Folosirea Pronumelor Personale în Povestirea Tocco D’artista de Andrea Camilleri

I PRONOMI PERSONALI NEL RACCONTO

TOCCO D’ARTISTA DI ANDREA CAMILLERI

Folosirea pronumelor personale în povestirea

Tocco d’artista de Andrea Camilleri

INDICE

INTRODUZIONE

La grammatica tradizionale definisce il pronome (dal latino pronomen “parte del discorso che sta al posto del nome”) un elemento che fa le veci di un sostantivo rappresentandolo negli stessi valori grammaticali di genere e numero.

La stessa, poi, suddivide la classe dei pronomi in pronomi personali, riflessivi, possessivi, dimostrativi, interrogativi, relativi, indefiniti, rendendola molto eterogenea.

La grammatica generativa, modello teorico elaborato da Chomsky e dai suoi allievi, si propone di ridimensionare questa eterogeneità e considera pronomi solamente quelli personali in cui comprende la classe dei pronomi riflessivi in quanto anch’essi, come i pronomi personali, sono differenziati in base alla persona grammaticale.

In italiano, come nelle altre lingue, esistono due serie di pronomi personali: la serie libera (detta anche tonica perché dotata di accento proprio) e la serie clitica (detta anche atona perché priva di accento proprio). L’opposizione fondamentale tra le due serie pronominali è fondata sulla loro diversa distribuzione cioè sulla differente posizione che possono occupare nella frase: la serie libera ha una distribuzione identica a quella di qualunque nome o gruppo nominale, quella clitica, invece, è confinata a determinate posizioni all’interno della frase.

La nostra tesi, che ha il titolo “I pronomi personali nel racconto Tocco d’artista di Andrea Camilleri”, si divide in due parti. La prima, che comprende i capitoli “Il sistema latino dei pronomi personali” e “L’evoluzione dal latino parlato all’italiano” è una breve storia dei pronomi complemento, così come risulta dal volume Pavao Tekavčić, Grammatica storica dell’italiano, vol. II, Morfosintassi (Bologna, Il Mulino, 1972). La seconda parte presenta invece l’uso dei pronomi personali nel racconto Tocco d’artista di Andrea Camilleri. Per la presentazione teorica ci siamo serviti soprattutto dei volumi Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria (Torino, UTET-Libreria, 1989) ed Elena Pîrvu, Morfologia italiana (București, Editura Didactică și Pedagogică, 2003). Per gli esempi, come confermano anche i titoli dei due capitoli che compongono la seconda parte (“I pronomi personali nel racconto Tocco d’artista” e “Posizione dei pronomi personali nel romanzo Tocco d’artista”) abbiamo usato il racconto Tocco d’artista di Andrea Camilleri (Milano, Mondadori, 2012).

1. Il sistema latino dei pronomi personali

Il sistema pronominale del latino classico manca di una forma speciale per la terza persona: veri e propri forme, parole speciali, esistono soltanto per la prima e la seconda persona singolare e plurale, cioè le persone ce indicano gli "interlocutori" (persone partecipanti al dialogo). Nei casi in cui l'italiano e altre lingue moderne adoperano i pronomi per la terza persona, in latino si ripete il sostantivo, oppure, ci si serve del dimostrativo ILLE. Questa mancanza del sostituto personale per la terza persona singolare è resa possibile fra l'altro anche dalla maggiore autonomia del sostantivo e delle parole in genere nella proposizione latina.

Per conseguenza, le forme dei pronomi personali soggetto in latino erano:

1a persona : sing. EGO

plur. NOS

2a persona : sing. TU

plur. VOS

Giacché i pronomi personali sostituiscono i sostantivi nelle varie loro funzioni, essi riflettono, con le loro forme, le diverse forme casuali dei sostantivi e perciò si possono “declinare”:

Tekavčić fa anche un’osservazione: il dativo MIHI probabilmente era stato, nel latino parlato, contratto in MĪ, forma che ricorre molto presto: in Petronio (Cena Trimalchionis, LXXVI, 7) e nella lingua delle lettere del soldato di Traiano; secondo Väänänen (Introduzione al latino volgare), questa forma ricorre addirittura fin dalle origini della poesia latina. Per l’evoluzione romanza dunque si può partire dalla forma colloquiale generale MĪ.

Un’importante caratteristica dei pronomi latini è che essi hanno una sola forma, sia che si tratti di corrispondente del sostituto italiano tonico sia che si tratti di quello atono :

– ‘vede me’ – ‘darò a te’ – ‘lavano sè’

VIDET ME : DABO TIBI: LAVANT SE:

– ‘mi vede’ – ‘ti darò’ – ‘si lavano’

La differenza, naturalmente, è data dall’accento nella proposizione: /vídetme/ ~ /videtmé/, ma non è espressa dalla forma. Anche questo è in rapporto di relazione con l’autonomia e la libertà di posizione della parola latina.

2. L’evoluzione dal latino parlato all’italiano

La maggiore innovazione verificatasi, nel latino parlato, nel campo dei pronomi è senz’altro la creazione, o per lo meno l’inizio della creazione, di un pronome personale per la terza persona. Un’altra innovazione non meno importante è l’elaborazione di due serie di forme dei pronomi personali: l’una tonica e l’altra atona. Mentre la prima continua a godere di una libertà di posizione relativamente notevole, la seconda serie si fissa nella vicinanza immediata del verbo. Perciò la prima serie viene talvolta chiamata serie di forme “libere” e la seconda, serie di forme “legate”. La creazione di questa distinzione, più specificamente l’elaborazione di una serie di forme legate intimamente al verbo, è una delle conseguenze della diminuzione dell’autonomia della parola, cioè del progressivo fissarsi dell’ordine delle parole. I gruppi di parole strettamente legate acquistano una sempre maggiore importanza. Insomma, cresce l’importanza dei fattori sintagmatici, a scapito di quelli paradigmatici.

La funzione stessa dei pronomi personali, che devono sostituire i sostantivi in tutte le loro funzioni, da una parte, e la distinzione fra forme toniche (libere) e forme atone (legate) dall’altra parte, hanno determinato una richezza di forme nei pronomi molto più maggiore di quella delle altre categorie di parole del gruppo nominale. Alcune di queste forme vivono nei dialetti, altre sono solo antiche, altre infine continuano a vivere nella lingua odierna.

2.1. L’evoluzione della serie tonica (delle forme libere)

Le forme dei pronomi che indicano le persone degli interlocutori ed esprimono la funzione di sogetto non presentano particolari problemi di evoluzione formale:

a) EGO > eo (dal VI secolo in poi), documentato nei testi antichi (Ritmo Cassinese, Contrasto di Cielo D’Alcamo); successivamente > io;

b) TU > tu;

c) NOS > noi, VOS > voi.

Neppure le forme che esprimono la funzione di oggetto presentano problemi:

ME > me, TE > te, SE > se, NOS > noi, VOS > voi.

Il genitivo e il dativo vengono sostituiti dall’ablativo e dall’accusativo introdotti da determinate preposizioni; in una seconda fase, l’identità dell’accusativo e dell’ablativo al singolare determina anche l’identità delle due forme al plurale, il che si verifica mediante la sostituzione di NOBIS e VOBIS con NOS e VOS. In tal modo i pronomi tonici diventano invariabili, come i sostantivi e gli aggettivi.

Anche l’ablativo è introdotto da preposizioni: SINE ME, SINE TE, SINE NOBIS, successivamente SINE NOS e, parallelamente, SINE VOBIS, SINE VOS.

Ne risulta che la flessione del pronome tonico diventa analitica e si effettua mediante le preposizioni; la forma stessa del pronome, invece, rimane invariabile. Le forme toniche italiane riflettono esattamente queste basi latine:

DE ME > di me DE TE > di te DE NOS > di noi DE VOS > di voi

AD ME > a me AD TE > a te AD NOS > a noi AD VOS > a voi

IN ME > in me IN TE > in te IN NOS > in noi IN VOS > in voi ecc.

Questa è l’evoluzione delle forme proprie dell’odierna lingua letteraria. Nei testi italiani antichi si trovano resti dei dativi latini TIBI, SIBI, NOBIS, VOBIS, nonché di una forma *MIBI, analogica su TIBI e SIBI. Ad esempio:

tivi, bovi nella Carta Rotese (anno 798);

tebe, bobe nei Placiti (anni 960 e 963);

mebe, tebe, sebe, vebe (analogico sui primi tre, per vobe ) nel Ritmo Cassinese;

meve nel Contrasto di Cielo d’Alcamo ecc.

Queste forme risalgono ai dativi-ablativi latini, ma nell’italiano antico funzionano come forme toniche per esprimere tutte le funzioni: et arde la candela, sebe libera ‘consuma se stessa’ (Ritmo Cassinese) ecc.

Nella 3a persona la diversità è molto maggiore. A parte i cambiamenti rigurdanti le forme che esprimono la funzione di soggetto, anche le forme che esprimono la funzione di oggetto subirono mutazioni.

1) Il genitivo di ILLE era ILLUS e il dativo ILLI; erano queste forme comuni a tutti e tre i generi e abberanti nel sistema latino, in quanto erano proprie di un gruppo molto ristretto di parole (oltre a ILLE e IPSE, anche UNUS, SOLUS, TOTUS, ULLUS, ALTER, UTER, NEUTER, NULLUS, ALIUS). Nel latino parlato, la stessa analogia che nel nominativo ha determinato la creazione di ILLI per ILLE, ha agito anche in altri casi: sul modello di CUIUS e del dimostrativo HUIUS nasce un genitivo *ILLUIUS; sul modello dei dativi CUI e HUI(C) (la /k/ finale si perde) nasce ILLUI. Nel frattempo, per il femminile è stato creato un dativo ILLAE; esso, incrociatosi con ILLUIUS, ILLUI, IPSUIUS, IPSUI, dà le forme del femminile ILLEIUS, ILLEI, IPSEIUS, IPSEI. Sebbene il processo sembri complicato e tipico del tardo latino parlato, esso deve essersi svolto molto presto, perché la forma ILLEI appare più volte già nelle lettere del soldato di Traiano; ad esempio:

DICO ILLEI ET EGO;

UT MILITAS ILLEI ecc.

Su altre iscrizioni latine tarde si leggono forme come ILLEIUS, IPSEIUS, IPSUIUS, INPSUIUS, SIBI ET ILLEI ecc.; appare anche un genitivo QUEIUS (per CUIUS) ecc. Più tardi, nelle Formulae, troviamo già la forma romanza, anzi italiana, con l’aferesi: DONAT IGITUR ILLE HONESTE PUELLAE, NORAE SUAE LEI (Formulae Marculfi, VII secolo), oppure: … IPSIUS LUI OB HOC DANDO RESPONSUM (ibidem).

I genitivi sono scomparsi, mentre i dativi ILLUI, ILLEI, e più tardi lui, lei, si continuano nelle forme omofone dell’italiano odierno.

Nella lingua antica lui e lei funzionano sia come genitivi sia come dativi e senza preposizione: mostrato ho lui tutta la gente ria (Purgatorio I, 64), ond’io risposi lei (ibidem, XXXIII, 91). Nell’evoluzione successiva, alla pari di meve, teve, seve ecc. Negli antichi testi meridionali, le forme lui e lei sono diventate forme toniche generali, usate per esprimere tutte le funzioni, dunque anche la funzione di soggetto; è dunque logico che per esprimere altre funzioni queste forme siano introdotte da preposizioni: dico a lui, mostro a lei, parto con lei ecc. Per conseguenza, l’antico significato di dativo dei latini ILLUI, ILLEI si è perduto completamente.

2) Per il genitivo plurale il latino aveva ILLORUM (maschile e neutro) e ILLARUM (femminile), mentre la forma del dativo era comune ai tre generi: ILLIS. Quanto al genitivo, la forma maschile (e neutra finché questo esisteva come genere funzionante), soppiantò quella femminile, e IILORUM > ILLORU rimase come la sola forma per il genitivo. Il dativo ILLIS rimase anch’esso, ma nell’evoluzione ulteriore si specializzò per il dativo della seria atona, mentre per quello della serie tonica subentrò ILLORU. Per conseguenza, la forma ILLORU, probabilmente già /loru/ o /loro/ nel latino tardo parlato, funzionava sia come genitivo sia come dativo plurale. La funzione di dativo è documentata da esempi come HOC ILLORUM DICTUM EST ‘ciò che è stato detto loro’ (in un testo del VII secolo), LICEAT EARU AMBABUS… IBIDEM VIVERE ‘sia lecito a loro [donne] due … di vivere là’ (EARUM coordinato con AMBABUS non può essere che dativo; del resto lo postula anche il verbo LICET).

Dal tardo latino /loru/ o /loro/ discende l’italiano loro, in perfetto parallelismo con cui abbiamo la forma sarda issoro < IPSORU.

3) Per esprimere la funzione di oggetto l’italiano antico si serviva delle forme ello, ella, elli, elle, dai latini ILLU, ILLA, ILLI, ILLE o ILLAS. L’accusativo plurale è dunque morfematicamente identico al nominativo; in accordo con quanto accade per i sostantivi e gli aggettivi. Le forme ello, -a, -i, -e funzionano nella lingua antica come forme toniche generali introdotte da preposizioni: noi eravam partiti già da ello (Inferno, XXXII, 124), suon di man con elle (ibidem, III, 27) ecc. Successivamente sono state sostituite anch’esse da lui, lei, loro, le sole forme rimaste oggi.

4) L’evoluzione delle forme dei pronomi tonici rende evidente la tendenza verso l’invariabilità della forma, cioè la tendenza verso la perdita della inflessione sintetica mediante la generalizazione di una sola forma per tutte le funzioni, in pieno parallelismo con i sostantivi e gli aggettivi. I pronomi tonici vengono dunque trattati come sostantivi: le funzioni sono espresse dalle preposizioni. Vi si sottraggono soltanto i pronomi per la prima e la seconda persona singolare, in cui la forma del soggetto si oppone a quella del non-soggetto, il che richiama in mente la distinzione fra caso retto e caso obliquo. Abbiamo dunque:

Soggetto (caso retto) io, tu

noi, voi, lui, lei, loro

Non-soggetto (caso obliquo) me, te

Le forme toniche sono le sole possibili dopo le preposizioni, il che è conforme al sistema morfosintattico italiano, visto che le preposizioni sono sempre proclitiche e precedono la parola da esse introdotta. Anche da questo punto di vista, dunque, i pronomi tonici si comportano come i sostantivi e gli aggettivi.

2.2. L’evoluzione della serie atona (delle forme legate)

Questa è la genesi delle principali forme letterarie dei pronomi atoni:

1) ME e TE diventano, in posizione atona, regolarmente mi e ti, in una sostituzione che è propria della Toscana; dunque mi e ti atoni sono precipuamente toscani:

VIDET ME > vede mi (antico), ME VIDET > mi vede (moderno);

AMARE ME > amarmi, AMA ME ! > amami!;

PORTARE ME / MI > portarmi ecc.

È dunque indifferente che il pronome sia clitico (posizione caratteristica romanza) o enclitico (posizione caratteristica latina): in entrambi i casi è atono. Nella forma mi, oltre al latino ME, confluisce anche il dativo MI (<MIHI). Ugualmente, ti risale a TE, ma anche a un dativo TI, riduzione formale di TIBI.

2) Per la prima persona, nella lingua antica si trova no, forma regolarmente sviluppatasi da NOS in posizione atona. Ad esempio: sí no promise di pagare ‘e ci promise di pagare’ (frammento d’un libro di conti dei banchieri fiorentini del 1211, citato in Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli). Parallelamente, per la seconda persona plurale nasce vo, da VOS; ad esempio, negli antichi testi senesi, in Guittone, nel Ritmo di S. Alessio. L’italiano antico era dunque procinto di sviluppare delle forme atone dalle forme latine NOS e VOS; tuttavia, già nei testi antichi, al posto di questi si trovano ne (per la prima persona), ve o vi (per la seconda persona), forme che prendono ben presto il sopravvento. Queste forme sono etimologicamente identiche alle particelle avverbiali ne < INDE, ve, vi < IBI. L’uso di INDE in funzione di pronome è antichissimo: già in Plauto DANT INDE PARTEM MIHI (Miles gloriosus, 711). Un po’ più tardi appare anche IBI. L’identità genetica di ne e vi sostituiti con gli omofoni ne, vi particelle avverbiali, e la loro discendenza comune dai latini INDE e IBI è cosa certa, perché in alcuni dialetti italiani vive ancora la forma nde o ndi; ad esempio, nel calabrese ndi lavamu ‘ci laviamo’.

Al posto dell’antico ne la lingua moderna ha preferito definitivamente la forma ci, anch’essa identica formalmente e geneticamente alla particella avverbiale ci: la base latina è ECCE + HIC. Questa terza forma è una prova perentoria dell’identità originaria dei pronomi e delle particelle avverbiali: anche qualora si potesse ancora sospettare che in ne e vi sia confluito forse un ultimo resto delle forme ridotte di NOS e VOS, la forma ci esclude qualsiasi possibilità di provenienza diretta da NOS e può risalire soltanto allo stesso ettimo che sta alla base della particella omofona.

3) Per la terza persona, in funzione di complemento (dativo in latino) rimangono le forme ILLI e ILLE. Dal primo si ottiene li e in seguito gli (palatalizzazione in posizione antevocalica, come elli > egli), dal secondo abbiamo oggi le. La corrispondente forma plurale, ILLIS, comune ai tre generi, diventa, con la caduta della /s/, regolarmente li e in seguito gli (come l’omofona singolare). Questa forma è toscana ed è oggi molto diffusa. Tuttavia la lingua moderna scritta preferisce loro, per distinguere il plurale dal singolare maschile.

4) Per la terza persona in funzione di oggetto (accusativo in latino) si ha l’evoluzione regolare, esattamente parallela a quella dei sostantivi e degli aggettivi: ILLU(M) > lo, ILLA(M) > la, ILLI > li, ILLE (o ILLAS) > le. Le forme del plurale partono dalla forma che continua il nominativo latino, generalizzato per tutte le funzioni.

A differenza di li, dativo singolare maschile, e li, dativo plurale, in in cui c’è stata la palatalizzazione della /l/, la forma del plurale maschile li è sfuggita alla palatalizzazione ed è rimasta fino a oggi li; questo certamente perché il sistema conosceva già due morfemi /l’i/. Che si tratti appunto del bisogno di distinguere le forme, o di evitare la creazione di troppe forme omofone, e non di fattori puramente fonetici, è provato dal confronto del pronome e dell’articolo determinativo. Essi partono dalle medesime quattro forme: lo, la, li, le, eppure l’articolo maschile plurale si palatalizza in gli, perché in questa forma non si confonde con niente altro; invece l’omofono li pronome rimane in questa forma, per distinguersi da gli dativo singolare e da gli dativo plurale. Nella lingua antica e nei dialetti toscani, tuttavia, anche il pronome li può diventare gli.

5) Tutte le forme della serie atona, nonché le forme toniche in cui non è accentata la prima sillaba, presentano l’aferesi della prima sillaba, fenomeno normale data la posizione protonica.

6) Nella lingua antica si sono verificati dei tentativi di creare una serie atona di forme in funzione di soggetto. A questa tendenza è dovuto l’uso di egli non riferito a persona umana, bensí come annunciatore di un soggetto invertito (ad esempio una proposizione) o il soggetto puramente grammaticale con i verbi unipersonali. Accanto a egli appaiono anche ei e e’, forme che sono spiegate appunto dalla funzione del morfema e dalla sua posizione proclitica. Ad esempio:

se egli si sapesse che io di voi innamorato mi fossi (Decameron, X, 7);

egli era in questo castello una vedova (ibidem, II, 1).

Oppure come negli esempi seguenti: ei pare, e’ mi conviene. La forma più ridotta, e’ /e/, sta alla base della particella a nei dialetti istroromanzi. Abbiamo, ad esempio, nel lignanese a zi vìro ‘è vero’, a yèra owna vòlta un ri ‘c’era una volta un re’, a ven a kàsa la murèda ‘viene a casa la ragazza’, a nu me kunvèn ‘non mi conviene’ ecc. (analogamente nel rovignese e altrove).

È indubbio che l’italiano antico egli, ei, e’ e l’istroromanzo a discendono tutti dalla comune base latina ILLU, usato nelle funzioni suddette. I morfemi citati sono anche funzionalmente identici.

Un resto delle forme atone usate per esprimere il soggetto è la forma la, nell’uso colloquiale e in locuzioni più o meno fisse (che la vada, cosí la va male, non la può andar lunga ecc.)

2.3. L’evoluzione dell’accoppiamento di due pronomi

L’italiano, come le altre lingue romanze, ha la possibilità di combinare due pronomi personali atoni. Tali combinazioni sono possibili solo in quelle funzioni per le quali esiste una forma speciale atona: quindi, la funzione di oggetto e di complemento di termine. Oltre ai pronomi personali, come primo membro può figurare anche il pronome riflessivo; come secondo membro, invece, è ammessa anche la particella avverbiale ne. Le possibilità sono dunque sintetizzabili nella seguente formula:

{mi ti ci vi gli si } + { lo la li le ne }.

La sola eccezione è costituita da loro, che non si combina con altre forme. Esso inoltre si pospone sempre al verbo. Perciò con loro in funzione di dativo la distinzione della forma tonica da quella atona è data unicamente dalla preposizione a:

lo dico loro – atono,

lo dico a loro – tonico.

La vocale del primo membro della combinazione è /e/, non /i/, anche nel toscano: ciò significa che mi, ti ecc. si presentano in forma di varianti me, te ecc. non solo se sono tonici, ma anche se sono atoni, purché siano combinati con un altro sostituto (o con ne). La /e/, ad esempio in me lo /melo/, potrebbe teoricamente continuare sia la /e/ del primo membro (latino ME) sia la /e/ del secondo, sviluppatasi dalla /i/ latina (ILLU):

ME + (IL)LU > me lo, M(E) + ILLU > me lo.

Nella lingua antica, l’oggetto precede il complemento di termine, a differenza da ciò che accade nella lingua moderna. Ad esempio: la ti dono, tu lo mi negasti (Novellino), che io la vi mandassi (Decameron, III, 6), la vi dirò (Bandello), follia lo ti fa fare (Contrasto di Cielo d’Alcamo) ecc. Un fatto interessante è che tanto i dialetti settentrionali quanto quelli meridionali presentano l’ordine odierno sin dai tempi antichi (a questi si associa anche il sardo con l’esempio donolislu < DONO ILLIS ILLU, ‘lo do a loro’, nel Privilegio logudorese, anno 1080-1085). La trasformazione dell’ordine reciproco dei due membri, dunque, potrebbe essere dovuta, in Toscana, anche a un influsso esterno. Ma, come dice giustamente il Rohlfs (Grammatica storica), “nulla esclude che questo ordine [= dativo + accusativo] fosse già usuale nel latino popolare regionale”. Comunque, le vere cause di questa trasformazione dell’ordine delle parole rimangono ancora da trovare.

2.4. L’evoluzione della posizione dei pronomi personali

Mentre la posizione della serie tonica di forme, rispetto ad altri membri della proposizione, è relativamente libera e tale resta fino a oggi, la posizione della serie atona subisce una forte restrizione: le forme atone del pronome personale sono sempre in vicinanza immediata del verbo (personale o non personale). È molto probabile che la tendenza ad avvicinare le forme atone al verbo fosse propria già del tardo latino parlato. In conformità con il ritmo discendente, il latino preferisce la posposizione dei pronomi (enclisi):

CREDE MIHI (Cena Trimalchionis);

SALUTAT TE MATER MEA, ET ORAT TE … ( lettera numero VI);

UTINAM … CUSTODIANT ME FAMULI MEI (Gregorio di Tours, Historia Francorum, III, 15); ecc.

L’enclisi non è, tuttavia, generale perché esistono anche esempi che provano l’anteposizione (proclisi):

UTINAM ME PERMITTERIS … (Gregorio di Tours, Historia Francorum);

… QUIS EUM MIHI DEDIT TIBI LATERE NON POTEST (Chronicarum Libri IV; II, 62) ecc.

L’italiano antico concorda con il latino, e la posizione del pronome dipende da fattori ritmici.

a) La proposizione non può cominciare con una parola atona, dunque il pronome deve essere enclitico del verbo, che è al primo posto:

VIDEO TE > (antico) Vedoti, cioè : /védoti/.

b) Se la proposizione si apre con un’altra parola tonica, il pronome sarà enclitico rispetto a essa e proclitico (apparentemente) al verbo seguente:

QUANDO TE VIDEO > quando ti vedo, cioè: /kwándoti]védo/.

Gli esempi di enclisi sono numerosi; basti citare le forme: misesi, ebbevene, puoselasi ‘se la pose’ ecc. nel Novellino, vuolsi in Dante (Inferno, XXXI, 95), fuggiami, giugneami pure in Dante (ibidem, XXXI, 39); poi tutta una serie nel Contrasto di Cielo d’Alcamo: trabalgiti, avereme, artonniti, veioti, aiungasi, trovanmi, mettoci, donassemi, percazzala, addivenissemi, tagliarami ecc.

Aggiungiamo che anche il sardo – così conservatore e fedele al latino – presenta casi di enclisi in forme vicinissime, praticamente quasi identiche, a quelle che potevano essere le forme del tardo latino; ad esempio, il gia citato donolislu, inoltre fecindelis (< FECI INDE ILLIS) ‘ne feci loro’ ecc.

Tuttavia, già nella lingua antica appaiono esempi di proclisi (che concordano con la posizione moderna). In seguito alla sostituzione dell’ordine regressivo latino con quello progressivo romanzo, dall’italiano antico a quello moderno la proclisi prende decisamente il sopravvento. La proposizione può cominciare con una parola atona e quindi il pronome può stare al primo posto ed essere proclitico della parola seguente. I sopraccitati esempi italiani antichi diventano adesso:

Ti vedo, cioè: /tivédo/

Quando ti vedo, cioè: /kwándo[tivédo]/.

La proclisi è obbligatoria con le forme verbali personali. La sola eccezione è costituita da loro, che si pospone sempre al verbo.

Con le forme verbali non personali e con la particella ecco (funzionalmente equivalente al verbo) si conserva l’enclisi. Un altro resto dell’antica enclisi sono le formule pubblicitarie affitasi, affitansi, cercasi, vendesi, ecc.

L’enclisi antica si conserva anche con l’imperativo. È interessante notare che in questo caso l’italiano antico presenta anche la proclisi: e tu allor li prega (Inferno, V, 71), non mi di’ ‘non dirmi’ (Sacchetti) ecc.

Mentre in latino i verbi modali non formano con l’infinito rispettivo un blocco indissociabile (esempio: POSO TIBI EPISTULA SCRIBERE), oggi l’inserzione di un pronome atono fra il verbo modale e l’infinito non è piú possibile, perché i due vengono trattati come un blocco unitario, con il quale è ammessa sia l’enclisi sia la proclisi:

Lo voglio credere o voglio crederlo

Te lo posso dare o posso dartelo ecc.

Un resto dell’ordine latino, nel quale la preposizione poteva essere enclitica del termine da essa retto, si ha nelle forme odierne meco, teco, seco, anticamente anche nosco, vosco. Le basi latine sono MECUM, TECUM, SECUM, NOBISCUM, VOBISCUM; al posto degli ultimi due, il latino popolare introduce NOSCUM, VOSCUM (biasimati già dall’Appendix Probi, numero 133 e 134). Questa sostituzione è dovuta, in parte, all’omofonia fra accusativo e ablativo in ME, TE, SE e in parte alla scomparsa generale di NOBIS e VOBIS. Qui si vede la cristalizzazione del pronome in una forma sola, alla pari dei sostantivi.

Alle forme toscane, corrisponde nei dialetti settentrionali mego, tego, sego (veneto), mek, tek o tik (emiliano), e in quelli meridionali mmeko, mmik, tteko, ttiko, ttik; in alcuni dialetti esistono anche dei riflessi di NOSCUM e VOSCUM: konnosku, konnosko, kovvosko (laziale), konnosko, kobbosko (abruzzese) ecc.

Giacché la preposizione latina in meco ecc. oggi non è piú motivata come tale, e poiché la preposizione, nel sistema odierno, è proclitica in tutti i casi, alle forme citate si aggiunge spesso, un’altra volta, la preposizione con, in questo caso proclitica. Così nasce in Toscana kon meko [kommeho], nell’Italia settentrionale kon mego, nel Meridione kom miko ecc. Rientrano in questo gruppo anche le forme meridionali citate precedentemente.

Dal momento che la preposizione si aggiunge per la seconda volta, la forma del pronome che storicamente contiene già con (meco, teco ecc.) diventa, dal punto di vista funzionale, una variante speciale del pronome, legata alla preposizione con; la coscienza linguistica non individua più una preposizione nella sillaba /ko/ di kon meko ecc., e meko non può piú funzionare da solo. In accordo con il sistema odierno, la lingua moderna preferisce i sintagmi con me, con te, con sé: in essi l’ordine concorda, da una parte, con la proclisi della preposizione, e dall’altra parte con il ritmo progressivo (ascendente).

3. I pronomi personali nel racconto Tocco d’artista

Come abbiamo già detto, abbiamo intitolato il capitolo “I pronomi personali nel racconto Tocco d’artista di Andrea Camilleri” perché per gli esempi abbiamo usato il racconto Tocco d’artista di Andrea Camilleri (Milano, Mondadori, 2012). Per la presentazione teorica ci siamo serviti soprattutto dei volumi Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria (Torino, UTET-Libreria, 1989) ed Elena Pîrvu, Morfologia italiana (București, Editura Didactică și Pedagogică, 2003).

3.1. Le forme dei pronomi soggetto

I pronomi personali soggetto sono quelli che, nella frase, sono usati in funzione di soggetto. Questi sono:

Esempi:

“Se manco tu lo sai, posso andare a pigliarmela in quel posto.”

(“Tocco d’ artista”, p. 211)

“Alberto Larussa, tu lo conoscevi bene, si è suicidato. “

(“Tocco d’ artista”, p. 212)

“ Lui era uno studioso,un viaggiatore, pensa che andò dal Marocco alla Mongoglia. “

(“Tocco d’ artista”, p. 212)

“ Naturalmente tutti questi aggeggi se l’ era fabbricati lui, con santa pacienza.”

(“Tocco d’ artista”, p. 214)

“Io avevo dato Larussa vincente stamatina in quanto a originalità, ma ora mi pare che stia alla pari con Poyocki! “

(“Tocco d’ artista”, p. 215)

“Certo che non è tenuto, io le stavo solo domandando la cortesia di…”

(“Tocco d’ artista”, p. 216)

“Ma vada a farsi fottere lei e latelevisone! ”

(“Tocco d’ artista”, p. 216)

“Aveva azioni, titoli, diversi, ma, rispeto, non raggiungevano il livello che ha sparato lei. ”

(“Tocco d’ artista”, p. 216)

“Parliamone, tanto del caso non me ne occupo io. ”

(“Tocco d’ artista”, p. 216)

“Però tu mi devi giurare che non te ne servi per i tuoi notiziari.”

(“Tocco d’ artista”, p. 216)

“E io credo alla sensibilità di Livia. ”

(“Tocco d’ artista”, p. 217)

“E quando il sindaco di Ragòna voleva fare un mostra dei suoi lavoriper beneficinza, lui che fece ? ”

(“Tocco d’ artista”, p. 217)

“Hai dato lui l’ intervista di Olcese a Prestìa ? ”

(“Tocco d’ artista”, p. 218)

“Mi pare di ricordarmi che un giorno che eravamo andati a trovare Alberto Larussa lui ti parlò del funerale che avrebbe voluto. ”

(“Tocco d’artista”, p. 219)

“ Tu non hai idea che cos’era il carro funebre, con angeli piangeti di due metri d’alteza, amorini,cose così. ”

(“Tocco d’artista”, p. 219)

“ Che uno come lui, così ritirato, quasi un orso, sognasse un funerale faraonico, come hai deto tu, da esibizionista. ”

(“Tocco d’artista”, p. 219)

“Già, mi meravigliai anch’io. ”

(“Tocco d’artista”, p. 219)

“Ma lui disse che la morte era un cambiamento tale che tanto valeva, dopo morti, dimostrarsi l’opposto di quello che si era stati in vita. ”

(“Tocco d’artista”, p. 219)

“Quelle sono cose che potremmo fare tu e io invece non le sappiamo fare. ”

(“Tocco d’artista”, p. 219)

“Dell’efferato omicidio del fratello Alberto che egli ha tentato di far passare per suicidio con una macabra messinscena. ”

(“Tocco d’artista”, p. 220)

“Lei deve sapìri,signore e giornalisto, che io insonnia patisco, con mia non ci pote sonno. ”

(“Tocco d’artista”, p. 221)

“Non s’incazza lei? ”

(“Tocco d’artista”, p. 221)

“Lei si trova nei pressi dell’abitazione del signor Larussa quando vide che dal cancello usciva a velocità un’auto… ”

(“Tocco d’artista”, p. 221)

“Propio propio come dice lei. ”

(“Tocco d’artista”, p. 221)

“E lei che fece? ”

(“Tocco d’artista”, p.221)

“Io ci feci voci appressò alla machina ch’era un grandissimo cornuto. ”

(“Tocco d’artista”, p. 222)

“Io so qual è il quadro che si sono fatti in testa quelli che conducono le indagini. ”

(“Tocco d’artista”, p.224)

“Ma io mi chiedo: che bisogno aveva di scrivere quel finto testamento, quando ne esiste uno, regolarmente registrato, che già diceva le stesse cose? ”

(“Tocco d’artista”, p. 224)

“Allora io mi domando: cui prodest? ”

(“Tocco d’artista”, p. 224)

“Hai sempre avuto ragione tu: Giacomo Larussa non solo è un assassino per interesse, ma è macari un mostro! ”

(“Tocco d’artista”, p.225)

“Ti premetto,Nicol, che sono cose delicate che io non posso fare ai miei òmini perchè se lo vengono a sapìri i carrabinera finisce a schifìo. ”

(“Tocco d’artista”, p. 225)

“Di conseguenza, manco io devo arrisultare. ”

(“Tocco d’artista”, p. 225)

“E allora io gli ho spiato se lui questo esame attentissimo l’ avesse fatto. ”

(“Tocco d’artista”, p. 227)

“Vedi,quando Potocki principiò a limare la palla della teiera, fece un calcolo temporale: io camperò fino a quando la palla sarà in grado d’entrare nella canna della pistola. ”

(“Tocco d’artista”, p. 228)

“Me lo sono spiato macari io. ”

(“Tocco d’artista”, p. 228)

“Tu che vuoi fare? ”

(“Tocco d’artista”, p.228)

“Ci vogliono prove da portare in tribunale e noi non le abbiamo, renditene conto. ”

(“Tocco d’artista”, p. 228)

“Che cos’hai tu di Alberto Larussa? ”

(“Tocco d’artista”, p. 229)

“Ecco, m’interessa che tu mi descriva gli oggetti chi hai, non tanto la forma, quanto il materiale usato, mi sono spiegato? ”

(“Tocco d’artista”, p. 229)

“Non aveva più importanza ora ripistiare la disgrazia, non aveva senso stabilire con calma se era stato lui a mettere un piede in fallo o Giacomo a spingerlo. ”

(“Tocco d’artista”, p. 230)

“Giacomo ci teneva a sottolineare che quella volta lui non era entrato in laboratorio. ”

(“Tocco d’artista”, p. 231)

“Lui avrebbe fatto lo stesso.”

(“Tocco d’artista”, p. 232)

“Commissario noi non vendiamo a privati. ”

(“Tocco d’artista”, p. 233)

“Mi scusi, ma io non ne capisco. ”

(“Tocco d’artista”, p. 233)

“Insistette tanto, era un artista, gli feci spedire i cinquanta metri che aveva richiesto,lei capisce, una quantità irrisoria. ”

(“Tocco d’artista”, p.233)

“Il primo era che si trattava di un materiale troppo grosso di circonferenza, lui adoperava per i suoi oggetti d’arte fili che parevano di ragnatela, e quindi chiunque che lo conosceva avrebbe detto che la seggia elettrica non era stata costruita da Alberto, troppo rozzo il disegno e troppo spesso il materiale. ”

(“Tocco d’artista”, p. 234)

“Ci sono cascato macari io. ”

(“Tocco d’artista”, p. 234)

“E senza lo Xeron lui non se la sentiva d’assittarsi sulla seggia elettrica. ”

(“Tocco d’artista”, p. 235)

“E mi raccomando: il mio nome non va fatto, io non c’entro, non esisto. ”

(“Tocco d’artista”, p. 235)

“Io gli risposi che lo volevo vedere in qualità di privato cittadino. ”

(“Tocco d’artista”, p. 235)

“Ma lei non ha mai provato a entrare in polizia? ”

(“Tocco d’artista”, p. 236)

“Io rimango un attimo strammato e gli spio: “No,perchè?” . ”

(“Tocco d’artista”, p. 236)

3.2. Le forme dei pronomi tonici

I pronomi complemento sono quelli che, nella frase, sono usati in funzione di complemento. In italiano,come in rumeno, i pronomi personali complemento hanno due forme, ben distinte tra loro:

-una forma tonica o forte, fortemente accentata, che dà al pronome un particolare rilievo(pronomi tonici).

-una forma atona o debole, non accentata, che nel discorso si appoggia al verbo (pronomi atoni).

a) Le forme toniche dei pronomi personali complemento sono:

Esempi:

4. Posizione dei pronomi personali nel racconto Tocco d’artista

Come abbiamo già detto, abbiamo intitolato il capitolo “Posizione dei pronomi personali nel racconto Tocco d’artista di Andrea Camilleri” perché per gli esempi abbiamo usato il racconto Tocco d’artista di Andrea Camilleri (Milano, Mondadori, 2012). Per la presentazione teorica ci siamo serviti soprattutto dei volumi Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria (Torino, UTET-Libreria, 1989) ed Elena Pîrvu, Morfologia italiana (București, Editura Didactică și Pedagogică, 2003).

4.1. Posizione dei pronomi complemento tonici

CONCLUSIONE

La nostra tesi, che ha il titolo “I pronomi personali nel racconto Tocco d’artista di Andrea Camilleri”, si divide in due parti. La prima, che comprende i capitoli “Il sistema latino dei pronomi personali” e “L’evoluzione dal latino parlato all’italiano” è una breve storia dei pronomi personali, così come risulta dal volume Pavao Tekavčić, Grammatica storica dell’italiano, vol. II, Morfosintassi (Bologna, Il Mulino, 1972). La seconda parte prezenta invece l’uso dei pronomi personali nel racconto Tocco d’artista. Per la presentazione teorica ci siamo serviti soprattutto dei volumi Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria (Torino, UTET-Libreria, 1989) ed Elena Pîrvu, Morfologia italiana (București, Editura Didactică și Pedagogică, 2003).

Molto utili ci sono stati anche i volumi Maurizio Dardano – Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica, Seconda edizione (Bologna, Zanichelli, 1989) e Giuseppe Patota, Grammatica di riferimento dell’italiano contemporaneo (Novara, De Agostini Scuola S.p.A., 2006).

Per gli esempi, come confermano il titolo della tesi ed anche i titoli dei due capitoli che compongono la seconda parte (“I pronomi personali nel racconto Tocco d’artista” e “Posizione dei pronomi personali racconto Tocco d’artista”) abbiamo usato il racconto Tocco d’artista di Andrea Camilleri (Milano, Mondadori, 2012).

BIBLIOGRAFIA

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