere e deve essere superata. Il bruto è l’apocalisse dell ’uo-
mo ed è figlio dell ’ignoranza. La scienza lo porta alla pienezza dell ’umanit à e
lo eleva al divino.
Abbracciando la totalit à del sapere, possedendo ogni virt ù intellettuale e mora-
le, il filosofo rappresentava il massimo della perfezione raggiungibile sulla terra.Innalzandosi fino alla visione degli enti metafisici pi ù elevati —le sostanze
separate e Dio — egli portava infatti a piena realizzazione ci ò che vi è di pi ù
specificamente umano, la razionalit à. […] Chi non è filosofo —scriveva senza
mezzi termini Alberico di Reims — «non est homo nisi equivoce »; il sommo
bene cui un mortale pu ò e deve aspirare —chiariva Boezio di Dacia — consi-
ste nel piacere ricavabile dall ’esercizio della virt ù e dalla conoscenza del vero,
e chiunque non lo raggiunga «non habet rectam vitam » e deve sapere di essere
«imperfectum individuum in specie sua, nec habet actiones humanas ». Quan-
ti rinunciano a realizzarsi intellettualmente —faceva eco Giacomo di Douai
nella chiusa delle sue inedite questioni sul De anima — non si distinguono dai
13. San Tommaso D’AQUINO ,Somma contro i gentili (a cura di Tito S. Centi), Torino: UTET,
1975, p. 405. Per il rapporto tra Tommaso d ’Aquino e Averro è, cfr. Antonio G AGLIARDI , Tom-
maso d’Aquino e Averroè. La visione di Dio , Soveria Mannelli: Rubbettino, 2002.
14.Ibid., p. 654.

La scienza l ’ignoranza la fede. De sui ipsius et multorum ignorantia Quaderns d ’Italià 11, 2006 119
bruti, e non meritano pienamente la definizione di uomini, essendo tali solo
in potenza [ …].15
Il modo in cui Dante all ’inizio del Convivio pone il rapporto tra l ’ultima per-
fezione e l ’ultima felicit à è pienamente averroista anche se, nel corso dell ’ope-
ra, cerca di eliminare l ’ascesa alla visione di Dio.
[…]onde, acci ò che la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la
quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semosubietti.
E’ la scienza a portare l ’uomo alla perfezione ultima e all ’ultima felicit à, il
sommo bene o beatitudine. Pu ò essere accettato questo da un cristiano? Non
è Cristo la via alla beatitudine dell ’uomo ottenibile dopo questa vita? Dante
qui sicuramente non è tomista. Soltanto nella Commedia la ricerca di una sin-
tesi efficace tra il cammino della scienza e quello della grazia e dell ’illuminazione
divina permetter à di portare Tommaso dentro il proprio progetto di concilia-
zione universale conciliandolo con Sigieri di Brabante.
Non si tratta di un generico contrasto tra ragione e fede. Qui è in discus-
sione l ’alternativa radicale tra la scienza e Cristo per raggiungere lo stesso fine,
la visione di Dio e la beatitudine. Senza questa alternativa non si comprendel’inconciliabilit à tra cristianesimo e averroismo. La scienza cancella Cristo dal-
l’escatologia della beatitudine. Si pu ò ricorrere sempre a Dante, questa volta
nella Commedia , per il senso di questa alternativa.
Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita viache tiene una sostanza in tre persone.State contenti, umana gente al quia;
ché, se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria;
Purgatorio , III, 34-39
Il conoscere/vedere tutto, la perfezione intellettuale nell ’acquisizione di
tutti gli intelligibili, non pu ò permettere il viaggio dell ’uomo a Dio. E ’ neces-
sario Cristo, il parto di Maria. Il viaggio tragico di Ulisse dalla condizione dibruto all ’oltrepassamento del confine tra l ’umano e divino si conclude con
la condanna. Il nuovo Ulisse, Dante, mostra come senza la grazia di Dio e lamediazione di Maria non è possibile giungere al vertice dell ’universo dove sta
il Dio dei filosofi e quello cristiano.
Anche se in forma sintetica questo è il paradigma averroista nella dottrina
e nella forma storica. La scrittura di Petrarca è solidamente fondata su questi
15. Luca B IANCHI , Il vescovo e i filosofi. La condanna parigina del 1277 e l’evoluzione dell’aristo-
telismo scolastico , Bergamo: Lubrina, 1990.

120 Quaderns d ’Italià 11, 2006 Antonio Gagliardi
assunti e la lingua, direttamente o indirettamente, tiene conto delle dottrine
originarie. Una coscienza cristiana pone una frontiera tra il cammino dell ’uo-
mo a Dio secondo la via dei filosofi e quella segnata da Cristo. Ora è possibi-
le ritornare al testo originario ed esaminare il modo in cui gli antagonismivengono fissati. Il contenzioso si allarga a tutti gli altri problemi che la dottri-na averroista pone alla coscienza intellettuale e religiosa contemporanea, dal-l’eternit à del mondo alla poesia. Si ha un quadro veramente completo di una
situazione storica nella quale la filosofia sta disegnando una nuova condizionedell’uomo. Evidentemente il punto di vista rimane quello dell ’autore e i quat-
tro malcapitati non hanno alcuna possibilit à di far valere le proprie ragioni.
Sul problema della scienza e dell ’ignoranza è evidente che si parlano due
lingue diverse e reciprocamente estranee. Quell ’idea di scienza, di matrice aver-
roista, si realizza in un sapere enciclopedico su tutti gli enti di natura. La scien-za è prima di tutto conoscenza della natura. L ’ironia sul sapere inutile o errato
fa parte di questa polemica. L ’unicit à dell’ignoranza produce confusione e
diventa il terreno di scontro tra due atteggiamenti intellettuali. La scienza deifilosofi prefigura un sapere tecnico, organizzato razionalmente, ordinato secon-do categorie. Dall ’altra parte c ’è la conoscenza umanistica della quale la reto-
rica diventa la lingua ufficiale. Siamo gi à all’interno di quella rottura che
conferisce all ’Occidente uno dei suoi aspetti fondamentali, tra lettere umane e
scienza. Viene meno in questo modo la pretesa che la scienza possa portarealla felicit à, sia vera o meno. L ’irrisione della scienza, nelle sue forme pi ù eva-
nescenti, diventa critica della pretesa ultima di raggiungere la felicit à.
T utte queste nozioni [ …] anche ammesso che rispondessero a verit à, non con-
tribuirebbero per nulla alla nostra felicit à.16
In questo modo viene sottratto ai filosofi anche il sapere ultimo, la cono-
scenza delle origini e dei fini dell ’uomo.
A che pu ò servire, di grazia, conoscere le particolarit à delle belve, degli uccel-
li, dei pesci, dei serpenti e ignorare, invece, e disprezzare la natura umana, loscopo della nostra nascita, da dove veniamo e dove andiamo?
17
L’escatologia averroista viene cancellata assieme alla scienza che la produce.
Il sapere sull ’uomo diventa esclusivo appannaggio della religione perch é por-
tatrice di una escatologia totalizzante nella quale soltanto c ’è l’origine e il fine
dell’uomo. Il conflitto tra religione e cultura ha prodotto ormai una frattura
insanabile. L ’avere oscurato il fine del filosofo mostra questo bisogno di anta-
gonismo senza compromesso sui fini ultimi. La religione agli ignoranti e lascienza ai filosofi. Si tratta di una delle forme storiche dell ’averroismo.
16. Cfr. A. B UFANO , cit., p. 1039-1041.
17.Ibid.

La scienza l ’ignoranza la fede. De sui ipsius et multorum ignorantia Quaderns d ’Italià 11, 2006 121
In effetti, per gente come loro, che va tronfia di far la figura dell ’intellettuale,
non vi è cosa pi ù spregevole della devozione religiosa [ …].18
L’ignoranza, come imperfezione, pu ò essere risanata soltanto dopo la morte,
per il cristiano. La morte diventa via necessaria alla beatitudine. Soltanto dopola morte l ’uomo pu ò vedere Dio.
Ma frattanto, finch é non giunge la fine di questo esilio, con la quale avr à ter-
mine questa nostra imperfezione, mi consolo —nei limiti della conoscenza
che per ora ci è concessa — considerando la natura a tutti comune.19
L’alternativa con i filosofi è sottintesa nel porre in vita il raggiungimento
della perfezione e della felicit à. In effetti è immediata la constatazione della
loro presunzione nel giudicarsi degni della conoscenza angelica e della felicit à
connessa.
Beati nel loro errore i miei giudici, che non hanno bisogno di simile conforto,
beati dico, non per il sapere, ma per l ’assenza di errore e di presuntuosa igno-
ranza coloro che ritengono non manchi per la conoscenza delle cose angeli-che, mentre indubbiamente per quella della realt à umana manca molto a tutti
e a molti tutto addirittura.
20
Che per scienza angelica si debba intendere la conoscenza che hanno gli
angeli, prima di tutto la loro conoscenza di Dio si pu ò comprendere in Tom-
maso d ’Aquino. Indirettamente Petrarca attribuisce ancora ai giovani averroi-
sti la pretesa di giungere alla conoscenza di Dio tramite la scienza, la conoscenzadel tutto.
Nello stesso modo, con una sottile ironia, la richiesta di una lunga vita. In
effetti per giungere alla perfezione una lunga vita è necessaria e si pu ò ottene-
re soltanto verso la fine di essa, come afferma Averro è (commento 36).
Ahim è, amico mio, quali sciagure non comporta una vita che si protrae trop-
po a lungo?21
Una vita lunga non capita a tutti e pu ò anche essere piena di infortuni.
Chi pu ò assicurare la felicit à? Viene meno per la maggior parte degli uomi-
ni la possibilit à di attingere la perfezione e la felicit à. Anche se sommerso
nel teatro della parola petrachesca il testo filosofico originario continua aprodurre senso in stato di latenza. Cos ì è possibile far cadere Aristotele nel-
l’ignoranza.
18.Ibid., p. 1047.
19.Ibid., p. 1050.
20.Ibid., p. 1051.
21.Ibid.

122 Quaderns d ’Italià 11, 2006 Antonio Gagliardi
Per conto mio, credo che Aristotele fu bens ì una personalit à di grande rilievo
e di molta dottrina, ma che era un uomo e perci ò ritengo che egli potesse igno-
rare alcune cose, anzi molte.22
Il problema della felicit à, come viene trattato da Aristotele all ’inizio e alla
fine dell ’Etica Nicomachea diventa il termine di confronto vero con quella cri-
stiana. Non spetta alla filosofia trattare della felicit à vera.
[…] egli a tal punto ignorava la vera felicit à, che nella conoscenza di essa
potrebbero essere non dico pi ù sottili, ma pi ù felici una qualsiasi vecchietta
devota o un pescatore, un pastore, un contadino che abbiano fede in Dio.[ …]
ho l’impressione che lui abbia visto la felicit à come la nottola vede il sole, che
cioè ne abbia visti la luce e i raggi ma non l ’essenza [ …]e non ha capito, o se
li ha capiti ha trascurato quei princ ìpi, senza i quali la felicit à non pu ò asso-
lutamente esistere, ossia la fede e l ’immortalit à.23
Dentro Aristotele c ’è Averro è. L’allusione al primo testo e commento del
secondo libro della Metafisica, con il simbolo del gufo o pipistrello, rovesciala visione del filosofi in cecit à. La metafora o l ’allusione sono in grado di rap-
presentare il modo in cui il filosofo, superbo, pretende di giungere alla cono-scenza suprema attraverso la scienza e in quanto scienza.
Costoro cercano di captare con la loro superba millanteria i segreti della natu-
ra e gli arcani ancor pi ù profondi di Dio, che noi accettiamo con l ’umilt à della
fede; e non li captano, n é vi si accostano neppure, ma, pazzi come sono, riten-
gono di esserci arrivati e di tenere in pugno il cielo[ …].24
Per tenere in pugno il cielo e conoscere i secreti di Dio è necessario giun-
gere fino in cielo e fino a Dio. Le autorit à citate fanno parte del corredo storico
di confutazione della pretesa dei filosofi. Anche la citazione omerica serve atenere lontano lo sguardo del filosofo da Dio. Non soltanto gli uomini nonpossono vedere Giove ma neanche Giunone sua sorella e moglie.
[…] in Omero Giove diffida con gravi minacce dall ’osar di scrutare nel suo
intimo segreto o dal presumere che esso si possa conoscere, non un uomo mor-tale n é un qualunque dio, ma la potente Giunone, sua consorte e regina degli
dei.
25
Si pu ò conoscere e studiare ma senza pretendere di oltrepassare i limiti del-
l’umano. L ’atto di umilt à personale iscrive l ’autore in una prospettiva cristiana
aliena da ogni curiosit à oltraggiosa.
22.Ibid., p. 1063.
23.Ibid., p. 1065.
24.Ibid., p. 1067.
25.Ibid.

La scienza l ’ignoranza la fede. De sui ipsius et multorum ignorantia Quaderns d ’Italià 11, 2006 123
[…] ringrazio Iddio, di avermi dato questo intelletto, per inetto e modesto
che sia, e uno spirito, per niente irrequieto, che non va alla ricerca di cose pi ù
grandi di lui n é soffre della curiosit à d’indagare su cose che sono difficili da
scoprire e micidiali una volta scoperte; ma quanto pi ù sento parlare contro di
Cristo, tanto pi ù amo Cristo e mi rafforzo nella fede di Cristo.26
Chi parla non far à mai la fine di Ulisse. La scienza e la fede, lo spirito ulis-
siaco e quello cristiano, sono in campo per determinare una frontiera di comu-ne incompatibilit à. Cicerone diventa il velo dietro il quale è possibile continuare
a parlare del presente su argomenti scottanti sul piano teologico.
Senza dubbio, conoscere Dio, non gli d èi, questa soltanto è vera e altissima
filosofia; a condizione, intendo, che alla conoscenza si associ le fede e la praticareligiosa.
27
Cosa è successo? La metafisica aristotelico-averroista sembra riportare l ’uo-
mo al tempo dei pagani con una pluralit à di dei mettendo sullo stesso piano Dio
e le altre intelligenze celesti, le sostanze separate. La conoscenza delle intelli-genze celesti, fra la quali Dio è soltanto la prima, quale fine del cammino del
filosofo, omologa sostanzialmente il conoscente e il conosciuto, l ’uomo e Dio.
L’intelletto umano viene considerato della medesima natura di Dio, anche se
di perfezione inferiore. La lunga digressione sulla natura di Dio mostra comesi è costituito un nuovo Olimpo nel quale stanno tutte le intelligenze e al quale
può aspirare anche l ’uomo. Ora è necessario affermare l ’assoluta trascenden-
za di Dio. Non solo: Dio è creatore e governa l ’universo con la sua volont à
provvidenziale.
[…] tutto quanto vediamo con gli occhi o percepiamo con l ’intelletto è stato
creato per il bene degli uomini, è di origine divina ed è governato dal volere
provvidenziale di Dio.28
C’è un unico Dio che governa l ’universo e non una pluralit à di intelligen-
ze, come vuole Averro è. Cicerone, in predicato di diventare cristiano, ora è
costretto a diventare averroista per sostenere la polemica di Petrarca sulla costi-tuzione molteplice dell ’olimpo dei filosofi.
Chi sono dunque codesti nuovi, moderni, infami d èi che cerchi di far entra-
re a forza nella casa del Signore? [ …] Cos ì, tutto d ’un tratto, lo hai mescolato
a creature ribelli e a spiriti immondi? [ …] E come se non bastasse, fai diven-
tare sensibili, animati, e —stoltezza somma — altrettanti d èi, il sole, la luna,
le stelle e infine persino questo mondo percettibile, che noi vediamo e toc-chiamo, su cui posiamo i piedi.
29
26.Ibid., p. 1069.
27.Ibid., p. 1071.
28.Ibid., p. 1083.
29.Ibid., p. 1085.

124 Quaderns d ’Italià 11, 2006 Antonio Gagliardi
Il riferimento ai cieli, con le loro intelligenze, nel nome e nella funzione
ricorda la molteplicit à di dei dell ’olimpo pagano, quasi un ritorno al tempo
precristiano.
Ora Petrarca scende in campo di persona per confutare la colpa dell ’igno-
ranza mostrando che si tratta soltanto della propria fede cristiana.
Se il pericolo di un castigo non li minaccia e non hanno testimoni, confutano
la verit à e la religione, nascondendosi in angoli riposti a deridere Cristo e ad ado-
rare Aristotele che non capiscono [ …].30
Una confusa testimonianza di tribunali e persecuzioni nei confronti dei
filosofi si intravede in queste parole. Non tutti hanno la possibilit à di pro-
fessare le proprie idee. Anche Tommaso d ’Aquino, nel De unitate intellectus
contra averroistas , aveva accusato Sigieri di Brabante di nascondersi negli
angoli.
Che se taluno, gloriandosi d ’una falsa scienza, ha qualcosa da dire contro quan-
to abbiamo scritto, non parli negli angoli n é davanti a fanciulli che non sanno
giudicare di questioni s ì ardue, ma impugni questo scritto, se ne ha l ’ardire,
e trover à non solo me, che sono il minimo di tutti, ma molti altri cultori della
verità, i quali si opporranno al suo errore, o provvederanno a smascherarne
l’ignoranza.31
Si pu ò vedere come anche in questo breve testo scienza ed ignoranza sono
in antitesi e pongono l ’alternativa secca all ’interno del mondo dei filosofi. La
lingua dice gi à molto e sia Tommaso d ’Aquino sia Petrarca la gestiscono pole-
micamente. L ’antitesi tra Cristo e Aristotele racchiude tutti gli antagonismi e
i conflitti tra l ’atteggiamento del filosofo e quello del cristiano. Con questa
lingua e con questi antagonismi possiamo guardare dentro la storia il modoin cui un nuovo intellettuale non si riconosce pi ù nel cristianesimo. L ’attesta-
zione è importante perch é, al di la delle polemiche personali, è riconoscibile
una misura laica fondata sulla conoscenza filosofica.
Si apre una finestra sulla condizione vera del filosofo, ormai costretto a
nascondersi e non poter parlare liberamente. Una situazione simile si intra-vede in una frase successiva, uno dei luoghi comuni della cosiddetta doppiaverità.
[…] poich é manca loro il coraggio di sputar fuori i propri errori, hanno
l’abitudine di dichiarare formalmente che al momento discutono lasciando
del tutto da parte la fede.32
30.Ibid., p. 1093.
31. Tommaso D ’AQUINO , Trattato sull’unità dell’intelletto contro gli averroisti (a cura di Bruno
Nardi), Spoleto: Centro italiano di Studi sull ’alto Medioevo, 1998, p. 196-197.
32. Cfr. Antonietta B UFANO , cit., p. 1095.

La scienza l ’ignoranza la fede. De sui ipsius et multorum ignorantia Quaderns d ’Italià 11, 2006 125
Si tratta soltanto della doppiezza della parola costretta a dissimulare nel
gioco delle apparenze una verit à innominabile pubblicamente. Si pu ò discu-
tere di problemi cos ì alti sospendendo il giudizio secondo la fede? Per il cri-
stiano evidentemente no. Sull ’eternit à del mondo, uno dei maggiori errori
della filosofia secondo la teologia cristiana, Petrarca è molto informato.33
Il tema che pi ù di ogni altro mette in discussione la teologia della creazione è
al centro del dibattito contemporaneo.
Il cammino all ’interno della scrittura petrachesca, alla ricerca dei nuclei
dottrinali, riporta ancora il senso della perfezione intellettuale e i mezzi perraggiungerla: la conoscenza di tutti gli intelligibili nella conoscenza di tutte lecose ( rerum omnium scientiam ).
A me sembra invece proprio il contrario; e non sono disposto ad ammettere
che un qualsiasi uomo abbia potuto raggiungere con mezzi umani un sapere uni-versale.
34
L’uomo non pu ò conoscere tutto. Non solo. I filosofi hanno detto molte
menzogne.
Se cos ì è, essi sanno che i filosofi hanno detto molte menzogne[ …].35
Petrarca rovescia sui filosofi il detto di Aristotele sui poeti: Poetaeque, secun-
dum proverbium , multa mentiuntur . Questa frase diventa il momento geneti-
co del conflitto tra poeti e filosofi su un ’autorit à in sintonia con tutta la filosofia
del tempo.36
Poi si ritorna sul tema fondamentale, la conoscenza di Dio. Il binomio di
virtù e conoscenza disegna anche le frontiere sulle quali si attesta la scienza
dell’uomo.
Perci ò sono in grave errore quelli che impiegano il loro tempo nel cercar di
conoscere la virt ù, non di farla propria, e in errore gravissimo quanti lo impie-
gano a conoscere Dio, non ad amarlo.37
Una scienza di Dio quale meta ultima dell ’uomo non è possibile. Soltanto
l’amore, secondo la tradizione agostiniana e francescana, pu ò raggiungere vera-
mente Dio. Il rapporto tra conoscenza e amore ormai è stabilito da una lunga
polemica tra i francescani e i tomisti e Petrarca lo ripropone mediando amoree conoscenza. Non si pu ò amare ci ò che è totalmente sconosciuto.
33. Enrico F ENZI, «Petrarca e l ’eternit à del mondo. Appunti per un commento al De ignoran-
tia», Intersezioni , 1994.
34. Cfr. Antonietta B UFANO , cit., p. 1103.
35.Ibid., p. 1105.
36. Antonio G AGLIARDI , Giovanni Boccaccio. Poeta filosofo averroista , Soveria Mannelli: Rub-
bettino, 1999, cap. II.
37. Cfr. A. B UFANO , op. cit ., p. 1111.

126 Quaderns d ’Italià 11, 2006 Antonio Gagliardi
E quantunque non si amino le cose completamente sconosciute, è sufficiente
tuttavia conoscere Dio e la virt ù entro i limiti oltre ai quali non è dato spin-
gersi[ …].38
Si pu ò vedere la posizione analoga di Tommaso d ’Aquino nella Contra Gen-
tiles. «Ora questa è l’intellezione: poich é non è possibile volere ci ò che ancora
non si conosce ». (III, XXVI). In ogni modo, nella conoscenza umana, non si
devono superare la frontiere poste tra l ’uomo e Dio, le colonne d ’Ercole che
nessuna scienza pu ò infrangere. A questa condizioni è anche possibile trovare
un accordo con i filosofi.
E’ necessario superare il dualismo di scienza e fede dei filosofi, eliminando
la loro irreligiosit à. Se la religione nasce dall ’insicurezza e la scienza si propo-
ne come depositaria delle verit à ultime, è evidente che non è possibile alcun
accordo. Al di l à del nominalismo c ’è un bisogno profondo di unificare scien-
za e fede nel modo in cui un cristiano pu ò certificare.
[…] la conoscenza della vera fede, invece, è la pi ù profonda, la pi ù sicura e
infine la pi ù felice di tutte le scienze.39
Soltanto la consapevolezza della pochezza della conoscenza umana pu ò
permettere di accostarsi alla conoscenza divina.
Che vi è d’altronde, in quanto è successo, che possa tormentare profonda-
mente un animo nobile, che conosce le cose umane e anela a quelle celesti,quando misura la propria piccolezza e riflette su quanto essa sia vicina al nulla?
40
L’uomo deve prendere atto che non pu ò conoscere tutto e che soltanto
attraverso la rivelazione divina c ’è vera conoscenza. Ippia contemporaneamente
nasconde Averro è e lo confuta.
Ma poich é ormai è cosa certa che gli uomini non sanno tutto, anzi neppure
molto, ed è noto —sconfessata e ripudiata ormai da tempo l ’Accademia — che
si pu ò conoscere qualcosa solo attraverso la rivelazione divina, accontentia-
moci di sapere quel tanto che basta alla salute eterna.41
La conoscenza del limite e di ci ò che è necessario per ottenere la salvezza eter-
na chiude di fatto il cammino nella scienza e nell ’ignoranza. C ’è sempre una
memoria ulissiaca del limite a porre l ’uomo dinanzi alle proprie responsabilit à
di cristiano. Non tutto il filosofo si pu ò ritrovare nel cristiano. Soltanto questa con-
sapevolezza ultima pu ò permettere di sostituire la scienza con la fede quando è la
certezza della beatitudine eterna a muovere il cammino dell ’uomo e non quella
felicit à momentanea promessa dalla scienza nella visione di Dio in vita.
38.Ibid.
39.Ibid., p. 1127.
40.Ibid., p. 1137.
41.Ibid., p. 1143.

La scienza l ’ignoranza la fede. De sui ipsius et multorum ignorantia Quaderns d ’Italià 11, 2006 127
Petrarca, nella dissimulazione della propria ignoranza, espone tutta la biblio-
teca personale dimostrando di quale scienza pu ò disporre. Non è lui l’igno-
rante e il bruto. Chi pu ò esibire una tale biblioteca non pu ò essere un ignorante
con tutte le conseguenze del significato latente. I giovani vengono sommersinella sua erudizione.
Vi sono tante accezioni di scienza e questa degli averroisti è una novit à che
produce un ’onda sismica nella coscienza individuale e nella cultura collettiva.
C’è un’idea di scienza, connessa a un fine di perfezione e felicit à. Con questo
mito della scienza è necessario fare i conti fino in fondo perch é in grado di
sedurre le coscienze e rifondare la cultura occidentale. Il mito dell ’uomo che
nasce bruto e diventa Dio, per scienza e virt ù, sta alla base di ogni altro mito
letterario e intellettuale. Si pu ò dire, con un linguaggio pi ù moderno, che la
scienza determina il progresso dello spirito umano. Il mito di Ulisse è disper-
so nelle scritture averroiste e soltanto la poesia è in grado di ricostruirne l ’im-
magine unificando le sparse tessere. Cosi diventa chiave ermeneutica per chitenta il guado avventuroso delle colonne d ’Ercole come di chi cerca di tratte-
nere la propria barca prima del confine vietato.
Quest ’opera di Petrarca permette di formulare un quadro storico e orga-
nico della complessa situazione intellettuale prodotta dalle dottrine averroiste.Pur nell ’opacit à della scrittura appare il motivo di fondo di due universi in
conflitto, filosofia e cristianesimo, perch é concorrenti sul piano dei fini ulti-
mi, la perfezione e la felicit à. T utto il resto è accessorio. Scienza e fede, con la
negativit à originaria dell ’ignoranza, stanno sulla frontiera dell ’umano e del
divino e regolare l ’accesso alla conoscenza di Dio. Due modi di salire al cielo
e godere della beatitudine divina sono possibili attraverso Cristo o la scienza.
Poi è possibile leggere il Canzoniere per scoprire come, in un ’altra lingua e
in altri tempi, tutto è già stato detto per confermare un ’inquietudine perso-
nale e la crisi della stagione averroista di Petrarca. Basta mettere in evidenzal’alternativa tra Cristo e la scienza di nome Laura nel costruire la strada che
porta al cielo.
42
Tanto mi piacque prima il dolce lume
ch’i’ passai con diletto assai gran poggi
per poter appressar gli amati rami:ora la vita breve e ‘l loco e ‘l tempo
mostrammi altro sentier di gire al cieloet di far frutto, non pur fior ’ et frondi.
Altr’amor, altre frondi et altro lume,
altro salir al cielo per altri poggicerco, ch é n’è ben tempo, et altri rami.
(142, 31-39)
42. Antonio G AGLIARDI , Gunizzelli Dante Petrarca. L ’inquietudine del poeta , Alessandria: Edi-
zioni dell ’Orso, 2003.

128 Quaderns d ’Italià 11, 2006 Antonio Gagliardi
L’insistenza di «altro» mette in luce il dramma del filosofo e del cristiano.
L’alloro e il legno della croce sono in reciproca incompatibilit à come la luce
di lei e quella della grazia. Petrarca ha abbandonato la via che conduce a cielodisegnata dall ’alloro. Laura ha conteso a Cristo la via per salire al cielo e la
radicale alternativa tra i due appare in tutta la sua inconciliabilit à. Il «far frut-
to», la perfezione cristiana è altra cosa rispetto a quella filosofica. La scienza
ha fatto venire meno il monopolio del divino detenuto dal cristianesimo comeha fatto venire meno l ’unicit à della beatitudine. Com ’è possibile a una donna
tutto ci ò? I miti intellettuali comuni diventano miti esistenziali personali. La
scienza di nome Laura o Beatrice, o semplicemente la donna mia , seduce e fa
innamorare di s é. Poi sparisce alla vista e si fa cercare producendo soltanto
dolore e sofferenza nel suo amante. Soltanto alla fine del lungo cammino diperfezione si offre come mercede intellettuale indicando la strada che condu-ce fino a Dio.
Ma questa strada, per un cristiano, porta sempre allo scontro con il Dio
cristiano. Petrarca Ulisse lo ha sperimentato di persona e il suo «picciol legno »
più volte ha rischiato il naufragio spinto dall ’ «aura soave ». Due modi di rag-
giungere il porto, la beatitudine della visione di Dio, si contendono la strada.Soltanto l ’intervento divino, «poi piacque a lui », salva dall ’altro intervento che
condanna, «com’altrui piacque ».
L’aura soave a cui governo et vela
commisi entrando a l ’amorosa vita
e sperando venire a miglior porto,poi mi condusse in pi ù di mille scogli;
et la cagion ’ del mio doglioso fine
non pur d ’intorno avea, ma dentro al legno.
Chiuso gran tempo in questo cieco legnoerrai, senza levar occhio alla velach’anzi al mio d ì mi trasportava al fine;
poi piacque a lui che mi produsse in vitachiamarme tanto indietro da li scoglich’almen da lunge m ’apparisse il porto.
(80, 7-18)
Può veramente l ’amore carnale per una donna portare a esiti cos ì tragici
per la salvezza eterna? La seduzione di una donna mortale pu ò avere tanto
potere da condurre alla perdizione eterna? Dall ’altra parte sembra possedere
un potere demoniaco, da anticristo, nel costruire un itinerario antagonista allabeatitudine cristiana. Con una donna si pensa sempre al solito peccato. Inve-ce è il peccato di Ulisse, attraversare il confine vietato tra l ’umano e il divino,
a condurre a una possibile dannazione. E ’ sempre l ’amore per questa donna
dai poteri assoluti a trascinare per mari ignoti e per ascese celesti. L ’epistola
sull’ascesa al monte Ventoso conferma, nell ’allegoria personale, che vi sono
due modi di salire su per i monti come per salire in cielo.

La scienza l ’ignoranza la fede. De sui ipsius et multorum ignorantia Quaderns d ’Italià 11, 2006 129
Da tutta la tradizione poetica, a cominciare dai Siciliani, è evidente
l’identit à di amore e conoscenza. La via dell ’amore è la stessa della scienza,
attraverso le facolt à dell’anima, dagli occhi all ’intelletto, passando per l ’im-
maginazione. Poi la scienza apre la strada che porta al cielo. Dovrebbe essere chia-ro che tra la via che porta al cielo e il naufragio procurato da Laura c ’è un nesso
indissolubile. Mentre è interdetto il passaggio delle colonne d ’Ercole sulla terra
è possibile quello tra la terra e il cielo? Non ci sono le colonne d ’Ercole tra la
terra e il cielo? Le metafore e le allegorie hanno una loro necessit à imposta
dalla dottrina che le regge. Soltanto se c ’è la possibilit à di oltrepassare il velo del-
l’immaginazione poetica e giungere ai fondamenti intellettuali vengono fuori
tutte trame di una storia che nell ’autobiografia di Petrarca si realizza in tutta la
sua drammaticit à in un conflitto indissolubile tra la forma della scrittura e
quella della coscienza.
L’amore per la scienza di nome Laura ha fatto errare per un mare in tem-
pesta, presagendo nel proprio «cieco legno » il «cieco carcere » infernale. L ’«altez-
za d’ingegno », in ogni modo, porta lontano dalla via della salvezza. Un «dolce
lume » connette anche il sonetto precedente con il medesimo canto dantesco:
«non fiere li occhi suoi lo dolce lume? » (Inferno , X, 69). La salvezza viene dallo
stesso Dio che era stato sfidato sul piano dell ’ultima felicit à, il porto. L ’ap-
prodo finale nel quale c ’è perfezione intellettuale e beatitudine secondo la pro-
messa dei filosofi e quella cristiana. Su questa alternativa è possibile seguire
tutta la crisi di Petrarca nel Secretum e nel Canzoniere . La via della scienza alla
visione di Dio, dall ’altezza della presente opera, appare lontana, frutto soltan-
to di una biblioteca molteplice in grado di confutare l ’errore altrui. Poi tutto
diventa un ’azione drammatica quando il poeta, dopo l ’esperienza della seces-
sione e del conflitto insanabile, cerca un equilibrio tra le nuove istanze uma-nistiche e la propria coscienza cristiana.
C’è sempre da mettere nel conto di queste crisi e dei loro risvolti filosofi-
ci e religiosi una fondazione nella coscienza personale che permette di rico-struire il proprio itinerario intellettuale tra le antitesi e conflitti. Non c ’è dubbio
che anche questa coscienza di s é è frutto della scienza. L ’autocoscienza intel-
lettuale è direttamente proporzionale alla scienza acquisita. Il vero miracolo
di questo tempo storico è la nascita della coscienza intellettuale, una coscien-
za laica che viene in aiuto anche quando si tratta di sorreggere una crisi chemette in discussione la fondazione religiosa. Il conflitto tra coscienza intellet-tuale e coscienza religiosa non diventa apocalittico quando la scienza offre quelsostegno in grado di trovare un ’identit à forte.
La coscienza di s é è in stretta relazione con la scienza acquisita e chi pu ò
fruire di una biblioteca ampia e articolata pu ò anche mostrare la profonda con-
sapevolezza dell ’io intellettuale. Riflettere su se stessi porta a compimento la
ragione della crisi e della critica e la scienza dell ’uomo si costituisce nella coscien-
za inquieta di s é. Quando la scienza mostra sicurezza e razionalit à la coscien-
za pu ò aggiungere anche le proprie crisi e le ragioni dei conflitti storici. La
biblioteca esibita da Petrarca mostra come l ’io è il prodotto del sapere di s é
attraverso il sapere acquisito. Il modo in cui la biblioteca filosofica e religiosa

130 Quaderns d ’Italià 11, 2006 Antonio Gagliardi
diventa parte integrante della costituzione intellettuale permette di fornire
quelle risposte all ’altezza della crisi. Un cristianesimo originario e inconsapevole
non esiste pi ù. Soltanto intellettualmente è possibile ricostituire una coscien-
za religiosa perch é è stata una biblioteca a mettere in discussione il cristianesimo
nella sua totalit à storica e dottrinale.

Similar Posts